Nei pazienti obesi ed in sovrappeso a rischio di malattie cardiovascolari, un intervento comportamentale per la perdita di peso risulta efficace e consente al paziente di mantenere il peso raggiunto. Questi interventi spesso ottengono un successo a breve termine, ma i casi di nuovo aumento di peso sono comuni: eccesso di peso ed obesit? insieme sono la seconda causa di decessi prevenibili al mondo, principalmente per via dei loro effetti sui fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione, dislipidemia e diabete di tipo 2. In base al presente studio, il completamento di un programma comportamentale iniziale porta al mantenimento di un peso al di sotto di quello originale; un breve contatto personale mensile garantisce solo un modesto beneficio nel mantenimento del peso, mentre gli interventi interattivi tecnologici garantiscono benefici precoci ma transitori. Gli studi futuri dovrebbero focalizzarsi su interventi e monitoraggi pi? prolungati, comprensione dei fattori predittivi di mantenimento efficace del peso ed ulteriore rifinitura sia dei contatti personali che degli interventi tecnologici. (JAMA. 2008; 299: 1139-48)
I comuni segni e sintomi clinici potrebbero non identificare i pazienti con rinosinusite nei quali il trattamento ? giustificato: gli antibiotici dunque potrebbero non essere il miglior approccio anche se il paziente accusa sintomi da sette-dieci giorni. I medici di base continuano a prescrivere troppi antibiotici per la rinosinusite acuta perch? la distinzione fra patologia batterica e virale ? difficile. In base alla presente analisi, il 64 percento dei pazienti guarisce entro 14 giorni anche senza trattamento antibiotico. Bench? questi dati non si applichino ai bambini o ai pazienti immunodepressi, essi dovrebbero comunque confermare che il solo monitoraggio con terapia sintomatica dovrebbe essere la strategia di scelta in quasi tutti i pazienti adulti con rinosinusite. Questa patologia ? difficile da trattare perch? molti pazienti si aspettano la terapia antibiotica, ed allo stesso tempo che la terapia dia loro sollievo, ma nel complesso questa strategia garantisce benefici minimi. (Lancet. 2008; 371: 874-6 e 908-14)
Gli incidenti stradali costituiscono la prima causa di morte per bambini e ragazzi di et? compresa tra 8 e 17 anni: il dato si riferisce alla situazione statunitense, ma non si discosta molto da quanto accade nel nostro Paese, dove il tema delle morti su strada ? sempre di grande attualit?. Per i piccoli con et? inferiore agli 8 anni, il rischio di incorrere in un incidente stradale ? stato ampiamente valutato, tanto che anche l’Unione Europea ha attuato misure di sicurezza per il trasporto dei bambini in auto. Tuttavia, con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza si ha un incremento delle possibilit? che i conducenti non siano pi? solo i genitori, ma altri giovani e, di conseguenza, i rischi potrebbero variare.
Quali rischi? Secondo quanto riportato dai database americani FARS (Fatality Analysis Reporting System) e NASS-CDS (National Automotive Sampling System Crash Data System), tra il primo gennaio 2000 e il 31 dicembre 2005 nei 50 Stati e nel distretto della Columbia, 424.195 soggetti tra gli 8 e i 17 anni sono stati coinvolti ogni anno in incidenti stradali in qualit? di passeggeri, con un tasso di mortalit? di 3,9 ogni 1000 incidenti. I soggetti sono stati suddivisi in gruppi in base all’et?: 8-12, 13-15, 16-17 anni per quanto riguarda i passeggeri, e minori di 16 anni, 16-17, 18-19, 20-24 e maggiori di 25 anni nel caso dei guidatori. L’analisi ha rivelato che nel periodo di tempo considerato, ben 9.807 ragazzi (passeggeri) hanno perso la vita in incidenti stradali: di questi oltre la met? (54,4%) ? morto come passeggero di un conducente con meno di 20 anni e i due terzi non facevano uso di sistemi di restrizione. Certo i risultati non sorprendono, ma, a differenza di quanto si ? soliti affermare, nei due terzi dei casi i decessi si sono verificati nel caso di conducenti di sesso maschile. Inoltre, dall’indagine ? emerso che nel 21,2% dei casi l’abuso di sostanze alcoliche da parte del conducente aveva contribuito all’incidente; oltre un sesto dei guidatori non era in possesso della patente; gli incidenti si erano verificati con frequenza pi? elevata durante il weekend e su strade a scorrimento veloce (oltre 55 mph, cio? circa 88 Km/h).
L’esperienza conta In particolare, il rischio di mortalit? pi? elevato ? stato riscontrato nel caso di conducenti con et? inferiore ai 16 anni (16 anni ?, infatti, l’et? minima in cui in USA ? consentito conseguire la patente): un rischio circa doppio rispetto a quello osservato nel caso di guidatori almeno venticinquenni che, infatti, dovrebbero possedere una maggior esperienza al volante. Gli autori hanno, poi, individuato un incremento del tasso di rischio di mortalit? con l’aumento dell’et? del passeggero: 2,6 nel gruppo 8-12 anni e 5,4 per i ragazzi con et? compresa tra 16 e 17 anni. Questo probabilmente ? dovuto al fatto che durante l’adolescenza i veicoli sono spesso guidati da coetanei, che presentano minor esperienza alla guida rispetto agli adulti, principali conducenti durante l’infanzia dei figli.
Per correre ai ripari Nella prevenzione degli incidenti stradali che coinvolgono i bambini, un ruolo di primaria importanza dovrebbe essere giocato dai genitori, il cui compito ? sottolineare la necessit? di utilizzare apposite misure di sicurezza e seguire i giovani, specie se neo patentati, durante le prime esperienze al volante. Poich? non ? possibile evitare, per esempio, la percorrenza di strade ad alta velocit?, ? meglio affrontarle con la supervisione di qualcuno pi? esperto e auspicare che vengano attrezzate con specifici dispositivi di sicurezza. In America le leggi in materia di sicurezza stradale variano a seconda degli Stati. Alcuni di essi, per esempio, hanno introdotto norme restrittive per il trasporto di giovani passeggeri da parte di neopatentati. Considerando che dallo studio emerge come l’et? del conducente inferiore ai 16 anni sia un fattore di rischio di mortalit? in incidenti stradali, queste norme potrebbero essere estese agli altri Paesi e l’et? minima per conseguire la patente potrebbe essere innalzata. Inoltre, per diminuire il numero di giovani vittime stradali, si dovrebbero attuare dei programmi di sensibilizzazione gi? nelle scuole, sia informando i genitori del rischio che corrono i figli ad essere passeggeri di giovani guidatori, sia rivolgendosi ai piccoli passeggeri affinch? conoscano i fattori di rischio che dovrebbero monitorare nel conducente. Non va dimenticato che simili cambiamenti sono auspicabili non solo per gli Stati Uniti.
Ilaria Ponte
Fonti Winston FK et al. Risk Factors for Death Among Older Child and Teenaged Motor Vehicle Passengers. Arch Pediatr Adolesc Med. 2008; 162 (3): 253-260
I risultati di uno studio su animali suggeriscono che iniezioni intermittenti di TSH ricombinante possano aiutare a ridurre la perdita d’osso che accompagna la menopausa. In uno studio precedente era stato dimostrato che la perdita d’osso osservata con l’ipertiroidismo non ? dovuta solo ad un aumento di ormone tiroideo, ma ? anche associata ad una caduta dei livelli di TSH, e studi recenti su ratti e sull’uomo hanno confermato che ormone tiroideo e TSH hanno effetto opposto sull’osso. E’ probabile che studi futuri su efficacia e sicurezza dei preparati standard di TSH ricombinante aprano la strada all’uso del TSH per combattere forme specifiche di osteoporosi. (Proc Natl Acad Sci USA online 2008, pubblicato il 10/3)
Misurare i livelli plasmatici di endoglina, un corecettore del TGF-beta1 e beta3, pu? aiutare il medico a sapere prima dell’intervento chirurgico se un paziente con tumore prostatico localizzato abbia di fatto metastasi linfonodali. Bench? sia riconosciuto che la linfadenectomia pelvica possa fornire importanti informazioni per la stadiazione del tumore e la prognosi, non ? ancora chiaro su chi debba essere effettuata questa procedura. Precedenti studi hanno rilevato elevati livelli di endoglina nei pazienti con tumori mammari e del colon in metastasi, ma finora non era mai stato accertato se essi risultassero elevati anche nei pazienti con tumore prostatico. Sono ora necessari ampi studi multicentrici per verificare questi dati. (Clin Cancer Res 2008; 14: 1418-22)
L’insulinoresistenza epatica di per s? pu? essere ritenuta responsabile per la dislipidemia e l’incremento del rischio di arteriosclerosi associati alla sindrome metabolica. Nella sindrome metabolica, dunque, un singolo evento fisiopatologico pu? produrre tutti i sintomi ed incrementare il rischio di malattie cardiovascolari. E’ necessario ora identificare il modo in cui l’insulina altera la sintesi e la clearance dell’HDL ed individuare i target precisi che portano alla sua diminuzione: gli autori intendono attraversare sistematicamente i punti nodali dell’azione dell’insulina per accertare quale sia a controllare colesterolo e glucosio. Identificando ed invertendo le cause, sarebbe disponibile un vero e proprio trattamento per la sindrome metabolica. Il punto di svolta ? rappresentato dal fatti che l’insulina ? pi? importante del semplice controllo glicemico. (Cell Metabolism 2008; 7: 1-10)
L?esercizio fisico non rappresenta una cura per i sintomi menopausali, ma pu? aiutare le donne in postmenopausa a far fronte allo stress, all?ansia e alla depressione.
Lo studio ? stato condotto nell?arco di 8 anni; sono state studiate 380 donne, d?et? media 42 anni, che camminavano per 15-90 minuti ogni giorno fino a 5 volte a settimana.
All?inizio dello studio le donne non erano in menopausa. Alla fine dello studio pi? della met? manifestava vampate di calore.
E? stato osservato che un livello medio di esercizio fisico appariva peggiorare i sintomi in alcune donne nello stadio transizionale tardivo. Dopo aver analizzato i dati, i Ricercatori hanno concluso che l?intensit? dei sintomi era il risultato di fluttuazioni dei livelli ormonali anzich? dell?attivit? fisica.
Le donne di razza nera presentavano pi? vampate di calore rispetto alle donne di razza bianca.
Secondo Nieca Goldberg del Women?s Health Program alla New York University negli Stati Uniti, non ? sorprendente osservare che l?esercizio fisico non riduca l?incidenza di vampate di calore. Altre ricerche hanno trovato che l?esercizio fisico non ha nessuna influenza sul numero di episodi di vampate di calore.
Fonte: Medicine & Science in Sports & Exercise, 2008
Gli adulti che non riescono ad avere un sonno profondo sono ad aumentato rischio di diabete mellito di tipo 2.
Precedenti studi avevano dimostrato che il sonno influenza la capacit? dell?organismo di tenere sotto controllo i livelli di glicemia e l?appetito, aumentando in tal modo il rischio di obesit? e di diabete.
Lo studio compiuto da Ricercatori dell?University of Chicago Medical Center, ha coinvolto 5 uomini e 4 donne, magri e sani, di et? compresa tra 20 e 31 anni.
Dapprima i partecipanti sono stati osservati per 2 notti in cui il sonno non ? stato interrotto; la durata del sonno ? stata di 8,5 ore. In questo modo ? stato possibile stabilire le caratteristiche del sonno normale.
Poi gli stessi partecipanti hanno partecipato ad un periodo di studio di 3 notti, durante il quale i Ricercatori hanno deliberatamente disturbato il sonno, quando le onde cerebrali hanno mostrato l?inizio del sonno no-REM ( sonno ad onda lenta ). I soggetti erano sottoposti a suoni 250-300 volte a notte. I suoni, tuttavia non erano in grado di provocare il risveglio del soggetto in studio. Dopo 3 notti, la riduzione della sensibilit? all?insulina ? risultata significativa in 8 partecipanti su 9. Si ? visto che la riduzione della sensibilit? insulinica non era compensata da un aumento del rilascio di insulina.
La tolleranza al glucosio nelle ore diurne ? risultata ridotta del 23%, dopo ciascuna notte in cui il sonno era stato disturbato.
Fonte : Proceedings of National Academy of Sciences, 2008
C?? un crescente interesse nell?impiego di terapie naturali per ridurre gli elevati livelli di colesterolo LDL.
Uno studio compiuto da Ricercatori della University of New South Wales a Sidney in Australia ha valutato gli effetti del Lactobacillus fermentum sul colesterolo LDL e su altre frazioni lipidiche.
Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, ha coinvolto soggetti con livelli di colesterolo totale maggiori o uguali a 4mmol/l.
I soggetti ( n = 46 ) sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 2 capsule di Lactobacillus fermentum 2 volte die [ ciascuna capsula conteneva 2×10(9) unit? formanti colonie ], oppure placebo per 10 settimane.
Due soggetti hanno interrotto precocemente lo studio, uno per ragioni personali ed uno per disturbi intestinali. Tre altri soggetti hanno presentato disturbo intestinale, ma hanno completato lo studio.
E? stato osservato un modesto trend di riduzione del colesterolo LDL da parte del Lactobacillus fermentum e del placebo ( 7% e 5.2%, rispettivamente ). Questo trend non ha raggiunto significato statistico e non ? emersa differenza statisticamente significativa tra i due bracci di trattamento riguardo ai valori di colesterolo totale, colesterolo HDL o trigliceridi.
Non sono stati riscontrati cambiamenti significativi negli enzimi epatici o in altri parametri di sicurezza.
I dati dello studio hanno mostrato che il Lactobacillus fermentum non sembra essere in grado di produrre cambiamenti significativi delle frazioni lipidiche, anche se un piccolo effetto non pu? essere escluso del tutto.
Simons LA et al, Nutr Metab Cardiovasc Dis 2006; 16: 531-532
L?effetto della funzione renale sull?invecchiamento ottimale non ? stato ancora esaminato.
Uno studio ha valutato la relazione tra la cistatina C e l?invecchiamento ottimale nel corso di 6 anni di follow-up nel Cardiovascular Health Study, una comunit? di anziani di et? superiore o uguale ai 65 anni.
L?invecchiamento ottimale ? stato definito come rimanere immuni a malattie cardiovascolari, cancro e malattie polmonari croniche ostruttive, ed avere intatte le funzionalit? fisiche e cognitive.
E? stato misurato il livello di cistatina C al basale in 2140 partecipanti. L?et? media era di 74 anni.
Il livello medio di cistatina C, del livello di creatinina e la velocit? di filtrazione glomerulare stimata erano 1.06mg/L, 0.93 mg/dL e 78 mL/min/1.73 m2, rispettivamente.
Un totale di 873 partecipanti ha raggiunto il primo evento nel corso del follow-up, 138 a causa di disabilit? cognitiva, 238 per disabilit? fisica, 34 a causa di malattia polmonare ostruttiva cronica, 146 per tumore e 317 per malattia cardiovascolare.
La riduzione percentuale aggiustata degli anni di vita ottimale, dal quartile pi? alto versus il quartile pi? basso di cistatina C ? stata del 27%. Il pi? alto quartile versus quello pi? basso di cistatina C ? risultato indipendentemente associato a disabilit? fisica e cognitiva incidente ( HR=1,39 ).
Dallo studio ? emerso che un pi? alto livello di cistatina C, anche all’interno di un range relativamente normale di funzione renale, ? associata ad un invecchiamento non ottimale.
Sarnak MJ et al, Arch Intern Med 2008; 168: 147-153