L’artrite dell’articolazione temporomandibolare (TMJ) alla RM, ma non all’ecografia, ? di frequente riscontro alla comparsa dell’artrite giovanile idiopatica. Infatti, data l’elevata prevalenza delle patologie a carico di questa articolazione nell’artrite giovanile di recente comparsa, i reumatologi pediatrici dovrebbero prendere in considerazione lo screening universale di questi disturbi nei suddetti pazienti. L’iniezione di corticosteroidi migliora l’apertura incisale massimale nel 56 percento dei pazienti con patologia acuta. Il prossimo passo sar? determinare quanto spesso e come andrebbe effettuato lo screening di attivit? e risoluzione della patologia temporomandibolare. Arthritis Rheum 2008; 58: 1189-96
L’ipermenorrea riguarda un’italiana su 5 con conseguenze patologiche per una su 20. A rilanciare il problema, un’insidia soprattutto per le giovanissime, ? la Societ? italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che a Milano ha presentato un sondaggio sul tema e l’opuscolo “Flussi mestruali abbondanti? Una guida per vivere meglio”. Il vademecum ? in distribuzione negli ambulatori ginecologici e nei consultori della Penisola, e si affianca al “Progetto salva-utero” della Sigo (www.mestop.com). “Quando all’origine del problema non c’? una causa organica, il flusso mestruale abbondante riguarda nel 75% dei casi ragazze under 20″, spiega Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia e sessuologia medica dell’ospedale San Raffaele Resnati di Milano”. Fra le giovani le “super-mestruazioni” “compaiono gi? un anno dopo il menarca – aggiunge – Per la fascia teenager l’et? media di chi soffre del disturbo ? 13 anni”, mentre un’altra categoria ad alto rischio sono “le ultra 40enni”. Parola di esperti, le ripercussioni di un flusso mestruale abbondante sono pesanti: “Dal punto di vista medico, familiare e sociale”, precisa Graziottin. “Sono ragazze che smettono di fare sport o anche solo di ballare”, dice la ginecologa. E che nei casi pi? gravi soffrono di “vere emorragie anche per 15 giorni al mese”, assicura. Durante le mestruazioni, infatti, il 28% delle partecipanti all’indagine lamenta ridotta concentrazione, il 23% rinuncia allo sport e il 10% ‘sfoltisce’ l’agenda degli impegni quotidiani. Il 14% deve cambiare assorbente ogni due ore, l’8% non pu? vestirsi come vuole e il 7%, addirittura, macchia il letto. Eppure il 76% considera questi problemi inevitabili, il 71% non ne ha mai parlato con il medico di famiglia e il 59% nemmeno con il ginecologo. Oppure, quando si ? confidata, nel 32% dei casi si sentita rispondere “non possiamo farci nulla”. Molto invece si pu? fare, garantiscono gli specialisti, soprattutto per evitare soluzioni estremi come l’ablazione endometriale o l’isterectomia.
Nell?anziano le fratture rappresentano una causa significativa di incremento della morbilit? e mortalit?. Tra tutte le fratture, quelle dell?anca aumentano in modo esponenziale con l?et? fino ad arrivare, nella nona decade di vita, ad interessare 1 donna su 3 e 1 uomo su 6, numeri destinati ad un progressivo aumento se si considera l?invecchiamento progressivo della popolazione nel mondo. Le conseguenze correlate alle fratture dell?anca sono severe al punto da determinare disabilit? funzionale permanente nel 50% dei casi, con un 15-25% che necessita di assistenza domiciliare e un 10-20% che muore nell?arco di un anno. Questo scenario ha un impatto pesante in termini di costi individuali e di sistema, con un assorbimento complessivo di risorse finanziarie che negli USA sono state pari a 7 miliardi nel 1990 e stimabili, in una proiezione al 2020, a circa 20 miliardi. Quindi se si considerano l?alta prevalenza, la severit? e i costi delle fratture da osteoporosi, sono necessarie delle strategie di prevenzione efficaci, sostenibili e ben tollerate. Al proposito una tra le pi? promettenti ? rappresentata dalla supplementazione orale di vitamina D che ? fondamentale per garantire l?assorbimento di calcio, la mineralizzazione dell?osso e la prevenzione dell?iperparatiroidismo secondario. Nonostante sia stato dimostrato che la vitamina D sia efficace nel rinforzare il sistema muscolare e ridurre il rischio di cadute e fratture , i numerosi trial clinici randomizzati (RCT) che ne hanno verificato l?efficacia preventiva hanno ottenuto risultati conflittuali, in particolare nelle fratture non vertebrali. Per questo una meta-analisi pubblicata su JAMA ha cercato di revisionare i dati della letteratura utili a stimare il ruolo e l?efficacia di una supplementazione orale di vitamina D nella prevenzione delle fratture dell?anca e non vertebrali del paziente anziano. I criteri di inclusione hanno permesso di individuare 7 RCT con 9820 soggetti a rischio di fratture non vertebrali e 5 RCT con 9294 pazienti con frattura dell?anca. Tutti gli studi hanno impiegato in terapia il colecalciferolo. L?analisi complessiva ha mostrato una spiccata eterogeneit? sia per le fratture dell?anca che per le fratture non vertebrali con un rischio relativo (RR) rispettivamente di 0,88 e 0,83 per qualsiasi dose preventiva di vitamina D con una variabilit? tra gli studi pi? elevata del previsto. In una fase successiva del lavoro gli autori hanno stratificato i trial a basse dosi e ad alte dosi di vitamina D raggruppandoli separatamente, ottenendo una buona omogeneit? tra gli studi. I 3 RCT (n=5572) con dosi di Vit. D = 700-800 IU/die evidenziavano un RR=0.74 suggerendo l?ipotesi che questo dosaggio ? in grado di ridurre il rischio di fratture dell?anca del 26% con un NNT (Number Needed To Treat) = 45 per una durata di trattamento compresa tra i 24 e i 60 mesi; i 2 RCT (n=3722) con dosi di vit.D = 400 IU/die hanno mostrato un RR= 1.15 indicativo di nessuna riduzione del rischio di fratture dell?anca per una supplementazione a basso dosaggio. Lo stesso criterio di stratificazione ? stato adottato per gli RCT che consideravano il rischio di fratture non vertebrali con 5 RCT (n=6098) a dosaggi di vit. D= 700-800UI/die e un RR= 0.77 indicando una riduzione del rischio di fratture non vertebrali a questi dosaggi del 23% con un NNT= 27 per un tempo di trattamento compreso tra 12 e 60 mesi. Questa meta-analisi offre una chiave interpretativa dei risultati degli RCT che hanno studiato la prevenzione con vitamina D delle fratture dell?anca e non vertebrali risolvendo la loro variabilit? ed eterogeneit? complessiva attraverso una valutazione mediante un criterio di stratificazione degli studi basato sull?impiego di alte e basse dosi di vitamina D. Un utilizzo prolungato di un dosaggio di vitamina D (700-800 IU/die), come raccomandato dalle ultime linee guida NOF (National Osteoporosis Foundation), induce una significativa riduzione del rischio di fratture dell?anca e non vertebrali (27% e 23% rispettivamente) nei pazienti anziani, contro una sostanziale inefficacia delle basse dosi (400 IU/die). Le spiegazioni fisologiche a sostegno di questi risultati sono da ricercare nella riduzione della massa ossea nei soggetti anziani e nell?effetto della vitamina D sul tono muscolare. Infatti, la terapia con vitamina D riduce il rischio di cadute nell?anziano del 22% (Bischoff-Ferrari H et al JAMA 2004). Poich? la perdita di massa ossea e le cadute concorrono nel determinare il rischio di fratture dell?anziano ? plausibile che la supplemetazione con dosaggi adeguati di vitamina D (700-800 IU/die) sia in grado di prevenire le fratture da osteoporosi con un ruolo addizionale del calcio a 700 mg/die nella prevenzione delle fratture non vertebrali. Se infine si considerano i valori di NNT di 27 e 45 per tutte le fratture non vertebrali e dell?anca ? consistente l?indicazione, a fronte dell?alta morbilit?, mortalit? e costi delle fratture, verso un loro trattamento preventivo con dosi elevate di vitamina D = 700-800 I/die nei pazienti anziani. Fonti scientifiche ? Bischoff-Ferrari H et al. Fracture Prevention With Vitamin D Supplemetation. A Meta-analisys of Randomized Controlled Trial JAMA 2005;293:2257-64 ? National Osteoporosis Foundation Bibliografia 1. Leon Flicker et al. Should Older People in Residential Care Receive Vitamin D to Prevent Falls? Results of a Randomized Trial J Am Geriatr Soc 2005;53:1881
La somministrazione continua di antibiotici per il trattamento pediatrico del reflusso vescicoureterale (RVU), effettuata con l?obiettivo di prevenire complicazioni pi? gravi come pielonefrite e cicatrici renali, non ? efficace. Lo dimostra uno studio multicentrico guidato dall?IRCCS materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste durato 6 anni (2 di trial effettivo e 4 di follow-up), che pone fine a un?annosa diatriba sull?opportunit? di ricorrere alla profilassi antibiotica per evitare le recidive di infezione urinaria. Alla ricerca hanno partecipato altri 6 ospedali pediatrici del nord Italia: Pordenone, Monfalcone, San Daniele, Tolmezzo, Cesena e Bologna.
Lo stato dell`arte Il reflusso vescico-ureterale ? un?anomalia congenita relativamente frequente nell?infanzia, causata da un ritardo nella maturazione della giunzione tra vescica e uretere che provoca la risalita dell?urina in direzione del rene. Ci? pu? facilitare l?insorgenza di infezioni urinarie e, se il quadro si complica, causare pielonefrite, una grave infiammazione renale, spesso ricorrente. In genere il disturbo si risolve con la crescita (i casi pi? severi intorno ai 10-12 anni, gli altri prima). Nel frattempo, per?, episodi ripetuti di pielonefrite possono danneggiare in modo grave la funzionalit? dei reni fino a causare insufficienza renale. L?approccio clinico tradizionale al reflusso vescico-ureterale – nonostante l?assenza di prove a conferma di un rapporto di causa-effetto fra RVU e pielonefrite ricorrente ? si basava sulla somministrazione di antibiotici per periodi prolungati, anche in assenza di sintomi. Era opinione comune che, cos? facendo, si potesse evitare il coinvolgimento renale.
La ricerca italiana L?indagine ha reclutato 100 bambini di et? uguale o inferiore ai 2 anni e mezzo, con RVU di grado II, III o IV, accertata con cistouretrografia in seguito a un primo episodio di pielonefrite acuta. I bambini sono stati assegnati, in aperto, a ricevere un trattamento con placebo o con sulfametossazolo/trimetoprim per i 2 anni seguenti. Al termine del follow up i ricercatori non hanno rilevato differenze significative fra i due gruppi rispetto alla ricorrenza di pielonefrite, n? per la presenza di un maggior numero di cicatrici renali. ?I dati che abbiamo raccolto nel corso di questi 6 anni di indagine ? precisa Alessandro Ventura direttore della Clinica Pediatrica IRCCS Burlo Garofolo dell`Universit? di Trieste ? suggeriscono che il RVU non rappresenta un fattore di rischio per la pielonefrite ricorrente, come invece si pensava. L?importante, ora, sar? inserire questa scoperta nelle linee guida pediatriche, diffondendola anche tra i pediatri di libera scelta?.
Conclusioni ?Lo studio appena concluso – spiega Marco Pennesi responsabile del Servizio di nefrologia della clinica pediatrica dell`IRCCS Burlo Garofolo ? pone due punti fermi nel trattamento delle pielonefriti in bambini con RVU. Innanzitutto, indica che l?antibiotico-profilassi non aiuta a prevenire le infiammazioni renali acute ricorrenti; in secondo luogo, conferma che l?approccio finora usato non modifica neppure il corso naturale della malattia, poich? non riduce significativamente l?incidenza di danno renale, indicato dalla presenza di cicatrici?. L?opzione migliore per trattare le pielonefriti in bambini con RVU consiste quindi in una diagnosi precoce seguita, solo in caso di reale necessit?, dalla somministrazione mirata e temporanea di antibiotici.
Elisabetta Lucchesini (Pennesi M et al. Is Antibiotic Prophylaxis in Children With Vesicoureteral Reflux Effective in Preventing Pyelonephritis and Renal Scars? A Randomized, Controlled Trial. Pediatrics 2008; published online May 19
La resezione transuretrale della prostata (TURP) allevia i sintomi a carico del tratto urinario inferiore negli uomini con una scarsa contrattilit? della vescica che non rispondono al trattamento medico. Bench? i miglioramenti postoperatori dei sintomi ed il grado di soddisfazione soggettiva del paziente siano inferiori in questi casi rispetto a quelli con ostruzione esterna all’efflusso vescicale o normale contrattilit? detrusoriale, la TURP comunque offre miglioramenti significativi anche a questi pazienti. I fattori clinici che predicono il successi della TURP nei casi di scarsa contrattilit? vescicale dovrebbero essere definiti tramite studi prospettici multicentrici. (Urology 2008; 71: 657-61)
L’ecodoppler dovrebbe essere il primo esame radiologico nei pazienti adulti con sospetta appendicite acuta: La TAC dovrebbe essere riservata ai pazienti in cui l’ecografia ha portato a dati inconcludenti, oppure a quelli con segni e sintomi classici per i quali il grado di sospetto clinico rimane elevato. Le principali ragioni per le quali tentare prima l’ecografia consistono nella mancanza di esposizione alle radiazioni, significativa specialmente in una popolazione composta eminentemente di pazienti giovani, nella maggiore disponibilit? e nei costi pi? limitati. Dato per? il tasso relativamente elevato di falsi negativi, , l’ecografia non dovrebbe essere usata per escludere l’appendicite acuta nei pazienti con un elevato grado di sospetto clinico, nei quali ? necessario effettuare una TAC. (Am J Roentgenol 2008; 190: 1300-6)
Sussiste un’associazione fra il fuoco di Sant’Antonio ed una storia familiare di herpes zoster (HZ). L’anamnesi familiare e probabilmente anche marcatori genetici potrebbero essere usati per incoraggiare i soggetti a rischio a farsi vaccinare, riducendo cos? la morbidit? e le spese sanitarie per le complicazioni dell’HZ. Inoltre, i soggetti a rischio che scelgono di non farsi vaccinare potrebbero almeno essere eruditi su segni e sintomi dell’HZ. E’ stato documentato un rapporto dose-effetto sull’influenza sul rischio del numero di parenti con HZ: con la disponibilit? dei nuovi vaccini preventivi e posterpetici per il pubblico, nonch? la vasta base di prove del fatto che le malattie infettive e dermatologiche siano associate a fattori genetici, ? importante prendere in considerazione la possibilit? di una suscettibilit? ereditaria. (Arch Dermatol. 2008; 144: 603-8)
I ricercatori del POISE (Perioperative Ischemic Evaluation) Study Group hanno preso in esame 8351 pazienti a rischio o con patologie aterosclerotiche in atto sottoposti a interventi chirurgici non cardiaci, e li hanno randomizzati a metoprololo succinato o placebo per 30 giorni. Il rischio di mortalit? ? risultato pi? elevato del 33 per cento nel gruppo randomizzato a metoprololo succinato, e il rischio di ictus pi? che doppio. ?I nostri risultati sottolineano come ritenere che l?assunzione di ?-bloccanti in regime perioperativo sia priva di rischi sia avventato?, afferma P.J. Deveraux della McMaster University, uno dei ricercatori autori dello studio. ?I ?-bloccanti vanno somministrati con cautela nel periodo perioperativo, a basso dosaggio e con la supervisione di clinici esperti nell?emodinamica durante la chirurgia?, commenta Lee A. Fleischer dell?University of Pennsylvania School of Medicine.
Bibliografia. POISE Study Group. Effects of extended-release metoprolol succinate in patients undergoing non-cardiac surgery (POISE trial): a randomised controlled trial. The Lancet 2008; DOI:10.1016/S0140-6736(08)60601-7.
La gravidanza ? associata a intolleranza glucidica e insulino-resistenza. Questo ha portato a raccomandare lo screening di tutte le gestanti per il diabete e il trattamento di quelle con test di tolleranza al glucosio oltre le soglie stabilite, con revisioni sui criteri di diagnosi di diabete gestazionale. Tuttavia, sta emergendo che anche intolleranze glucidiche di grado minore possono aumentare il rischio di complicanze perinatali: uno studio canadese, per esempio, ha mostrato che valori del test pi? alti del normale, ma non abbastanza da essere classificati come diabete, comportano esiti simili a quelli delle gestanti con i criteri del dismetabolismo. Evidenze dei rischi gi? a livelli d’iperglicemia meno gravi sono state raccolte da uno studio internazionale che ha coinvolto pi? di 23 mila donne in gravidanza di nove paesi di quattro continenti. Lo studio HAPO (Hyperglicemia and Adverse Pregnancy Outcome) si ? rivolto a donne sottoposte, tra le ventiquattro e le trentadue settimane di gravidanza, a test di carico orale con 75 g di glucosio, selezionandole, in cieco, con glicemia a digiuno di 105 mg/dl o glicemia due ore dopo il test inferiore i 200 mg/dl. Alcune di esse, con valori glicemici da 140 a 200 mg/dl sarebbero dovute rientrare nei criteri di diabete gestazionale, ma essendo la loro iperglicemia considerata moderata si ? ritenuto etico non sottoporle a trattamento. E’ stata elaborata una stima del tasso di esiti avversi per incrementi di valore statistico (1 deviazione standard) della glicemia a digiuno, di quella un’ora dopo il test e due ore dopo. E’ emerso un aumento del rischio di peso in eccesso alla nascita, di livelli elevati di peptide C nel sangue ombelicale, di parto cesareo e di ipoglicemia neonatale direttamente proporzionale ai tassi glicemici materni, a digiuno o a un’ora dal test o a due ore. Non si ? dimostrata in altre parole una soglia di incremento di rischio anche in seguito ad aggiustamento per potenziali elementi confondenti (BMI materno o precedenti microsomia o diabete gestazionale). Associazioni significative con i valori glicemici delle madri, anche se pi? deboli, sono state rilevate anche per gli endpoint secondari: parto prima della 37a settimana o difficoltoso o traumatico, iperbilirubinemia (da cui ittero), preeclampsia (ipertensione gravidica), necessit? di cure intensive neonatali. Una delle riflessioni proposte dallo studio ? stata quella di abbassare le soglie per la diagnosi e il trattamento del diabete gestazionale. Un’ipotesi da sondare, anche se sembra difficile dimostrare che trattando intolleranze glucidiche meno severe si possano migliorare significativamente gli esiti. Anche perch?, l’associazione pi? marcata ? stata con i livelli di peptide C, che di per s? non sembra clinicamente preoccupante, mentre gli esiti pi? preoccupanti, come la necessit? del cesareo, aumentavano solo moderatamente con gli incrementi glicemici materni. Il giudizio prudente ? quindi di aspettare che si dimostrino benefici clinici, prima di pensare a rivedere i criteri. Il diabete gestazionale ha, per?, ricevuto attenzione primariamente come elemento predittivo di futuro diabete delle stesse donne, e identificare quelle con probabilit? di sviluppare la malattia offre la possibilit? d’intervenire per ridurre questo rischio. Aspetto tutt’altro che trascurabile dal momento che i dati americani indicano che, tra il 1999 e il 2005, la prevalenza del diabete preesistente nelle donne gravide da 20 a 39 anni ? raddoppiata e nelle teenager ? quintuplicata. (N Engl J Med 2008; 358:1991-2002) ?-bloccanti e chirurgia non cardiaca, gravi rischi
La proteina troponino-simile del muscolo liscio chiamata calponina potrebbe costituire un innovativo biomarcatore per la diagnosi precoce della dissezione aortica acuta. La calponina, in congiunzione con altri test ematici ed ai test d’immagine rapidi, come radiografia toracica ed ecocardiogramma, potrebbe potenzialmente aiutare in questo campo, anche nella scelta del miglior test d’immagine susseguente, come TAC ed RM, e del trattamento immediato. La dissezione aortica acuta ? potenzialmente catastrofica, e la diagnosi precoce ? un prerequisito per trattamento e sopravvivenza. La troponina cardiaca ? un affidabile marcatore di ischemia cardiaca ed infarto. Dopo pi? di 10 anni di ricerca, i primi prodotti commercialmente disponibili si avranno nei prossimi anni. Lo scopo collettivo consiste nell’aumentare la consapevolezza della malattia e garantire metodi come questo semplice test ematico per aiutare nella diagnosi. (Eur Heart J 2008; 29: 1439-45)