E’ stata dimostrata la presenza di una significativa associazione fra il morbo di Crohn e la cascata IL-12/IL-23, che implica pi? di 20 geni. Molti geni associati alla suscettibilit? alla malattia sono contenuti in questo novero, ma non dimostrano una significativit? a livello genomico nei singoli studi associativi. Il vantaggio di identificare ampi pool genici di questo genere risiede nelle applicazioni pratiche: non sempre i geni pi? strettamente associati alle malattie costituiscono dei buoni target terapeutici, ma a volte altri geni meno strettamente associati sono pi? adatti, e non vengono individuati negli studi genomici. Quanto riscontrato ha significative implicazioni per la biologia del morbo di Crohn, e potrebbe ampliarne le opzioni terapeutiche. (Am J Hum Genet online 2009, pubblicato il 26/2)
L’infusione endovenosa di un’emulsione di acidi grassi provoca un significativo aumento di pressione ed altri effetti collaterali negli afroamericani obesi con diabete di tipo 2. L’incremento degli acidi grassi liberi ? stato indicato come importante meccanismo nella patogenesi di ipertensione, insulinoresistenza ed intolleranza ai carboidrati: quanto rilevato conferma questa ipotesi, e dimostra che il livello di acidi grassi liberi ? associato a pressione, risposta infiammatoria e disfunzioni endoteliali. E’ attualmente in studio l’effetto dell’infusione di emulsioni di acidi grassi poliinsaturi e monoinsaturi in soggetti sani ed in pazienti sotto nutrizione parenterale. (J Clin Endocrinol Metab 2009; 94: 609-14)
Le cosiddette varianti alleliche F ed S del componente C3 del complemento non influenzano la sopravvivenza del paziente o del trapianto a seguito di un trapianto di rene. Queste due varianti si distinguono per la loro differente motilit? nel gel da elettroforesi: in precedenza era stato suggerito che gli esiti a lungo termine del trapianto sarebbero migliori se un gene con la variante F venisse trapiantato in un paziente omozigote S, e se ci? fosse stato confermato sarebbe valsa la pena di effettuare la genotipizzazione di routine del C3. Purtroppo, quanto rilevato pone in dubbio il ruolo del polimorfismo del C3 come fattore predittivo della compatibilit? fra organi donati e riceventi per il trapianto di rene. (N Engl J Med 2009; 360: 874-80)
Le donne con un’anamnesi di pre-eclampsia o di parto di bambini piccoli per l’et? gestazionale presentano un andamento di accumulo del grasso che ? associato ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Questo rischio potrebbe essere parzialmente dovuto all’accumulo di grasso nella regione addominale al di sopra dell’anca, anche nelle donne con un BMI nei limiti normali. In presenza delle complicazioni di cui sopra, queste pazienti dovrebbero essere avvertite del proprio rischio di malattie cardiovascolari e diabete, ed essere sottoposte a controlli ad intervalli regolari (ad esempio di cinque anni) che includano valutazioni di pressione e glicemia. Attualmente si stanno studiando le eventuali alterazioni endocrine associate all’obesit? addominale in queste donne, alterazioni che potrebbero essere alla base dell’associazione. (BJOG 2009; 116: 442-51)
L?aspirino-resistenza? Difficile da diagnosticare e ancora impossibile da trattare. ? la sconfortante conclusione di uno studio apparso sull?International Journal of Cardiology.
L?aspirino-resistenza ? definita come l?inabilit? del farmaco di inibire la produzione di trombossano A2 COX-1 dipendente e conseguentemente la funzione piastrinica TX-A2 dipendente. Una quantit? sempre crescente di studi clinici dimostra che esiste una variabilit? inter-individuale nella risposta alla terapia antiaggregante con aspirina. Questo si traduce, per i pazienti definiti ?resistenti?, in un?inadeguata inibizione dell?aggregazione piastrinica con conseguente esposizione ad un maggior rischio di eventi aterotrombotici. Nonostante gli importanti risultati ottenuti dall?interconnessione tra i risultati dei vari test di laboratorio e l?evoluzione clinica dei pazienti, non ? stato ancora indicato un metodo standardizzato per la diagnosi di resistenza all?aspirina. I ricercatori greci dell?Hippokration Hospital di Atene coordinati da Dimitris Tousoulis hanno preso in esame tutti i metodi proposti in letteratura per valutare la resistenza piastrinica al trattamento (tempo di sanguinamento, aggregometria a trasmissione di luce, aggregometria per impedenza, analizzatore di funzione piastrinica, Rapid Platelet Function Assay, TXB2, citometria a flusso): tutti hanno dimostrato vantaggi e limitazioni, ma nessuno si ? dimostrato davvero efficace. Anche il trattamento farmacologico dell?aspirino-resistenza mediante innalzamento delle dosi somministrate o terapia combinata antiaggregante non ha dato risultati positivi. Occorrono nuovi studi approfonditi che facciano luce sulla questione individuando nuove soluzioni.
Bibliografia. Tousoulis D, Siasos G, Stefanadis C. Aspirin resistance: What the cardiologist needs to know? International Journal of Cardiology 2009; 132(2):153-156
Proposto un iter diagnostico differenziato in base alla gravit? dei sintomi Il morbo celiaco ? dovuto ad un’intolleranza permanente al glutine causante un’atrofia dei villi dell’intestino tenue ed un conseguente malassorbimento di gravit? variabile (NEJM 2007, 357: 1731-1743; Ann Intern Med 2005, 142: 289-298). La prevalenza della celiachia ? stimata del 1-1,5% della popolazione e viene sottostimata dal numero dei casi diagnosticati (www.ministerosalute.it). La celiachia pu? essere del tutto asintomatica o invece manifestarsi in et? adulta o pediatrica solo con dolori addominali ricorrenti e/o con ritardo di crescita o bassa statura, calo ponderale, steatorrea, diarrea o stipsi e numerose manifestazioni extra-intestinali (astenia da anemia da carenza di ferro, folati o vitamina B12, iperparatiroidismo e osteopenia da carenza di vitamina D e calcio, displasia dello smalto dentario, tetania da ipocalcemia, emorragie e porpora da carenza di vitamina K, xeroftalmia da carenza di vitamina A, edemi da enteropatia protido-disperdente con ipoalbuminemia, ipertransaminasemia da epatite autoimmune, alopecia, dermatite erpetiforme, stomatite aftosa, ecc.). La celiachia pu? associarsi ad altre malattie autoimmuni e se non diagnosticata o non curata pu? essere complicata da coliti, linfomi e altre neoplasie del tenue e dell’esofago (Br Med J 2004, 329: 716-719). Diagnosi Sono test diagnostici di screening per la celiachia la ricerca nel siero di anticorpi anti-transglutaminasi, anti-endomisio, anti-gliadina. Il gold standard diagnostico ? la biopsia, mediante endoscopia, della mucosa del digiuno che appare appiattita e documenta all’esame istologico l’atrofia dei villi intestinali, l’iperplasia delle cripte e l’infiltrazione linfocitaria della lamina propria, lesioni reversibili escludendo il glutine dalla dieta. La celiachia non ? pi? intesa come una patologia solo pediatrica in quanto attualmente l’et? media di diagnosi ? di circa 40 anni. La determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio ha dimostrato una sensibilit? del 78% ed una specificit? del 100% per la diagnosi di celiachia (Br Med J 2007, 335: 1244-1247). La biopsia intestinale mediante endoscopia per accertare la diagnosi pu? essere rifiutata dai pazienti in quanto esame invasivo e inoltre l’esito istologico riscontrabile nella celiachia ? riscontrabile anche in altre patologie (tabella 1), ma esistono forme di celiachia sieronegative in cui la biopsia ? determinante per la diagnosi. Perci? ? stato proposto e validato un iter diagnostico che distingue i soggetti ad alto e basso rischio di celiachia in base alla sintomatologia riferita, proponendo quindi a coloro che presentano disturbi aspecifici come dolore addominale, dispepsia, nausea e vomito solo la determinazione degli anticorpi specifici, proponendo invece a coloro che presentano perdita di peso, anemia e diarrea la determinazione degli anticorpi specifici seguita sempre, anche in caso di loro negativit?, dalla biopsia digiunale (Br Med J 2007, 334: 729). Terapia La dieta priva di glutine ? l’unica terapia efficace per la celiachia (www.celiachia.it). Il glutine ? presente, ad esempio, nelle farine di frumento, orzo, segale, nel malto, crusca, pane, pasta, pizza, dadi da brodo, lievito di birra, birra, caff? solubile, olio di semi vari, margarina, formaggini, dolciumi, biscotti, cioccolate, gelati confezionati che quindi sono cibi vietati. L’avena non contiene glutine, ma pu? essere contaminata dal glutine. Cos? pure i cibi industriali preconfezionati o surgelati. Sono cibi consentiti nella dieta: riso, mais, miglio, fecola di patate, grano saraceno, soia, tapioca, olio d’oliva, olio di mais e di arachide e di girasole, carni e pesce (non impanati con farine vietate), uova, verdura e frutta fresca, latte e derivati se non ? presente un’intolleranza al lattosio secondaria, t?, caff?, spremute e succhi di frutta, vino. L’associazione dei pazienti celiaci fornisce un’informazione dettagliata sui cibi permessi che di norma presentano sulle confezioni un logo con la spiga barrata attestante che il prodotto ? privo di glutine (www.celiachia.it). Il Sistema Sanitario ai sensi della legge n. 123 del 4 luglio 2005 fornisce gratuitamente ai soggetti con diagnosi accertata prodotti alimentari privi di glutine attraverso le farmacie cui si accede con prescrizione del medico curante facente riferimento al Decreto Ministeriale n.279 del 18 maggio 2001 e prevede la possibilit? di fornire alimenti senza glutine nelle mense scolastiche, ospedaliere e di strutture pubbliche.
La prevalenza di depressione e ansia ? elevata nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico, e richiede lo screening di routine e un trattamento mirato per risolverli. Uno studio precedente aveva gi? identificato un significativo aumento del rischio di umore depresso in queste pazienti: sullo stesso campione di pazienti ? stata successivamente riscontrata la persistenza di questo rischio, e la sua conversione in rischio di depressione conclamata. E’ stato suggerito l’uso del questionario Primary Care Evaluation of Mental Disorders (PRIME-MD) Patient Health Questionnaire (PHQ) nella valutazione iniziale delle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico: tale questionario presenta il vantaggio di effettuare uno screening dei disordini dell’alimentazione e dell’ansia oltre che della depressione. Le pazienti in cui si riscontra il disturbo dovrebbero essere indirizzate a visite specialistiche dermatologiche e dietologiche, in quanto irsutismo, acne ed eccesso di peso associati all’ovaio policistico potrebbero contribuire ai loro problemi emotivi.
Le donne in et? premenopausale sottoposte a chirurgia laparoscopica conservativa per endometriomi ovarici presentano un minor tasso di recidiva con sei mesi di terapia a base di GnRH-agonisti che con un approccio basato su un’attesa vigile. Onde ridurre il rischio di recidive, comunque, il GnRH-agonisti andrebbero somministrati per almeno sei mesi dopo l’intervento, in quanto una terapia pi? breve porterebbe a risultati meno ottimali: sei mesi di terapia portano ad un tasso di recidiva a 36 mesi del 5,3 percento, ma gi? ridurre il ciclo di terapia a quattro mesi comporta un aumento del tasso di recidiva che giunge al 39,2 percento. Sono comunque necessari futuri studi prospettici randomizzati per confermare questi dati. (Fertil Steril 2009; 91: 40-5)
La letteratura riporta dati incoerenti sui rischi associati ai farmaci per il trattamento dell’infertilit? che inducono l’ovulazione. Un ampio studio in materia, pubblicato sul British Medical Journal, non li ha riscontrati L’assunzione di farmaci per stimolare l’ovulazione in programmi di procreazione medicalmente assistita ? stata associata, da alcuni studi, all’aumento del rischio di sviluppare tumori ovarici epiteliali, ma il dato ? stato poi smentito da successive ricerche. Tuttavia non si ? mai arrivati a valutare un campione sufficientemente ampio di casi per poterli confrontare con controlli, inoltre, nelle premesse delle ricerche non veniva specificata una distinzione tra gli effetti dei farmaci per trattare l’infertilit?, da possibili cause dell’infertilit? stessa, che avrebbero potuto influenzare il rischio di neoplasia ovarica. Dal momento che, in alcuni casi, le donne si sottopongono anche a 12 cicli di trattamento, gli esperti non hanno mai smesso di domandarsi quali e quanti fossero i rischi a cui si esponevano le pazienti.
In questa direzione ha agito la Danish Cancer Society supportando uno studio molto ampio che ha incluso una coorte di oltre 54mila donne che tra il 1963 e il 1998 si erano rivolte a un centro specializzato per l’infertilit?. Coloro che si erano sottoposte a trattamenti per la fertilit? avevano assunto gonadotropine, clomifene, gonadotropina corionica umana oppure ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e tutte erano state monitorate fino all’et? di 47 anni. Nel complesso sono stati riscontrati 156 casi di tumore ovarico, un campione ben pi? grande di quelli finora considerati, che ha permesso di fare un confronto, statisticamente significativo, tra donne infertili che si erano sottoposte o meno al trattamento farmacologico. Il confronto ha permesso di riscontrare che il rischio generale di tumore ovarico non era influenzato in modo significativo dall’uso di questi farmaci, il rischio relativo infatti era sempre molto basso: 0,83 per le gonadotropine, 1,14 per il clomifene, 0,89 per la gonadotropina corionica e 0,80 per il GnRH, quindi, molto simile a quello di donne con la neoplasia ma non trattate. E lo stesso risultato si otteneva anche quando i farmaci erano in combinazione e a parit? di altre variabili come la contraccezione, le cause di infertilit? e il numero di parti precedenti.
L’unico rischio che aumentava interessava i tumori ovarici sierosi, del 67%, che per? sono meno frequenti di quelli epiteliali, obiettivo della ricerca. Motivo di cautela da parte degli autori della ricerca, ? l’et? media in cui il monitoraggio si ? fermato, mentre il picco di massima prevalenza ? all’inizio dei 60 anni, una considerazione che li ha portati a non escludere del tutto la possibilit? di un piccolo incremento del rischio.
I soggetti affetti da arteriopatie periferiche, con o senza claudicatio intermittens, possono trarre beneficio dalla pratica, regolare e supervisionata, di esercizi di resistenza per le proprie estremit? inferiori, e della deambulazione anche tramite nastro rotante. Queste pratiche portano a miglioramenti significativi di test di deambulazione in 6 minuti, dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale e qualit? della vita. La maggior parte dei pazienti con arteriopatie periferiche non presenta i classici sintomi della claudicatio: molti di essi sono asintomatici, e altri hanno sintomi atipici a carico delle gambe, ma i miglioramenti osservati si ottengono anche in assenza dei sintomi tipici. Il paziente spesso evita l’esercizio, temendo il dolore e l’astenia negli arti inferiori, ma l’esercizio di fatto pu? aiutare a lungo termine, e per la prima volta ? stato suggerito anche che possa migliorare lo stato di salute vascolare complessivo in questi soggetti. JAMA 2009; 301: 165-74