Trattamento dell?ipertiroidismo: gravi danni epatici indotti da Propiltiouracile

L?FDA ( Food and Drug Administration ) ha informato i medici del rischio di gravi danni epatici, tra cui insufficienza epatica e morte, con l?uso di Propiltiouracile nei pazienti sia adulti sia pediatrici.

Le segnalazioni, giunte all?AERS ( Adverse Event Reporting System ), stanno a indicare l?esistenza di un aumentato rischio di epatotossicit? rispetto al Metimazolo ( Tapazole ).

Sebbene entrambi i farmaci siano indicati nel trattamento dell?ipertiroidismo dovuto alla malattia di Graves, i medici dovrebbero attentamente considerare quale farmaco iniziare in un paziente in cui ? stato recentemente diagnosticata la malattia di Graves.
Inoltre, i medici devono strettamente monitorare i pazienti in terapia con Propiltiouracile per i sintomi e i segni di danno epatico, soprattutto durante i primi 6 mesi dopo l?inizio della terapia.

Il Propiltiouracile e il Metimazolo sono stati approvati nel 1947 e nel 1950, rispettivamente.

L?FDA ha identificato 32 casi ( 22 adulti e 10 pazienti in et? pediatrica ) di grave danno epatico associato all?uso del Propiltiouracile.
Tra gli adulti ci sono stati 12 morti e 5 trapianti di fegato. Tra i pazienti pediatrici si sono verificati 6 trapianti di fegato e c?? stato un caso fatale.

Per il Metimazolo sono stati segnalati 5 casi di grave danno epatico che hanno interessato pazienti adulti; 3 casi hanno avuto esito fatale.

In generale, il Propiltiouracile ? considerato un farmaco di seconda linea, con l?eccezione dei pazienti allergici o intolleranti il Metimazolo.

Rari casi di embriopatia, tra cui aplasia cutis, sono stati riportati con l?uso del Metimazolo durante la gravidanza, mentre nessun caso ? stato riportato con il Propiltiouracile. Pertanto il Propiltiouracile pu? essere pi? appropriato per i pazienti con malattia di Graves che sono nel primo trimestre di gravidanza.

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Uomini non-osteoporotici sani: la supplementazione con 1.200 mg/die di Calcio ha effetti sulla densit? minerale ossea

Non ci sono prove conclusive che la supplementazione con Calcio abbia un effetto sulla densit? minerale ossea negli uomini, nonostante l?osteoporosi maschile stia diventando un problema clinico di comune riscontro.

Un gruppo di Ricercatori dell?University of Auckland, in Nuova Zelanda, ha condotto uno studio clinico in doppio cieco, randomizzato e controllato per determinare gli effetti della supplementazione con Calcio ( 600 mg/die, 1.200 mg/die o placebo ) sulla densit? minerale ossea negli uomini.

Lo studio, della durata di 2 anni, ha coinvolto 323 uomini sani di almeno 40 anni di et? ( et? media: 57 anni ); per il 96% dei soggetti ? stato possibile ottenere un follow up completo.

La densit? minerale ossea ? aumentata in tutti i punti di controllo negli uomini che avevano ricevuto la supplementazione di 1.200 mg/die di Calcio in misura pari all?1-1,5% rispetto a chi aveva ricevuto placebo, I risultati relativi al gruppo con supplementazione di 600 mg/die di Calcio sono risultati simili a quelli del gruppo placebo.

Non ? stata osservata alcuna interazione tra l?effetto del trattamento e l?et? o l?assorbimento di Calcio con la dieta.

? stata osservata una diminuzione dose-dipendente dell?ormone paratiroideo sierico ( P<0.001 ), dell?attivit? della fosfatasi alcalina totale ( P=.0.01 ) e del propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1 ( P<0.001 ) del 25%, 8% e 20%, rispettivamente, nel gruppo che aveva ricevuto 1.200 mg/die di Calcio a 2 anni. Perdita dei denti, costipazione e crampi non sono stati influenzati dal trattamento a base di Calcio: le cadute sono state in genere meno frequenti nel gruppo trattato con 1.200 mg/die di Calcio, ma gli eventi vascolari sono risultati pi? frequenti nei gruppi con supplementazione rispetto al gruppo placebo. In conclusione, una supplementazione con 1.200 mg/die di Calcio ha effetti sulla densit? minerale ossea degli uomini, comparabili a quelli che si osservano nelle donne in postmenopausa, ma il dosaggio di 600 mg/die non risulta efficace nel trattare i problemi legati alla densit? minerale ossea. Reid IR et al, Arch Intern Med 2008; 168: 2276-2282

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Cirrosi: la Simvastatina riduce l?ipertensione portale

La Simvastatina ( Sivastin ) si ? dimostrata efficace nell?abbassare la pressione portale e nel migliorare la perfusione petica nei pazienti affetti da cirrosi.

Hanno preso parte allo studio clinico 59 pazienti, assegnati a Simvastatina ( 20 mg/die per 1 mese, con la possibilit? di aumentare a 40 mg/die a partire dal giorno 15 ) oppure a placebo.

L?ipertensione portale ? stata definita come un gradiente di pressione venosa epatica di 12 mmHg o superiore.

L?analisi finale ? stata compiuta su 28 pazienti trattati con Simvastatina e 27 pazienti assegnati a placebo.

Il trattamento con Simvastatina ha prodotto una riduzione del gradiente di pressione venosa epatica, significativamente maggiore rispetto al placebo ( -8.3% versus ?1.6%, rispettivamente ).

Inoltre la Simvastatina ha ridotto il gradiente di pressione venosa epatica nei pazienti riceventi i beta-bloccanti ( -11%; p=0.033 ), rispetto ai pazienti non-trattati con questi farmaci.

Gli eventi avversi sono stati osservati in 3 pazienti nel gruppo Simvastatina e in 7 pazienti nel gruppo placebo.
Nessuno dei pazienti ha interrotto lo studio a causa del presentarsi di eventi avversi.

In conclusione, dallo studio ? emerso che la Simvastatina presenta un potenziale effetto sull?ipertensione portale nei pazienti con cirrosi.

Fonte: Gastroenterology, 2009

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Epatite C cronica: la risposta virologica sostenuta riduce l?incidenza di insorgenza di diabete di tipo 2

Il diabete ? presente nei pazienti con infezione cronica da virus dell?epatite C ( HCV ).

L?obiettivo dello studio di coorte retrospettivo condotto da un gruppo di Ricercatori del Toranomon Hospital di Tokyo in Giappone, ? stato quello di valutare l?incidenza e i fattori predittivi per lo sviluppo di diabete mellito di tipo 2 dopo il termine dalla terapia a base di Interferone nei pazienti positivi per il virus dell?epatite C.

Sono stati arruolati nello studio 2.842 pazienti HCV-positivi trattati con Interferone ( IFN ) in monoterapia o in associazione alla Ribavirina.
Il periodo medio di osservazione ? stato di 6,4 anni.

L?endpoint primario era rappresentato dall?insorgenza di diabete di tipo 2.

La valutazione ? stata eseguita utilizzando il metodo di Kaplan-Meier e l?analisi di rischio proporzionale di Cox.

Dei 2.842 pazienti con infezione da HCV, 143 hanno sviluppato diabete di tipo 2.
Il tasso cumulativo di sviluppo di diabete di tipo 2 ? stato del 3,6% a 5 anni, di 8% a 10 anni e di 17% a 15 anni.

L?analisi multivariata dei rischi proporzionali di Cox ha rivelato che lo sviluppo di diabete di tipo 2 dopo il termine della terapia con Interferone si ? verificato quando lo stadio istologico era avanzato ( hazard ratio 3,30; P<0,001 ), con il mancato raggiungimento di una risposta virologica sostenuta ( hazard ratio 2,73; P<0,001 ), con il paziente in pre-diabete ( hazard ratio 2,19; P<0,001 ) e nei pazienti con un?et? maggiore o uguale a 50 anni ( hazard ratio 2,10; P<0,001 ). In conclusione, questi risultati hanno inidcato che una risposta virologica sostenuta causa una riduzione dei due terzi del rischio di sviluppare diabete di tipo 2 nei pazienti HCV-positivi trattati con Interferone. Arase Y et al, Hepatology 2009; 49: 739-744

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Il rischio di diverticolite e di sanguinamento diverticolare risulta aumentato con l?obesit

Gli studi riguardanti l?obesit? e le complicanze diverticolari sono poco numerosi.

Uno studio ha valutato la relazione tra indice di massa corporea ( BMI ), circonferenza del girovita, il rapporto vita ? fianchi, e la diverticolite e il sanguinamento diverticolare.

Lo studio di coorte, prospettico, ha riguardato 47.228 professionisti della salute di sesso maschile, di et? compresa tra 40 e 75 anni, che erano liberi da malattia diverticolare nel 1986 ( basale ).

Nel corso dei 18 anni osservazionali, sono stati documentati 801 casi di diverticolite e 308 casi di sanguinamento diverticolare.

Dopo aggiustamento per altri fattori di rischio, gli uomini con indice BMI maggiore o uguale a 30 kg/m2 presentavano un rischio relativo ( RR ) di 1.78 per la diverticolite e di 3.19 per il sanguinamento diverticolare, rispetto agli uomini con un indice BMI inferiore a 21 kg/m2.

Gli uomini nel pi? alto quartile di circonferenza del girovita, rispetto a quelli con il pi? basso, presentavano un RR multivariabile di 1.56 per la diverticolite e 1.96 per il sanguinamento diverticolare.

Il rapporto vita-fianchi era anche associato al rischio di complicanze diverticolari quando il pi? alto e il pi? basso quintile sono stati confrontati, con un RR multivariabile di 1.62 per la diverticolite e 1.91 per il sanguinamento diverticolare.
L?aggiustamento per l?indice BMI non ha modificato le associazioni osservate nel rapporto vita-fianchi.

In conclusione, in questa ampia coorte prospettica, l?indice BMI, la circonferenza del girovita, e il rapporto vita-fianchi hanno aumentato in modo significativo il rischio di diverticolite e di sanguinamento diverticolare.

Strate LL et al, Gastroenterology 2009; 136: 115-122.e1

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Pancreatite cronica: la supplementazione con antiossidanti offre sollievo al dolore

Lo stress ossidativo ? stato coinvolto nella patofisiologia della pamcreatite cronica.

Sono stati valutati gli effetti della supplementazione di antiossidanti sul sollievo del dolore, sullo stress ossidativo e sullo stato antiossidante nei pazienti con pancreatite cronica.

L?endpoint primario era rappresentato dal sollievo dal dolore, mentre gli endpoint secondari erano la richiesta degli analgesici, l?ospedalizzazione, e i marcatori dello stress ossidativo ( TBARS ) e dello stato ossidativo ( FRAP ).

I pazienti di et? media 30.5 anni ( 86 maschi, 35 con pancreatite cronica alcolica e 92 idiopatica, sono stati assegnati a placebo ( n=56 ) o ad antiossidante ( n=71 ).

Dopo 6 mesi, la riduzione del numero di giorni con dolore in un mese ? risultata significativamente pi? alta nel gruppo antiossidante, rispetto al gruppo placebo ( 7.4 versus 3.2 giorni, rispettivamente; p<0.001 ). La riduzione nel numero di compresse analgesiche al mese era ancora pi? alto nel gruppo antiossidante ( 10.5 versus 4.4, rispettivamente; p=0.001 ). Il 32% e il 13% dei pazienti non hanno pi? accusato dolore, rispettivamente, nel gruppo antiossidante e nel gruppo placebo ( p=0.009 ). La riduzione del livello di TBARS e l?aumento di FRAP sono risultati significativamente pi? alti nel gruppo antiossidante, rispetto al gruppo placebo. La supplementazione di antiossidanti ? risultata efficace nell?offrire sollievo dal dolore e nel ridurre i livelli di stress ossidativo nei pazienti con pancreatite cronica. Bhardwaj P et al, Gastroenterology 2009 ; 136 : 149-159.e2

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Colecistectomia nelle donne: le statine appaiono ridurre il rischio

Le statine possono ridurre la secrezione di colesterolo biliare indipendentemente dalla loro capacit? di inibire la sintesi di colesterolo.
Le statine, inoltre, prevengono la formazione di calcoli biliari negli studi su animali, sebbene l?effetto di questi farmaci sulla malattia litiasica biliare sia controverso.

Uno studio ha esaminato la relazione tra uso di statine e il rischio di colecistectomia in una coorte di donne statunitensi, partecipanti al Nurses?Health Study.

I Ricercatori hanno condotto un?analisi retrospettiva sull?impiego delle statine, utilizzando i dati raccolti nel 2000 per definire l?impiego a partire dal 1994, e un?analisi prospettica per i farmaci ipolipidemizzanti dal 1994 al 2004.

Nell?analisi delle statine, sono stati individuati 2.479 casi di colecistectomia durante i 305.197 persone-anno della valutazione di follow-up.
Il rischio relativo multivariato per i correnti utilizzatori di statine, rispetto ai non-utilizzatori, ? stato di 0.82.

Nell?analisi riguardante i farmaci ipolipidemizzanti, i casi di colecistectomia sono stati 3.420 durante i 511.411 persone-anno di valutazione di follow-up.
Rispetto ai non-utilizzatori, il rischio relativo multivariato per gli attuali utilizzatori di farmaci ipocolesterolemizzanti, in maggioranza statine, ? stato di 0.88.

In conclusione, l?impiego delle statine sembra ridurre il rischio di colecistectomia nelle donne.

Tsai C-J et al, Gastroenterology 2009; 136: 1593-1600

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Ca mammario, ora si punta al bersaglio mobile

21 Ott 2009 Oncologia

Finora, per prevenire la diffusione a distanza delle forme pi? aggressive di cancro del seno, si agiva essenzialmente alla fonte, ossia sulla massa tumorale primaria. Con risultati straordinariamente migliorati negli anni, ma ancora insufficienti a tutelare la globalit? delle pazienti. Domani le cose potrebbero cambiare, spostando l?attenzione sulle cellule che da questa massa si separano entrando in circolo: sfruttando la chemiosensibilit? specifica di queste cellule, determinabile in modo individualizzato in ogni singola paziente, si potrebbe impedire il loro attecchimento in diversi distretti corporei e la successiva proliferazione metastatica.

A segnalarlo sono i risultati di uno studio di collaborazione italo-americano tra il gruppo di Massimo Cristofanilli, condirettore dell?Inflammatory breast cancer research program and clinic dell?Anderson Cancer center di Houston (Stati Uniti) e quelli di Paola Gazzaniga e Giuseppe Naso del Dipartimento di Medicina sperimentale dell?Universit? ?La Sapienza? di Roma, presentato all?Istituto oncologico europeo di Milano (Ieo) in occasione dell?11th Milan Breast cancer conference (Mbcc, 17-19 giugno). Un?evidenza che si aggiunge a quella ottenuta alcuni anni fa dallo stesso Cristofanili sulla possibilit? di utilizzare il numero di cellule pre-metastatiche circolanti come predittore indipendente della prognosi del ca mammario (Cristofanili M et Al. Nejm, 2004; 351:781-91; De Giorgi et al. J Clin Oncol, 2009; on line, 10.1200/JCO.2008.19.4423).

?Questo studio, se prospetticamente validato, potrebbe rappresentare l?inizio di una nuova era nella terapia oncologica? sottolinea Massimo Cristofanilli. Attraverso l?analisi genotipica e fenotipica delle cellule tumorali circolanti (Ctc) in ciascuna paziente si potrebbero definire meglio le caratteristiche e le potenzialit? di proliferazione e sviluppo metastatico di ogni singola neoplasia, ampliando le conoscenze sulla biologia dei tumori e favorendo l?individuazione di nuovi trattamenti e indicatori di efficacia.

?Le Ctc potrebbero rappresentare un bersaglio critico per prevenire la metastatizzazione in quanto pi? resistenti ai trattamenti chemioterapici convenzionali? hanno commentato Paola Gazzaniga e Giuseppe Naso. ?Una terapia mirata, basata sulla caratterizzazione molecolare delle Ctc potrebbe, pertanto, portare a un beneficio clinico superiore a quelli attualmente ottenibili sia con la chemioterapia convenzionale sia con l?ormonoterapia per le forme estrogeno-sensibili?.

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Colesterolo HDL, ictus e diabete nell’anziano

20 Ott 2009 Geriatria

I livelli di colesterolo HDL sono associati al rischio di cardiopatia ischemica e malattie cerebrovascolari negli anziani diabetici. Il semplice controllo del colesterolo HDL tuttavia potrebbe non prevenire a sufficienza tanto la cardiopatia ischemica quanto le malattie cerebrovascolari, ma i dati raccolti dimostrano l’importanza di questa variabile nelle malattie cerebrovascolari negli anziani diabetici e nella cardiopatia ischemica in quelli di mezza et?. Se negli anziani diabetici fosse possibile controllare adeguatamente il colesterolo HDL, si potrebbe riuscire a ridurre malattie cerebrovascolari e cardiopatia ischemica sino ai livelli osservati nei soggetti di mezza et?. Probabilmente comunque l’approfondimento degli studi in questa direzione porter? alla raccolta di dati molto importanti in questo campo. (Diabetes Care 2009; 32: 1221-3)

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Bifosfonati e fibrillazione atriale: dati contrastanti

La segnalazione che l?Acido Zoledronico ( Aclasta ), impiegato nelle donne in menopausa con osteoporosi, possa aumentare il rischio di fibrillazione e flutter atriale ha spinto ad approfondire la possibile relazione, allargando l?obiettivo a tutti i bifosfonati.
Sono stati pubblicati due lavori al riguardo che giungono per? a conclusioni contrastanti. Uno studio ? stato condotto in Danimarca, ed un altro negli Stati Uniti.

Nella ricerca danese ? stato usato il database nazionale da cui sono state estratte 13.586 donne che avevano presentato fibrillazione atriale o flutter atriale ( casi ) e 68.054 controlli, per valutare in modo retrospettivo l?uso dei bifosfonati nei due gruppi.
Nello studio statunitense ? stato usato il database di un?assicurazione sulla salute, confrontando 719 donne con fibrillazione atriale e 966 controlli rispetto all?uso del solo Alendronato ( Fosamax ).

Nella ricerca europea l?Etidronato ( Etidron ) e Alendronato erano stati usati con uguale frequenza tra casi e controlli ( 3,2% dei casi e 2,9% dei controlli ), con un rischio relativo di fibrillazione atriale per chi aveva usato i bifosfonati di 0,95.

Nella ricerca americana l?uso dell?Alendronato era invece pi? frequente nei casi con fibrillazione atriale ( 6,5% rispetto al 4,1% dei controlli, p=0,03 ): chi aveva usato l?Alendronato aveva un rischio aumentato ( odds ratio 1,86 ) rispetto ai non utilizzatori.

I dati riguardanti l?associazione tra bifosfonati e disturbi del ritmo cardiaco sono contrastanti e richiedono ulteriori studi prospettici disegnati ad hoc per conferme o smentite. Nell?attesa l?uso dei bifosfonati nei cardiopatici o nei soggetti con alto rischio cardiovascolare andrebbe limitato il pi? possibile.

Sorensen H, Christensen S, et al, Use of bisphosphonates among women and risk of atrial fibrillation and flutter: population based case-control study. Brit Med J 2008; 336:813-816

Heckbert S, Li G, et al, Use of alendronate and risk of incident atrial fibrillation in women. Arch Intern Med 2008; 168: 826-831

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