Uno studio ha documentato malformazioni in un neonato, sottoposto a trapianto di rene, che aveva assunto Micofenolato Mofetile ( CellCept ), un immunosoppressore.
Quasi 14.000 neonati sono stati sottoposti a trapianto d?organo, soprattutto trapianto di rene, nel mondo. Gli immunosoppressori sono impiegati per prevenire, inibire o ridurre, la naturale reazione contro tessuti estranei; tuttavia questi farmaci presentano importanti effetti indesiderati.
L?FDA ( Food and Drug Administration ) suddivide gli immunosoppressori in 4 categorie ( A, B, C e D ) riguardo alla tossicit? nei confronti del feto. Il Micofenolato Mofetile ? stato spostato in classe D ad indicare che il farmaco non deve essere impiegato in gravidanza.
Gli immunosoppressori sono anche somministrati a donne con gravi malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico. Tre dei 10 bambini con malformazioni, descritti in letteratura, sono nati da madri che erano in trattamento con Micofenolato Mofetile a causa di nefrite lupica.
Medici dell?Hospital Universitario Materno-Infantile La Fe a Valencia, in Spagna, hanno descritto il caso di una donna di 25 anni che era stata sottoposta a due trapianti di rene. Dopo il secondo trapianto, la donna aveva assunto farmaci immunosoppressori, Tacrolimus ( Protopic ) e Micofenolato Mofetile. Due anni pi? tardi, la donna ? divenuta gravida ed il Micofenolato Mofetile ? stato sospeso alla 10.a settimana di gestazione, mentre il Tacrolimus ? stato mantenuto.
La donna ha partorito una bambina con labiopalatoschisi e difetti alla mandibola, occhi ed orecchi, tra cui l?assenza dei canali uditivi esterni.
Le caratteristiche dei difetti riscontrati in questa bambina sono molto simili a precedenti segnalazioni di difetti alla nascita nei neonati esposti al Micofenolato Mofetile durante la vita fetale. Sebbene i difetti oculari non siano stati prima osservati negli esseri umani, studi su animali ( ratti e conigli ) avevano mostrato malformazioni oculari dopo esposizione al Micofenolato Mofetile.
La nascita pretermine ? una delle principali cause di morbilit? e mortalit? infantile. Tuttavia ci sono pochi dati riguardo allo stato di salute nel lungo periodo tra le persone nate pretermine.
Uno studio, coordinato da Ricercatori della Duke University Medical Center a Durham negli Stati Uniti, si ? posto l?obiettivo di determinare gli effetti nel lungo periodo della nascita pretermine sulla sopravvivenza, sulla riproduzione e sulla nascita pretermine della successiva generazione.
Lo studio longitudinale, osservazionale, basato sulla popolazione, si ? avvalso dei dati del Medical Birth Registry of Norway 1967-1988, riguardanti 1.167.506 nascite non-gemellari. La coorte ? stata seguita fino al 2002 per la sopravvivenza. Per la valutazione dell?outcome riproduttivo sono state prese in considerazione le nascite comprese tra il 1967 ed il 1976, ed il follow-up ? stato fino al 2004.
La percentuale dei soggetti nati pretermine ? risultata pi? alta tra i maschi ( 5.6% ) che tra le femmine ( 4.7% ).
I soggetti pretermine hanno presentato un aumentato rischio di mortalit? nel corso dell?infanzia.
Per i maschi nati dopo 22-27 settimane di gestazione, la percentuale di mortalit? era pari a 1.33% e 1.01% per la morte infantile precoce e tardiva, con rischi relativi ( RR ) di 5.3 e 7.0, rispettivamente. La percentuale di mortalit? per le femmine nate nel periodo 22-27 settimane, era pari all?1.71% per la morte infantile precoce, con un RR di 9.7; non sono state osservate morti infantili tardive.
Per la nascita pretermine compresa tra 28 e 32 settimane, la mortalit? infantile precoce e tardiva tra i maschi era pari a 0.73% e 0.3%, con RR di 2.5 e 2.3, rispettivamente. Le femmine nate dopo 28-32 settimane di gestazione non hanno presentato un significativo aumento del rischio di mortalit? infantile.
La riproduzione ? risultata diminuita per i soggetti nati pretermine.
Per gli uomini e le donne nati tra la 22.a e la 27.a settimana, la riproduzione assoluta era 13.9% e 25%, con RR di 0.24 e 0.33, rispettivamente. Per quelli nati tra la 28.a e la 32.a settimana, la riproduzione assoluta era pari al 38.6% e 59.2% per gli uomini e le donne, con RR di 0.7 e 0.81, rispettivamente.
Le donne pretermine, ma non gli uomini, erano ad aumentato rischio di avere prole pretermine. Swamy GK et al, JAMA 2008; 299: 1429-1436
La somministrazione di Peginterferone alfa e Ribavirina negli adulti con epatite C cronica, rappresenta la terapia standard. Tuttavia questo regime terapeutico fa sorgere diverse controversie.
Ricercatori dell?University of Medical Sciences a Poznam in Polonia hanno analizzato gli effetti avversi durante il trattamento con Interferone alfa pegilato e Ribavirina nei bambini con epatite C cronica.
Allo studio hanno preso parte 30 bambini con epatite C cronica di et? compresa tra 8 e 19 anni ( in media 13,6 anni ), 9 ragazze e 21 ragazzi.
A tutti i pazienti ? stato somministrato Peginterferone alfa-2b ( PegIntron ) al dosaggio di 1.5 microg/kg, 1 volta a settimana per via sottocutanea, e Ribavirina ( Rebetol ) 15 mg/kg/die, per 48 settimane.
Sono state riscontrate anormalit? nei test di laboratorio ( leucociti, neutrofili, emoglobina ), soprattutto durante le prime settimane di trattamento.
Il livello medio di emoglobina e delle piastrine ? risultato normale, mentre i valori medi di ALT ( alanina aminotransferasi ) si sono normalizzati durante il trattamento.
Dopo 12-16 settimane di terapia gli eventi avversi somatici si sono ridotti in modo significativo.
Lo studio ha mostrato che la somministrazione di Peginterferone alfa e Ribavirina nei bambini con epatite C cronica ? correlata ad effetti avversi caratteristici. E? necessaria la riduzione periodica del dosaggio. Nonostante gli effetti indesiderati, i bambini hanno frequentato la scuola senza difficolt?. Nel corso del trattamento i pazienti devono essere sottosposti ad un costante monitoraggio.
Kowala-Piaskowska A et al, Pharmacoepidemiol Drug Saf 2007; 16: 1095-1103
Un?analisi post hoc dello studio VALIANT ( Valsartan in Acute myocardial iNfarcTion ) ha mostrato che valori pressori sistolici sai elevati che bassi dopo infarto miocardico acuto sono associati ad un aumentato rischio di successivi eventi cardiovascolari.
Lo studio VALIANT aveva arrulato 14.703 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, insufficienza cardiaca o entrambi; la pressione sistolica era maggiore di 100 mmHg dopo infarto miocardico ( 12 ore ?10 gironi ).
Un totale di 8.575 pazienti presentava ipertensione prima dell?infarto miocardico, e di questi molti erano in trattamento con farmaci antipertensivi.
I pazienti con precedente ipertensione presentavano un aumentato rischio di ictus, ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, morte cardiovascolare, ed outcome combinato di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ospedalizzazione per scompenso cardiaco, ictus o morte improvvisa o arresto cardiaco resuscitato nell?anno successivo all?infarto miocardico, rispetto ai pazienti senza storia di ipertensione ( hazard ratio, HR= 1,27; 1,19; 1,11; e 1,13 rispettivamente ).
Dei 10.532 pazienti in cui, nel corso di 6 mesi, non si era manifestato un evento cardiovascolare, il 14,5% presentava un?elevata pressione sistolica ( > 140 mmHg ), mentre il 5,7% aveva bassi valori di pressione sistolica ( < 100 mmHg ), tra 1 e 6 mesi dopo infarto miocardico.
Rispetto ai pazienti con normali valori di pressione sanguigna nel post-infarto, i pazienti con bassa pressione sanguigna presentavano un aumentato rischio di scompenso cardiaco ( HR=1,49 ), morte cardiovascolare ( HR=1,48 ), morte per tutte la cause ( HR=1,46 ), e outcome cardiovascolare combinato ( HR=1,32 ).
I pazienti con elevati valori di pressione sistolica durante il periodo post-infartuale, compreso tra 1 e 6 mesi, hanno presentato un aumento significativo del rischio di ictus ( HR=1,64 ) e dell?outcome cardiovascolare combinato ( HR = 1,41 ).
Fonte: Hypertension, 2007
Le pazienti con carcinoma ovarico in stadio I, appartenenti alla classe definita ad alto rischio sono candidabili ad un trattamento adiuvante postchirurgico, in monochemioterapia o polichemioterapia. Le pazienti in stadio II devono ricevere un trattamento chemioterapico adiuvante polichemioterapico.
Stadio IA o IB e grado 1-2: solo chirurgia Una chirurgia conservativa ( ovariectomia monolaterale ) pu? essere presa in considerazione in donne di et? inferiore ai 40 anni, fertili, con desiderio di prole solo in casi estremamente selezionati.
Stadio IA o IB e grado 3 o stadio IC o stadio II senza malattia residua: chirurgia o chemioterapia sistemica.
La chemioterapia sistemica consiste di: Carboplatino + Paclitaxel ogni 3 settimane per 3 – 6 cicli oppure Carboplatino ogni 3 settimane per 6 cicli.
L?analisi combinata di 2 studi clinici controllati ( ICON-1 e ACTION ), oltre a dimostrare l?efficacia clinica delle chemioterapia adiuvante con schemi comprendenti il Platino, suggerisce che nel caso di malattia in stadio I, dopo stadiazione chirurgica ottimale, e basso grado pu? essere presa in considerazione l?ipotesi di non somministrare la chemioterapia adiuvante.
Il carcinoma mammario, oltre ad essere il pi? frequente tipo di tumore nelle donne, ? anche la prima causa di morte per cancro. Il numero delle donne interessate ? molto alto; basti pensare che nel 2002 questo tipo di tumore ? stato diagnosticato a circa 1,15 milioni di donne nel mondo, e circa 410.000 sono morte in seguito alla medesima patologia. Nei Paesi industrializzati il 75% di tutti i carcinomi mammari colpisce donne in postmenopausa e circa l?80% dei casi risulta positivo per il recettore dell?ormone.
Dal punto di vista terapeutico, fino a poco tempo fa il farmaco antiestrogenico Tamoxifene ( Nolvadex ) rappresentava il trattamento di prima scelta per le donne in menopausa con tumore mammario positivo per il recettore dell?ormone, grazie ai suoi effetti di riduzione della recidiva della malattia e sulla mortalit? a 5 anni, in assenza o in presenza di chemioterapia.
Tuttavia, nonostante l?efficacia della terapia a base di Tamoxifene, i tassi di recidiva sono rimasti alti ( circa il 2% per anno a lungo termine ), ed oltre il 30% delle donne va incontro a recidiva entro 15 anni. Il farmaco inoltre causa, in una piccola percentuale di donne, gravi effetti collaterali tra i quali aumento dell?incidenza di tumore dell?endometrio, tromboembolia ed eventi cerebrovascolari.
Queste osservazioni, unite alla rilevanza del problema, hanno portato ad un proliferare di studi clinici con particolare attenzione al confronto tra il Tamoxifene e gli inibitori dell?aromatasi di terza generazione, che sono apparsi offrire significativi vantaggi in termini di efficacia e sicurezza. Oggi, gli inibitori dell?aromatasi sono raccomandati come trattamento adiuvante per le pazienti in postmenopausa con carcinoma mammario di stadio iniziale e positivo per i recettori dell?estrogeno.
Tuttavia, molte le domande sugli inibitori dell?aromatasi non avevano risposta: per quanto tempo perdurano gli effetti positivi o negativi dopo l?interruzione del trattamento ? Qual ? la durata pi? appropriata del trattamento ? Quali sono i benefici del trattamento iniziale con inibitori dell?aromatasi rispetto al trattamento dopo 2 anni con Tamoxifene ?
Lo studio ATAC
Obiettivo dello studio ATAC ( Arimidex, Tamoxifen, Alone or in Combination ) ? stato quello di confrontare l?efficacia e la sicurezza dell?Anastrozolo ( Arimidex ), un inibitore dell?aromatasi, rispetto al Tamoxifene, per 5 anni, come trattamento adiuvante iniziale nei pazienti in postmenopausa con carcinoma mammario positivo per i recettori dell?estrogeno. I dati dello studio clinico hanno evidenziato un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da malattia e del tempo alla recidiva, legato all?uso di Anastrozolo. Il farmaco inoltre ? risultato associato ad una significativa diminuzione degli effetti collaterali gravi in genere conseguenti all?uso del Tamoxifene.
Il periodo di follow-up ? stato di 100 mesi. Questo ? il pi? lungo periodo di osservazione che riguardi studi con inibitori dell?aromatasi.
Da questo studio ? emerso che, con Anastrozolo, i benefici in termini di ricaduta della malattia nelle pazienti positive per i recettori ormonali sono maggiori rispetto a quelli osservati con il Tamoxifene, e sono mantenuti anche dopo il termine del trattamento. La riduzione delle ricaduteche continua nel tempo, rispetto a Tamoxifene, porta a calcolare che le pazienti trattate con Anastrozolo hanno una diminuzione delle ricadute pari al 50% , nel periodo post-trattamento, rispetto alle pazienti non trattate.
I dati relativi alle morti dopo ricaduta hanno mostrato una diminuzione del 9% ( Anastrozolo, n=350; Tamoxifene, n=382 ) e del 10% ( Anastrozolo, n=245; Tamoxifene, n=269 ) nel gruppo totale di pazienti e nel sottogruppo positivo per i recettor i dell?estrogeno, rispettivamente. Queste differenze per? non sono risultate significative a causa del limitato numero di decessi dopo recidiva ed ? dunque necessario un periodo osservazionale pi? lungo per raggiungere l?eventuale significativit?.
Per il 2010 ? previsto un altro step di analisi; per quella data tutte le pazienti avranno raggiunto o superato i 10 anni dalla data della loro iniziale randomizzazione.
Dallo studio non sono emerse differenze significative sulla sopravvivenza totale; questo potrebbe essere dovuto all?eccesso ( non significativo ) di decessi per altre cause senza ricaduta . Tali decessi infatti forniscono il contributo maggiore al calcolo della sopravvivenza totale. L? eccesso di morti per cause diverse dal tumore ? probabilmente casuale ed in particolare non ? stato osservato un incremento di morti per cause cardiovascolari: quest?ultima osservazione costituisce una sorta di rassicurazione rispetto ai dubbi sorti sulla potenziale pericolosit? di altri inibitori dell?aromatasi in termini di aumento dell?incidenza di gravi eventi cardiovascolari.
Il profilo di sicurezza per l?Anastrozolo, stabilito dallo studio ATAC con follow-up a 68 mesi, ? stato confermato anche dopo il prolungamento del periodo di follow-up a 100 mesi.
Mentre l?effetto dell?Anastrozolo e del Tamoxifene sulla percentuale di ricadute da carcinoma mammario si estende oltre il termine del trattamento, l?aumento dell?incidenza delle fratture, osservate con Anastrozolo, sembra essere limitato al periodo di trattamento attivo e non si protrae oltre il suo completamento.
In particolare il numero di eventi avversi gravi, associati al trattamento, si ? mantenuto pi? basso per l?Anastrozolo, rispetto al Tamoxifene, durante tutto il periodo osservazionale e sono risultati simili dopo il termine del trattamento.
E? stata osservata una diminuzione del numero dei tumori dell?endometrio con Anastrozolo. Questo risultato potrebbe essere legato ad un effetto protettivo delle pi? basse concentrazioni di estrogeni o all?aumento dell?incidenza legato al Tamoxifene, o ad entrambe le ragioni.
Il trattamento con Tamoxifene potrebbe anche essere associato ad un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari, che sembrano essere comunque limitati al periodo di trattamento.
E? stata osservata con l?Anastrozolo, rispetto al Tamoxifene, una minore incidenza di vampate di calore, sintomi ginecologici, isterectomie ed eventi venosi tromboembolitici.
In conclusione, lo studio ATAC con un follow-up di 100 mesi, ha fornito ulteriori prove a favore dell?uso per 5 anni dell?Anastrozolo, come trattamento endocrino iniziale per le donne in menopausa con tumore mammario positivo per i recettori dell?estrogeno.
Lo studio PCPT ( The Prostate Cancer Prevention Trial ) ha riportato una ridotta incidenza di tumore alla prostata, ma un aumento nell?incidenza del tumore prostatico ad alto grado con la Finasteride ( Proscar ), rispetto al placebo.
Ricercatori dell?University of Colorado a Denver negli Stati Uniti, hanno valutato se l?aumento del tumore alla prostata ad alto grado rappresentasse un potenziale effetto della Finasteride sulla morfologia tumorale e sulla dimensione della prostata.
Sono state esaminate le biopsie prostatiche con punteggio Gleason 8-10 ( n=282 con Finasteride; n=306 con placebo ), e con punteggio Gleason 7-10 ( n=282 con Finasteride; n=306 con placebo ).
I cambiamenti ormonali degenerativi nelle biopsie hanno equivalenti tra i gruppi Finasteride e placebo; ma il volume della prostata era inferiore nel gruppo Finasteride ( mediana :25,1 versus 34,4 cm3; P<0,001 ).
I surrogati patologici per l?estensione del tumore erano pi? bassi con la Finasteride che con il placebo, comprendendo la percentuale media dei core positivi ( 34% versus 38%; P= 0,016 ), l?estensione lineare media del tumore [ 4,4 versus 4,8 mm; P=0,19; aggregato: 7,6 versus 9,2 mn; P=0,13 ), la bilateralit? ( 22,8% versus 30,6%; P=0,46 ) e l?invasione perineurale ( 14,2% versus 20,3%; P=0,07 ).
Tra i pazienti sottoposti a prostectomia, l?aumento associato alla Finasteride nella malattia ad alto grado ( punteggio Gleason maggiore o uguale a 7 ) al basale ( 42,7% nel gruppo Finasteride versus 25,4% nel gruppo placebo ; P< 0,001 ) ? diminuito al momento della prostectomia ( 46,4% gruppo Finasteride versus 38,6% gruppo placebo; P=0,10 ).
La biopsia ha permesso di identificare una maggiore proporzione di pazienti con malattia ad alto grado, presente alla prostatectomia, nel gruppo Finasteride che nel gruppo placebo ( 69,7% versus 50,5%; P=0,01 ).
Secondo gli Autori, gli effetti della Finasteride sul volume della prostata e l?inibizione selettiva del tumore a basso grado, piuttosto che gli effetti sulla morfologia tumorale, possono avere contribuito all?aumento dei tumori ad alto grado nel gruppo Finasteride nello studio PCPT. Sebbene l?induzione del tumore ad alto grado non pu? essere esclusa, i risultati hanno indicato che il tumore ad alto grado pu? essere scoperto precocemente ed era meno esteso meno esteso nel gruppo Finasteride che nel gruppo placebo.
Scott Lucia M et al, J Natl Cancer Inst 2007; 99: 1375-1383
La psoriasi generalizzata ? una variante grave ed invalidante di psoriasi. Il trattamento di questa forma di psoriasi ? spesso caratterizzato da effetti indesiderati o da risposte insoddisfacenti.
Etanercept ( Enbrel ) ? una proteina di fusione del recettore umano p75 del fattore di necrosi tumorale con frazione Fc, con un?attivit? antagonista riguardo al TNF-alfa.
Ricercatori dell?Universit? di Roma Tor Vergata, hanno valutato l?efficacia e la sicurezza di Etanercept, a differenti dosaggi, nella psoriasi pustolosa generalizzata.
Sei pazienti, affetti da psoriasi pustolosa generalizzata, non-responder al trattamento convenzionale, hanno ricevuto Etanercept per via sottocutanea ai dosaggi di 25 e 50 mg due volte a settimana per 48 settimane.
E? stato osservato che la somministrazione di Etanercept 50 mg 2 volte a settimana, rappresenta un dosaggio efficace, caratterizzato anche da rapidit? d?azione.
I pazienti, trattati con Etanercept 50 mg per 24 settimane, hanno presentato condizioni stabili.
L?FDA ha informato che Botox e Botox Cosmetic ( Tossina botulinica di tipo A ) e Myobloc ( Tossina botulinica di tipo 2 ) sono risultate associate ad alcuni casi di reazioni avverse tra cui insufficienza respiratoria e morte.
In una prima comunicazione, l?FDA riteneva che le reazioni potevano essere correlate a iperdosaggio.
Non c?? nessuna evidenza che queste reazioni possano essere correlate a difetto dei prodotti.
Le reazioni avverse sono state riscontrate negli impieghi sia approvati che non approvati dall?FDA.
I pi? gravi eventi avversi sono stati osservati nei bambini trattati per spasticit? agli arti, associata a paralisi cerebrale. Il trattamento della spasticit? con la Tossina botulinica, nei bambini e negli adulti, non ? approvato dall?FDA.
Le reazioni avverse appaiono correlate alla diffusione della tossina ad aree distanti dal sito di iniezione e mimano i sintomi del botulismo, che comprende difficolt? nella deglutizione, debolezza e problemi respiratori.
L?FDA sta revisionando i dati di sicurezza provenienti dagli studi clinici, cos? come le segnalazioni post-marketing di eventi avversi.
La nefrite interstiziale ? una ben riconosciuta, ma rara, reazione di ipersensibilit? all’Omeprazolo ( Losec ).
La malattia si manifesta con sintomi non-specifici e non ? comune riscontrare la classica presentazione con febbre, rash ed eosinofilia.
Gli esami di laboratorio possono evidenziare disfunzione renale, ma l’ematuria e la proteinuria possono non risultare significativamente alterate. La diagnosi pu? solo essere confermata dalla biopsia renale.
Nel caso si dovesse manifestare nefrite interstiziale , ? necessario sospendere l’assunzione dell’Omeprazolo ed instaurare un trattamento di supporto. Di norma la terapia ? a base di glucocorticoidi, ma l’efficacia di questo trattamento non ? stato ancora valicato.
L’ADRAC ( Adverse Drug Reactions Advisory Committee ) ha ricevuto 18 segnalazioni in cui la nefrite interstiziale causata dall’Omeprazolo ? stata confermata all’esame bioptico. L’et? media dei pazienti che hanno manifestato questo effetto indesiderato era di 68 anni ( range: 47-86 ) Il tempo medio di insorgenza ? stato di 3 mesi ( range: 12 giorni-12 mesi ). In 7 pazienti la sospensione dell’Omeprazolo ? avvenuta dopo 3 settimane-6 mesi dai primi sintomi di nefrite interstiziale.
I sintomi di presentazione della nefrite interstiziale sono stati: perdita di peso, malessere, febbre e nausea. In un caso era presente poliuria e polidipsia. Un aumento dell’urea e/o della creatinina plasmatica ? stato documentato nella maggior parte dei casi.
L’ADRAC ha anche ricevuto 2 segnalazioni di nefrite interstiziale con il Rabeprazolo ( Pariet ).
Nonostante l’ADRAC non abbia ricevuto segnalazioni di nefrite interstiziale dopo somministrazione di altri inibitori della pompa protonica, questo effetto indesiderato ? riportato nella scheda tecnica dell’Esomeprazolo (Nexium ), Lansoprazolo ( Lansox ) , Pantoprazolo ( Pantopan ).
La nefrite interstiziale ? anche associata all’impiego di antibiotici beta-lattamici, sulfonamidi, diuretici, FANS, Cimetidina, Allopurinolo, Rifampicina