Fumare sigarette danneggia la qualit? del sonno, probabilmente a causa dell’astinenza da nicotina. Il presente studio ? fra i primi ad isolare gli effetti del fumo sul sonno: nelle ricerche precedenti non era chiaro se i cambiamenti nei ritmi del sonno fossero dovuti al fumo in s? o alle patologie mediche che si accompagnano al fumo, come cardiopatie o pneumopatie. Di fatto, nonostante tutta la letteratura su fumo e patologie mediche, finora ? stata studiata poco la correlazione fra fumo ed attivit? elettroencefalografica. La comprensione dell’influenza del fumo sul sonno potrebbe aiutare ad adattare le terapie sostitutive della nicotinain modo da evitare i sintomi dell’astinenza. (Chest. 2008; 133: 427-32)
E’ possibile applicare un protocollo che risparmia la vescica in una popolazione selezionata di pazienti con tumori vescicali muscoloinvasivi che rifiutano la chirurgia radicale. Il trattamento multimodale risulta sicuro ed efficace, con una risposta completa e tassi di sopravvivenza con vescica intatta e complessivi simili a quelli segnalati in studi precedenti. Questa strategia tuttavia ? complessa, e richiede un’elevata compliance del paziente ed una stretta cooperazione fra diverse aree specialistiche: la preservazione della vescica dunque ? possibile, ma necessit? di un approccio estremamente cauto. (Cancer 2008; 112: 75-83)
La neuromodulazione sacrale migliora i sintomi e riduce i costi sanitari per i pazienti con disfunzioni minzionali refrattarie alla terapia medica. La procedura infatti ? piuttosto costosa, ma comporta anche significativi benefici per alcuni sottogruppi di questi pazienti. Uno dei pericoli comportati dal discutere di assistenza e costi consiste nel fatto che il focus tende a spostarsi dalla vera e propria assistenza verso il risparmio di denaro, ma andrebbe ricordato che la popolazione candidata alla neuromodulazione ? composta da soggetti in cui le terapie di prima linea hanno fallito, il che include trattamenti medici e comportamentali, e la decisione di procedere con l’impianto si basa su considerazioni cliniche, non finanziarie. (Urology 2007; 70: 1069-74)
Semplici consigli da parte del medico durante le visite di routine sono efficaci nell’incoraggiare i pazienti sedentari in sovrappeso o obesi con diabete di tipo 2 ad intraprendere uno stile di vita pi? sano. I medici sono ben consapevoli del loro potenziale positivo in questo senso, ma i molti punti di interesse clinico e le priorit? del paziente durante le visite abituali spesso rendono difficile indirizzare adeguatamente le modifiche dello stile di vita in ciascun paziente. Problemi di tempo e mancanza di insegnamento su come consigliare meglio il paziente su nutrizione, esercizio e gestione del peso sono barriere che il medico deve superare. I risultati del presente studio sottolineano i benefici di brevi consulenze dirette dal medico sugli stili di vita sani, pur rivelandone le limitazioni: senza un miglioramento nell’educazione del medico, sistemi sanitari pi? sofisticati e di sostegno ed un maggior riferimento alla sanit? pubblica, le consulenze comportamentali sulla salute non realizzeranno probabilmente il loro pieno potenziale. (Arch Intern Med. 2008; 168: 129-30 e 141-6)
I risultati di una ricerca pubblicata di recente hanno confermato ci? che molti da tempo sospettano, ossia che la dieta occidentale, ricca di carne, granaglie raffinate e cibi fritti, incrementa il rischio di sviluppare la sindrome metabolica. Il consumo di latticini, d’altro canto, offre una qualche protezione nei confronti delle anomalie dei fattori di rischio cardiovascolari. Vi sono stai alcuni studi su diversi componenti della dieta ed i loro effetti sulla sindrome metabolica, ma il presente studio estende la prospettiva sull’intera dieta. Nessuno infatti assume un solo tipo di cibo: con la dieta occidentale nel suo complesso, caratterizzata anche da scarso apporto di frutta e verdura, pesce e granaglie integrali, ? stato possibile accertare un aumento del rischio di sindrome metabolica. (Circulation online 2008, pubblicato il 22/1)
Le malattie parodontali e l’edentulismo sono indipendentemente associati alle nefropatie croniche. Queste ultime rappresentano un problema per la salute pubblica, spesso sottodiagnosticato. Man mano che ulteriori studi sulle nefropatie croniche valuteranno il ruolo delle parodontopatie, si accumuleranno dati per accettare o rifiutare l’inclusione della terapia parodontale negli approcci preventivi mirati a limitare il numero di nuovi casi di nefropatia cronica. Sono necessarie ulteriori ricerche tramite studi prospettici per valutare l’inferenza causale della correlazione ed un’eventuale diminuzione dell’incidenza, della progressione e delle complicazioni delle nefropatie croniche con interventi adeguati. (Am J Kidney Dis 2008; 51: 45-52)
Nei pazienti con diabete di tipo 2, una dieta a basso contenuto di carboidrati ed a basso indice glicemico non porta ad alcun effetto sulla HbA2, ma porta ad una riduzione nella glicemia postprandiale e nella concentrazione di proteina C-reattiva. La riduzione dell’apporto di carboidrati o quella dell’indice glicemico non influenzano il controllo glicemico complessivo, ma ci? non deve sorprendere, in quanto questi soggetti hanno una glicemia quasi normale. Il dato pi? innovativo consiste nella riduzione della proteina C-reattiva, che ? molto importante: bisogna infatti considerare la dieta non soltanto in ragione della riduzione della glicemia, ma in ragione della riduzione del rischio di malattie cardiovascolari. (Am J Clin Nutr 2008; 87; 114-25)
Un vaccino anti-Ebv ha dimostrato una considerevole efficacia nella prevenzione della mononucleosi infettiva susseguente all’infezione da Ebv. La febbre ghiandolare ? un problema quotidiano per i medici, dato che molti pazienti si lamentano delle caratteristiche debilitanti della malattia in fase acuta e delle sue conseguenze come la debolezza prolungata e la sindrome da affaticamento cronico. L’Ebv ? inoltre associato a diversi tumori maligni, come i linfomi che colpiscono i bambini immunocompromessi. Bench? il vaccino anti-Ebv non sia finora stato considerato una priorit? da molti, il suo attuale sviluppo ha sollevato un interesse inatteso dalla comunit? medica e dal pubblico, la cui preoccupazione per la malattia era stata probabilmente sottostimata. (J Clin Infect Dis 2007; 196: 1749-53)
Rilanciamo un articolo pubblicato sul sito Dica 33: http://www.dica33.it/default.asp
L’articolo riporta i risultati di uno studio pubblicato nel 2007 sul British Medical Journal. Lo studio, coordinato dal Centro per la prevenzione oncologica di Torino, ha coinvolto donne in et? compresa tra 25 e 60 anni, reclutate periodicamente per il Pap test, da nove centri di sei regioni. Met? delle donne sono state assegnate dopo randomizzazione alla citologia tradizionale e l?altra met? alla citologia liquida, con successivo ricorso alla colposcopia nei casi previsti dal protocollo. Il principale vantaggio della citologia liquida, secondo i ricercatori, ? stato rappresentato da una pi? bassa frequenza relativa delle donne con almeno un risultato non soddisfacente per lesioni atipiche o casi incerti, in aggiunta a quelli, gi? evidenziati, della maggiore rapidit? del risultato e della possibilit? di usare lo stesso campione per il test dell?HPV e per altri test.
Da circa mezzo secolo il Pap test ? il caposaldo dello screening dei tumori del collo dell?utero, ma si studiano, comunque, perfezionamenti e altre indagini per migliorare ulteriormente le sue capacit? diagnostiche. Uno sviluppo della citologia tradizionale gi? ampiamente in uso in molti paesi ? quella in fase liquida, che non analizza direttamente lo striscio di cellule prelevate, ma le sottopone a un sistema di lavaggio, filtraggio e preparazione automatizzata in strato sottile su un vetrino, esaminato poi direttamente al microscopio o con metodo computerizzato. Tra i vantaggi, si riducono i casi incerti, per esempio per presenza di cellule ematiche o infiammatorie, e si pu? usare il campione per test complementari. I confronti sull?accuratezza dei due sistemi hanno per? prodotto risultati contrastanti, anche per la limitatezza di studi qualificati: nuovi contributi vengono forniti ora da una ricerca italiana relativa a circa 45.000 donne e da un lavoro australiano, entrambi pubblicati sul Bmj. Il razionale dello screening primario per la prevenzione del cancro della cervice ? una questione attuale dal punto di vista economico-sanitario oltre che scientifico, che coinvolge per esempio anche l?uso di un test recente come quello per il DNA del Papillomavirus e la riconsiderazione generale alla luce della disponibilit? del vaccino, vera rivoluzione per la prevenzione.
Meno risultati non soddisfacenti L?ampio studio, coordinato dal Centro per la prevenzione oncologica di Torino, ha coinvolto donne di 25-60 anni reclutate periodicamente per il Pap test (raccomandato almeno ogni tre anni, in questa fascia d?et?) da nove centri di sei regioni, met? delle quali assegnate dopo randomizzazione alla citologia tradizionale e l?altra met? a citologia liquida, con successivo ricorso alla colposcopia nei casi previsti dal protocollo. Come risultato finale, per il sistema alternativo della fase liquida non si ? dimostrato un aumento significativo di sensibilit? nei confronti delle lesioni intraepiteliali di grado 2 o superiore (quelle considerate obiettivo primario del trial) rispetto al sistema tradizionale; inoltre ? risultato un valore predittivo positivo pi? basso, in conseguenza della maggiore frequenza di lesioni, in genere di basso grado, senza incremento di neoplasie di grado elevato. C?? stato infatti un aumento di sensibilit? delle lesioni almeno di grado 1, ma non di grado superiore a 3. La frequenza relativa delle donne con almeno un risultato non soddisfacente, per lesioni atipiche o casi incerti, ? stata per? pi? bassa nel gruppo citologia liquida: questo ? stato giudicato dai ricercatori il principale vantaggio del metodo, in aggiunta a quelli gi? evidenziati della maggiore rapidit? del risultato e della possibilit? di usare lo stesso campione per il test dell?HPV e per altri test. Riguardo allo studio osservazionale australiano, analizzando circa 55.000 campioni, in sintesi ? emerso che con un sistema di imaging automatizzato si individuavano 1,29 casi in pi? di malattia di grado elevato ogni mille donne rispetto alla citologia convenzionale, con le lesioni di grado 1 come soglia per avviare alla colposcopia.
Non solo sensibilit? Che cosa possono aggiungere questi risultati? L?editoriale ricorda che i diversi livelli di successo dello screening nei vari paesi dipendono dalla sensibilit? del metodo usato, dall?incidenza della malattia nella popolazione, dai tassi di copertura, dall?et? d?inizio del test, dagli intervalli dello stesso; questi aspetti, in aggiunta ad altri, come l?esperienza degli operatori, fanno s? che i risultati in un dato contesto possano non essere direttamente applicabili ad altri. La superiorit? della citologia liquida rispetto a quella tradizionale pu? risiedere non soltanto nella maggiore sensibilit? ma nelle altre caratteristiche rilevate, quali la rapidit? e l?utilizzo per test complementari, come quello per la ricerca del DNA dell?HPV, per il quale non esiste indicazione per l?uso routinario e deve ancora essere definito il ruolo ottimale. Le strategie d?impiego dei test sono dunque complesse, associative e non, e tra l?altro non solo per lo screening iniziale ma anche per il monitoraggio in fasi successive; un?ulteriore elemento da valutare saranno le raccomandazioni nell?epoca della vaccinazione anti-HPV, tenendo conto che questa non ? obbligatoria e che ? inefficace se chi vi ricorre ? gi? infetto.
Un nuovo test per il dosaggio di un biomarcatore urinario pu? rilevare i tumori prostatici pi? accuratamente di altri metodi di screening attualmente disponibili, e la combinazione di biomarcatori pu? migliorare le caratteristiche del test. Il test si ? dimostrato superiore a PSA e PCA3, che ? un antigene specifico per il tumore prostatico e rappresenta un promettente marcatore per la diagnosi precoce di questi tumori. Questi biomarcatori aiutano a distinguere il tumore prostatico da ingrossamenti o infiammazioni relativamente benigni della prostata, che sono estremamente comuni. Bench? il PSA abbia significativamente aumentato il rilevamento del tumore prostatico, esso risulta spesso elevato anche in uomini con patologie benigne, ed ha una scarsa specificit? per i tumori maligni della prostata. In origine si pensava che il test urinario avrebbe affiancato quello del PSA, ma probabilmente invece lo soppianter?. (Cancer Res. 2008; 68: 645-9)