Insufficienza cardiaca: possibile nuova patogenesi

20 Lug 2009 Cardiologia

E’ stata suggerita una nuova possibile via nello sviluppo dell’insufficienza cardiaca, osservando che nei soggetti che la sviluppano sono presenti elevati livelli della proteina nota come resistina. Tale proteina, prodotta dal tessuto adiposo, risulta fortemente associata alla comparsa di nuovi casi di insufficienza cardiaca, tramite un meccanismo ancora tutto da esplorare. Essa dunque pu? essere considerata un nuovo marcatore di rischio di insufficienza cardiaca, anche se non ? stato ancora possibile stabilire se il suo ruolo sia causale o meno. Obesit? ed insulinoresistenza sono connesse a maggiori tassi di insufficienza cardiaca, tramite meccanismi non ancora ben compresi. Nei soggetti obesi, inoltre, il tessuto adiposo ? infiltrato di macrofagi infiammatori in misura molto maggiore rispetto a quelli di peso normale, e questi macrofagi secernono resistina. Il ruolo predittivo di questa proteina rimane indipendente anche tenendo conto dei livelli di CRP, il che ? rilevante in quanto si tratta di due marcatori di infiammazione: ci? suggerisce che la resistina possa avere sul cuore effetti indipendenti dall’infiammazione. Probabilmente ? presto per pensare a farmaci anti-resistina, ma se il suo ruolo verr? confermato, la ricerca in questo senso potrebbe portare anche allo sviluppo di nuove strategie preventive per l’insufficienza cardiaca. Vi ? ancora molto da imparare sulla complessa interrelazione fra disglicemia, obesit? ed insulinoresistenza, ma il loro impatto sul sistema cardiovascolare sta divenendo sempre pi? chiaro, e l’infiammazione sta emergendo come possibile meccanismo unificante. Le ricerche interdisciplinari in corso auspicabilmente porteranno ad una migliore comprensione di questi fattori di rischio emergenti e dei potenziali target terapeutici che consentiranno di osservare il quadro completo in luogo di frammenti separati. (J Am Coll Cardiol 2009; 53: 754-62 e 763-4 )

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Fratture vertebrali: utile la cifoplastica

19 Lug 2009 Ortopedia

La cifoplastica a palloncino pu? essere effettuata con una bassa morbidit? perioperatoria e pu? condurre a miglioramenti clinici. Questa procedura ? sicura ed efficace per i pazienti con fratture vertebrali, il che potrebbe portare alla sua scelta come opzione terapeutica precoce in questo ambito. I benefici che ne derivano non sono per? persistenti: nell’arco di 12 mesi le differenze fra i pazienti operati e quelli non operati si assottigliano, probabilmente per via della guarigione naturale delle fratture. Le procedure come cifoplastica e vertebroplastica sono in uso da pi? di 10 anni, ma si tratta della prima volta che i loro benefici vengono confermato da uno studio randomizzato di grandi dimensioni. (Lancet online 2009, pubblicato il 25/2)

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Appendicite acuta: RM utile in gravidanza

La RM aiuta nella diagnosi di appendicite acuta nelle donne gravide, e potrebbe essere in grado di ovviar alla necessit? di una TAC e della conseguente esposizione indesiderata a radiazioni in questa fase delicata. La RM ha il potenziale di ridurre il tasso di laparotomie negative mantenendo un tasso di perforazione accettabile. Attualmente, l’ecografia ? l’esame di scelta per esaminare le donne con dolore addominale, e la TAC ? riservata ai casi in cui l’ecografia si dimostra inconcludente. Il miglioramento della visualizzazione dell’appendice normale con la RM ? un fattore importante che contribuisce al processo decisionale clinico. (Radiology. 2009; 250: 749-57)

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Nefropatie infantili: prevalente deficit vitamina D

17 Lug 2009 Pediatria

Vi ? un’elevata e sempre crescente prevalenza di deficit di vitamina D nei bambini con nefropatie croniche, il che aggrava il loro gi? elevato rischio di problemi di sviluppo delle ossa. Il deficit di vitamina D nei bambini infatti influenza negativamente lo sviluppo osseo riducendone la mineralizzazione, il che si aggiunge all’osteodistrofia renale in presenza di nefropatie croniche. Le linee guide attualmente in vigore suggeriscono di controllare i livelli di 25(OH)D se quelli di PTH sierico sono al di sopra dei valori ottimali dal secondo stadio della nefropatia cronica in avanti, ma l’entit? del deficit di vitamina D in questi bambini non era finora mai stata valutata. I deficit di solito sono pi? gravi nei bambini ispanici, il che convalida la nozione secondo cui l’aumento del contenuto cutaneo in melanina diminuisce la produzione di vitamina D nella pelle: si tratta di un problema che riguarda bambini ed adolescenti, specialmente se di pelle scura, ma potrebbe anche essere un’ulteriore minaccia per la salute dell’osso in presenza di nefropatie croniche ed alterazioni del metabolismo della vitamina D, La tendenza all’incremento della prevalenza di questi deficit potrebbe essere un dato falso derivante dall’aumento delle richieste di esami da parte dei medici in cui ? aumentato il livello di sospetto, oppure potrebbe essere frutto della variazione dell’esposizione al sole nel tempo. (Pediatrics. 2009; 123: 791-6)

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Diagnosi di endocardite con TC Multislice

Anche se l’accuratezza diagnostica dell’Ecocardiogramma Trans Esofageo (TEE) nella specificazione diagnostica delle alterazioni valvolari e miocardiche secondarie ai processi endocarditici ? pi? che soddisfacente, ai Clinici viene ora proposta una nuova metodica diagnostica basata sull’utilizzo della TC Multislice. Sul numero di Febbraio del J Am Coll Cardiol ? apparso un contributo dei radiologi che dimostra la possibilit? dell’utilizzo della 64-slice CT nella definizione diagnostica della Endocardite. La performance della metodica ? eccellente: sensibilit? pari al 97%, specificit? dell’88%, con Valore Predittivo Positivo del 97% e Negativo dell’88%, in grado cio? di identificare in 26/27 casi le vegetazioni valvolari e in 9/9 casi gli ascessi o pseudoaneurismi poi verificati al tavolo operatorio. Nessuna differenza quindi con l’accuratezza della TEE. Minore invasivit? sicuramente, ma problemi radioprotezionistici aggiuntivi. Metodica quindi da utilizzarsi non come semplice alternativa alla diagnostica tradizionale, ma solo dopo valutazione collegiale fra internisti, cardiologi e cardiochirurghi per ottenere il miglior planning preoperatorio per il singolo paziente. (J Am Coll Cardiol. 2009 Feb 3;53(5):436-44)

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Obesit?, ancora molto da scoprire

Il Working Group on Obesity of the European Society of Hypertension, fondato a Madrid nel 2006 per studiare in modo interdisciplinare le innumerevoli problematiche dell’obesit? nei suoi aspetti fisopatologici, clinici e terapeutici, in due anni ha gi? prodotto dati importanti, per esempio sulle vie nervose del Sistema Nervoso Centrale che mediano l’ipertensione nell’obeso e nel non obeso e sulla chirurgia bariatrica; ha inoltre iniziato trial importanti, quale quello sulla sibutramina (SCOUT) ed altri. Nell’ultimo numero del J. Hypertension ? stata pubblicata la sintesi del workshop tenuto nel recente congresso ESH/ISH di Berlino, dove si ? affrontato il ruolo dell’obesit? nel danno d’organo dell’iperteso. I problemi emersi sono numerosissimi: nel danno renale, nell’ipertrofia cardiaca, nel danno vascolare; se pur ? incontrovertibile la responsabilit? della micidiale associazione obesit?, s. metabolica, ipertensione, il problema si dimostra molto complesso, considerato che il danno d’organo si pu? sviluppare anche nel paziente obeso non iperteso n? diabetico. Sicuramente intervengono disturbi neurormonali, meccanismi infiammatori, alterata riparazione vascolare, lipotossicit?, stress ossidativo: ma sono campi tutti da approfondire con ulteriori studi. Si rimanda alla lettura dell’articolo per apprezzare la complessit? dell’argomento e le prospettive future della ricerca, tenendo presente che trattare l’obesit? in tutti i suoi aspetti riduce il danno d’organo in prevenzione sia primaria sia secondaria. (Journal of Hypertension 2009, 27:207-11)

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Controllo delle recidive di FA nel paziente compensato

Nel 2007 un ampio studio randomizzato e controllato aveva dimostrato l’efficacia del Dronedarone nel controllo a distanza del ritmo sinusale dopo un episodio di fibrillazione atriale (FA) (Singh BN et al. N Engl J Med 2007;357:987-999). Tuttavia, l’anno successivo un altro contributo aveva messo in guardia i clinici, dimostrando che il farmaco, pur efficace nel prevenire la comparsa di FA, se utilizzato in pazienti in fase avanzata di scompenso cardiaco poteva determinare un eccesso di mortalit? (K?ber L et al. N Engl J Med 2008;358:2678-2687). Ora, le conclusioni di ATHENA (uno Studio coinvolgente pi? di 500 Centri per un totale di oltre 4.600 pazienti con FA parossistica o persistente o con Flutter – che tuttavia non manifestavano segni di scompenso ma erano portatori di importanti fattori di rischio CV – e che ha valutato se l’utilizzo del farmaco fosse successivamente gravato da un eccesso di eventi cardio-vascolari) sono state le seguenti:

– dopo un periodo di follow-up medio di 21 +/- 5 mesi, l’outcome primario (ospedalizzazione per eventi CV o la morte) si ? verificato nel 39,4% dei pazienti che assumevano placebo vs il 31,9% che ricevevano il farmaco con un HR a favore di questo di 0,76 (p.<0.001).
– c’? stata una riduzione seppur non significativa delle morti per tutte le cause (outcome secondario) nei pazienti trattati (5 vs 6% del placebo )
– le morti “aritmiche” sono state significativamente inferiori nel gruppo dei trattati vs quello placebo (1,1 vs 2,1%, p.0.01)
– il Dronedarone ha ridotto significativamente l’ospedalizzazione per eventi CV(29,3% vs 36,9%, p < 0.001) e questo per riduzione degli accessi per FA, mentre non erano diversi fra i due gruppi i ricoveri per scompenso o per sindromi coronariche
– considerando accorpati gli episodi di ricovero per patologie CV e la morte per cause CV, il farmaco ? risultato significativamente pi? efficace rispetto al placebo nel ridurli (54,5 vs 71,7%, p. < 0.001)
– bradicardia con allungamento del QT, diarrea, nausea, rash cutanei e peggioramento della funzione renale sono stati gli effetti collaterali maggiori del farmaco
– non c’? stata differenza di alterazioni della funzione tiroidea o di insorgenza di patologie polmonari fra Donedarone e placebo. Questo “nuovo” farmaco antiaritmico, della stessa classe dell’Amiodarone ma migliorato per ottenere minori effetti collaterali tiroidei e polmonari, pu? quindi essere ragionevolmente introdotto nel bagaglio terapeutico dei clinici che affrontano il problema della prevenzione delle recidive della FA. Il suo utilizzo deve per? essere limitato ai pazienti che non manifestano segni o sintomi di Scompenso Cardiaco. (NEJM,2009,7,360:668-678)

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Troppe “lastre” per il dolore lombare

La richiesta routinaria di esami radiografici, dalla semplice radiografia tradizionale alla TAC, fino alla Risonanza Magnetica Nucleare, ? ancora molto diffusa nei pazienti con dolore lombare (Fullen BM, et al. Eur J Pain 2007; 11: 614-23) anche quando non vi sono elementi clinici che facciano sospettare una sottostante patologia importante; ci? avviene in contrasto con quanto raccomandato, proprio per queste situazioni, dalle linee guida sia europee [van Tulder M, et al. Eur Spine J 2006; 15 (suppl 2): S169-191] che americane (Ann Intern Med 2007; 147: 478-491). Una recentissima metanalisi promossa dall’American Pain Society (Chou R, et al. Lancet 2009; 373: 463-472) d? ragione, semmai ve ne fosse bisogno, alle linee guida. Sono stati presi in considerazione 6 trial randomizzati e controllati, per complessivi 1.804 pazienti che presentavano dolore lombare senza peraltro storia clinica o segni o sintomi che facessero sospettare seri problemi. In corso di dolore acuto o subacuto, il ricorso all’imaging rispetto al trattamento “usual care” non ha comportato alcun beneficio aggiuntivo per i pazienti, n? nel breve n? nel lungo periodo, in termini di miglioramento/cessazione del dolore, recupero funzionale, qualit? di vita, benessere mentale e soddisfazione personale. Va da s? quindi che una valutazione clinica approfondita, con accurata anamnesi ed esame obiettivo meticoloso, dovrebbe sempre precedere il ricorso agli esami radiologici, a maggior ragione per quelle patologie benigne come il “mal di schiena”, evitando di esporre i pazienti ad inutili radiazioni e nel contempo non facendo spreco delle limitate risorse. Ma ? altrettanto vero che spesso sono gli stessi pazienti che “spingono” il medico alla richiesta degli esami, per cui un’adeguata informazione ed educazione potrebbe contribuire al minor ricorso ad esami inutili, cos? come sottolineato nell’editoriale di commento dell’articolo (Kochen MM. Lancet 2009; 373: 436-437).

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Come impiegare gli antiaggreganti nel preoperatorio

E’ del tutto recente la pubblicazione su Archives of Surgery (2009, 144(1):69-76 ) di una esauriente review sul management dei pazienti antiaggregati che devono sottoporsi ad interventi chirurgici. Dopo un’introduzione sul meccanismo d’azione dei farmaci antiaggreganti, gli AA. sulla scorta di una approfondita ricerca effettuata su PubMed, EMBASE ed i data-base della Cochrane (utilizzando i termini: antiplatelet agents in the perioperative period, antiplatelet agents and management of bleeding, drug-eluting stents and stent thrombosis, substitutes for antiplatelet agents e premature withdrawal of antiplatelet agents), sulla base dei dati che dimostrano un rischio del 10% di eventi vascolari correlato alla sospensione della antiaggregazione, giungono alle seguenti conclusioni operative:
– anche se molti chirurghi impongono 10 gg di sospensione dell’ASA prima dell’intervento, l’acido acetilsalicilico non deve essere sospeso a meno che il rischio di sanguinamento non superi quello trombotico (riproponendo quindi l’annosa questione della stratificazione del rischio)
– il Clopidogrel pu? essere sospeso 5 gg prima dell’intervento chirurgico; nei pazienti che hanno recentemente ricevuto una stent coronarico “medicato” e che sono in “doppia antiaggregazione”, si consiglia di proseguire con la sola ASA
– per ripristinare una normale emostasi, gli inibitori della Glicoproteina II A, IIIB devono essere sospesi 12 ore prima della chirurgia. Nell’articolo si segnala anche che non esistono Linee Guida sul comportamento da tenere in caso di sanguinamenti postchirurgici correlati alla prosecuzione della terapia antiaggregante. Trasfusioni di piastrine, utilizzo del Fattore VII ricombinante e dell’Aprotinina sono comunque le opzioni possibili. (Arch Surg. 2009;144(1):69-76

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Steatosi, insulinoresistenza e differenze etniche

Sono state riscontrate differenze etniche in campo di steatosi epatica non alcolica ed insulinoresistenza. La steatosi epatica non alcolica ? costituita da uno spettro di patologie definite dall’accumulo anomalo di trigliceridi nel fegato, ed era gi? stato precedentemente dimostrato che i soggetti ispanici ne sono meno a rischio rispetto agli afroamericani, nonostante il fatto che in questi due gruppi etnici la prevalenza dei fattori di rischio sia simile. Il grasso intraperitoneale ? connesso al contenuto epatico in trigliceridi, a prescindere dall’etnia: la diversa prevalenza della steatosi epatica fra i vari gruppi ? associata a differenze simili nell’adiposit? viscerale. La risposta metabolica all’obesit? ed all’insulinoresistenza negli afroamericani differisce da quella negli ispanici e nei caucasici: gli afroamericani risultano pi? resistenti sia all’accumulo di trigliceridi nel compartimento viscerale addominale che all’ipertrigliceridemia associata all’insulinoresistenza. Molti degli sconvolgimenti nel metabolismo lipidico tipicamente associati all’insulinoresistenza non sono presenti negli afroamericani: una possibile spiegazione potrebbe consistere nel fatto che il fenotipo insulinoresistente sia una funzione dell’organo che contribuisce primariamente alla riduzione della sensibilit? all’insulina, oppure una funzione dell’abilit? di espandere il tessuto adiposo sottocutaneo in risposta alla sovranutrizione. Sono necessari comunque ulteriori studi per stabilire quali siano le basi del paradosso dell’insulinoresistenza. (Hepatology. 2009; 49: 791-801)

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