Parkinson: chiarito ruolo mutazioni PINK1

16 Ago 2008 Neurologia

Le mutazioni omozigoti PINK1 possono manifestarsi in forme ad insorgenza precoce autosomiche recessive di morbo di Parkinson, mentre le singole mutazioni eterozigoti dello stesso gene potrebbero svolgere un ruolo nello sviluppo delle forme sporadiche e predisporre a quelle familiari della malattia. Le mutazioni causali per le forme autosomiche recessive del morbo di Parkinson sono PARK2, PARK7 e PINK1. Le prime due sono le pi? frequenti, bench? la terza venga riportata spesso di recente. Non sono comunque stati effettuati abbastanza studi di grandi dimensioni per poter definire frequenza, distribuzione e caratteristiche cliniche della malattia associata a mutazioni PINK1. (Arch Neurol 2008; 65: 802-8)

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Metabolica: meglio l’esercizio intenso

I soggetti con sindrome metabolica potrebbero trarre beneficio da un regime d’esercizio che preveda un allenamento aerobico ad intervalli. L’esercizio ad elevata intensit? di fatto annulla la maggior parte dei fattori di rischio associati alla sindrome metabolica: gi? dopo 16 settimane essa scompare, senza agire in alcun modo sulla dieta. L’esercizio moderato e costante non ha effetti tanto impressionanti. La raccomandazione di effettuare ogni giorno 30 minuti di esercizio di intensit? moderata potrebbe dunque non essere ottimale in questo specifico gruppo di pazienti ad alto rischio. L’esercizio intenso ? inoltre indicato sia per i pazienti con insufficienza cardiaca che nei coronaropatici. (Circulation online 2008, pubblicato l’8/7)

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Statine utili in cardiochirurgia

La terapia statinica, somministrata per un periodo di tempo indeterminato prima di un intervento cardiochirurgico di qualsiasi tipo, determina quasi il dimezzamento del rischio di mortalit? complessiva. Tale terapia comunque non influenza il rischio di infarto o insufficienza renale dopo l’intervento. L’uso empirico delle statine per tutti i pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici appare tuttavia prematuro, e lo sar? finch? non saranno accumulati dati sufficienti dai futuri studi randomizzati in materia. Senza giungere a ci?, per?, ? ragionevole e conforme alle attuali linee guida suggerire un trattamento statinico preoperatorio intensificato, seguito da un adeguato regime postoperatorio, in tutti i pazienti iperlipidemici con fattori di rischio cardiaco multipli e coronaropatie in lista per un intervento cardiochirurgico. (Eur Heart J 2008; 29: 1548-59)

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Ca prostata: deprivare androgeni non basta

13 Ago 2008 Oncologia

La deprivazione androgenica primaria, utilizzata da sola al posto di chirurgia o radiazioni, non migliora la sopravvivenza pi? del trattamento conservativo nella maggior parte degli uomini anziani con tumore prostatico localizzato. Ci? dunque questiona il recente uso comune di questa strategia., , soprattutto considerando i suoi costi ed effetti collaterali significativi. Quando la deprivazione androgenica viene usata in congiunzione con chirurgia o radiazioni, comunque, essa ? davvero in grado di migliorare la sopravivenza complessiva. Essa ? di beneficio in sottogruppi specifici di pazienti, come quelli con tumori poco differenziati, ma necessita di un razionale ben giustificato. (JAMA. 2008; 300: 173-81)

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La formula del ricorso al pronto soccorso

Un algoritmo derivato dalla popolazione pu? aiutare a prevedere futuri ricoveri d’urgenza nel corso dell’anno successivo nei soggetti dai 40 anni in su. Le attuali linee guida internazionali hanno sottolineato l’importanza di gestire le patologie a lungo termine nella popolazione con lo scopo di prevenire i ricoveri d’urgenza. Sono gi? stati sviluppati algoritmi e regole in precedenza, ma essi sono limitati ai soggetti al di sopra dei 65 anni, ed in genere riguardano solo i ricoveri ripetuti. In base a quanto rilevato, i maggiori fattori predittivi di ricovero dai 40 anni in su comprendono et?, sesso maschile, elevati livelli di deprivazione sociale, precedenti prescrizioni di analgesici, antibiotici, nitrati e diuretici, numero di medicinali respiratori assunti, numero di ricoveri precedenti e numero di giorni precedentemente trascorsi a letto. Il modello proposto pu? essere implementato a livello del singolo paziente oppure a livello del medico di famiglia per focalizzare la gestione dei casi clinici. (Arch Intern Med. 2008; 168: 1416-22)

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Il tipo 2 comincia prima di nascere

L’esposizione intrauterina a fattori materni quali diabete ed obesit? ? fortemente associata al diabete di tipo 2 nei giovani. Oltre all’obesit? infantile, potrebbe essere necessario rivolgere le risorse della prevenzione anche verso il numero sempre crescente delle gravidanze complicate dall’obesit?. E’ in aumento l’interesse nell’ipotesi secondo cui l’obesit? materna durante la gravidanza, anche in assenza di diabete conclamato, sia anche associata ad anomalie metaboliche per tutta la vita nella prole, come l’obesit? o i segni della sindrome metabolica, ma i dati in merito scarseggiano: quanto recentemente rilevato, comunque, supporta fortemente questa ipotesi. (Diabetes Care. 2008; 31: 1422-6)

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Ormonali transdermici evitano colecistectomia

Le malattie della colecisti, comprendenti colelitiasi e colecistiti e spesso destinate a sfociare nella colecistectomia, sono comuni nelle donne in menopausa, e l’uso dell’HRT ne incrementa il rischio, ma l’applicazione di una terapia ormonale transdermica in luogo di quella orale potrebbe evitare una colecistectomia ogni 140 pazienti nell’arco di cinque anni. Nelle donne sotto HRT, il rischio di patologie della colecisti ? nettamente maggiore con l’uso di estrogeni equini che con quello di estradiolo, ed anche i dosaggi impiegati sono connessi al rischio, esponendo maggiormente le pazienti sottoposte a terapie pi? intense. (BMJ online 2008, pubblicato l’11/7)

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Il rischio fratture si calcola con un quiz

Un indice ecografico quantitativo della rigidit? ossea e quattro fattori di rischio clinici possono essere utilizzati come alternativa alla DXA per individuare le donne ad alto rischio di fratture osteoporotiche. L’ecografia quantitativa del tallone non ? invasiva, non comporta l’uso di radiazioni ed ? relativamente poco costosa, inoltre aiuta a predire il rischio di frattura indipendentemente dalla DXA. Ai fini del calcolo dell’indice di rischio di frattura, il punteggio viene assegnato come segue: due punti per l’et? avanzata, due punti per un basso indice di rigidit? ossea all’ecografia, un punto per la presenza di fratture nell’anamnesi patologica, un punto e mezzo per cadute recenti e un punto per il fallimento del test della sedia. L’uso di questo punteggio aiuta a distinguere con una sensibilit? elevata le donne ad alto rischio di fratture osteoporotiche da quelle a basso rischio. Si tratta di un semplice strumento che pu? essere applicato sistematicamente nella valutazione delle pazienti anziane. Inoltre, l’integrazione dei parametri ecografici quantitativi del tallone potrebbe costituire un’efficace alternativa alla DXA in vista del previsto aumento nella richiesta di trattamenti per l’osteoporosi nel prossimo decennio. (Radiology 2008; 248: 179-84)

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Endometriosi: conservare ? possibile

L’escissione laparoscopica locale delle lesioni endometriosiche ? associata a buoni esiti a breve termine, ma porta a un elevato tasso di nuovi interventi nel lungo periodo. L’isterectomia, d’altro canto, bench? spesso considerata troppo radicale, ? associata a un basso tasso di nuovi interventi, e la preservazione delle ovaie ? un’opzione praticabile. L’escissione locale conservativa presenta, infatti, un tasso di fallimento molto pi? elevato rispetto all’isterectomia, con o senza preservazione delle ovaie. Nelle donne fra i 30 e i 39 anni, la rimozione delle ovaie comunque non migliora significativamente l’intervallo di tempo libero da interventi chirurgici. Certamente l’isterectomia comporta un tasso di recidiva molto pi? basso, ma la radicalit? dell’intervento ne limita le applicazioni, soprattutto per le donne che desiderano una gravidanza. Contrariamente ai dogmi vigenti, la rimozione delle ovaie nelle donne soggette all’isterectomia non ha un impatto importante sul tasso di successo della terapia, e pertanto si dovrebbe tenere in considerazione l’ipotesi di non rimuoverle. (Obstet Gynecol 2008; 111: 1285-92)

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L’HPV non danneggia solo la cervice uterina

I fattori di rischio dei carcinomi squamocellulari invasivi di vulva e vagina comprendono infezione da HPV, fumo di tabacco e consumo di alcool. Il 62% delle pazienti analizzate risulta positivo per i ceppi di HPV associati al rischio di tumori della cervice, mentre solo l’1% risulta positivo per un ceppo a basso rischio. Nel complesso, l’89% dei tumori squamocellulari della vagina sono positivi per ceppi ad alto rischio dell’HPV, contro il 50% dei carcinomi della vulva. I fattori di rischio statisticamente significativi per tumore squamocellulare della vulva comprendono verruche anogenitali, status coniugato, abitudine al fumo, consumo di alcool cumulativo e numero di anni di studio. I fattori di rischio pi? significativi per tumore squamocellulare della vagina comprendono invece le abitudini relative all’igiene intima prima e dopo i rapporti sessuali, l’anamnesi di tumori cervicali preinvasivi o invasivi, l’abitudine al fumo e il consumo cumulativo di alcool. Questi dati suggeriscono che la vaccinazione contro l’HPV potrebbe verosimilmente proteggere anche da una notevole proporzione di tumori vulvari e vaginali. (Int J Cancer 2008; 122: 2827-34)

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