Terza definizione universale di infarto al miocardio

Un panel internazionale di 52 esperti rappresentanti quattro prestigiose Società scientifiche (American College of Cardiology – ACC, American Heart Association – AHA, European Society of Cardiology – ESC e World Heart Federation – WHF), la Third Global MI Task Force, ha realizzato la terza definizione universale di infarto del miocardio, che – tra le altre cose – stabilisce i livelli di troponina cardiaca necessari per diagnosticare un MI in diversi scenari. Il documento di consenso è stato presentato al Congresso ESC di agosto 2012 e successivamente pubblicato in contemporanea da cinque riviste: Circulation, Journal of the American College of Cardiology, European Heart Journal, Global Heart e Nature Reviews Cardiology.

Era il 2000 quando la First Global MI Task Force presentò una nuova definizione di MI, che affermava che qualsiasi necrosi in un quadro di ischemia del miocardio doveva essere definita un infarto del miocardio. Un approccio che la Second Global MI Task Force elaborando la definizione universale di infarto del miocardio nel 2007 (documento adottato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha cercato di raffinare enfatizzando le differenti condizioni che possono condurre a un MI.

Lo sviluppo di procedure di laboratorio sempre più avanzate per l’individuazione di biomarker della necrosi miocardiaca ha reso però necessaria un’ulteriore revisione del documento, soprattutto per quanto riguarda i pazienti in condizioni critiche e/o dopo interventi cardiochirurgici o procedure di rivascolarizzazione percutanea coronarica. L’ECG rimane uno strumento essenziale del lavoro di diagnosi, ma è insufficiente. Le tecniche di imaging possono essere preziose perché capaci di individuare anormalità delle pareti o perdita di vitalità miocardica. Ma la parte del leone è riservata ai biomarker: “La Third Global MI Task Force enfatizza il ruolo della troponina (cTn) come il marker di riferimento per la diagnosi di MI”, spiega Gregg C Fonarow dell’Ahmanson-UCLA Cardiomyopathy Center di Los Angeles. “Il criterio-chiave per diagnosticare un infarto acuto del miocardio rimane l’evidenza di necrosi miocardica in un quadro clinico coerente con una ischemia miocardia acuta. Deve esserci come minimo un valore di troponina cardiaca oltre il 99esimo percentile rispetto al normale”.

Un MI è definito quindi secondo il panel di esperti da valori specifici di cTn e almeno 1 dei seguenti 5 criteri diagnostici:

  • sintomi di ischemia
  • recenti o presumibilmente recenti cambiamenti in segmento ST e onda T o blocco di branca sinistro (LBBB)
  • sviluppo di onde Q patologiche
  • evidenze di anormalità delle pareti o perdita di vitalità miocardica
  • identificazione di trombi intracoronarici.

▼ Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS et al on behalf of the Joint ESC/ACCF/AHA/WHF Task Force for the Universal Definition of Myocardial Infarction. Third universal definition of myocardial infarction. Eur Heart J 2012; doi:10.1093/eurheartj/ehs184

http://eurheartj.oxfordjournals.org/content/early/2012/08/23/eurheartj.ehs184.full.pdf+html

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Pazienti con cancro tiroideo e rischio di ostruzione del dotto naso-lacrimale, pubblicati risultati di un trial clinico

Vaccinazioni: aspetti generali e linee guida

Sezione 1. Le vaccinazioni

Le Vaccinazioni: aspetti generali e linee guida

La vaccinazione effettuata a scopo profilattico o terapeutico al fine di prevenire l’insorgenza di una malattia infettiva è realmente efficace e ben tollerata. In epoca pre-vaccinale si registravano milioni di vittime soprattutto tra i bambini, mentre oggi questi numeri sono ormai scomparsi dallo scenario terapeutico, nonostante nessun vaccino eserciti una protezione del 100% e permanga la necessità di una stretta osservanza delle norme di profilassi. I viaggi internazionali possono costituire rischi seri per la salute dei viaggiatori che, pertanto, necessitano di opportuna informazione circa le modalità per la riduzione di tali rischi che in gran parte riguardano la possibilità di contrarre malattie infettive. Il medico ha il compito e la responsabilità di valutare la vaccinazione da praticare e il dovere professionale di conoscere le precauzioni da adottare per prevenire i rischi.
La prevenzione e la scelta di un vaccino poi, devono essere considerate sulla base dello stato immunitario del paziente, del rischio o della predisposizione a contrarre malattie, fattore che può essere correlato all’età, sesso, a situazioni fisiologiche come una concomitante gravidanza o altre patologie in atto.

Vaccinazioni routinarie e vaccinazioni multiple

La vaccinazione è un presidio preventivo fondamentale per la salute del bambino e un indispensabile intervento di Sanità Pubblica, su questa consapevolezza e in questo scenario alcune vaccinazioni sono state rese obbligatorie per legge, mentre altre sono assiduamente consigliate dai medici territoriali.
Le vaccinazioni di routine, sono quelle inserite nel programma vaccinale del Paese di origine, tra queste quella anti-difterite, pertosse, epatite B, papilloma virus umano (attualmente in via di progressiva introduzione nel nostro Paese), tetano, morbillo, parotite e rosolia, rappresentano solo i più comuni esempi. Le vaccinazioni consigliate, sono invece quelle raccomandate da parte dei medici con l’obiettivo di creare uno stato immunitario nei confronti di una o più malattie, tra queste rientrano quelle comunemente consigliate prima di intraprendere un viaggio. Il Medico basa la sua eventuale raccomandazione non solo sulla tappa di destinazione, ma anche considerando la stagione dell’anno, l’età, lo stato di salute e le precedenti vaccinazioni. Tra queste sono incluse l’anti-Colera, Epatite A, Encefalite giapponese, meningococcica, rabbia, Tick-borne encephalitis.
In alcuni casi è invece previsto un protocollo vaccinale specifico e definito per ottenere il permesso di ingresso nel Paese da visitare, in questo caso si parla di vaccinazioni obbligatorie. Tra queste la vaccinazione anti-febbre gialla o quella anti-meningococcica sono richieste in caso di viaggio che abbia come destinazione l’Arabia Saudita. Altri Paesi inoltre possono richiedere un certificato di vaccinazione anti-Poliomielite per i viaggiatori provenienti da zone dove sono ancora segnalati casi di tale patologia. Non di rado potrebbe esserci la necessità di praticare più vaccini contemporaneamente ciò è possibile perché in molti casi non si presentano problemi di interferenza o interazione con la co-somministrazione; si parla in questi casi di vaccinazioni multiple.

Le vaccinazioni in soggetti affetti da patologie acute

In alcune situazioni o condizioni particolari è opportuno che la somministrazione delle vaccinazioni venga posticipata o del tutto sospesa. L’eventuale decisione dipende dalla severità della patologia acuta in atto, tali accortezze rientrano tra le norme di buona prassi terapeutica da tenere in considerazione quando si procede alla somministrazione di un vaccino.
Patologie minori come diarrea, infezioni respiratorie con o senza febbre non rappresentano vere e proprie controindicazioni, tuttavia talvolta possono rappresentare situazioni che compromettono l’efficacia del vaccino e alle quali si può optare provvedendo ad aspettare la scomparsa della patologia concomitante oppure optando per l’inoculazione di un vaccino inattivato.
In casi di patologie severe con o senza febbre è necessario invece consigliare un rinvio della vaccinazione in momenti successivi alla avvenuta guarigione.
Una co-somministrazione con terapia antimicrobica non rappresenta una controindicazione, tuttavia bisogna tenere in considerazione che: gli antibiotici possono interferire con il vaccino orale anti-tifoideo; gli agenti antivirali (ad es. aciclovir) possono interferire con il vaccino anti-varicella e agenti antivirali anti-influenza (oseltamivir, zanamivir) possono interferire con il vaccino anti-influenza vivo (non in commercio in Italia).

Le vaccinazioni in soggetti affetti da patologie croniche

Malattie ritenute gravi (es. ipo e agammaglobulinemia, infezione da HIV, leucemie e linfomi), patologie croniche (tumori, diabete mellito, infezione da HIV, trattamento con farmaci immunosoppressivi) ed alcune terapie (corticosteoridi ad alte dosi e per periodi superiori ad una settimana o terapia contro i tumori) determinano una importante riduzione del funzionamento del sistema immunitario. Tali condizioni rappresentano una potenziale controindicazione all’uso dei vaccini vivi. L’utilizzo terapeutico di corticosteroidi a basse dosi (< 20 mg/die di prednisone o equivalenti) o per breve durata (< 2 settimane) o per via cutanea, oculare, auricolare, inalatoria o intra-articolare non rappresenta una condizione che determina immunodeficienza così come l’utilizzo di chemioterapici antiblastici nei 3 mesi precedenti (con remissione della neoplasia maligna) o trattati con farmaci bloccanti il TNF da almeno un mese (per indicazioni diverse dalle neoplasie maligne). I pazienti con infezione da HIV e linfociti CD4>500/mmc o con patologie autoimmuni ma non in terapia immunosoppressiva, sottoposti a trapianto di midollo osseo da almeno 2 anni o pazienti con sclerosi multipla senza attuale esacerbazione possono essere ponderati non a rischio.
Per i pazienti nei quali esiste una conclamata immunodeficienza severa, in caso di destinazione verso paesi che richiedono la vaccinazione anti-febbre gialla può essere richiesta una specifica esenzione della vaccinazione dovuta alla concomitante patologia in atto. In tali pazienti la prassi terapeutica prevede una vaccinazione annuale anti-influenza. Pazienti con splenectomia anche funzionale dovrebbero anche eseguire vaccinazione contro Haemophilus influenzae tipo b, meningococco e pneumococco. Negli emodializzati va inoltre considerata la necessità di effettuare richiami di vaccinazione contro l’epatite B.

Vaccinazioni e gravidanza: potenziali rischi e benefici

Se è noto che alcune vaccinazioni possono potenzialmente causare danni al feto e alla mamma, di altre non è stata accertata l’eventuale pericolosità. Per tale motivo è meglio riservarle a casi eccezionali, considerandone il rapporto rischio-beneficio.
Vaccini uccisi o inattivati, come anti-polio orale possono essere utilizzati in donne gravide, mentre vaccini contro morbillo, rosolia, parotite e varicella, papillomavirus e BCG vanno evitati. Le donne sottoposte a vaccinazione con virus vivi (Morbillo, parotite, rosolia o febbre gialla) devono evitare il concepimento almeno per 1 mese. Vaccini come quello contro l’encefalite giapponese, rabbia, febbre tifoide (vivo), febbre gialla (dopo il sesto mese di gravidanza) possono essere utilizzati solo se realmente necessarie.
In linea generale vanno sempre valutati i potenziali rischi ed i benefici derivanti dalla vaccinazione o dalla sua mancata esecuzione caso per caso.

Le vaccinazioni in bambini, adulti e pazienti in età geriatrica

I calendari vaccinali che individuano le età di somministrazione delle diverse vaccinazioni, sono stati studiati affinché l’intervento preventivo risulti semplice ed efficace nell’assicurare la tutela della salute dei bambini. Lievi differenze nei tempi di somministrazione non influenzano la validità e l’efficacia della vaccinazione. In Italia sono obbligatorie per tutti i nuovi nati le vaccinazioni contro difterite, tetano, poliomielite, epatite virale B.
Sebbene il ricorso all’obbligo di legge possa apparire anacronistico, va ricordato che lo strumento legale ha garantito il diritto alla salute e alla prevenzione di ogni bambino sul territorio nazionale e ha fornito la copertura finanziaria delle spese di vaccinazione, permettendo un ottimo controllo delle malattie così prevenibili.
In caso di viaggio effettuato prima di aver completato le vaccinazioni routinarie in un bambino, i genitori vanno avvertiti del potenziale rischio di contrarre patologie infettive potenzialmente prevenibili con il vaccino. Gli infanti di età inferiore a 6 mesi non possono vaccinarsi contro la encefalite giapponese, mentre in soggetti di età inferiore a 9 mesi dovrebbe essere evitato il vaccino contro la febbre gialla.
Nel caso di viaggiatori adolescenti o adulti va invece considerata la maggiore probabilità di acquisire infezioni per via sessuale a causa di comportamenti a rischio ed anche la possibile tendenza ad utilizzare bevande alcoliche o droghe. In tale gruppo va incoraggiata l’educazione alla prevenzione e alla pratica vaccinale richiesta dalla specifica situazione con l’obiettivo di prevenire l’acquisizione di patologie.
Il potenziale problema nella vaccinazione del soggetto anziano è invece rappresentato dalla probabile scarsa copertura riguardo i richiami per le vaccinazioni routinarie dell’infanzia, per cui in caso di rischio nei paesi di destinazione vanno ricordate e rivalutate vaccinazioni come difterite, tetano, poliomielite, epatite B. Gli anziani non immuni dovrebbero anche essere vaccinati contro l’epatite A se la destinazione è a rischio. E in linea generale è altamente consigliata una prevenzione vaccinale nei confronti dell’influenza stagionale e va tenuta in considerazione un’eventuale vaccinazione anti-pneumococcica.

Le vaccinazioni in soggetti HIV-positivi

Il virus HIV (Human Immunodeficiency Virus) determina un indebolimento del sistema immunitario dei soggetti interessati, che per tale motivo possono andare incontro ad un riduzione di risposta immunologica ad una vaccinazione e avere per conseguenza una protezione insufficiente. In tali soggetti infatti va valutato, oltre allo specifico rischio di contrarre patologie infettive nella meta del viaggio, anche lo stato immunologico. I potenziali rischi riguardano i vaccini vivi ed in particolare quello anti-morbillo che può essere utilizzato in caso di immunodeficienza moderata se vi è rischio di contrarre la malattia (Linfociti CD4>200/mmc). Il vaccino anti-varicella può essere invece utilizzato in caso di conta di CD4 >200/mmc. Se l’immunodeficienza è severa (Linfociti CD4<200/mmc) non va utilizzato alcun vaccino vivo. Il vaccino contro la febbre gialla costituisce un potenziale rischio in tali soggetti; tuttavia in considerazione di un reale rischio di contrarre l’infezione e se la conta dei linfociti CD4 è >200/mmc il vaccino può essere somministrato. Il vaccino BCG è sempre controindicato nei soggetti HIV positivi indipendentemente dalla presenza di sintomi e dalla conta dei CD4.
Ovviamente data la possibilità di immunoricostituzione con terapia antiretrovirale il soggetto va invitato, se possibile, a procrastinare il viaggio quando la situazione immunologica è migliorata.

Le principali reazioni avverse ai vaccini

Nessun vaccino è totalmente scevro da eventi avversi. E’ importante, per gli operatori sanitari conoscere tale possibilità, procedere all’informazione del paziente circa gli eventuali rischi ai quali può essere esposto e essere educati all’importanza di segnalare le eventuali reazioni avverse incorse in modo da scoraggiare l’utilizzo futuro degli stessi vaccini o di vaccini contenenti eccipienti comuni.
Le reazioni avverse nella maggior parte dei casi sono di grado lieve-moderato. Esse consistono in reazioni locali (gonfiore, dolore nella sede dell’inoculazione), febbricola, etc. che compaiono in genere uno o due giorni dopo la somministrazione del vaccino. Per il vaccino anti-Morbillo, Parotite e Rosolia, reazioni sistemiche (febbre con o senza rash cutaneo) possono comparire 5-12 giorni dopo la somministrazione del vaccino.
Le reazioni severe vanno riportate immediatamente alle autorità nazionali e riferite al paziente o eventualmente ai suoi familiari.

Le vaccinazioni: quando sono controindicate

Nel corso degli anni, sulla base dell’esperienza derivata da milioni di dosi di vaccini di vario tipo, si sono andate delineando delle Linee Guida circa le reali controindicazioni alle vaccinazioni. Alcune di esse sono permanenti, altre temporanee e per questo relative a particolari condizioni che si modificano nel tempo. Situazioni che non costituiscono motivo di impedimento vengono definite false controindicazioni. Le forme più comuni per tutti i vaccini sono rappresentate da una reazione anafilattica (orticaria generalizzata, difficoltà respiratoria, edema della labbra e della gola, ipotensione, shock) con lo stesso vaccino e patologie acute in atto.
Per quanto concerne i virus vivi anti-morbillo, parotite, rosolia e varicella, il BCG, l’encefalite giapponese e la febbre gialla la gravidanza e le situazioni di immunodeficienza severa sono potenziali controindicazioni.
In caso di allergia severa alle proteine dell’uovo sono controindicati i vaccini anti-febbre gialla e influenza. Il vaccino BCG è controindicato invece, in tutti i soggetti anti-HIV positivi. I vaccini contenenti antigeni della pertosse vanno rinviati in caso di patologie neurologiche come epilessia non controllata o encefalopatia progressiva.

Durata della protezione vaccinale per singolo vaccino e rivaccinazioni

Studi epidemiologici accurati sull’incidenza di una determinata malattia nella popolazione vaccinata possono darci informazioni non equivoche sulla durata dell’immunità conferita dalla vaccinazione; e gli stessi titoli anticorpali indotti dalla vaccinazione offrono soltanto qualche indicazione indiretta, utile nella misura in cui ne siano ben presenti significato e limiti. La durata della protezione nei confronti di malattie come Encefalite Giapponese è tuttora sconosciuta. Gli anticorpi neutralizzanti possono persistere per almeno due anni dopo la vaccinazione. L’Epatite A conferisce un titolo anticorpale che tende a diminuire a distanza di uno o più anni dal termine del ciclo di immunizzazione primari. Non sono raccomandate rivaccinazioni nei soggetti che hanno completato il ciclo con 2 dosi. Una situazione simile si verifica per l’Epatite B non raccomandata nei soggetti che hanno completato il ciclo con 3 somministrazioni. Negli emodializzati invece, possono essere necessarie rivaccinazioni. Per la vaccinazione contro il virus influenzale, la protezione comincia due settimane dopo l’inoculazione e perdura per un periodo di sei-otto mesi, poi tende a declinare. Per questo, e perché possono cambiare i ceppi in circolazione, è necessario ripetere la inoculazione all’inizio di ogni stagione influenzale. La prima somministrazione ai bambini dovrebbe essere seguita da un booster dopo almeno 1 mese dalla prima somministrazione. Per Morbillo, Parotite, Rosolia, Varicella, non è invece richiesta nessuna ulteriore rivaccinazione nel corso della vita. La protezione immunologica contro il Meningococco quadrivalente è raccomandata dopo 3 anni per i bambini che hanno ricevuto vaccino coniugato all’età di 2–6 anni. E’ richiesta ogni 5 anni per i soggetti vaccinati all’età di 7–55 anni se vi è rischio di infezione. L’efficacia protettiva del vaccino contro lo Pneumococco dura 5 anni dopo la prima dose per persone a rischio (ad es. splenectomia) o per persone vaccinate prima dei 65 anni di età. Un booster di tetano e difterite è raccomandato ogni 10 anni. Una singola dose di Vaccino anti-Tetano Difterite che include una formulazione di pertosse acellulare è raccomandato per sostituire un booster anti-Tetano Difterite per i soggetti di 11-64 anni. La protezione anti-pertosse è generalmente di durata breve (1-6 anni). Il vaccino contro la Febbre tifoide va ripetuto ogni 5 anni, quello contro la febbre gialla ogni 10 anni.

Revisione e adattamento :
Maria De Chiaro
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche– Medical Information Merqurio Editore

VACC-1035964-0000-UNV-W-04/2014

 

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Il fumo fa male anche agli occhi?

l’effetto del fumo sulla superficie oculare e sul film lacrimale

E’ risaputo che il fumo, sia attivo che passivo, crei una pletora di problemi di salute, che colpiscono soprattutto il sistema cardiovascolare e quello respiratorio. Ci sono poche prove, invece, sugli effetti del fumo di tabacco a carico degli occhi. Un recente studio ha cercato di colmare questa lacuna, esaminando gli effetti del fumo sulla superficie degli occhi dei fumatori.

L’uso del tabacco uccide più di cinque milioni di persone ogni anno ed è responsabile di un decesso su 10 negli adulti. Si stima che l’uso del tabacco possa uccidere più di otto milioni di persone all’anno entro il 2030.

Pochi sanno che il fumo colpisce anche gli occhi: il ridotto flusso sanguigno indotto dal fumo può favorire la formazione di coaguli all’interno dei capillari degli occhi, riducendo l’apporto di ossigeno e di altri oligoelementi che sono essenziali per la salute degli occhi. I radicali liberi che si producono per effetto del fumo, inoltre, possono alterare la funzionalità delle cellule che compongono i tessuti oculari.

Per i fumatori è dimostrato un aumento del rischio di sviluppare cataratta precoce ed altre gravi malattie come la degenerazione maculare, la retinopatia diabetica, il glaucoma, l’oftalmopatia di Graves, e la neurite ottica.

La relazione tra il fumo e l’occhio secco non è stata ampiamente studiata, ma per coloro che soffrono di secchezza oculare, il fumo è un irritante significativo, che porta a sintomi come prurito, sensazione di corpo estraneo e bruciore degli occhi. Questi sintomi sono tipici della sindrome dell’occhio secco, e sono causati da disfunzioni del film lacrimale, il sottile sttrato di lacrime che copre l’intera cornea e la congiuntiva bulbare.

L’occhio secco è uno dei problemi più comuni che riscontriamo nei nostri ambulatori. Il trattamento si basa quasi sempre sulla somministrazione di sostituti lacrimali, che forniscono un minimo di sollievo dai sintomi per un breve periodo di tempo, ma richiedono una frequente applicazione.

Nello studio sono stati confrontati gli occhi di 51 fumatori e 50 non fumatori, ed è risultato che i fumatori avevano una ridotta stabilità della lacrimazione ed una sensibilità corneale significativamente peggiore rispetto ai non fumatori. Anche la superficie corneale presentava segni di sofferenza (esaminati con tecniche di colorazione specifica) che non erano presenti fra i non fumatori.

I risultati dello studio hanno confermato e sottolineato il fatto che il fumo cronico ha effetti nocivi sul film lacrimale, primo sistema di protezione dei nostri occhi, e sulla superficie oculare, e gli effetti sono tanto più gravi quanto più ci si espone.

Abbiamo quindi un’ulteriore prova degli effetti nocivi del tabacco (caso mai ce ne fosse ancora bisogno…), ma ci auguriamo che la maggiore consapevolezza sui danni da fumo di sigaretta possa fornire una motivazione in più per convincere i più coriacei a smettere di fumare.

Coraggio!

 

 

Fonte:  Australas Med J. 2012; 5(4): 221–226. The effect of smoking on the ocular surface and the precorneal tear film

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Omeprazolo e magnesio: un altro effetto collaterale pericoloso

Un dato importante su un pericoloso effetto collaterale di omeprazolo e magnesio ci arriva da un lavoro recentemente pubblicato.

Gli inibitori di pompa protonica sono comunemente utilizzati nella terapia di tutte le malattie correlate ad un’ ipersecrezione acida da parte dello stomaco.

In letteratura viene segnalato un numero piccolo ma in aumento di pazienti nei quali i livelli ematici di magnesio sono troppo bassi per effetto di assunzione prolungata di inibitori di pompa protonica.

Il meccanismo molecolare alla base di questo fenomeno non è stato identificato  ma sembrerebbe correlato ad una ridotta capacità di assorbimento del magnesio da parte dell’ intestino.

Nei casi osservati il fenomeno  è comparso in genere dopo assunzione prolungata del farmaco, mediamente 5 anni con estremi però variabili tra 14 giorni e 13 anni.

In tutti i casi alla sospensione del farmaco la magnesiemia è rientrata nei valori normali e si è nuovamente ridotta in caso di ripresa della terapia.

Somministrando a questi pazienti un antiH2, ovvero un farmaco della classe della cimetidina per inibire la secrezione acida non si è osservato alcun effetto sulla magnesiemia

L’ ipomagnesiemia è una condizione potenzialmente seria e si manifesta con tetano, crisi convulsive,aritmie cardiache e ipocalemia secondaria.

Lo studio ha osservato 36 casi citati in 18 articoli apparsi in letteratura dal 2006, i pazienti erano sia maschi sia femmine di età variabile e nel 75% dei casi l’ inibitore di pompa assunto era l’omeprazolo.

Questo effetto collaterale peraltro si è osservato anche dopo assunzione di altri farmaci quali gentamicina, ciclosporina e cisplatino ed il numero di casi identificati è piccolissimo rispetto ai pazienti che assumono il farmaco, tuttavia è pur vero che molti casi potrebbero non essere stati riconosciuti essendo giunti all’ attenzione solo quelli con una sintomatologia severa tale da porre il sospetto e condurre ad un dosaggio della mangnesiemia.

In conclusione gli Autori suggeriscono di dosare periodicamente il magnesio in pazienti che assumono cronicamente inibitori di pompa, prestare particolare attenzione ad eventuali sintomi e nei casi identificati sospendere la somministrazione del farmaco e sostituirlo eventualmente con un derivato della cimetidina.

 

M.W. Hess et al, Alim Pharm Ther, 2012;36 (5): 405-413

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Cancro della prostata, Melanoma e Morbo di Parkinson: hanno una base genetica in comune?

22 Nov 2012 Neurologia

Questa associazione tra malattie apparentemente molto diverse sembra emergere dalla ricerca, da poco pubblicata, di un gruppo di ricercatori della Università dello Utah di Salt Lake City.

Per verificare questa ipotesi è stato fatto un enorme studio epidemiologico che sembra  per la prima volta confermare che la presenza del Morbo di Parkinson si associa ad un maggior rischio di tumore della prostata fino ai parenti di terzo grado ed inoltre viene confermato anche il legame, già da altri studi segnalato, con il melanoma.

I ricercatori statunitensi hanno valutato e correlato i dati trovati, nei registri oncologici dello stato nordamericano, e relativi a duemilioni e trecentomila cittadini, i certificati di morte, con diagnosi di morbo di Parkinson, di duemilanovecentonovantotto persone, decedute dal 1904 al 2008, e tutte le informazioni riguardanti centomila ed ottocentodiciasette persone che avevano avuto una diagnosi di cancro.

Da tutto questo immane lavoro è emerso alla fine che solo il melanoma ed il cancro alla prostata erano in modo significativo correlati al Parkinson mentre altre neoplasie, come quelle del colon-retto, del polmone, del pancreas e dello stomaco non avevano questa correlazione significativa.

Anche nelle  persone e nei loro consanguinei a cui era stata fatta in precedenza una diagnosi di tumore della prostata e di melanoma, si è visto che presentavano un rischio significativamente aumentato di contrarre il morbo di Parkinson.

Questa nuova ricerca epidemiologica sembra fortemente indicarci una probabile e possibile ipotesi di natura genetica capace di collegare queste tre importanti ed apparentemente diverse patologie.

 

Fontehttp://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22945795

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Tumore della prostata: un aiuto dall’ecografia 3D

21 Nov 2012 Oncologia

Il tumore della prostata colpisce in Italia oltre quarantamila uomini all’anno e le previsioni parlano di cinquantamila nuovi casi attesi per il 2030 per il naturale invecchiamento della nostra popolazione.

Al 19° Congresso Nazionale dell’Associazione Urologi Italiani (AURO), in corso in questi giorni a Genova, si è prospettata un’importante novità diagnostica, rappresentata dalla possibilità di effettuare una biopsia prostatica ecoguidata usando un ecografo 3D, cioè che dà delle immagini a tre dimensioni.

Il collega Paolo Puppo, responsabile dell’Urologia Oncologica dell’Istituto Humanitas di Castellanza, ha spiegato in modo molto preciso che: «La tecnologia usata finora, per le biopsie alla prostata, richiede un mappaggio con molti prelievi di tessuto per aumentare la probabilità di cogliere le lesioni neoplastiche che si vuole diagnosticare, poiché con una guida ecografica tradizionale non si sa esattamente dove l’ago preleva il campione.

Con la tecnologia a 3 Dimensioni, grazie a un software che associa ecografia e imaging, è possibile seguire il passaggio dell’ago bioptico, vedere esattamente dove si preleva e si campiona il tessuto, con una registrazione dei tragitti fatti, cosa utile anche per un’eventuale e successiva biopsia».

Da queste premesse la nuova metodica diagnostica dovrebbe rivoluzionare le nostre attuali procedure di ricerca del tumore e permettere così di aumentare la capacità di individuare, in modo più mirato e preciso, il punto da biopsiare.

In questo modo, in sintesi estrema, se con la metodica ora in uso per ogni 100 biopsie fatte si arriva ad individuare un tumore nel 25% dei prelievi, con la nuova apparecchiatura ecografica 3D le percentuali dovrebbero significativamente aumentare e quindi le biopsie inutili o falsamente negative dovrebbero diminuire drasticamente.

Questo dato dovrebbe poi naturalmente essere associato a una diminuzione di una seconda biopsia, proposta diagnostica ora facile e frequente quando la prima risulta dubbia.

 

Altre informazioni:

http://www.medicitalia.it/minforma/urologia/200/le-malattie-della-prostata-stili-di-vita-prevenzione-e-nuove-indagini-diagnostiche

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Probiotici: quando servono, quali scegliere e come assumerli

Nel tratto digestivo dell’ uomo sono presenti circa 500 diverse specie di batteri che facilitano la digestione, producono alcune vitamine del gruppo B, k, la folina e favoriscono lo sviluppo del nostro sistema immunitario.

I probiotici sono microorganismi viventi che esercitano un effetto benefico sulla salute dell’ ospite che li accoglie se somministrati in quantità adeguata.

Devono infatti sopravvivere in quantità adeguata all’ ambiente acido dello stomaco ed alcalino della bile per raggiungere l’ ileo ed il colon e qui svolgere la loro azione.

Non tutti i microrganismi tuttavia sono efficaci e nelle diverse patologie sono indicati diversi ceppi.

Molti yogurt ad esempio contengono ceppi di lactobacilli senza però essere considerati probiotici perché la quantità contenuta non è sufficiente, non è pertanto corretto consigliare la semplice assunzione di yogurt a pazienti nei quali si vuole ottenere un effetto conseguente alla somministrazione di probiotici.

La maggior parte di loro vive nell’ intestino durante la somministrazione ma non lo colonizza, è corretto quindi continuare ad assumerli per tutto il periodo durante il quale si vuole ottenere un effetto terapeutico.

Vediamo quindi secondo una recente review appena pubblicata in quali situazioni ‘l uso è indicato e consigliabile:

Diarrea acuta: la causa più comune nei bambino è il Rotavirus. L’ efficacia nella prevenzione degli episodi è modesta e quindi non consigliabile così come nella prevenzione della diarrea del viaggiatore nell’ adulto.

Nel trattamento della diarrea invece è dimostrata una riduzione della durata e un miglioramento del quadro clinico somministrando Lactobacillo Rhamnosus.

La diarrea da antibiotici compare in circa il 20% dei soggetti in terapia antibiotica e qui la prevenzione mediante probiotico è dimostrata nel bambino e nell’ adulto.

Controverso invece è il loro ruolo nella prevenzione e trattamento della diarrea da Clostridium difficile.

Nella sindrome dell’ intestino irritabile diversi lavori hanno dimostrato un’ efficacia debole nel ridurre i sintomi soprattutto per i Bifidobacteria rispetto ai Lactobacilli e quindi, data la comune difficoltà nel controllo dei sintomi con altre terapie un tentativo terapeutico appare giustificato.

Modeste sono invece le evidenze nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche quali colite ulcerosa e morbo di Crohn per cui il trattamento qui non è univocamente consigliato.

Nelle epatopatie croniche con ipertensione portale ed encefalopatia infine sono tuttora in corso studi per valutarne l’ efficacia nel ridurre l’ ammoniemia ma i dati non sono ancora convincenti.

 

Nella maggior parte delle persone però la assunzione di probiotici è esente da complicanze ed effetti collaterali motivo per cui spesso la somministrazione è indicata anche quando l’ indicazione non è supportata da evidenza.

In conclusione, quando si decide di assumere i probiotici è sempre meglio assumerne in quantità adeguata e scegliendo il prodotto che contiene i ceppi più efficaci nelle varie patologie, in associazione e non alternativa alle terapie tradizionali in attesa di dati più convincenti.

 

M.Ciorba, Clin Gastroent Hepatol,2012;10(9): 960-8

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Testosterone, androgeni e cancro della vescica

Un nuovo studio, condotto da alcuni ricercatori dell’Università della Virginia di Charlottesville e dell’Università del Colorado in Aurora, sembra suggerire che le terapie con anti-androgeni, utilizzate già ora in alcuni tumori della prostata, possano essere efficaci anche nel controllo di alcuni tumori vescicali.

Gli ormoni androgeni, il più noto è il testosterone, sono interessati nell’espressione di una glicoproteina, la CD24, che è conosciuta come capace di peggiorare la prognosi di un tumore a livello della prostata.

Lo studio in questione ha sottolineato come ceppi di topi, non capaci di produrre questa glicoproteina, hanno una incidenza di tumori alla vescica minore e sviluppano, quando presente la neoplasia, meno metastasi; questo discorso vale soprattutto nei maschi.

Fatta questa constatazione i ricercatori hanno allora valutato campioni di tumori vescicali umani confermando questo stesso comportamento e confermando anche che, in presenza di alti livelli di CD24, si ha una più alta probabilità di ritorno del tumore.

Si è dimostrato infine che i livelli di CD24 sono a loro volta direttamente correlati a quelli del testosterone; da questa osservazione la conclusione dovrebbe essere che, se si diminuisce il tasso ematico di questo ormone ed androgeni correlati, in presenza di un tumore vescicale, dovremmo essere in grado di ridurre anche la possibilità che questo si riformi e/o si diffonda attraverso metastasi.

 

Fonte:

http://www.pnas.org/content/early/2012/09/25/1113960109.abstract?sid=c31e517f-440f-40e1-889e-cd0493e8260b

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La Coca cola e la calcolosi renale: esiste una correlazione?

Si è sempre dibattuto sulla possibile formazione di calcoli associata alla assunzione di particolari bevande gassate come la Coca-Cola in pazienti predisposti.

Tredici pazienti di cui 3 portatori di calcolosi renale e 10 senza alterazioni metaboliche sono stati sottoposti ad una dieta metabolica controllata. Durante la fase 1, i soggetti hanno ingerito 1 litro di coca-cola al giorno per 26 giorni, seguito da un periodo di 3 settimane di washout  (dieta libera). Nella fase 2, i soggetti hanno ingerito 1 litro di acqua deionizzata quotidianamente per 26 giorni.

In conclusione si è verificato che la Coca-Cola non determina alcun cambio identificabile nei fattori di rischio urinario anche in presenza di pazienti predisposti alla formazione di calcoli di ossalato di calcio. Quindi il consumo di Coca-Cola non può aumentare il rischio di formare calcoli anzi a questo punto può essere una fonte accettabile alternativa di liquidi per i pazienti che non sono in grado di aumentare il consumo di acqua.

 

Sorgente:

Herrel L, Pattaras J, Solomon T, Ogan K. Urinary Stone Risk and Cola

Consumption. Urology. 2012 Sep 24. pii: S0090-4295(12)00769-8. doi:

10.1016/j.urology.2012.07.003. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 23017784.

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La luce verde che elimina le macchie della pelle

Inizia la stagione autunnale, periodo che predispone nuovamente agli approcci di natura dermoestetica: il solleone e la forte irradiazione ultravioletta alle nostre latitudini cede il passo e pertanto da questo periodo si possono riaccendere i riflettori sulle varie tecniche di Ringiovanimento cutaneo.

Una delle più recenti metodiche dermoestetiche di tipo laserterapico è il Laser Q-switched a 532 nm – una vera e propria “Luce verde” che viene erogata in piccolissime frazioni di secondo (max 6 nanosecondi) in grado di eliminare, anche in una sola seduta, le Macchie della pelle.

Il suo impiego, nasce proprio per un approccio ultra-selettivo nei confronti delle “iperpigmentazioni melanocitiche benigne” (dal Cloasma / Melasma alle Lentiggini solari alle Macchie localizzate sul volto, sul decoltèe, sulle mani, sulle braccia e gambe)

Tutto il corpo può essere trattato e questo Laser, per via della sua selettività e della rapidità di esecuzione è praticamente indolore e fra tutti quello con minori rischi i effetti indesiderati.

La macchia colpita, difatti, diviene subito “bianca” (per un effetto simile al “frost“) per poi divenire più scura per pochi giorni (il pigmento colpito, difatti, entra nel normale turnover epidermico salendo in superficie e quindi apparendo più scuro) fino ad una disepitelizzazione impercettibile che elimina in modo permanente, la macchia.

Chi può sottoporsi al trattamento?

A partire dalla maggiore età non ci sono limiti a questo tipo di trattamenti; tutti possono accedervi, in ogni fascia d’età, dopo una accurata anamnesi e dopo una visita specialistica

Chi dovrebbe effettuare il trattamento?

Ogni Medico perfezionato in modo ufficiale nelle discipline estetiche e accuratamente preparato nell’impiego delle tecniche laser può esercitare la funzione di laserista, ma personalmente ritengo che la figura dello Specialista Dermatologo sia quella più elettiva a farlo.

Questo per competenze cliniche e strumentali, ma soprattutto perchè prima di un atto di questo genere (ovvero l’ablazione definitiva di un tessuto pigmentario) è necessario comporre una DIANGOSI PRECISA di ciò che si sta asportando;

in altre parole è necessario essere certi che una lesione che sta per essere sottoposta ad una terapia ablativa – ovvero alla sua scomparsa definitiva – sia ASSOLUTAMENTE benigna.

Questo ampio margine di sicurezza può essere reso solo da una visita dermatologica corredata di epiluminescenza e/o di dermoscopia digitale, una tecnica non invasiva ed immediata che illustra gli aspetti microscopici in vivo di una lesione pigmentaria ed aumenta in maniera significativa la percentuale di accuratezza diagnostica.

Per maggiori informazioni e per sapere quali macchie possono essere trattate con questa terapia, è sempre necessario rivolgersi al proprio dermatologo di fiducia che potrà anche illustrare all’interno di un consenso informato questa nuova metodica e tutte le accortezze che il paziente deve prendere (ad esempio evitare l’esposizione ai raggi uv subito prima e dopo la terapia o applicare solari ad alta protezione per alcune settimane dopo il trattamento) al fine di ottenere i migliori risultati e ridurre al minimo gli eventi indesiderati.

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