Attenzione a trattare in modo acritico le batteriurie, anche di Enterococchi

In un recente articolo pubblicato sugli Archives of Internal Medicine alcuni ricercatori dell’Università della Pennsylvania hanno valutato, in una revisione retrospettiva delle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati in 2 ospedali di insegnamento, l’appropriatezza del comportamento clinico di fronte alla positività dell’urinocoltura per presenza di Enterococco; è probabile che le conclusioni di questo lavoro possano essere traslate per tutte le altre forme batteriche o micotiche che si possono ritrovare nelle urinocolture che spesso vengono richieste per i pazienti ricoverati. Gli autori della pubblicazione hanno innanzitutto classificato i 375 pazienti di cui hanno avuto modo di controllare la cartella clinica in pazienti affetti da infezione del tratto urinario (UTI) o pazienti portatori di batteriuria asintomatica (ABU), applicando per questa suddivisione i criteri ben noti e specificati anche nelle ultime Linee Guida americane del 2005 (vedi Tabella acclusa). Ovviamente l’utilizzo dell’antibioticoterapia è stato ritenuto appropriato per i primi, ma non per i secondi. Secondo gli stringenti parametri di selezione, dei 375 pazienti con una positività urinaria per Enterococco, sono state prese in considerazione solamente 339 urinocolture; di queste 183 (54,0%) erano riferibili a una condizione di ABU e 156 (46,0%) di UTI. Dei 289 pazienti di cui si disponeva anche l’analisi dell’urina, la piuria era presente nel 70% dei 140 pazienti con UTI (98/140pazienti) e nel 42.3% dei 149 pazienti con ABU (63/149 pazienti), con un OR di 3.19, 95% CI 1.96-5.18. I colleghi ospedalieri hanno inappropriatamente trattato con antibiotici il 32.8% (60 /183) dei pazienti etichettati come ABU e ciò è avvenuto sulla scorta della presenza di piuria che, all’analisi multivariata, è risultata essere l’unica variabile associata con l’uso inadeguato degli antibiotici (OR 3.27, 95% CI 1.49-7.18). Nelle conclusioni gli AA richiamano quindi l’attenzione dei clinici sulla necessità di una corretta stratificazione dei pazienti con presenza di batteriuria, nel caso specifico da Enterococco, per evitare un uso inappropriato di antibiotici che potrebbe indurre l’insorgenza di pericolose resistenze. 

Lin E et al. Overtreatment of Enterococcal Bacteriuria. Arch Intern Med. 2012;172(1):33-38. doi:10.1001/archinternmed.2011.565

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L’aspirina nella prevenzione del cancro colo-rettale

Erano già noti gli effetti positivi dell’aspirina nella prevenzione del carcinoma colo-rettale, ma i dati di supporto a questa tesi erano basati su studi osservazionali, mentre gli studi randomizzati avevano avuto come end point primario il rischio di adenomi (CAPP1). Il CAPP2 (Colorectal Adenoma/ Carcinoma Prevention Programme) è stato il primo trial randomizzato in doppio cieco che si è posto come end point primario la prevenzione del cancro colo-rettale mediante l’assunzione di aspirina. 861 pazienti con sindrome di Lynch (cancro del colon ereditario senza poliposi) sono stati trattati per almeno 2 anni e seguiti per 10 anni per valutare se l’ASA – somministrata per un lungo periodo di tempo – agisse favorevolmente per la prevenzione di questa patologia oncologica. Il risultato dello studio ha evidenziato che 600 mg di aspirina somministrati per almeno 2 anni procurano una evidente protezione contro il cancro colo-rettale ereditario  (ma non solo), allo stesso modo di una sorveglianza colonscopica. L’effetto comincia già dal 3°-4° anno dopo l’arruolamento, è ben evidente a 6 anni e ancora di più a 11 anni (fig. 2,3). È palese quindi l’opportunità della prescrizione di aspirina nei soggetti ad alto rischio. Non è ancora ben chiaro il meccanismo con cui l’aspirina agisce e se agisca anche su altri tipi di cancro; inoltre rimane da definire meglio il dosaggio ottimale, anche se non sono stati riportati eventi collaterali gravi (si stanno studiando comunque dosaggi più bassi, come quelli adottati per la prevenzione delle malattie cardiovascolari). Infatti evidenze indirette suggeriscono che dosaggi più bassi possono essere utilizzati ed avere ugualmente un buon effetto protettivo. Ma per questo si aspettano i risultati del CAPP 3. 

Burn J et al. Long-term effect of aspirin on cancer risk in carriers of hereditary colorectal cancer: an analysis from the CAPP2 randomised controlled trial. Lancet 2011; 378: 2081-2087

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Iperglicemia e atrofia ippocampale: studio PATH

Patologie come la demenza senile sono collegate ad un restringimento del cervello e ad un’atrofia talvolta collegata all’area ippocampale. Tali condizioni sono più probabili in soggetti che presentano livelli elevati di glucosio nel sangue.

 

Questi i risultati di una ricerca recentemente apparsa sulla rivista scientifica Neurology e condotta dal prof.Nicolas Cherbuin dell’Australian National University di Canberra. Soggetti diabetici possono dunque presentare maggiori rischi in tal senso di sviluppare patologie neurologiche. La ricerca ha coinvolto 249 persone tra i 60 e 64 anni considerando i livelli di zucchero nel sangue definiti normali dall’Organizzazione mondiale della Sanita’.

Bibliografia: Cherbuin N, Sachdev P, Anstey KJ. Higher normal fasting plasma glucose is associated with hippocampal atrophy: The PATH Study. Neurology. 2012 Sep 4;79(10):1019-26

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L’ accesso ai nuovi farmaci in triplice terapia

Nei prossimi mesi saranno introdotti nel mercato Italiano due nuovi inibitori della proteasi per la cura dell’epatite C. In generale, si può affermare  che i nuovi farmaci innovativi aumentano i tassi di guarigione del 25-60% in ragione della fibrosi e tipo di risposte ai trattamenti pregressi.
Purtroppo l’introduzione di questi primi due farmaci innovativi pone grossi problemi di sostenibilità economica, sia per l’elevato costo del singolo cocktail terapeutico, sia per l’elevato numero dei candidati al trattamento antivirale.

In vista  di questi grandi cambiamenti terapeutici per il trattamento dell’HCV, l’Associazione EpaC Onlus – la più grande e rappresentativa dei malati di epatite Italiani – si è posta il problema di quale fosse il modo migliore di rappresentare i bisogni dei pazienti ai tavoli di lavoro con Istituzioni pubbliche e associazioni scientifiche.
L’Associazione ha quindi proposto ai propri sostenitori un sondaggio finalizzato a capire quali fossero gli orientamenti e le opinioni sull’introduzione della triplice terapia.

I risultati del sondaggio,sono stati presentati a 10 convegni Italiani e ne è stata fatta una pubblicazione scientifica accettata sotto forma di Poster presentation.

Un altro grande successo a conferma della nostra professionalità e credibilità.

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Bassi livelli di vitamina D e rischio di gravi eventi avversi

Uno studio della university of Washington, Seattle, conclude che la soglia di concentrazione di vitamina 25-(OH)D associata a un aumentato rischio di eventi clinici avversi gravi – frattura femorale, infarto miocardico, cancro o morte – è intorno a 50 nmol/L (20 ng/mL); tuttavia questo valore medio non deve essere considerato in maniera statica ma subisce variazioni stagionali. Nell’analisi sono stati considerati i dati di 1.621 pazienti, adulti di razza bianca, provenienti dal Cardiovascular Health Study, condotto negli Stati Uniti tra il 1992 e il 2006. Durante un periodo di follow-up della durata media di 11 anni, 1018 pazienti (il 63% del totale) sono stati colpiti da uno degli eventi che i ricercatori avevano deciso di controllare; nel dettaglio, si sono avute 137 fratture d’anca, 186 infarti del miocardio, 335 casi di tumore e 360 decessi. I ricercatori hanno verificato che l’associazione tra valori bassi nella concentrazione di 25-idrossicolecalciferolo ed eventi avversi subisce una variazione stagionale. Il rischio è risultato superiore del 24% in corrispondenza di una concentrazione inferiore a uno Z score specifico stagionale di -0,54; la corrispondente concentrazione specifica stagionale di 25-(OH)D in inverno, primavera, estate e autunno è stata rispettivamente di 43, 50, 61 e 55 nmol/L (ossia 17, 20, 24 e 22 ng/mL). In sintesi risulta che, nella valutazione del rischio, risulta più appropriato non considerare livelli fissi di 25-(OH)D ma valori variabili in funzione della stagione.

Ann Intern Med, 2012; 156(9):627-34

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L’acromionplastica non è sempre necessaria

8 Ott 2012 Ortopedia

Uno studio prospettico su 120 pazienti con lesioni di piccole o medie dimensioni alla cuffia dei rotatori, mostra che l’approccio chirurgico artroscopico produce un miglioramento dei sintomi e della funzionalità con o senza acromionplastica. Le ricercatrici coreane della Ewha womans university di Seul hanno suddiviso in modo randomizzato i partecipanti in due gruppi e hanno sottoposto metà di loro a riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori con acromionplastica (gruppo I) e l’altra metà senza (gruppo II) per poi valutare, 35 mesi dopo l’intervento chirurgico, l’eventuale persistenza di dolore, il range of motion e la soddisfazione dei pazienti. Nelle due coorti, l’età media era simile (57,8 nel gruppo I e 55,8 nel gruppo II), così come le dimensioni medie delle lesioni (rispettivamente di 14,6 mm e 15,3 mm). L’acromion era presente nelle sue diverse forme – piatta, curva o uncinata – ma sono stati esclusi a priori i soggetti con sperone acromiale. In entrambi i gruppi il risultato clinico della riparazione della cuffia dei rotatori è stato ottimo e non si sono registrate differenze significative nella sintomatologia dolorosa, nel range of motion e nella risposta ad altri test funzionali. Sottoposti a risonanza magnetica per valutare la guarigione del tendine, la percentuale di rirottura è stata del 17% tra i pazienti a cui era stata praticata l’acromionplastica e del 20% nell’altro gruppo. Le autrici ne concludono che, «se le lesioni non sono molto estese e non c’è sperone acromiale, l’acromionplastica può non essere necessaria nella procedura di trattamento chirurgico artroscopico».

Arthroscopy, 2012; 28(5):628-35

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Dolore toracico: probabilità pretest contro stress test inutili

La maggior parte dei pazienti ricoverati per dolore toracico a basso rischio è sottoposta a prova da sforzo indipendentemente dalla probabilità pretest, ma i risultati dello stress test raramente sono anormali. Effettuare lo stress test basandosi sulla probabilità pretest potrebbe migliorare l’efficacia dell’assistenza senza mettere inutilmente in pericolo i pazienti. È quanto è emerso da uno studio retrospettivo di coorte – realizzato da un gruppo di ricercatori della Tufts University di Boston, sotto la guida di Srikanth C. Penumetsa – su pazienti di età pari o superiore a 21 anni, ricoverati per dolore toracico tra il 2007 e il 2008. Di questi soggetti si sono valutate le cartelle cliniche cartacee ed elettroniche per due ordini di motivi: identificare le differenze nell’uso dello stress test in base ad aspetti demografici e alle comorbilità, alla probabilità pretest di malattia coronarica e alla copertura offerta dal personale interno; descrivere i risultati dei test da sforzo e gli outcome del paziente, considerando le procedure di rivascolarizzazione e i nuovi ricoveri a 30 giorni per infarto miocardico. Su 2.107 pazienti, 1.474 (69,9%) erano stati sottoposti a prova da sforzo, e i risultati sono stati anormali in 184 (12,5%). Entro 30 giorni, 22 pazienti (11,6%) con test anormale sono stati avviati a cateterismo cardiaco, 9 (4,7%) a rivascolarizzazione, e 2 (1,1%) sono stati nuovamente ricoverati per infarto del miocardio. All’analisi statistica, la richiesta di test da sforzo è apparsa associata positivamente a un’età inferiore a 70 anni (rischio relativo, Rr:1,12), all’avere una copertura  assicurativa privata (Rr vs Medicare/Medicaid: 1,19) e mancata copertura del personale (Rr: 1,39). Dei pazienti con bassa (<10%) probabilità pretest, il 68% è stato avviato a stress test, ma solo il 4,5% di questi ha avuto un risultato anormale.

Arch Intern Med, 2012 May 7. [Epub ahead of print]

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Noduli polmonari nei pazienti con cancro colorettale

8 Ott 2012 Oncologia

Nei pazienti affetti da cancro colorettale, il rilievo di noduli multipli indeterminati a bordi irregolari nel parenchima polmonare ha elevata probabilità di rappresentare una metastatizzazione della malattia. Peraltro, la frequenza della comparsa di metastasi indeterminate di cancro colorettale in sede polmonare è ridotto. È quanto ha verificato un’équipe di ricercatori turchi dell’università Ege, a Izmir, guidati da Yelda Varol, in uno studio basato sulla revisione delle cartelle cliniche di 1.344 pazienti affetti da cancro colorettale e avviati a Tac toracica tra il 2003 e il 2009. Sono stati esclusi i casi con qualsiasi forma di malattia metastica a distanza o già noti per avere formazioni maligne nel polmone. Sono stati sottoposti a valutazione il numero, la dimensione, la forma e la localizzazione dei noduli. Sulla popolazione totale, 55 (4,09%) aveva noduli che soddisfacevano i criteri di un nodulo polmonare indeterminato. Il tempo medio del follow-up è stato di 25 mesi e il tempo medio per sviluppare metastasi polmonari si è attestato a 15,5 mesi. I noduli di 17 pazienti (30,9%) hanno mostrato una progressione al follow-up; di questi, 8 hanno metastatizzato. L’analisi multivariata ha quindi dimostrato che, nei pazienti con cancro colorettale, i noduli multipli indeterminati polmonari localizzati nel parenchima con margine irregolare sono predittivi di malattia metastatica.

Med Princ Pract, 2012 Apr 27. [Epub ahead of print]

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Infezione da H.pylori: nuove indicazioni da Maastricht

Dalla consensus conference di Maastricht , giunta alla sua quarta edizione, arrivano gli aggiornamenti per il Management dell’infezione di Helicobacter pylori. Tra gli autori del documento di consenso ci sono anche diversi clinici italiani

Il management dell’infezione da Helicobacter pylori è stato sottoposto a revisione nell’ambito della quarta edizione della consensus conference di Maastricht/Firenze con la partecipazione di 44 esperti, tra cui italiani, aderenti all’European helicobacter study group. Ne sono scaturite raccomandazioni per la pratica clinica frutto delle analisi effettuate in 3 workshop separati le cui conclusioni sono state infine sottoposte a votazione in assemblea plenaria. Il primo workshop si è occupato di indicazioni e controindicazioni per la diagnosi e il trattamento focalizzandosi su dispepsia, impiego di aspirina o Fans, malattia da reflusso gastroesofageo (GORD) e manifestazioni extra-intestinali dell’infezione. Gli statements precisano che l’eradicazione di H pylori determina un miglioramento a lungo termine della dispepsia in un paziente su 12 con dispepsia funzionale mentre, in media, lo status di H pylori non ha effetto sulla severità e ricorrenza dei sintomi e sull’efficacia della terapia per la GORD. L’infezione si associa ad un aumento del rischio di ulcere gastroduodenali nei pazienti in trattamento con Fans e aspirina a basse dosi ed emerge evidenza a sostegno del link con anemia da deficienza di ferro non altrimenti spiegata, porpora trombocitopenica idiopatica e deficienza da vitamina B12: in presenza di tali disordini H pylori dovrebbe essere ricercato ed eradicato. 

Raccomandazioni per il trattamento
Il secondo workshop ha delineato i cardini del trattamento per l’infezione. La tripla terapia contenente PPI e claritromicina dovrebbe essere abbandonata laddove i tassi di resistenza a claritromicina siano superiori al 10-15%: si raccomanda invece il ricorso alla terapia quadrupla con bismuto in prima linea empirica, e se questo regime non è disponibile si invita ad usare una terapia quadrupla senza bismuto o un trattamento sequenziale. Nelle aree in cui la resistenza a claritromicina è bassa, i regimi su base empirica contenenti claritromicina sono raccomandati in prima linea con l’alternativa della terapia quadrupla contenente bismuto. L’impiego di PPI ad alte dosi due volte al giorno aumenta l’efficacia della tripla terapia mentre l’estensione del regime triplo con claritromicina e PPI da 7 a 10-14 giorni migliora i tassi di eradicazione di circa il 5%: i regimi contenenti metronidazolo o amoxicillina sono equivalenti. Dopo fallimento della terapia contenente PPI e claritromicina, si raccomanda una terapia quadrupla contenente bismuto o tripla con levofloxacina. Dopo fallimento della terapia di seconda linea il documento consiglia di basare le successive scelte terapeutiche sul test di suscettibilità antimicrobica. Infine il terzo workshop ha preso in considerazione il tema della prevenzione del cancro gastrico, di cui H pylori è il più consistente fattore di rischio, e di altre complicazioni. Si ricorda che estensione e severità della gastrite insieme ad atrofia si associa in modo positivo al cancro gastrico: l’eradicazione di H pylori può arrestare la progressione dell’atrofia e ridurre il rischio di sviluppo di cancro. 

Gut 2012; 61: 646-664

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Controllo glicemico con metformina nei giovani con diabete 2

La monoterapia con metformina si associa a un controllo glicemico duraturo in circa la metà dei bambini e adolescenti con diabete di tipo 2. L’aggiunta di rosiglitazone, ma non un intervento intensivo sullo stile di vita, si rivela superiore alla sola metformina. Lo studio “Today” ha preso in considerazione pazienti di età compresa tra 10 e 17 anni trattati con metformina (1.000 mg due volte al giorno) per ottenere un livello di emoglobina glicata inferiore all’8%: questo gruppo è stato randomizzato a ricevere solo metformina o metformina combinata con rosiglitazone (4 mg due volte al giorno) oppure a seguire un programma di interventi sullo stile di vita focalizzati sulla perdita di peso. Dei 699 pazienti randomizzati, 319 (45,6%) hanno soddisfatto i requisiti dell’outcome primario (perdita del controllo glicemico: livello di emoglobina glicata di almeno l’8% per 6 mesi o scompenso metabolico che richiedeva insulina) in un follow-up medio di 3,86 anni. I tassi di fallimento si sono attestati su 51,7%, 38,6% e 46,6% rispettivamente per solo metformina, metformina più rosiglitazone e metformina con intervento sullo stile di vita. Metformina più rosiglitazone è risultato superiore alla sola metformina. Metformina insieme all’intervento sullo stile di vita si è collocato in una posizione intermedia, non diverso in modo significativo rispetto alla sola metformina o metformina più rosiglitazone. L’analisi prespecificata in base al sesso e al gruppo etnico ha evidenziato differenze in termini di efficacia sostenuta: la metformina da sola è risultata meno efficace nelle persone di colore non ispaniche e metformina associata a rosiglitazone più efficace nelle ragazze. Eventi avversi gravi sono stati riportati nel 19,2% dei pazienti.

N Engl J Med, 2012 Apr 29. [Epub ahead of print]

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