I deficit di vitamina D sono altamente prevalenti nei bambini con fibrosi cistica, e le attuali raccomandazioni terapeutiche per la correzione di questi deficit sono inadeguate: fra il 2003 ed il 2006 l’incidenza dei deficit di vitamina D in questi pazienti ? diminuita, ma rimane sempre elevata, essendo passata dall’86 percento al 46 percento. Il deficit ? pi? comune sopra i 12 anni che sotto i cinque anni, e molti bambini rimangono deficitari nonostante la somministrazione di dosi di ergocalciferolo uguali o superiori a quelle raccomandate, ed a volte anche se si giunge a dosi due o tre volte superiori. Ovviamente, ci? rivela l’urgente necessit? di reperire metodi pi? efficaci per ripristinare livelli sani di vitamina D in questi pazienti, ma nel frattempo non vi sono altri modi di raggiungere questa meta se non aumentare l’apporto di vitamina D dall’esterno. (J Pediatr. 2008; 153: 554-9)
Gli esercizi per il rafforzamento del pavimento pelvico e la gestione del peso possono aiutare le donne a ridurre l’incidenza dell’incontinenza urinaria, e i medici possono aiutare a insegnare alle pazienti queste tecniche. L’impatto dell’incontinenza urinaria su salute e benessere delle donne ? ben documentato, soprattutto in relazione alla frequenza e all’entit? della perdita di urine: spesso le pazienti tentano di gestire da sole il problema con l’uso di pannoloni o alterando il proprio stile di vita, ma quando queste misure non bastano pi? la qualit? della vita e la salute fisica ne soffrono. Molte donne vanno incontro a questi problemi con l’et?, ma poche ricercano l’aiuto del medico per imbarazzo o perch? credono che la cosa faccia parte del normale processo di invecchiamento. E’ stato invece dimostrato che, anche con il supporto di personale infermieristico specializzato, il rafforzamento del pavimento pelvico ed il controllo del peso, evitando la costipazione, possono ridurre l’incidenza dell’incontinenza urinaria. (Urol Nurs. 2008; 28: 351-6)
Non poche donne, in Italia circa tre milioni (dato forse sottostimato), soffrono di endometriosi, malattia nella quale il tessuto di rivestimento dell?utero o endometrio ? presente anche in altre sedi pelviche e addominali causando dolore e altri problemi. Ma in genere la diagnosi viene posta in ritardo, in media dopo nove-dieci anni e diversi consulti medici, per difficolt? nel riconoscimento. I sintomi, a parte i casi in cui almeno inizialmente sono assenti, possono anche essere confusi con quelli di altre patologie e ci pu? essere una comorbilit?. L?inquadramento dilazionato finisce per ritardare il trattamento, con tutto il carico protratto di sofferenza legato alla malattia, fisico e psicologico, tanto pi? che sono colpite donne giovani e che sono temute in particolare le conseguenze per la fertilit?. Che un nodo cruciale sia la possibile diagnosi errata per confusione con altre forme con le quali c?? una sovrapposizione di sintomi lo conferma anche un?ampia ricerca britannica, che prende in considerazione le due patologie maggiormente coinvolte, la malattia infiammatoria pelvica e la sindrome dell?intestino irritabile, anch?esse di frequente riscontro.
La sovrapposizione di sintomi L?endometriosi si caratterizza prima tutto per il dolore, mestruale (dismenorrea), pelvico cronico, sessuale (dispareunia), poi per infertilit? e segni di menopausa precoce; possono esserci sintomi gastrointestinali (colon irritabile, diarrea o stipsi, gonfiore), sciatalgia, disturbi urinari e anche altri come astenia, cefalea, nausea, depressione. La diagnosi si effettua con l?anamnesi e un accurato esame obiettivo, eventualmente esame rettale, seguiti a seconda dei casi da indagini quali ecografia, ricerca del marcatore nel sangue, clisma opaco, Tc o Rmn, laparoscopia. Nello studio inglese si ? analizzato un database relativo a 5.540 donne tra i 15 e i 55 anni alle quali era stata diagnosticata endometriosi, facendo un confronto con 21.239 donne senza endometriosi come controlli. Lo scopo della ricerca era determinare se il rischio aumentato di ricevere una diagnosi di sindrome d?intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica in donne con riconoscimento di endometriosi fosse dovuto a un?errata diagnosi o a una comorbilit?; si ? valutata quindi la diagnosi delle due patologie prima e dopo quella indice dell?endometriosi. In confronto ai controlli, si ? evidenziato che le pazienti con endometriosi avevano una probabilit? 3,5 volte pi? elevata di essere state prima diagnosticate per sindrome dell?intestino irritabile, circa il 10% era stato trattato per questa patologia. Anche dopo il riconoscimento dell?endometriosi, le donne con endometriosi avevano ancora una probabilit? 2,5% volte maggiore dei controlli di ricevere una nuova diagnosi di intestino irritabile. Inoltre, per le malate era 6,4 volte pi? alta la probabilit? di essere trattate per malattia infiammatoria pelvica prima della diagnosi di endometriosi (pi? dell?8% era stato cos? trattato nel periodo precedente), e la probabilit? era quasi quattro volte pi? elevata anche dopo la stessa diagnosi.
Obiettivo ridurre il ritardo diagnostico Nelle donne con endometriosi c?era quindi chiaramente una maggiore possibilit? di ricevere una diagnosi di intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica, anche dopo il riconoscimento definitivo della patologia endometriosica. Il fatto che la quota delle donne trattate per intestino irritabile o malattia pelvica si fosse significativamente ridotto dopo la diagnosi di endometriosi ha portato i ricercatori a ritenere che ci sia un consistente problema di errato riconoscimento in presenza di endometriosi. Comunque le condizioni spesso coesistono, e per questo, commentano, se con l?endometriosi ? compresente la malattia infiammatoria pelvica ? opportuno un trattamento pi? rigoroso per diminuire il rischio ancora maggiore d?infertilit?, mentre una gestione appropriata della sindrome dell?intestino irritabile pu? ridurre i sintomi intestinali correlati all?endometriosi. Vanno per? meglio identificate, concludono, le differenze nei modelli sintomatologici delle tre situazioni cliniche, sia per riuscire a ridurre il ritardo di diagnosi, sia per attuare regimi terapeutici ottimali.
Elettra Vecchia
Fonte Seaman HE et al.. Endometriosis and its coexistence with irritable bowel sindrome and pelvic inflammatory disease: findings from a national case-control study-Part 2. BJOG 2008;115:1392-1396
Rete anti-cancro nel Lazio. Con l’obiettivo di formare equipe specializzate per il trattamento del tumore del seno, composte da varie figure che vanno dal medico oncologo al chirurgo, dal genetista al radiologo, dall’anatomopatologo allo psicologo, nasce quindi un network di formazione e ricerca clinica di esperti del settore senologico di diversi ospedali romani. Fra le prime iniziative, con inaugurazione nell’aula Folchi dell’ospedale San Giovanni Addolorata, il ‘Primo stage formativo di senologia’. Organizzata tra gli altri da Lucio Fortunato, dirigente medico, e Carlo Vitelli, primario dell’unit? operativa complessa di Chirurgia I del San Giovanni Addolorata, con il patrocinio dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e della Regione Lazio, l’iniziativa – la prima del genere a Roma, si sottolinea in una nota – sar? una ‘full immersion’ di due settimane, con oltre 90 ore di lezione, 14 sale operatorie con interventi in diretta e pi? di 50 relatori tra i massimi esperti italiani di senologia, per formare tutti coloro che insieme combattono questo male. Con risultati sempre maggiori. Gi? negli ultimi due decenni, ricordano gli specialisti, la guaribilit? dal tumore del seno ? aumentata del 10-20%: oggi guarisce l’80% delle donne che si ammalano. Alzare ancora questa percentuale, per arrivare al 100% – secondo gli esperti – ? possibile, grazie all’aumento di conoscenze in campo senologico e alla formazione di equipe altamente specializzate nel settore. Per esempio, la sopravvivenza a nove anni dalla diagnosi ? del 10-15% maggiore per le pazienti operate dal chirurgo oncologo rispetto a quelle operate dal chirurgo generale. “Lo stage – spiega Fortunato – sar? un momento unico di formazione per insegnare ai vari addetti ai lavori a parlare tutti la stessa lingua a vantaggio del paziente, perch? solo cos? – sottolinea – all’interno di un ospedale potr? nascere quella multidisciplinarit? e alta specializzazione che permette di ottimizzare i risultati clinici, con la creazione di vere e proprie ‘breast unit'”. Le lezioni del neonato network si svolgeranno, oltre che all’ospedale San Giovanni Addolorata, al San Filippo Neri e al San Camillo.
La displasia prostatica benigna tende a peggiorare nel tempo. Si tratta di una malattia che interessa fra la met? ed i due terzi degli uomini nella settima decade di vita, e la sua natura progressiva ? stata confermata. Data per? l’ampia gamma di probabilit?, ? difficile stimare la misura in cui ci si possa basare su quanto riscontrato per informare un singolo paziente sulle sue future probabilit? di progressione. Nel complesso, il monitoraggio dovrebbe durare tutta la vita, ed andrebbero presi in considerazione interventi precoci che possano modificare favorevolmente la storia naturale della malattia. (BJU Int 2008; 102: 981-6)
Rispetto agli altri trattamenti standard, come il monitoraggio e la terapia ormonale, la chirurgia potrebbe offrire una migliore speranza di sopravvivenza a lungo termine ai pazienti con tumori prostatici localizzati: rispetto ai pazienti prostatectomizzati, infatti, quelli trattati con radioterapia o semplicemente monitorati presentano un rischio raddoppiato di mortalit? connessa al tumore alla prostata nei 10 anni successivi. In genere i pazienti solo monitorati hanno tumori in stadio pi? precoce e meglio differenziati rispetto agli altri, mentre quelli trattati con terapia ormonale hanno pi? spesso tumori allo stadio III. La prostatectomia ? associata alla migliore prognosi a lungo termine, in particolare per i giovani o i soggetti con tumori meno differenziati. La sopravvivenza comunque ? solo uno dei fattori da tenere in conto nella scelta del trattamento per questi pazienti: gli altri comprendono qualit? della vita, preferenze del paziente e speranza di vita. Sul miglior trattamento per? c’? ancora molto disaccordo, e nella pratica clinica quotidiana persistono diverse disparit?. (Arch Intern Med. 2007; 167: 1944-50)
Il lactobacillo LCR35 pu? risultare utile per le donne recentemente trattate per vaginosi batterica, in quanto il loro uso topico pu? essere utile a ripristinare la normale flora vaginale. Le pazienti su cui ci? ? stato provato avevano inizialmente un punteggio fra sette e 10 nella scala di Nugent per la vaginosi batterica, ed hanno ricevuto una terapia antibiotica standard per sette giorni, seguita dalla somministrazione di capsule vaginali contenenti LCR35 per altri sette giorni. Ogni donna osservata ha presentato un significativo spostamento nella scala di Nugent pari ad un minimo di cinque gradi fra l’inizio e la fine dello studio. (BJOG 2008; 115: 1369-74)
La batteriemia da Campylobacter ? una condizione poco comune che ? eminentemente ristretta ai pazienti immunocompromessi. Il Campylobacter rimane un raro agente causale di batteriemia, e quando ? presente le sue manifestazioni cliniche mancano di specificit?. La maggior parte dei pazienti immunocompromessi che ne sono affetti sono portatori di epatopatie. La prescrizione clinica di cefalosporine di terza generazione e fluorochinoloni, farmaci ampiamente impiegati in questa particolare popolazione di pazienti immunocompromessi con febbre, sembra essere deleteria per? nel trattamento dei pazienti con batteriemia da Campylobacter. (Clin Infect Dis 2008; 47: 790-6)
Quando si ha una recidiva tumorale in una mammella gi? precedentemente trattata con terapia conservativa, l’uso della nodulectomia piuttosto che della mastectomia ? associato ad una diminuzione della sopravvivenza. Questa opzione viene scelta circa in un quarto dei casi di recidiva: ? probabile che siano le pazienti stesse a richiedere questo tipo di intervento, e che i medici semplicemente le accontentino, ma qualsiasi ne siano le motivazioni, questa decisione pu? abbreviare la vita della paziente. Man mano che le terapie per il tumore mammario divengono pi? mirate ed i ricercatori si avvicinano all’identificazione dei fattori che rendono alcuni tumori pi? aggressivi di altri, l’opzione di raccomandare seconde o terze nodulectomie potrebbe rendersi disponibile in futuro, almeno in casi selezionati, ma fino ad allora la mastectomia rimane la migliore opzione per le donne che vanno incontro a tumori mammari recidivanti. (Am J Surg 2008; 196: 495-9)
Nell’anziano non disabile, gravi cambiamenti nella materia bianca correlati all’invecchiamento sono associati alla comparsa di urgenza urinaria. I problemi della minzione, tanto frequenti nell’anziano, possono dunque almeno parzialmente dipendere da una disfunzione cerebrale derivante da malattie cerebrovascolari. Ci? ? dimostrato dal fatto che i pazienti con i pi? grandi cambiamenti cerebrali di origine vascolare sono a maggior rischio di sviluppare questi disturbi rispetto a quelli con cambiamenti soltanto minimi, una volta considerati anche altri fattori. Questi dati in futuro potrebbero avere implicazioni terapeutiche. (J Am Geriatr Soc 2008; 56: 1638-43)