I pazienti con morbo di Paarkinson hanno maggiori probabilit? di presentare bassi livelli di vitamina D rispetto a quelli sani o anche a quelli con morbo di Alzheimer. Data l’elevata prevalenza dei deficit di vitamina D nei pazienti cronici, era prevedibile che i soggetti con malattie neurodegenerative presentassero minori livelli di vitamina D rispetto a quelli sani, ma le differenze fra gli altri gruppi erano inattese: morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer sono entrambe malattie neurodegenerative, e quindi si pensava di ricontrare gli stessi deficit. La vitamina D ? essenziale per il mantenimento di molte funzioni fisiologiche, ed i potenziali benefici dell’integrazione ne fanno una buona opzione, a prescindere dal potenziale ruolo della vitamina D nelle malattie neurodegenerative. Nell’anziano la questione assume un’importanza particolare, in quanto i deficit di vitamina D sono fortemente correlati ad un’elevata incidenza di cadute, osteoporosi e fratture d’anca, e sono stati associati anche ad un’elevata incidenza di diverse forme tumorali, malattie autoimmuni e cardiovascolari. Ulteriori studi accerteranno anche se la correzione dell’insufficienza di vitamina D possa migliorare i sintomi motori o non motori del morbo di Parkinson. (Arch Neurol. 2008; 65: 1348-52)
Non sono state riscontrate prove del fatto che l’aspirina o altri antiossidanti siano di qualche beneficio nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei pazienti diabetici con arteriopatie periferiche asintomatiche. Ci? indica che alcune linee guida che suggeriscono l’uso dell’aspirina in pazienti diabetici liberi da malattie cardiovascolari andrebbero revisionate. Nel tentativo di ridurre ulteriormente il rischio clinico i dati sull’aspirina sono stati estrapolati alla prevenzione primaria, ma di fatto in questo ambito le prove a favore dell’aspirina sono deboli, in particolare nella popolazione diabetica. L’aspirina stessa peraltro non ? scevra da rischi, rappresentando una delle pi? comuni cause farmacologiche di ricovero. In totale, sette studi ben controllati dimostrano l’inefficacia dell’aspirina nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari anche nei soggetti a maggior rischio. Bench? si tratti di un farmaco economico e disponibile universalmente, essa andrebbe prescritta solamente ne pazienti con malattie cardiovascolari conclamate e sintomatiche. (BMJ online 2008, pubblicato il 21/10)
A seguito della chiusura transcateterale di un forame ovale beante (PFO), si pu? avere la scomparsa dell’emicrania nonostante la presenza di uno shunt destro-sinistro residuale. I pazienti con emicrania con aura inoltre hanno maggiori probabilit? di andare incontro ad una riduzione degli episodi a seguito della procedura rispetto agli altri. Il meccanismo alla base dell’associazione fra emicrania e PFO implica verosimilmente l’ipersensibilit? corticale associata alle emicranie: un ampio shunt destro-sinistro consente il transito di un maggior volume di elementi chimici vasoattivi e mocroaggregati, come le piastrine attivate, attraverso il forame beante e quindi la comparsa dell’emicrania. Probabilmente non vi sono ancora prove sufficienti a supportare la chiusura del PFO in tutti i pazienti con emicrania, ma vi pu? essere una sottopopolazione di pazienti con emicrania in cui sussiste un qualche meccanismo causale fra PFO ed emicrania, e che quindi potrebbe trarre beneficio dalla procedura, ma il meccanismo di base non ? stato ancora determinato. I soggetti con emicrania, d’altro canto, presentano un aumento dell’incidenza delle tromboembolie venose, il che suggerisce un’iperattivazione piastrinica: va accertato l’effetto dell’aspirina in questi pazienti, ed il possibile ruolo di questo farmaco nella prevenzione dell’emicrania. (Am J Cardiol 2008; 102: 916-20)
Anche una breve esposizione agli acidi biliari in condizioni debolmente acidi che pu? danneggiare l’integrit? della mucosa esofagea, il che potrebbe spiegare la presenza di dolore precordiale persistente nei pazienti trattati. I nuovi trattamenti mirati verso la barriera antireflusso e volti ad evitare qualsiasi tipo di reflusso gastroesofageo (acido e non) che contenga acidi biliari dovrebbero teoricamente aiutare questi pazienti. Nel 2005 ? stato dimostrato che la dilatazione degli spazi intercellulari consente la diffusione degli acidi gastrici reflussati nello spazio intercellulare, causando dolore precordiale in casi altrimenti asintomatici di malattia da reflusso non erosiva: si tratta di un meccanismo potenzialmente implicato anche nei pazienti con sintomi persistenti nonostante il trattamento con inibitori della pompa protonica. Rimane da dimostrare se queste alterazioni siano seguite da stimolazione dei nervi afferenti. (Gut 2008; 57: 1366-74)
L’ipogonadismo ipogonadotrofico ? presente circa in un terzo degli uomini di et? compresa fra 18 e 35 anni con diabete di tipo 2. Le potenziali implicazioni di questo dato per i soggetti in questione sono molto importanti, soprattutto in relazione alla loro funzionalit? sessuale e riproduttiva durante i primi anni della fase riproduttiva. Coerentemente con quanto riportato in precedenza, i pazienti con ipogonadismo presentano livelli di LH ed FSH troppo bassi. Sussiste inoltre una correlazione inversa fra BMI e concentrazione totale di testosterone libero, ma comunque, bench? il BMI sia uno dei principali fattori determinanti dell’ipogonadismo ipogonadotrofico, l’associazione non dipende interamente dall’obesit?. Bassi livelli di testosterone possono danneggiare la funzionalit? sessuale, ridurre la libido e portare a disfunzione erettile. Nei soggetti con diabete di tipo 2, inoltre, questo fenomeno pu? portare ad una diminuzione dei picchi di massa ossea ed al mancato sviluppo o alla perdita di massa muscolare. Questi pazienti possono inoltre sviluppare un aumento dell’adiposit?, e divenire quindi maggiormente insulinoresistenti. E’ stato infine dimostrato che i soggetti con diabete di tipo 2 ed ipogonadismo ipogonadotrofico hanno elevati livelli di PCR, e pertanto potrebbero essere a maggior rischio di malattie cardiovascolari. (Diabetes Care 2008; 31: 2013-7)
Negli uomini, il rischio di sviluppare tumori mammari ? incrementato dall’avere un parente di primo grado con tumore mammario, dall’essere obesi e fisicamente inattivi e, sorprendentemente, dall’aver riportato una frattura ossea dai 45 anni in poi. I fattori di rischio noti per il tumore mammario maschile sono stati largamente desunti da studi retrospettivi, ma quelli recentemente individuati mostrano alcuni elementi in comune con quelli dei tumori femminili, indicando l’importanza dei meccanismi ormonali. Le differenze individuate invece potrebbero riflettere meccanismi unici associati agli androgeni ed al loro rapporto in relazione agli estrogeni biodisponibili. (J Natl Cancer Inst online 2008, pubblicato il 9/10)
Solo una minoranza dei bambini sottoposti a fundoplicatio di Nissen verranno poi liberati dalla necessit? di assumere medicinali antireflusso a lungo termine. Nei due terzi dei casi questo risultato non si ottiene, e quindi non ? corretto ingenerare false aspettative nei genitori. Sfortunatamente, le esatte indicazioni per la ripresa della terapia antireflusso dopo l’intervento non sono state ancora individuate. Pediatri e gastroenterologi, comunque, dovrebbero preparare e trattare adeguatamente questi pazienti nel caso richiedano l’assunzione di farmaci antireflusso a lungo termine. Sono stati documentati anche casi in cui la terapia antireflusso non era necessaria prima dell’intervento, ma lo ? divenuta dopo.
I farmaci antidiabetici sono associati ad una riduzione del rischio di tumore prostatico. Recenti studi hanno riportato una diminuzione del rischio di tumore prostatico nei soggetti diabetici, bench? le prove in merito siano controverse, e non era finora chiaro se l’uso di farmaci antidiabetici influenzasse l’associazione fra diabete e tumore prostatico. In generale, per?, il potenziale meccanismo alla base della diminuzione del rischio di tumore prostatico nei soggetti diabetici ? attualmente sconosciuto: molto probabilmente le variazioni nel metabolismo degli ormoni endogeni che si osservano nel diabete svolgono un ruolo in questo senso.
Uno studio con un periodo di monitoraggio medio di 11 anni ha dimostrato che le pazienti con tumore mammario allo stadio 2 che ricevono un intervento psicologico vanno incontro ad un rischio significativamente ridotto di recidive e decesso rispetto alle altre. Questo risultato assolutamente sorprendente potrebbe sottendere il fatto che l’intervento in questione, consistente in metodi supportato empiricamente per migliorare umore, atteggiamenti e comportamenti relativi alla salute, possa essere usato con efficacia nei pazienti con qualsiasi tipo di tumore. Un intervento psicologico che riduce lo stress potrebbe verosimilmente interrompere il processo infiammatorio in atto, limitando quindi indirettamente la progressione della malattia.
The metabolic syndrome (MetS) is characterized by the clustering of abdominal obesity, hypertension, impaired glucose tolerance, and atherogenic dyslipidaemia; it is associated with an increased risk of cardiovascular disease. This study investigated the influence of postmenopausal status on the prevalence of the MetS, including its individual components, and the effects of postmenopausal status according to the number of years since menopause. Commentary Joon Cho et al. confirm the findings already reported elsewhere that women develop features of the metabolic syndrome (MetS) during the transition to the postmenopausal state. Ethnic differences in the prevalence of MetS have also been documented. Given the potential long-term health consequences of the MetS, appropriate and timely intervention is obviously important. Women who had ever used oestrogen therapy were excluded from this study and it would have been interesting to see if there were differences in the development of central obesity in women who were not oestrogen deficient. The time-related development of features of the MetS, such as central adiposity, hypertension, and changes in glucose metabolism, is well documented. There is a considerable literature indicating that women with polycystic ovary syndrome (PCOS) are at a much higher risk of MetS than the general population [1. Glueck CJ, Papanna R, Wang P, et al. Incidence and treatment of metabolic syndrome in newly referred women with confirmed polycystic ovarian syndrome. Metabolism. 2003;52:908-15.(close)]. Postmenopausal women with a history consistent with the diagnosis of PCOS have a worse cardiovascular risk on the basis of features compatible with the MetS [2. Shaw LJ, Bairey Merz CN, Azziz R, et al. Postmenopausal women with a history of irregular menses and elevated androgen measurements at high risk for worsening cardiovascular event-free survival: results from the National Institutes of Health–National Heart, Lung, and Blood Institute sponsored Women”s Ischemia Syndrome Evaluation. J Clin Endocrinol Metab. 2008;93:1276-84.(close)]. Hyperandrogenaemia is a particular risk factor for MetS and type 2 diabetes [3. Corbould A. Effects of androgens on insulin action in women: is androgen excess a component of female metabolic syndrome? Diabetes Metab Res Rev. 2008 Jul 10. [Epub ahead of print](close)],[4. Cheung LP, Ma RC, Lam PM, et al. Cardiovascular risks and metabolic syndrome in Hong Kong Chinese women with polycystic ovary syndrome. Hum Reprod. 2008;23:1431-8.(close)]. An assessment of androgen status might therefore have contributed to the information presented in this study. In summary, many of the features of the MetS develop in the postmenopausal period, and MetS is more common in postmenopausal compared with premenopausal women. Ethnicity is important, but studies to date show a variable prevalence. Changes around the menopause include body fat distribution, body mass index, blood pressure, and glucose levels, which impact on the development of the MetS. Women with PCOS are at particular risk and should be carefully monitored well beyond their reproductive years. Assessment of androgen status, in addition to metabolic parameters, is important as hyperandrogenaemia is an added risk factor for the abnormalities in glucose and insulin characteristic of the MetS. Careful ongoing assessment of women in their postmenopausal years is therefore essential. Features of the metabolic syndrome (MetS), such as abdominal adiposity, insulin resistance, and dyslipidaemia, develop with the transition from pre- to postmenopausal status in women. This study investigated the effects of postmenopausal status on the prevalence of the MetS according to years since menopause. The study included a total of 1,002 women, 618 premenopausal and 384 postmenopausal, who participated in annual health examinations at Anam Hospital in Seoul, Korea. Using multivariate logistic regression analysis, the authors determined that postmenopausal status was an independent risk factor for the MetS. Moreover, after controlling for age and body mass index, postmenopausal women had an increased risk of MetS (odds ratio, 2.93; 95% confidence interval 1.62-5.33) and the abnormalities of its individual components. The risk for MetS increased up to 14 years since menopause, then decreased. For its individual components, postmenopausal women who were 5-9 years since menopause were at highest risk of high blood pressure; postmenopausal women who were less than 5 years since menopause had an increased risk of abdominal obesity and high glucose levels. At 10-14 years since menopause, postmenopausal women had an increased risk of high triglyceride levels The authors concluded that postmenopausal status is an independent risk factor for the MetS and all of its individual components. The risk for the MetS increased up to 14 years since menopause. In addition, postmenopausal status has effects during different periods since menopause for each of these components. References 1. Glueck CJ, Papanna R, Wang P, et al. Incidence and treatment of metabolic syndrome in newly referred women with confirmed polycystic ovarian syndrome. Metabolism. 2003;52:908-15. 2. Shaw LJ, Bairey Merz CN, Azziz R, et al. Postmenopausal women with a history of irregular menses and elevated androgen measurements at high risk for worsening cardiovascular event-free survival: results from the National Institutes of Health–National Heart, Lung, and Blood Institute sponsored Women”s Ischemia Syndrome Evaluation. J Clin Endocrinol Metab. 2008;93:1276-84. 3. Corbould A. Effects of androgens on insulin action in women: is androgen excess a component of female metabolic syndrome? Diabetes Metab Res Rev. 2008 Jul 10. [Epub ahead of print] 4. Cheung LP, Ma RC, Lam PM, et al. Cardiovascular risks and metabolic syndrome in Hong Kong Chinese women with polycystic ovary syndrome. Hum Reprod. 2008;23:1431-8. Author Commentary Prof. Z.M. van der Spuy Dept of Obstetrics and Gynaecology Faculty of Health Sciences University of Cape Town and Groote Schuur Hospital Groote Schuur Cape Town South Africa