Poliposi nasale nella sindrome di Churg-Strauss

La sindrome di Churg-Strauss ? una vasculite sistemica ad eziologia ignota che interessa i vasi sanguigni di piccole e medie dimensioni
I pazienti affetti dalla sindrome di Churg-Strauss, mostrano frequentemente manifestazioni a livello di orecchio, naso o gola

Uno studio si ? posto l?obiettivo di determinare la frequenza della poliposi nasale in 29 pazienti.

L?analisi retrospettiva ? stata compiuta da Ricercatori dell?Universit? di Parma.

Dei 29 pazienti identificati, il 58.6% ( n=17 ) presentava poliposi nasale, e sono stati arruolati nello studio.
Tra questi, 9 pazienti ( 52.9% ) soffriva di poliposi nasale di grado 3 secondo la classificazione di Lund e Mackay; 6 ( 35.2% ) presentavano grado 2 ed 1 ( 5.8% ) grado 1

Dopo terapia con corticosteroidi e con immunosoppressori, la remissione clinica ? stata raggiunta in 14 pazienti ( 82.3% ), mentre 3 pazienti sono andati incontro ad una recidiva.

La valutazione endoscopica post-trattamento ha mostrato la scomparsa permanente di poliposi nasale nei pazienti con sindrome di Churg-Strauss in 8 pazienti ( 47% ).
Gli altri 9 pazienti ( 52,92% ) presentavano un polipo di piccole dimensioni.

Dallo studio si ? evinto che la poliposi nasale nei pazienti con sindrome di Churg-Strauss pu? rappresentare la fase iniziale della sindrome.
La terapia con corticosteroidi , da soli o in associazione ad immunosoppressori, generalmente produce miglioramento o stabilizzazione.

Bacciu A et al, Laryngoscope 2008; 118: 325-329

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I farmaci antinfiammatori non-steroidei potrebbero avere un ruolo protettivo nel

I marcatori della neuroinfiammazione, inclusa la microglia attivata e gli aumentati livelli di citochine proinfiammatorie circolanti, sono stati osservati nei cervelli e nel liquido cerebrospinale di pazienti con malattia di Parkinson.

Il legame tra i farmaci antinfiammatori e la malattia di Parkinson non ? ancora ben definito negli essere umani, nonostante ci siano indicazioni del fatto che la neuroinfiammazione potrebbe contribuire alla morte cellulare nel cervello dei pazienti con Parkinson.
In modelli animali esiste evidenza dell?effetto neuroprotettivo dei farmaci antinfiammatori, come i farmaci antinfiammatori non steroidei ( FANS ).

Utilizzando un approccio basato sulla popolazione, Ricercatori dell?University of California ? Los Angeles ( UCLA ), hanno studiato l?uso dei FANS in 293 casi di malattia di Parkinson idiopatica e 286 controlli.

I dati dello studio hanno mostrato una diminuzione del rischio di malattia di Parkinson tra gli utilizzatori abituali ( 2 o pi? compresse/settimana per almeno 1 mese ) di farmaci antinfiammatori come l?Acido Acetilsalicilico ( Aspirina; odds ratio, OR=0,80 ).
Un effetto protettivo pi? forte ? stato osservato per gli utilizzatori regolari di farmaci antinfiammatori con esclusione dell?Aspirina ( OR=0,52 ), in particolare per quelle persone che hanno utilizzato il farmaco per 2 o pi? anni.

L?effetto dell?Aspirina varia a seconda del sesso, con un effetto protettivo solo nelle donne specialmente tra le utilizzatori regolari per lungo periodo ( maggiore o uguale a 24 mesi ) ( OR 0,51 ).

Lo studio ha fornito ulteriore prova di un ruolo protettivo per i farmaci antinfiammatori non-steroidei nella malattia di Parkinson.

Wahner AD et al, Neurology 2007; 69: 1836-1842

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E? improbabile che l?aumento del tumore alla prostata ad alto grado sia dovuto a

E? probabile che l?aumento dei tumori ad alto grado tra gli uomini che assumono Finasteride 5mg/die ( Proscar ) sia causato da un?aumentato rilevamento dei tumori, e non dallo sviluppo di un numero maggiore di tumori ad alto grado.

Lo studio PCPT ( The Prostate Cancer Prevention Trial ) ? il primo studio randomizzato che ha valutato per un lungo periodo un farmaco per la prevenzione del tumore alla prostata.
E? stata osservata una riduzione del 25% nell?incidenza di tumore della prostata tra gli uomini che assumevano Finasteride, rispetto al placebo.
Tuttavia, gli uomini trattati con Finasteride hanno presentato una pi? alta percentuale di tumori della prostata ad alto grado, rispetto agli uomini che hanno assunto placebo ( 6,4% versus 5,1% ).
Non ? chiaro se la Finasteride causi pi? tumori della prostata ad alto grado o semplicemente crei una situazione che permetta l?individuzione di tumori ad alto grado.

A) Yael Cohen di Gamida Cell a Gerusalemme e colleghi hanno esaminato l?ipotesi che la Finasteride riduca il volume della prostata e pertanto aumenti la probabilit? di scoprire cellule tumorali a alto grado nel corso di una biopsia.
Analizzando i dati dello studio PCPT, i Ricercatori hanno esaminato l?associazione tra tumore della prostata ad alto grado e volume della prostata.
L?individuazione dei tumori ad alto grado ? aumentata con la riduzione della dimensione della prostata nel gruppo placebo.
I Ricercatori hanno trovato che nel gruppo Finasteride la dimensione della prostata, in media, era inferiore del 25%, rispetto al gruppo placebo.
Pertanto, quando la dimensione della prostata ? stata presa in considerazione, non ? stata riscontrata alcuna differenza statisticamente significativa tra la prevalenza di tumore della prostata ad alto grado nei 2 gruppi.
Da questo studio ? emerso che la Finasteride accelera il rilevamento dei tumori al alto grado.

B) Scott Lucia M dell?University of Colorado a Denver e colleghi hanno esaminato se la Finasteride fosse in grado di modificare l?aspetto del tessuto tumorale in modo tale da facilitare l?individuazione dei tumori a pi? basso grado, cos? come quelli ad alto grado.
I Ricercatori hanno esaminato le prostate rimosse mediante intervento chirurgico e le biopsie del tumore prostatico ad alto grado degli uomini trattati con Finasteride o con placebo, con l?obiettivo di verificare se la Finasteride fosse in grado di modificare le dimensioni della prostata, la dimensione del tumore o lo stadio della malattia.
E? stato osservato che gli uomini trattati con Finasteride avevano prostate di pi? piccole dimensioni. I tumori ad alto grado non erano pi? ampi negli uomini che assumevano Finasteride, ma c?era una maggiore probabilit? che venissero individuati.

Sebbene l?evidenza non escuda la possibilit? che la Finasteride possa aver indotto il tumore ad alto grado in alcuni uomini, l?analisi delle prostectomie ha indicato che l?aumento dei tumori ad alto grado nel gruppo Finasteride ? inferiore a quanto originariamente ritenuto.

Fonte: Journal of National Cancer Institute, 2007

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Farmaci antiparkinson: rigurgito valvolare associato alla Pergolide

Ricercatori francesi si sono posti l?obiettivo di definire la prevalenza ed i fattori di rischio della cardiopatia valvolare nei pazienti con malattia di Parkinson in trattamento con Pergolide ( Permax; in Italia: Nopar ).

Hanno preso parte allo studio osservazionale prospettico 96 pazienti affetti da malattia di Parkinson, trattati con Pergolide per pi? di 3 mesi.

Sono stati analizzati 133 ecocardiogrammi ( 86 nel gruppo Pergolide e 47 nel gruppo controllo ).

Il rigurgito da moderato a grave ? stato riscontrato in 15 pazienti trattati con Pergolide ( 17.4% ) ed in 2 soggetti del gruppo placebo ( 4.3% ) ( odds ratio, OR= 4.75; p=0.03 ).

E? stata anche osservata un?associazione tra rigurgito moderato-grave e dose cumulativa della Pergolide ( OR= 1.37 ; p=0.03 ).

I Ricercatori hanno sommato i dati dello studio con quelli di altri 6 studi per un totale di 394 pazienti trattati con Pergolide, e di 280 controlli.
L?odds ratio per il rigurgito valvolare da moderato a grave ? risultato pari a 3.1 ( p<0.001 ) nel gruppo trattato con Pergolide. Dalla meta-analisi dei 7 studi clinici ? emerso che nei pazienti con malattia di Parkinson la valvulopatia ? associata in modo indipendente all?uso della Pergolide, e ? correlata alla dose cumulativa. Corvol J-C et al, Arch Neurol 2007; 64: 1721-1726

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Ripresa della crescita del PSA dopo trattamento definitivo del tumore della pros

Nel 2005, la Consensus Conference dell?International Society of Urologic Pathology ha raccomandato di considerare come tumori di grado Gleason 8 o 9 i carcinoma prostatici di uomini con tumore di grado Gleason da biopsia pari a 3 + 4 o 4 + 3, rispettivamente.
Il management dei pazienti con carcinoma della prostata di grado 7 versus 8 o 9 differisce.

Lo studio, condotto da Ricercatori del Brigham and Women’s Hospital, ha comparato la significativit? prognostica del punteggio Gleason 7 con grado terziario 5 versus altri punteggi di Gleason, relativamente alla ripresa della crescita del PSA ( antigene prostatico specifico ) negli uomini con carcinoma della prostata.

Dal 1989 al 2005, 2.370 uomini con carcinoma della prostata di categoria clinica da 1c a 3b, senza interessamento linfonodale e non metastatico sono stati sottoposti a terapia definitiva basata su chirurgia o radioterapia con o senza terapia ormonale.

La principale misura di outcome era il tempo alla ripresa della crescita del PSA.

Uomini con carcinoma prostatico con punteggio Gleason 7 e grado terziario 5 hanno mostrato un tempo alla ripresa della crescita del PSA significativamente inferiore rispetto a quello di uomini con malattia con punteggio Gleason 7 ma senza grado terziario 5 ( tempo mediano, 5.0 vs 6.7 anni, rispettivamente, hazard hatio aggiustato, HR=0.56 ) o grado pari o inferiore a 6 ( tempo mediano 15.4 anni, HR aggiustato 0,24 ).

Non ? stata comunque osservata alcuna differenza rispetto agli uomini con carcinoma di grado di Gleason da 8 a 10 ( tempo mediano 5.1 anni, HR aggiustato 0,96 ).

In questo studio di popolazione, gli uomini con carcinoma della prostata con grado di Gleason 7 e grado terziario 5, sono a pi? alto rischio di ripresa della crescita del PSA rispetto agli uomini con grado di Gleason 7 e senza grado terziario 5, e presentano un rischio comparabile a quello degli uomini con grado di Gleason da 8 a 10.

Patel AA et al, JAMA 2007; 298: 1533-1538

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I soggetti di mezza et? ed anziani che fanno uso dei beta-bloccanti presentano u

E? stata esaminata l?associazione tra l?uso di beta-bloccanti e l?incidenza di fratture in uno studio prospettico di popolazione, che ha coinvolto 1.793 persone tra i 55 e i 74 anni, che avevano preso parte ad una delle 3 indagini nella coorte MONICA Augsburg tra il 1984 ed il 1995.

I soggetti partivano da una situazione iniziale di assenza di fratture.

Durante un periodo osservazionale medio di 10,7 anni, si sono osservate 263 fratture.

Coloro che facevano uso di beta-bloccanti erano pi? anziani, mostravano una probabilit? significativamente pi? alta di essere obesi, di non bere alcol, di avere ipertensione o diabete, di utilizzare i tiazidi o le statine, e di essere fisicamente inattivi.

L?uso di beta-bloccanti ? risultato associato ad un ridotto rischio di fratture di qualsiasi tipo ( HR=0,57 ), dopo aggiustamenti per et?, sesso.
Dopo aggiustamento per indice di massa corporea ( BMI ) e anni di istruzione ? stata osservata solo una lieve attenuazione della relazione ( HR=0,60 ), ed un ulteriore aggiustamento per una serie di fattori di rischio non ha modificato l?associazione ( HR=0,60 ).

In conclusione, l?uso dei beta-bloccanti ? risultato associato ad un ridotto rischio di fratture nei soggetti di mezza et? ed anziani.

Meisinger C et al, Osteoporos Int 2007; 18: 1189-1195

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L?Acido Zoledronico riduce l?incidenza di nuove fratture e la mortalit? nei pazi

Nel HORIZON Recurrent Fracture Trial, 1.065 pazienti sono stati assegnati a ricevere annualmente Acido Zoledronico ( Aclasta ) per via endovenosa ( alla dose di 5 mg ), e 1.062 pazienti sono stati assegnati a ricevere placebo.

Le prime infusioni sono state somministrate entro 90 giorni dall?intervento chirurgico di riparazione di una frattura dell?anca.

Tutti i pazienti ( et? media 74,5 anni ) hanno ricevuto un supplemento di Vitamina D e Calcio.

Il periodo osservazionale mediano ? stato di 1,9 anni. L?endpoint primario era una nuova frattura clinica.

I tassi relativi alla nuova frattura sono stati dell?8,6% nel gruppo Acido Zoledronico e del 13,9% nel gruppo placebo, per una riduzione del rischio del 35% con Acido Zoledronico ( P=0,001 ).

I rispettivi tassi di nuove fratture vertebrali sono stati 1,7% e 3,8% ( P=0,02 ) ed i rispettivi tassi di nuove fratture non-vertebrali 7,6% e 10,7% ( P=0,03 ).

Nel gruppo Acido Zoledronico, 101 pazienti su 1.054 pazienti ( 9,6% ) sono morti, e 141 dei 1.057 pazienti nel gruppo placebo ( 13,3% ): riduzione del 28% delle morti per qualsiasi causa nel gruppo Acido Zoledronico ( P=0,01 ).

I pi? frequenti eventi avversi nei pazienti trattati con Acido Zoledronico sono stati: piressia, mialgia e dolore osseo e dolore muscoloscheletrico.
Non sono stati riportati casi di osteonecrosi della mandibola e non ? stato notato alcun effetto avverso riguardante la guarigione della frattura.
I tassi di eventi avversi renali e cardiovascolari, inclusi fibrillazione atriale e ictus, sono risultati simili nei due gruppi.

I risultati di questo studio hanno dimostrato che un?infusione annuale di Acido Zoledronico entro 90 giorni dall?intervento di riparazione della frattura dell?anca a basso trauma, ? associata ad una riduzione del tasso di nuove fratture e ad una aumentata sopravvivenza.

Lyles KW et al, N Engl J Med 2007; 357: 1799-1809

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Morbo celiaco, diagnosi sempre pi? precoce

Con l’avvento dei moderni test di screening e l’incremento della consapevolezza del morbo celiaco, il profilo clinico dei pazienti pediatrici che ricevono diagnosi ? cambiato: la maggior parte dei pazienti ? in et? scolare e asintomatica, essendo stata sottoposta a screening sulla base dell’elevato livello di rischio. I medici di base dovrebbero implementare i programmi di screening in tutte le popolazioni ad alto rischio, fra cui quelli con anamnesi familiare di morbo celiaco o quelli con sindrome di Down, sindrome di Turner, diabete di tipo 1, tiroidite e morbo di Addison. La presenza di altre patologie autoimmuni dovrebbe alimentare un elevato livello di sospetto di morbo celiaco, anche in assenza di sintomi gastrointestinali.
(Arch Pediatr Adolesc Med 2008; 162: 164-8)

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Ca prostata, ripristino sensibilit? endocrina

La chemioterapia pu? essere seguita da reinduzione della sensibilit? endocrina nei tumori prostatici androgeno-indipendenti (AIPC). Divenire refrattari agli ormoni potrebbe non essere uno stato irreversibile, e la chemioterapia potrebbe dunque influenzare questa situazione. L’arresto della terapia endocrina durante la chemioterapia potrebbe dunque non essere dannoso, soprattutto nel sottogruppo dei pazienti che rispondono alla terapia endocrina in un secondo tempo. Gli autori suggeriscono un nuovo ciclo di ormoni in ogni paziente che progredisce sotto chemioterapia, e stanno attualmente studiando le cellule tumorali circolanti nei pazienti in cui ci? viene tentato per ricercarne un meccanismo funzionale.
(Br J Cancer 2008; 98: 22-4)

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La somministrazione di Metformina ? pi? efficace quando le pazienti non-obese co

La sindrome dell?ovaio policistico ? un disturbo endocrino comune che ? stato frequentemente osservato in associazione all?aumento della resistenza all?insulina indipendentemente dal peso corporeo.

L?utilizzo di composti insulino-sensibilizzanti, come la Metformina ( Glucophage ), permette un notevole miglioramento di questo disturbo metabolico, ripristinando la funzione ovarica e la sintesi degli steroidi gonadici, e riducendo la resistenza all?insulina.

Un gruppo di pazienti non-obese con policistosi ovarica affette da amenorrea, sono state esaminate, prima e dopo la somministrazione di Metformina per 6 mesi ( 500 mg per via orale 2 volte al giorno ).
L?obiettivo dei Ricercatori dell?Universit? di Modena e di Reggio Emilia era quello di valutare le basi cliniche ed endocrinologiche della somministrazione di Metformina.

Hanno preso parte allo studio 42 pazienti, che sono state sottoposte a test orale di tolleranza al glucosio, alla misurazione dei livelli di insulina, glucosio e peptide-C e dei livelli plasmatici di ormone luteinizzante ( LH ), ormone follicolo-stimolante, prolattina, estradiolo, androstenedione, 17-idrossiprogesterone, insulina, cortisolo e testosterone in due occasioni: prima e al settimo giorno del primo ciclo mestruale dopo i 5 mesi di trattamento.

I livelli plasmatici di LH, estradiolo, insulina e peptide-C sono diminuiti significativamente in seguito al trattamento con Metformina nell?intero gruppo di pazienti con sindrome dell?ovaio policistico.

Nelle pazienti con iperinsulinemia ? stato osservato un maggior tasso di cambiamenti endocrini positivi, ed il tasso pi? alto ? stato osservato nelle donne iperinsulinemiche ed iperandrogeniche.

I cicli mestruali sono stati ripristinati in tutte le pazienti dopo il trattamento.

Questi dati mostrano che la Metformina modula la funzione ovarica ed influenza in maniera significativa la secrezione di LH attraverso la riduzione della condizione iperandrogenica. Il pi? alto tasso di cambiamenti endocrini ? stato osservato nelle pazienti non obese con policistosi ovarica iperinsulinemiche ed iperandrogeniche.
Lo studio ha dimostrato che la somministrazione di Metformina ? pi? indicata nelle pazienti non obese con policistosi ovarica, iperinsulinemiche ed iperandrogeniche.
Genazzani AD et al, Gynecol Endocrinol. 2007; 23: 146-152

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