La musicoterapia determina un notevole miglioramento dell’umore rispetto alla sola terapia standard nei pazienti depressi. Tutti gli studi con approcci formali alla musicoterapia hanno riportato risultati positivi, mentre gli studi che non hanno riportato alcun miglioramento significativo nello stato mentale con la musicoterapia non hanno offerto alcun approccio terapeutico formale. Data comunque la scarsa quantit? di studi e la scarsa qualit? delle esposizioni, questi dati, pur promettenti, necessitano di rigorose verifiche nell’ambito di indagini future. Il trattamento comunque appare ben tollerato, come testimoniato anche dai bassi tassi di sospensione della terapia, e porta ad esiti positivi anche nella schizofrenia. (Cochrane Database Syst Rev online 2008, pubblicato il 24/1)
Non sempre il carcinoma della prostata ? operabile, anche quando ? localizzato, oppure quando ? localmente avanzato. In questi casi per? si pu? intervenire sia con la radioterapia sia con la terapia farmacologica o anche con entrambe. Ed ? proprio il confronto tra la sola terapia radiante e la sua associazione alla terapia farmacologica (la soppressione degli androgeni, indicata come AST), che ? dedicato uno studio statunitense. Il confronto era richiesto dai molti indizi che deponevano per un?azione negativa dellAST nei pazienti che presentavano anche altre malattie oltre al tumore. Infatti va tenuto presente che in maggioranza si tratta di pazienti anziani: in questo studio, anche se l?et? variava da 49 a 82 anni pi? della met? superava i 72. Di conseguenza, sono stati coinvolti 206 uomini pervenuti a un centro specialistico, affetti da tumore non metastatico con almeno un fattore di prognosi sfavorevole, per esempio elevato valore del PSA, segni di invasione delle vescicole seminali, biopsia sfavorevole. Il campione ? stato suddiviso in due gruppi, uno trattato con radioterapia conformazionale tridimensionale oppure con la radioterapia e con la soppressione androgenica (con un agonista dell?LHRH e con l`antiandrogeno flutamide).
Il quadro generale
Naturalmente, i pazienti sono stati suddivisi anche in funzione della presenza di altre malattie, assegnando 4 diversi gradi di gravit? della situazione: grado 0, nessuna comorbidit?; grado 1, comorbidit? minima; grado 2, moderata e grado 3, grave. Le persone coinvolte sono state seguite per parecchi anni, la met? per pi? di 7,6 anni. Nell?arco dello studio, si sono verificati 74 decessi: 44 nel gruppo della sola radioterapia, 30 nel gruppo radioterapia pi? AST. Le morti attribuibili direttamente al tumore sono state 14 nel gruppo radioterapia e quattro nell?altro. L?analisi statistica ha poi confermato che le possibilit? di sopravvivenza erano pi? elevate con la doppia terapia. Ma questa ? solo la prima parte dell?analisi. Se si cominciava a considerare la presenza di altre malattie oltre al tumore, cominciava a delinearsi un quadro diverso. Intanto, nei pazienti che avevano una bassa comorbidit? l?effetto del tumore era significativo, cio? era una causa importante, mentre quando si passava a gravi comorbidit? il tumore perdeva di importanza come causa di morte. Infine, se si incrociavano i dati sulla comorbidit? con il tipo di trattamento usato, emergeva che il vantaggio in termini di sopravvivenza per la terapia combinata si manteneva quando non vi era comorbidit? di grado 0 e 1, mentre quando diventava pi? seria la sopravvivenza a otto anni era pari al 25% associando radioterapia e AST, mentre con la sola radioterapia era decisamente migliore: il 54%.
Distinguere in modo semplice
In conclusione, dicono gli autori, ? confermato che l?associazione della radioterapia con l?AST ? pi? efficace della sola radioterapia (aumentando la sopravvivenza fino a quattro volte), ma che questo vantaggio non si presenta nei pazienti che sofforono in modo moderato o grave di altre patologie. Il che, ricordano, ? coerente con molte altre osservazioni, come quella che il ricorso agli antitumorali, come classe complessiva, anticipa il presentarsi dell?infarto nelle persone di pi? di 65 anni. Certamente, questa indicazione ? molto generica, e gli autori auspicano che ora si passi a studiare quali comorbidit? in particolare risentono di questo effetto. Lo scopo ? disegnare uno schema il pi? semplice possibile che consenta di individuare per quali pazienti ? bene evitare la terapia ormonale.
Non vi sono prove a supporto dell’applicazione di consulenze o addestramento nelle tecniche di sollevamento sul posto di lavoro con o senza equipaggiamento per il sollevamento di carichi per la prevenzione del dolore lombare e della conseguente disabilit?. Sono state indicate tecniche specifiche per la riduzione del carico sulla schiena: precedenti studi sugli interventi lavorativi avevano gi? messo in dubbio il ruolo dell’educazione nella prevenzione del dolore lombare correlato al lavoro, ed anche se studi primari non avevano riscontrato alcun effetto dell’addestramento sull’incidenza del dolore alla schiena, ci? poteva essere incidentale o causato dalle piccole dimensioni dei campioni, ma il presente studio conferma questo dato, ponendo in dubbio l’utilit? delle attuali pratiche di consulenza dei lavoratori sulle corrette tecniche di sollevamento. Anche se potrebbero esservi altre ragioni per proseguire in questa pratica, essa non previene comunque il dolore lombare. E’ necessaria una migliore comprensione del legame causale fra l’esposizione a fattori stressanti biomeccanici sul lavoro ed il susseguente sviluppo di dolore lombare per consentire lo sviluppo di nuovi metodi preventivi innovativi. Intanto gli studi clinici randomizzati sul dolore lombare non specifico andrebbero interrotti, in quanto comprendono cos? tanti tipi diversi di dolore lombare che i risultati sono difficili da interpretare. I pi? comuni consigli che vengono dati al paziente di rimanere a lavoro e mantenersi fisicamente attivi per quanto possibile potrebbero non essere adeguati per i soggetti il cui lavoro implica il sollevamento di carichi pesanti e che hanno un’anamnesi di dolore lombare ricorrente e diversi periodi di assenza per malattia: proseguire il lavoro manuale pesante ed incrementare l’attivit? fisica nel tempo libero potrebbe non essere una buona idea in quanto non sono disponibili terapie chiaramente efficaci. Cambiare lavoro e rimanere prudentemente attivi nella vita quotidiana potrebbe essere per questi pazienti il miglior modo di ripredere il controllo di s?. (BMJ online 2008, pubblicato l’1/2)
La diagnosi di fibrosi nella patologia epatica ? importante per la prognosi, la stratificazione per il trattamento, ed il monitoraggio dell?efficacia del trattamento. L?aumento dell?incidenza e della prevalenza della Steatosi Epatica non alcolica (NAFLD) ha portato a ricercare dispositivi non invasivi per la diagnosi di fibrosi epatica nell? ambito della patologia. Con l?aiuto di una review sistematica si ? indagato su come si ? evoluto il settore dalla scoperta di semplici parametri ematici fino al gruppo dei markers di fibrosi epatica, discutendo la plausibilit? biologica, le limitazioni, gli usi potenziali, e le tecniche diagnostiche che possono derivare dalla disponibilit? di markers non-invasivi per quest?area che si sta sviluppando cos? velocemente Semplici parametri clinici e biochimici sembrano essere associati alla fibrosi nella NAFLD. Stanno cominciando ad emergere studi che comprendono queste variabili nei test diagnostici. E? possibile che l?accuratezza continuer? a migliorare con l?affinamento di questi algoritmi diagnostici aggiungendo nuovi biomarker e combinando differenti modalit? quali i biomarkers serici e l?imaging radiologico. La maggior parte degli studi si concentrano sulla identificazione della fibrosi grave, ma per supportare i nuovi trias terapeutici occorrer? arrivare a distinguere le forme pi? lievi di fibrosi e delle NASH rispetto alla statosi semplice.
Source : Gut 2006;55:1650-1660; BMJ Publishing Group Ltd & British Society of Gastroenterology
I corticosteroidi riducono in modo efficace le dimensioni degli emangiomi infantili. In questo senso, i corticosteroidi per via orale a somministrazione giornaliera offrono maggiori benefici di quelli per via endovenosa ad alte dosi somministrati mensilmente con terapia intermittente, ma al prezzo di un aumento degli effetti collaterali. Gli emangiomi infantili sono i pi? comuni ematomi benigni, e interessano il 15-20 percento dei neonati: bench? la maggior parte di essi vada incontro a risoluzione spontanea in et? infantile, circa il 10 percento di essi richiedono trattamento a causa di danni funzionali o potenziale per sfiguramenti significativi. Il trattamento standard impiegato nella maggior parte dei casi ? rappresentato da corticosteroidi per via orale. Tale trattamento ? spesso temuto per via degli effetti collaterali, ma il presente studio ha dimostrato che essi sono transitori e per la maggior parte gestibili. Il trattamento comunque deve essere individualizzato, sulla base dello stadio e delle dimensioni dell’emangioma e del metabolismo degli steroidi. Sono inoltre necessari ulteriori studi sugli effetti a lungo termine dei corticosteroidi su crescita e sviluppo complessivo.
I dati dell?International Early Lung Cancer Action Program (I-ELCAP) pubblicati nel 2006, che indicavano una sopravvivenza a 10 anni del 90 per cento dei pazienti diagnosticati tramite screening con TC spirale, sono stati considerati dalla comunit? medico-scientifica come una forte indicazione all?organizzazione di screening con TC spirale almeno nei gruppi a rischio. I ricercatori della Dartmouth Medical School guidati da Lisa M. Schwartz invece ora ridimensionano molto la validit? di I-ELCAP: ?Le statistiche sulla sopravvivenza possono essere molto fuorvianti e non dovrebbero essere usate come evidenza sulla capacit? degli screening di salvare vite umane?.
Secondo il nuovo studio ci sono almeno quattro ragioni per le quali l?I-ELCAP non ? convincente:
– non c?era un gruppo di controllo; – era presente un forte bias statistico causato dalla diagnosi precoce e dalla overdiagnosi; – tre precedenti trial randomizzati sugli screening per il tumore del polmone avevano dato risultati opposti; – l?overdiagnosi ha portato un aumento della mortalit? a causa di resezione, chemioterapia, radiazioni.
Conclude la Schwartz: ?Un trial randomizzato ? l?unica metodologia affidabile, gli screening fanno pi? danni che altro?.
Pi? della met? dei pazienti con BPCO avanzata presentano reflusso gastroesofageo. La prevalenza del fenomeno ? elevata anche in assenza di sintomi da reflusso. In base al presente studio, in questa popolazione il monitoraggio del pH esofageo a doppia sonda offra dei vantaggi rispetto a quello con sonda distale nel rilevamento del reflusso gastroesofageo. In ogni caso, finch? non sar? stato accertato in che misura il trattamento del reflusso gastroesofageo possa migliorare il decorso clinico della BPCO, lo screening di routine di tale fenomeno nei pazienti con BPCO non ? raccomandato.
La stragrande maggioranza delle masse adrenali identificate incidentalmente mediante TC in pazienti senza diagnosi di tumori maligni precedenti sono benigne o non significative. Lo ha dimostrato uno studio statunitense.
I ricercatori del Rhode Island Hospital hanno preso in esame 973 pazienti con 1049 masse adrenali identificate mediante TC. In ben 1045 casi su 1049 le masse si sono rivelate benigne e clinicamente non significative. Lo studio non ha riscontrato segni di metastasi neppure nei 14 pazienti che hanno successivamente sviluppato tumori in un momento successivo.
?Le masse adrenali sono comuni, e frequentemente capita di incontrarle durante una TC. Le implicazioni dei risultati del nostro studio dovrebbero risparmiare a tanti pazienti ulteriori esami diagnostici non necessari?, commenta Julie Song, professoressa di Radiologia alla Warren Alpert Medical School della Brown University.
Bibliografia. Most incidentally found adrenal masses not malignant. Rhode Island Hospital press release 2007.
L?American Heart Association (AHA) ha pubblicato un documento scientifico sulla sicurezza della risonanza magnetica (MRI) nei pazienti con dispositivi cardiovascolari: secondo l?AHA, se c?? una forte indicazione per la MRI, i benefici probabilmente superano i rischi.
Sull?argomento la confusione ? notevole: per esempio nei pazienti con stent metallici impiantati in alcuni casi si attendono almeno sei settimane per effettuare una MRI, oppure si evita del tutto di effettuarla, il che secondo gli esperti AHA ? assurdo. ?Riguardo a pacemaker e defibrillatori impiantabili?, spiega Glenn N. Levine del Baylor College of Medicine di Houston, tra gli autori del documento, ?la MRI dovrebbe essere effettuata solo in centri attrezzati e da operatori esperti, e solo e soltanto se esiste una forte indicazione per la MRI, questo perch? esiste la preoccupazione che la MRI possa causare danni a questi dispositivi, riprogrammarli o influenzare la loro funzionalit? in qualche altro modo. Non vogliamo mettere al bando la MRI in presenza di pacemaker o ICD, ma nemmeno vogliamo che succeda che un medico legga il nostro documento e pensi: OK, vai con la MRI senza problemi!, perch? questo sarebbe disastroso?.
Bibliografia. New statement on safety of MRI with CV devices. American Heart Association news release 2007.
Mangiare grandi quantit? di pompelmo, e con un?alta frequenza, pu? aumentare il rischio di tumore alla mammella.
Studi hanno indicato che il pompelmo inibisce il citocromo P450 3A4 ( CYP3A4 ), che ? anche coinvolto nel metabolismo degli estrogeni, aumentando la concentrazione plasmatica dell’estrogeno ed il rischio di tumore alla mammella.
I Ricercatori dell’University of Southern California a Los Angeles hanno condotto uno studio epidemiologico per verificare l’esistenza di un’associazione tra consumo di pompelmo e rischio di tumore alla mammella.
Tra le 50.000 donne in postmenopausa esaminate, 1.657 casi di tumore mammario erano disponibili per l’analisi.
Il 50% circa delle donne che hanno partecipato allo studio ha fatto uso di pompelmo, mentre il 7% ha assunto pi? di un quarto di pompelmo al giorno.
I Ricercatori hanno trovato che le donne che hanno assunto le pi? alte quantit? di pompelmo ( un quarto di pompelmo al giorno ) presentavano un rischio del 30% pi? elevato di sviluppare tumore alla mammella, rispetto alle donne che non ne facevano consumo.