Morbo di Parkinson: comune deficit vitamina D

31 Mar 2009 Neurologia

I pazienti con morbo di Paarkinson hanno maggiori probabilit? di presentare bassi livelli di vitamina D rispetto a quelli sani o anche a quelli con morbo di Alzheimer. Data l’elevata prevalenza dei deficit di vitamina D nei pazienti cronici, era prevedibile che i soggetti con malattie neurodegenerative presentassero minori livelli di vitamina D rispetto a quelli sani, ma le differenze fra gli altri gruppi erano inattese: morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer sono entrambe malattie neurodegenerative, e quindi si pensava di ricontrare gli stessi deficit. La vitamina D ? essenziale per il mantenimento di molte funzioni fisiologiche, ed i potenziali benefici dell’integrazione ne fanno una buona opzione, a prescindere dal potenziale ruolo della vitamina D nelle malattie neurodegenerative. Nell’anziano la questione assume un’importanza particolare, in quanto i deficit di vitamina D sono fortemente correlati ad un’elevata incidenza di cadute, osteoporosi e fratture d’anca, e sono stati associati anche ad un’elevata incidenza di diverse forme tumorali, malattie autoimmuni e cardiovascolari. Ulteriori studi accerteranno anche se la correzione dell’insufficienza di vitamina D possa migliorare i sintomi motori o non motori del morbo di Parkinson. (Arch Neurol. 2008; 65: 1348-52)

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Diabete e prevenzione primaria con aspirina

Non sono state riscontrate prove del fatto che l’aspirina o altri antiossidanti siano di qualche beneficio nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei pazienti diabetici con arteriopatie periferiche asintomatiche. Ci? indica che alcune linee guida che suggeriscono l’uso dell’aspirina in pazienti diabetici liberi da malattie cardiovascolari andrebbero revisionate. Nel tentativo di ridurre ulteriormente il rischio clinico i dati sull’aspirina sono stati estrapolati alla prevenzione primaria, ma di fatto in questo ambito le prove a favore dell’aspirina sono deboli, in particolare nella popolazione diabetica. L’aspirina stessa peraltro non ? scevra da rischi, rappresentando una delle pi? comuni cause farmacologiche di ricovero. In totale, sette studi ben controllati dimostrano l’inefficacia dell’aspirina nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari anche nei soggetti a maggior rischio. Bench? si tratti di un farmaco economico e disponibile universalmente, essa andrebbe prescritta solamente ne pazienti con malattie cardiovascolari conclamate e sintomatiche. (BMJ online 2008, pubblicato il 21/10)

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Chiusura forame ovale ed emicrania

29 Mar 2009 Cardiologia

A seguito della chiusura transcateterale di un forame ovale beante (PFO), si pu? avere la scomparsa dell’emicrania nonostante la presenza di uno shunt destro-sinistro residuale. I pazienti con emicrania con aura inoltre hanno maggiori probabilit? di andare incontro ad una riduzione degli episodi a seguito della procedura rispetto agli altri. Il meccanismo alla base dell’associazione fra emicrania e PFO implica verosimilmente l’ipersensibilit? corticale associata alle emicranie: un ampio shunt destro-sinistro consente il transito di un maggior volume di elementi chimici vasoattivi e mocroaggregati, come le piastrine attivate, attraverso il forame beante e quindi la comparsa dell’emicrania. Probabilmente non vi sono ancora prove sufficienti a supportare la chiusura del PFO in tutti i pazienti con emicrania, ma vi pu? essere una sottopopolazione di pazienti con emicrania in cui sussiste un qualche meccanismo causale fra PFO ed emicrania, e che quindi potrebbe trarre beneficio dalla procedura, ma il meccanismo di base non ? stato ancora determinato. I soggetti con emicrania, d’altro canto, presentano un aumento dell’incidenza delle tromboembolie venose, il che suggerisce un’iperattivazione piastrinica: va accertato l’effetto dell’aspirina in questi pazienti, ed il possibile ruolo di questo farmaco nella prevenzione dell’emicrania. (Am J Cardiol 2008; 102: 916-20)

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Acidi biliari danneggiano mucosa esofagea

Anche una breve esposizione agli acidi biliari in condizioni debolmente acidi che pu? danneggiare l’integrit? della mucosa esofagea, il che potrebbe spiegare la presenza di dolore precordiale persistente nei pazienti trattati. I nuovi trattamenti mirati verso la barriera antireflusso e volti ad evitare qualsiasi tipo di reflusso gastroesofageo (acido e non) che contenga acidi biliari dovrebbero teoricamente aiutare questi pazienti. Nel 2005 ? stato dimostrato che la dilatazione degli spazi intercellulari consente la diffusione degli acidi gastrici reflussati nello spazio intercellulare, causando dolore precordiale in casi altrimenti asintomatici di malattia da reflusso non erosiva: si tratta di un meccanismo potenzialmente implicato anche nei pazienti con sintomi persistenti nonostante il trattamento con inibitori della pompa protonica. Rimane da dimostrare se queste alterazioni siano seguite da stimolazione dei nervi afferenti. (Gut 2008; 57: 1366-74)

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Tipo 2: frequente ipogonadismo nei giovani

L’ipogonadismo ipogonadotrofico ? presente circa in un terzo degli uomini di et? compresa fra 18 e 35 anni con diabete di tipo 2. Le potenziali implicazioni di questo dato per i soggetti in questione sono molto importanti, soprattutto in relazione alla loro funzionalit? sessuale e riproduttiva durante i primi anni della fase riproduttiva. Coerentemente con quanto riportato in precedenza, i pazienti con ipogonadismo presentano livelli di LH ed FSH troppo bassi. Sussiste inoltre una correlazione inversa fra BMI e concentrazione totale di testosterone libero, ma comunque, bench? il BMI sia uno dei principali fattori determinanti dell’ipogonadismo ipogonadotrofico, l’associazione non dipende interamente dall’obesit?. Bassi livelli di testosterone possono danneggiare la funzionalit? sessuale, ridurre la libido e portare a disfunzione erettile. Nei soggetti con diabete di tipo 2, inoltre, questo fenomeno pu? portare ad una diminuzione dei picchi di massa ossea ed al mancato sviluppo o alla perdita di massa muscolare. Questi pazienti possono inoltre sviluppare un aumento dell’adiposit?, e divenire quindi maggiormente insulinoresistenti. E’ stato infine dimostrato che i soggetti con diabete di tipo 2 ed ipogonadismo ipogonadotrofico hanno elevati livelli di PCR, e pertanto potrebbero essere a maggior rischio di malattie cardiovascolari. (Diabetes Care 2008; 31: 2013-7)

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Rischio di tumore mammario maschile

26 Mar 2009 Oncologia

Negli uomini, il rischio di sviluppare tumori mammari ? incrementato dall’avere un parente di primo grado con tumore mammario, dall’essere obesi e fisicamente inattivi e, sorprendentemente, dall’aver riportato una frattura ossea dai 45 anni in poi. I fattori di rischio noti per il tumore mammario maschile sono stati largamente desunti da studi retrospettivi, ma quelli recentemente individuati mostrano alcuni elementi in comune con quelli dei tumori femminili, indicando l’importanza dei meccanismi ormonali. Le differenze individuate invece potrebbero riflettere meccanismi unici associati agli androgeni ed al loro rapporto in relazione agli estrogeni biodisponibili. (J Natl Cancer Inst online 2008, pubblicato il 9/10)

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Reflusso infantile: fundoplicatio da valutare

Solo una minoranza dei bambini sottoposti a fundoplicatio di Nissen verranno poi liberati dalla necessit? di assumere medicinali antireflusso a lungo termine. Nei due terzi dei casi questo risultato non si ottiene, e quindi non ? corretto ingenerare false aspettative nei genitori. Sfortunatamente, le esatte indicazioni per la ripresa della terapia antireflusso dopo l’intervento non sono state ancora individuate. Pediatri e gastroenterologi, comunque, dovrebbero preparare e trattare adeguatamente questi pazienti nel caso richiedano l’assunzione di farmaci antireflusso a lungo termine. Sono stati documentati anche casi in cui la terapia antireflusso non era necessaria prima dell’intervento, ma lo ? divenuta dopo.

Arch Surg 2008; 143: 873-6

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Ca prostatico: antidiabetici riducono rischio

I farmaci antidiabetici sono associati ad una riduzione del rischio di tumore prostatico.
Recenti studi hanno riportato una diminuzione del rischio di tumore prostatico nei soggetti diabetici, bench? le prove in merito siano controverse, e non era finora chiaro se l’uso di farmaci antidiabetici influenzasse l’associazione fra diabete e tumore prostatico.
In generale, per?, il potenziale meccanismo alla base della diminuzione del rischio di tumore prostatico nei soggetti diabetici ? attualmente sconosciuto: molto probabilmente le variazioni nel metabolismo degli ormoni endogeni che si osservano nel diabete svolgono un ruolo in questo senso.

(Am J Epidemiol 2008; 168: 925-31)

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Psicologia utile nel tumore mammario

23 Mar 2009 Oncologia

Uno studio con un periodo di monitoraggio medio di 11 anni ha dimostrato che le pazienti con tumore mammario allo stadio 2 che ricevono un intervento psicologico vanno incontro ad un rischio significativamente ridotto di recidive e decesso rispetto alle altre.
Questo risultato assolutamente sorprendente potrebbe sottendere il fatto che l’intervento in questione, consistente in metodi supportato empiricamente per migliorare umore, atteggiamenti e comportamenti relativi alla salute, possa essere usato con efficacia nei pazienti con qualsiasi tipo di tumore.
Un intervento psicologico che riduce lo stress potrebbe verosimilmente interrompere il processo infiammatorio in atto, limitando quindi indirettamente la progressione della malattia.

(Cancer 2008; 113: 3450-8)

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Prevenzione della malattia cardiovascolare negli uomini: nessun effetto della vitamina C e E

La ricerca di base e gli studi osservazionali hanno indicato che la Vitamina-E e la Vitamina-C possono ridurre il rischio di malattia cardiovascolare. Tuttavia pochi studi clinici hanno valutato soggetti di sesso maschile inizialmente a basso rischio di malattia cardiovascolare, e nessuno studio ha esaminato se la vitamina C da sola fosse efficace nella prevenzione della malattia cardiovascolare.

Uno studio, coordinato da Howard D Sesso del Brigham and Womens?s Hospital a Boston, ha esaminato la capacit? della supplementazione per lungo periodo con Vitamina E e Vitamina C di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori tra gli uomini.

L?analisi ? stata compiuta sui partecipanti al Physicians?s Health Study II, iniziato nel 1997 e completato a met? 2007.
Sono stati arruolati 14.641 medici di sesso maschile, che all?ingresso avevano un?et? di 50 o pi? anni; il 5.1% ( n=754 ) di questi soffriva di malattia cardiovascolare.

I partecipanti hanno assunto vitamina E 400 UI a giorni alterni e Vitamina C 500 mg quotidianamente.

L?endpoint composito di eventi cardiovascolari maggiori, comprendeva: infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale e morte per malattia cardiovascolare.

Nel corso di un perido osservazionale di 8 anni, ci sono stati 1.244 eventi cardiovascolari maggiori.

Rispetto al placebo, la vitamina E non ha esercitato alcun effetto sull?incidenza degli eventi cardiovascolari maggiori.
Non ? stato osservato nessun significativo effetto della vitamina C sugli eventi cardiovascolari maggiori.

N? la vitamina E n? la vitamina C hanno mostrato alcun effetto sulla mortalit? totale; la vitamina E ? risultata associata ad un aumentato rischio di ictus emorragico ( HR=1.74; p=0.04 ).

In questo studio clinico di ampie dimensioni e di lunga durata che ha coinvolto medici di sesso maschile, la supplementazione di Vitamina E o di Vitamina C non ha ridotto il rischio di eventi cardiovascolari maggiori.
Questi dati non forniscono sostegno scientifico all?uso di questi supplementi nella prevenzione della malattia cardiovascolare negli uomini di mezza et? o pi? anziani.

Sesso HD et al, JAMA 2008; Early release article

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