Testosterone e fibrillazione nell’uomo

La riduzione dei livelli di testosterone nell’uomo pu? aumentare il rischio di episodi isolati di fibrillazione atriale. Dato che questa aritmia ? associata a significativi livelli di morbidit? e mortalit?, potrebbe essere importante distinguere i soggetti maggiormente suscettibili tramite marcatori quali proteina C-reattiva, peptide natriuretico cerebrale, endotelina-1 e forse anche il testosterone. Non ? comunque ancora possibile dire se il testosterone sia realmente in grado di predire gli episodi di fibrillazione atriale a causa delle ridotte dimensioni del campione considerato, che potrebbero anche aver portato ad un dato occasionale: a tale scopo sarebbe ideale uno studio prospettico appositamente progettato.

Clin Cardiol 2009; 32: 43-

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Nuova procedura salva il rene

L’emodialisi estesa con un dializzatore a soglia elevata (HCO-HD) migliora gli esiti nei pazienti con mieloma multiplo e insufficienza renale dialisi-dipendente. Nonostante le ridotte dimensioni dello studio, ? stato dimostrato che una combinazione di chemioterapia e HCO-HD migliora la funzionalit? renale e la sopravvivenza complessiva in questa popolazione. Era stato precedentemente dimostrato che solo il 25% di questi pazienti ? in grado di sospendere la dialisi con il tempo, ma con questa nuova procedura ci? accade nel 74% dei casi, e i pazienti in cui si ripristina la funzione renale presentano una sopravvivenza significativamente migliorata, il che risulta eclatante a fronte della pessima prognosi storicamente attribuita a questi pazienti. ? plausibile che i pazienti che recuperano la funzionalit? renale vadano anche incontro a un miglioramento della qualit? della vita, specialmente a fronte della liberazione dalla dialisi. L’emodialisi estesa con HCO-HD ? in grado di rimuovere grandi quantit? di FLC, che sono sottoprodotti della sintesi delle immunoglobuline: in situazioni fisiologiche, esse vengono rapidamente rimosse dalla circolazione tramite la clearance renale, ma la proliferazione clonale di cellule plasmatiche pu? determinare una concentrazione sierica di FLC monoclonali diverse migliaia di volte pi? elevata del normale nei pazienti con mieloma multiplo. Questa complicazione ? responsabile del 70% circa delle insufficienze renali dialisi-dipendenti in questa popolazione.
Clin J Am Soc Nephrol 2009; 4: 745-54

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Test predice metastasi al seno

Un nuovo marcatore per i tumori mammari potrebbe portare al primo test in grado di prevedere la probabilit? di metastasi di questi tumori dal sangue circolante. Il marcatore, noto come microambiente tumorale di metastasi (TMEM), risulta doppiamente denso nelle pazienti che sviluppano metastasi rispetto a quanto riscontrato in quelle le cui lesioni rimangono localizzate. L’uso di questo marcatore potrebbe migliorare le attuali pratiche di previsione delle metastasi da tumore mammario: esse tradizionalmente si basano su dimensioni e differenziamento del tumore e diffusione linfatica. Bench? si tratti di parametri utili, la densit? del TMEM riflette direttamente il meccanismo di metastasi tramite il flusso ematico, e pertanto potrebbe rivelarsi pi? specifica e direttamente rilevante. Si tratta di un marcatore immunoistochimico che analizza le cellule tumorali invasive, i leucociti perivascolari e le cellule endoteliali dei vasi sanguigni. Se la sua utilit? clinica venisse confermata, sarebbe possibile stratificare le pazienti per il trattamento risparmiando costi e tossicit?, considerando anche che il 40% delle pazienti va incontro a recidive o metastasi.
Clin Cancer Res online 2009, pubblicato il 24/3

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Curare i sani: antipertensivi per tutti

Dopo le statine per coloro che hanno livelli di colesterolo entro i limiti, ecco gli antipertensivi per chi ha la pressione normale. La controversa idea di usare i farmaci come strumento di prevenzione primaria ha fatto in questi giorni un grosso balzo in avanti, con la pubblicazione sulle pagine del British Medical Journal di una metanalisi condotta da Malcolm Law e dai suoi colleghi dell?Wolfson Institute of Preventive Medicine a Barts e della London School of Medicine. Gli studiosi, dopo aver esaminato quasi 150 trial condotti tra il 1966 e il 2007, per un totale di 464.000 persone, sono giunti alla conclusione che ridurre la pressione comunque paga in termini di rischio cardiovascolare, non solo indipendentemente dal farmaco usato, come gi? si sapeva, ma anche dalla presenza di una preesistente patologia cardiovascolare e dai livelli pressori di partenza.
?Utilizzare uno qualunque degli antipertensivi delle principali classi in commercio alle dosi standard riduce il rischio di attacchi cardiaci fatali e non fatali di circa un quarto e di ictus di circa un terzo? spiega Law. ?Anche la probabilit? di andare incontro a scompenso cardiaco si riduce di circa un quarto?.
Se in generale non si sono registrate differenze tra le diverse classi di farmaci, purch? abbassassero la pressione, sono emersi per? casi particolari in cui a determinati prodotti si associava un vantaggio supplementare: ? il caso dei beta bloccanti, per coloro che gi? hanno mostrato i segni di una cardiopatia ischemica, e dei calcio antagonisti, leggermente pi? efficaci nella prevenzione dell?ictus e meno in quella dello scompenso.
?Per quanto riguarda i beta bloccanti? precisa l?esperto britannico, ?il vantaggio addizionale ? limitato agli anni immediatamente successivi a un infarto, in cui questi farmaci riducono il rischio di oltre il 30 per cento contro il 13 per cento di calo ottenuto nei cardiopatici senza un infarto recente?.
Escludendo questi pazienti particolari, i ricercatori hanno calcolato che per ogni 10 mmHg di sistolica e ogni 5 mmHg di diastolica in meno, il rischio di eventi ischemici a livello cardiaco scende del 22 per cento e quello di ictus addirittura di pi? del 40 per cento. ?Questo almeno fino a 110 di massima e 70 di minima? puntualizza Law, che aggiunge: ?Se poi si utilizzano tre farmaci diversi in combinazione, a met? della dose prevista per ognuno, il vantaggio pu? aumentare ancora, con una riduzione del rischio di cardiopatia ischemica del 46 per cento e di ictus del 62 per cento?.
?Questa conclusione per? ? stata dedotta sommando gli effetti dei diversi farmaci? obiettano in un editoriale di accompagnamento Richard J McManus e Jonathan Mant, rispettivamente dell?Universit? di Birmingham e di Cambridge. ?Non esistono trial che dimostrino la superiorit? di questa associazione n? che confermino la supposizione che in questo modo si riducano gli effetti collaterali dei prodotti utilizzati?.
Ma gli autori sono convinti che i loro risultati siano pi? che sufficienti per consigliare a tutti, oltre i 55-60 anni, indipendentemente dalle loro condizioni di forma o di salute, di prendere comunque una, o meglio tre, pillole per la pressione, senza neppure misurarla prima.

Fonte: Brit Med J 2009; 338: b1665

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Mutazione BRCA: mammografia a 35 anni

Attualmente si raccomanda che le donne con mutazioni BRCA, che sono ad alto rischio di tumore mammario, inizino a sottoporsi a screening annuale all’et? di 25 anni, ma in base ad una recente analisi del rischio tale pratica probabilmente non andrebbe iniziata prima dei 35 anni. In base a tale analisi, per queste pazienti fra i 25 ed i 34 anni il rischio di sviluppare tumore mammario dall’esposizione cumulativa a radiazioni surclassa o neutralizza il beneficio sulla mortalit? portato dallo screening precoce. L’esposizione alle radiazioni ionizzanti derivanti dalle radiografie diagnostiche ripetute ? una causa accertata di tumore mammario, e ci? nonostante la sicurezza e l’efficacia dello screening mammografico prima dei 40 anni nelle portatrici di mutazioni BRCA non sono mai state dimostrate direttamente.
J Natl Cancer Inst 2009; 101: 205-9

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Rischi ortopedici dei diuretici in menopausa

L’uso prolungato di diuretici dell’ansa ? collegato ad un aumento del rischio di fratture nelle donne in et? postmenopausale. La correlazione fra diuretici dell’ansa, BMD, cadute e fratture dopo la menopausa non era stata finora ben delineata. A seguito di varie approssimazioni per fattori interferenti, non sono state invece riscontrate associazioni significative fra l’aver mai fatto uso di diuretici dell’ansa e variazioni della BMD, cadute o fratture. Questi diuretici vengono usati da donne il cui stato di salute ? gi? precario e che sono gi? a rischio di fratture, ma comunque rimane la correlazione fra uso di diuretici dell’ansa e maggior rischio di fratture dopo la menopausa.
Arch Intern Med 2009; 169: 132-40

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Quanti linfonodi sentinella sono necessari per predire lo stato linfonodale dura

23 Ago 2009 Oncologia

Non ? ancora chiaro quanti linfonodi sentinella debbano essere rimossi per predire in modo accurato lo stato dei linfonodi durante la dissezione dei linfonodi sentinella nel tumore al seno.

Ricercatori dell?University of Texas MD Anderson Cancer Center, a Houston negli Stati Uniti, hanno condotto uno studio per determinare quanti linfonodi sentinella sia necessario rimuovere per un?accurata stadiazione dei linfonodi e quali caratteristiche del paziente e del tumore influenzano questo numero.

Sono stati rivisti i dati di tutti i pazienti in un database prospettico contenente informazioni su casi di tumore mammario con TNM ( tumore, linfonodi, metastasi ) da T1 a T3, N0, M0 sottoposti a mappaggio dei linfonodi tra il 1994 e il 2006.

Sono stati osservati 777 pazienti con almeno 1 linfonodo sentinella positivo per cancro.

Il numero medio di linfonodi sentinella rimossi nei 777 pazienti linfonodo positivi ? stato 2.9 ( range: 1-13 ).

Oltre il 99% dei linfonodi sentinella positivi sono stati identificati nei primi 5 linfonodi rimossi.

All?analisi unvariata l?istotipo del tumore, la razza del paziente, la localizzazione del tumore e la dimensione del tumore hanno influenzato in maniera significativa il numero di linfonodi sentinella da rimuovere per identificare il 99% dei linfonodi positivi.

All?analisi multivariata questo numero ? risultato aumentato in modo significativo in caso di istotipo misto duttale e lobulare, razza caucasica, localizzazione del tumore nel quadrante pi? interno e classificazione del tumore come T1.

In generale, la rimozione durante l?intervento chirurgico di un massimo di 5 linfonodi sentinella ha permesso l?identificazione di oltre il 99% dei linfonodi positivi nei pazienti con tumore alla mammella.
Dallo studio ? emerso inoltre che l?istologia e la localizzazione del tumore e la razza del paziente potrebbero influenzare questo numero.

Yi M et al, Cancer 2008; 113: 30-37

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Vertigini posizionali: maggior rischio in chi soffre di osteoporosi

Una ridotta densit? minerale ossea triplica il rischio di andare incontro a vertigine posizionale benigna, un disturbo caratterizzato da capogiri e che si scatena in seguito a movimenti della testa, del collo o dell’intero tronco. A rivelarlo ? uno studio pubblicato sulla rivista Neurology.
La sensazione di giramento di testa improvviso caratteristico della vertigine parossistica posizionale benigna ? dovuta al distacco di microscopici cristalli di ossalato di calcio presenti nell’orecchio interno. ?La causa del loro distacco ? ancora poco chiara, tuttavia si sospetta un ruolo della capacit? di assorbimento del calcio da parte dell’organismo?, sostengono i ricercatori della Seoul National University che, nel loro studio, hanno analizzato la densit? minerale ossea in un campione di 209 pazienti con una diagnosi di vertigine parossistica posizionale benigna e in 202 pazienti di controllo. I loro risultati hanno mostrato che una ridotta densit? minerale ossea ? significativamente associata a una maggior incidenza di vertigine parossistica posizionale benigna sia negli uomini, sia nelle donne. La presenza della vertigine ? inoltre maggiormente accentuata negli individui affetti da osteoporosi rispetto a coloro che soffrono di osteopenia.
?Studi compiuti in passato hanno inoltre messo in evidenza una maggior incidenza di vertigini posizionali nelle donne intorno ai cinquant’anni di et??, sostiene Ji Soo Kim, del Bundang Hospital di Seul e responsabile dello studio, ?un risultato che sarebbe da ricondurre alla ridotta produzione di estrogeni nelle donne durante la menopausa, che a sua volta porta ad alterazioni a livello del metabolismo del calcio?.
Fonte: Jeong S-H et al. Osteopenia and osteoporosis in idiopathic benign positional vertigo. Neurology 2009; 72:1069-76.

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Aterosclerosi: rallentarne la progressione ? possibile

Mantenere i livelli di colesterolo LDL nella norma e una pressione sistolica ottimale ? utile a rallentare significativamente la progressione dell’aterosclerosi coronarica. Lo rivela un ampio studio pubblicato sulla rivista Journal of the American College of Cardiology.
Sommando i risultati ottenuti da sette trial clinici (comprendenti gli studi REVERSAL, CAMELOT, ILLUSTRATE, ASTEROID, ACTIVATE, PERISCOPE e STRADIVARIUS), un team di ricercatori statunitensi della Cleveland Clinic, in Ohio, ha analizzato la progressione della malattia aterosclerotica in un campione totale di 3437 pazienti con diagnosi di aterosclerosi. Il 70,6 per cento del campione era rappresentato da uomini e i disturbi pi? frequenti erano ipertensione (79,2 per cento), iperlipidemia (75,4 per cento) e diabete (31,3 per cento). I risultati hanno mostrato che il mantenimento dei livelli di colesterolo al di sotto dei 70 mg/dl unitamente a una pressione sistolica uguale o inferiore a 120 mmHg era associato a un significativo rallentamento nella progressione della malattia aterosclerotica, valutata attraverso la misurazione del volume dell’ateroma mediante ultrasonografia endovascolare.
Una pressione sistolica al di sopra dei 120 mmHg unita a livelli ottimali di colesterolo LDL era associata anch’essa a un rallentamento nella progressione della malattia aterosclerotica nei pazienti, anche se in misura minore. Una pressione sistolica ottimale unita a livelli elevati di colesterolo LDL elevati non sembrava invece avere effetti sulla progressione del disturbo.
?I nostri risultati suggeriscono dunque che i livelli di colesterolo LDL nel sangue hanno un maggior impatto sulla progressione delle placche aterosclerotiche rispetto alla pressione sistolica?, ha dichiarato Adnan Chhatriwalla, responsabile dello studio.

Fonte: Chhatriwalla A et al. Low levels of low-density lipoprotein cholesterol and blood pressure and progression of coronary atherosclerosis. J Am Coll Cardiol 2009; 53:1110-5.

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Prostatite cronica – sindrome del dolore pelvico cronico: l?Alfuzosina non riduc

Negli uomini con prostatite cronica – sindrome da dolore pelvico cronico, il trattamento con bloccanti i recettori alfa-adrenergici nelle prime fasi del disturbo si ? dimostrato efficace in alcuni, ma non in tutti, studi clinici randomizzati relativamente piccoli.

E? stato condotto uno studio clinico multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, per valutare l?efficacia della Alfuzosina ( Xatral ), un antagonista dei recettori alfa-adrenergici, nel ridurre i sintomi negli uomini con prostatite cronica – sindrome da dolore pelvico cronico.
Per partecipare allo studio i pazienti dovevano avere una diagnosi del disturbo formulata entro i due anni precedenti e non dovevano essersi sottoposti a precedenti trattamenti con i bloccanti i recettori alfa-adrenergici.

I partecipanti sono stati assegnati in maniera casuale a ricevere per 12 settimane un trattamento con 10 mg di Alfuzosina al giorno, oppure placebo.

L?esito primario era rappresentato da una riduzione di almeno 4 punti ( dal basale alla 12.a settimana ) nel punteggio della scala National Institutes of Health Chronic Prostatitis Symptom Index ( NIH-CPSI ), un indice con intervalli da 0 a 43 dove i punteggi pi? alti indicano una maggiore gravit? dei sintomi. Una diminuzione di 4 punti rappresenta la differenza minima clinicamente significativa nel punteggio.

Un totale di 272 uomini sono stati sottoposti a randomizzazione; in entrambi i gruppi, il 49,3% dei partecipanti ha mostrato una diminuzione di almeno 4 punti nel punteggio NIH-CPSI.

Inoltre la valutazione della risposta globale ha mostrato tassi di risposta simili dopo 12 settimane: 33.6% nel gruppo placebo e 34.8% nel gruppo Alfuzosina ( P=0.90 ).

Anche i tassi di eventi avversi sono risultati simili nei due gruppi.

In conclusione, i risultati dello studio non sono a favore dell?utilizzo di Alfuzosina per la riduzione dei sintomi della prostatite cronica – sindrome da dolore pelvico cronico negli uomini che non hanno ricevuto un precedente trattamento con un alfa-bloccante.

Curtis Nickel J et al, N Engl J Med 2008; 359:2663-2673

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