Ambigui rapporti tra farmaci e diabete

Farmaci per l?ipertensione, anzi classi di farmaci, ce ne sono parecchi che differiscono per azione, efficacia (in funzione delle caratteristiche individuali) e non hanno lo stesso profilo sul piano degli effetti indesiderati. Scegliere quindi il pi? adatto anche da questo punto di vista non ? facile, anche perch?? non tutte le diverse classi sono state studiate una a confronto dell?altra.
In situazioni come queste vengono in aiuto le tecniche statistiche che consentono con una buona approssimazione di mettere a confronto tra di loro risultati ottenuti in studi diversi. Di queste tecniche, una delle pi? recenti ? la network metanalysis, che permette di paragonare tra loro i risultati ottenuti con due farmaci diversi anche se questi non sono mai stati messi a confronto diretto in uno studio. Una network metanalysis ? stata impiegata per paragonare tra loro le diverse classi di antipertensivi in funzione del loro effetto sullo sviluppo di diabete o il peggioramento della resistenza insulinica (cio? l?incapacit? dei tessuti di utilizzare l?ormone). E? un effetto noto gi? dalla fine degli anni cinquanta, particolarmente importante perch? effettivamente buona parte delle persone ipertese o presentano gi? questa condizione, oppure presentano resistenza insulinica oppure ancora caratteristiche che possono determinarle, come l?obesit?.

Un dato chiaro?

Ovviamente, gi? si sapeva che alcuni farmaci, per esempio gli ace-inibitori, hanno una funzione protettiva nei confronti del diabete, ma una vera e propria classifica in questo senso non era stata tracciata. Cos? gli autori di questa ricerca hanno selezionato 21 studi clinici, per un totale di 143153 pazienti suddivisi in 48 gruppi. Diciassette studi erano stati condotti su pazienti ipertesi, tre su pazienti ad alto rischio e uno su pazienti con insufficienza cardiaca (uno degli esisti dell?ipertensione grave). Nessuno, all?inizio delle ricerche cui avevano partecipato, presentava diabete. Scopo dell?analisi era determinare in quanti, alla fine dello studio, si era presentata la malattia. Detto cos? sembra facile ma non lo ? affatto. Il risultato ? stato che effettivamente gli antipertensivi cui si associa una minore insorgenza del diabete sono gli ACE inibitori, appaiati agli inibitori dei recettori dell?angiotensina ?Quelli con il maggior numero di casi associati sono i diuretici, con rischio relativo pari a uno e poi i beta bloccanti e i calcio-antagonisti, che non differiscono dal placebo. Com??, come non ?, sono le due classi pi? recenti ad aver riportato i risultati migliori.

?con risvolti pratici incerti

Ottenuto il dato, che cosa se ne fa il medico? La risposta ? pi? difficile, perch? in termini assoluti le differenze sono piccole: in altre parole, tra un farmaco e l?altro la differenza non supera il 3,6%. Inoltre, gli studi non sono sufficientemente lunghi per stabilire se il diabete cos? sviluppatosi ? a sua volta causa di una malattia di cuore, evento che l?antipertensivo dovrebbe evitare. Quanto alla scelta iniziale del trattamento, dunque, rimangono disparit? di opinione: se negli Stati Uniti si consiglia anche per l?ipertensione non complicata di partire con un diuretico, il National Institute for Health and Clinical Excellence indica di considerare diuretici e betabloccanti come terza o quarta scelta. Gli autori giustamente dicono anche per ragioni economiche, visto che trattare il diabete ? costoso. Ma d?altra parte ci sono ragioni economiche anche nella scelta di partire con i diuretici (i pi? vecchi e i meno cari). E a complicare il tutto c?? la differenza di risposta del paziente? Una cosa ? certa, per?, la scelta peggiore ? trascurare l?ipertensione: tutto il resto ? meglio, di molto.

Maurizio Imperiali

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Diabete di classe

Farmaci per l?ipertensione, anzi classi di farmaci, ce ne sono parecchie che differiscono per azione ed efficacia, anche in funzione delle caratteristiche individuali, per?, hanno lo stesso profilo sul piano degli effetti indesiderati. Scegliere quindi il pi? adatto, da questo punto di vista non ? facile, anche perch? non tutte le diverse classi sono state confrontate una con l?altra. In situazioni come queste vengono in aiuto le tecniche statistiche che consentono, con una buona approssimazione, di mettere a confronto tra di loro risultati ottenuti in studi diversi. Di queste tecniche, una delle pi? recenti ? la network metanalysis, che permette di paragonare tra loro i risultati ottenuti con due farmaci diversi, anche se questi non sono mai stati messi a confronto diretto in uno studio. Una network metanalysis ? stata impiegata per paragonare tra loro le diverse classi di antipertensivi in funzione del loro effetto sullo sviluppo di diabete, o peggioramento della resistenza insulinica. E? un effetto noto gi? dalla fine degli anni cinquanta, particolarmente importante perch?, effettivamente, buona parte delle persone ipertese o presenta gi? questa condizione, oppure presenta resistenza insulinica oppure ancora caratteristiche che possono determinarle, come l?obesit?.

Un dato chiaro?

Ovviamente, gi? si sapeva che alcuni farmaci, per esempio gli ACE inibitori, hanno una funzione protettiva nei confronti del diabete, ma una vera e propria classifica in questo senso non era stata tracciata. Cos? gli autori di questa ricerca hanno selezionato 21 studi clinici, per un totale di 143.153 pazienti suddivisi in 48 gruppi. Diciassette studi erano stati condotti su pazienti ipertesi, tre su pazienti ad alto rischio e uno su pazienti con insufficienza cardiaca. Nessuno, all?inizio delle ricerche cui avevano partecipato, presentava diabete. Scopo dell?analisi era determinare in quanti, alla fine dello studio, si era presentata la malattia. Detto cos? sembra facile ma non lo ? affatto. Il risultato ? stato che effettivamente gli antipertensivi cui si associa una minore insorgenza del diabete sono gli ACE inibitori, appaiati agli inibitori dei recettori dell?angiotensina. Quelli con il maggior numero di casi associati sono i diuretici, con rischio relativo pari a uno e poi i beta bloccanti e i calcio-antagonisti, che non differiscono dal placebo. Com??, come non ?, sono le due classi pi? recenti ad aver riportato i risultati migliori.

?con risvolti pratici incerti

Ottenuto il dato, che cosa se ne fa il medico? La risposta ? pi? difficile, perch? in termini assoluti le differenze sono piccole: in altre parole, tra un farmaco e l?altro la differenza non supera il 3,6%. Inoltre, gli studi non sono sufficientemente lunghi per stabilire se il diabete cos? sviluppatosi ? a sua volta causa di una malattia di cuore, evento che l?antipertensivo dovrebbe evitare. Quanto alla scelta iniziale del trattamento, dunque, rimangono disparit? di opinione: se negli Stati Uniti si consiglia, anche per l?ipertensione non complicata, di partire con un diuretico, il National Institute for Health and Clinical Excellence indica di considerare diuretici e betabloccanti come terza o quarta scelta. Gli autori giustamente dicono anche per ragioni economiche, visto che trattare il diabete ? costoso. Ma d?altra parte ci sono ragioni economiche anche nella scelta di partire con i diuretici (i pi? vecchi e i meno cari). E a complicare il tutto c?? la differenza di risposta del paziente? Una cosa ? certa, per?, la scelta peggiore ? trascurare l?ipertensione: tutto il resto ? meglio, di molto.

Maurizio Imperiali

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Personale fibromialgia

Dolori muscolari, a carattere cronico ed estesi, con ipersensibilit? al dolore (iperalgesia) e dolore da stimoli cutanei innocui (allodinia), rigidit? mattutina e affaticamento, accompagnati da altri e variegati sintomi. La fibromialgia o sindrome fibromialgica, spesso ? caratterizzata anche da disturbi del sonno, depressione, ansia, cefalea, dolori addominali, problemi intestinali e urinari, e altro ancora. Manifestazioni che possono far confondere con altre patologie, come la polimialgia reumatica che d? rigidit? in zona scapolo-omerale, pelvica e al tronco, e la sindrome da fatica cronica. La fibromialgia, peraltro, ? una malattia identificata da tempo ma con cause che restano da chiarire, con il ruolo scatenante di stress psicofisici, cambiamenti climatici, attivit? fisica, e una ridotta soglia del dolore (nocicettiva), e per la quale sono poco definite anche le indicazioni terapeutiche. Esistono in realt? numerose opzioni di trattamento, farmacologiche e non, ma c?? una carenza da colmare rispetto alla disponibilit? di linee-guida sulla gestione della fibromialgia. Una mancanza alla quale ha voluto supplire l?EULAR (European League Against Rheumatism), che ha elaborato e appena pubblicato raccomandazioni basate sulle evidenze migliori e sull?opinione degli esperti.

Antidolorifici, antidepressivi, esercizio e altro

Al lavoro ha partecipato una task force multidisciplinare di autori di undici paesi europei, che da una mole di studi hanno selezionato i pi? rigorosi, considerati 39 per quelli farmacologici e 59 per i non farmacologici. Alla fine ne sono state tratte nove raccomandazioni sull?approccio alla patologia, non sempre con la massima forza dell?evidenza anche per le casistiche ridotte di molti lavori, tanto che l?intenzione annunciata ? di aggiornare le linee guida ogni cinque anni. Due sono le considerazioni di gestione generale: la comprensione della malattia richiede una valutazione complessiva del dolore, della funzionalit? e del contesto psicosociale del soggetto, essendo la fibromialgia una condizione eterogenea che coinvolge l?elaborazione dello stimolo doloroso e altre caratteristiche secondarie. Inoltre il trattamento deve avere carattere multidisciplinare, con una combinazione di interventi farmacologici e non, personalizzato dopo il colloquio con il paziente in base a intensit? del dolore, disfunzionalit?, disturbi associati come depressione, astenia, disturbi del sonno. Seguono quattro raccomandazioni specifiche sugli approcci non farmacologici: l?immersione in acqua calda, con o senza esercizi, ? efficace; per alcuni soggetti ? utile un programma individuale di esercizi aerobici e di forza; in alcuni casi ? benefica la terapia cognitivo-comportamentale; a seconda delle esigenze specifiche del malato possono essere indicate tecniche di rilassamento, riabilitazione, fisioterapia, supporto psicologico e altro. Le ultime tre raccomandazioni sono di ambito farmacologico: per la gestione del dolore una molecola indicata ? il tramadolo, ma non sono indicati, invece, oppiodi pi? forti n? corticosteroidi (infatti non c?? infiammazione), mentre altre opzioni possono includere quelli pi? deboli e analgesici semplici come il paracetamolo; gli antidepressivi sono raccomandati in quanto riducono il dolore e spesso migliorano la funzionalit?, tra le opzioni appropriate triciclici come l?amitriptilina, SSRI quali la fluoxetina, SNRI (inibitori reuptake serotonina e noradrenalina) come duloxetina e milnacipram, anti-MAO come moclobemide e pirlindolo; utili in quanto riducono il dolore gli anticonvulsivanti quali tropisetron, pramipexolo e pregabalin. Qualunque sia l?opzione farmacologica, vale sempre la considerazione che l?approccio migliore alla fibromialgia ? quello multidisciplinare.

Elettra Vecchia

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Frattura del femore

3 Dic 2007 Ortopedia

La presenza di lesioni della sostanza bianca si accompagna a ipertensione, maggior rischio di cadute e difficolt? fisiche e cognitive, che a loro volta possono incidere sugli esiti meccanici di una caduta. Queste le relazioni dimostrate, finch? un gruppo di medici e ricercatori di Padova non ha pensato di analizzare il ruolo delle lesioni cerebrali come fattore di rischio indipendente.
La frattura dell`anca ha origine multifattoriale, specie nella terza et?, dove rappresenta un evento drammatico conseguente ad una maggior facilit? alle cadute, per la diminuita prontezza dei riflessi difensivi, abbinata alla minore resistenza ossea.
In generale il rischio di fratture che caratterizza gli anziani deriva dai fisiologici deficit neurologici, muscoloscheletrici e sensoriali che compromettono le capacit? individuali di reagire ad una caduta. Aggiungendo, a questo stato di vulnerabilit?, ambienti o comportamenti pericolosi, piuttosto che la presenza di altre disabilit?, diviene molto difficile per l`anziano mettere in atto quei movimenti compensatori capaci di minimizzare il rischio di rottura.
L`intento del gruppo di Padova era verificare se le lesioni della sostanza bianca danneggiassero aree chiave per l`integrazione neurale tra gli emisferi, compromettendo proprio la capacit? di evitare le cadute laterali, quelle che con maggior frequenza esitano in una frattura del femore.

Lo studio

All`interno della coorte del Progetto Veneto Anziani, uno studio osservazionale di popolazione effettuato su residenti di Camposanpietro e Rovigo, sono stati selezionati soggetti d`et? uguale o superiore a 65 anni che accettassero di sottoporsi a risonanza magnetica cerebrale.
Pi? della met? del campione originario (822 su 1599 persone) ha accettato di partecipare a questa ulteriore indagine. Le immagini della risonanza sono state interpretate da un unico radiologo che ha classificato le lesioni presenti come: focali (una o due localizzate in ogni sito, anche corticali) o diffuse (3 o pi? lesioni sottocorticali o periventricolari). Due soggetti sono stati esclusi perch? le immagini risultavano illeggibili, per gli altri 820 il follow up ? durato 9 anni con due visite di controllo, al quinto e al settimo anno. Tra i test effettuati al reclutamento c`era anche il Mini-mental state examination e un colloquio per definire il livello di disabilit? nelle attivit? quotidiane.

Risultati

Nel corso di tutto il periodo d`osservazione si sono verificati 51 casi di frattura del femore. Incrociando questo dato con quelli raccolti nell`anamnesi, si ? evidenziato un incremento del rischio di rottura del femore nei soggetti con lesioni diffuse alla risonanza magnetica cerebrale. Rispetto ai coetanei senza lesioni della sostanza bianca, il rischio di frattura era 2,7 volte pi? elevato, nella fascia d`et? 65-80 anni; mentre la presenza di lesioni focali in questo stesso gruppo d`et? non mostrava relazioni significative. Nessuna relazione tra rischio di frattura e lesioni, focali o diffuse, ? emersa negli ultraottantenni, probabilmente anche a causa della scarsa numerosit? di questo gruppo di soggetti.

Provvedimenti

Gli autori dello studio concludono che, sulla base di questi dati, sarebbe opportuno istituire dei programmi d`intervento multifattoriale, per diminuire il rischio di cadute negli anziani con lesioni diffuse della sostanza bianca.
Tuttavia ? giusto segnalare che lo studio cos? disegnato sconta due limitazioni, che suggeriscono l`opportunit? di confermare i dati con ulteriori trial. Primo: il sottogruppo che si ? autoselezionato, dal pi? ampio campione rappresentativo della popolazione generale over 65enne, era costituito da soggetti pi? sani della media generale, sia dal punto di vista fisico sia da quello cognitivo. In secondo luogo, le lesioni diffuse non sono state ulteriormente classificate secondo un indice di severit?, n? rispetto all`area cerebrale di localizzazione.

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Elisabetta Lucchesini

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Ca pancreatico: flavonoli riducono il rischio

I flavonoli potrebbero avere un effetto protettivo contro lo sviluppo di tumori pancreatici. I flavonoli sono una classe di flavonoidi, i polifenoli, che sono ubiquitari nei cibi di origine vegetale e possono esercitare effetti oncoprotettivi, ma i dati in merito dagli studi sulla popolazione umana sono scarsi e sono stati inficiati primariamente da una mancanza di copertura dei flavonoli, e dei flavonoidi in generale, nei database sulla composizione dei cibi. Il fumo aumenta lo stress ossidativo, ed espone ad una grande quantit? di elementi cancerogeni: l’azione dei flavonoli quali antiossidanti o modulatori dell’espressione degli enzimi basati sul citocromo P-450 coinvolti nell’attivazione dei cancerogeni potrebbe spiegare la maggiore riduzione del rischio osservata nei fumatori. (Am J Epidemiol 2007; 166: 924-31)

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Febbre da zecca recidivante, e ARDS

Nei pazienti con febbre recidivante da puntura di zecca l’ARDS potrebbe intervenire pi? frequentemente del previsto. Questo tipo di febbre ? endemica in alcune regioni occidentali, ed ? causata dall’infezione da Borrelia trasmessa dalle punture di zecca. In base al presente studio, l’ARDS colpisce circa il cinque percento di questi pazienti. Negli USA la febbre recidivante da puntura di zecca non ? una malattia a segnalazione nazionale obbligatoria, ma gli autori dello studio suggeriscono che i pazienti sospetto dovrebbero essere segnalati alle strutture di sorveglianza sanitaria regionali o nazionali. (Mor Mortal Wkly Rep CDC Surveill Summ 2007; 56: 1073-6)

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La proteina che segnala il Ca polmonare

30 Nov 2007 Oncologia

Gli autoanticorpi possono spesso aiutare il medico a diagnosticare il tumore polmonare a stadi pi? precoci e trattabili: in base al presente studio, un test ematico su una proteina del sistema immunitario potrebbe agire come sistema d’allarme precoce per i tumori polmonari. Questo sistema ? gi? stato usato nei tumori mammari, ed era stato ipotizzato che la tecnologia fosse trasferibile. Era gi? stato dimostrato che gli autoanticorpi sono presenti prima della malattia sintomatica in un certo numero di soggetti: il presente studio dimostra riproducibilit? ed un elevato livello di sensibilit? e specificit? non precedentemente descritti, ma necessari perch? un test diagnostico possa trovare un’applicazione clinica. (Thorax online 2007, pubblicato l’11/10)

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Utile lo shunt epatico in corso d’ascite

Rispetto alla paracentesi, l’impiego di uno shunt portosistemico intraepatico transgiugulare (TIPS) pu? migliorare il tasso di sopravvivenza in alcuni pazienti con cirrosi epatica che presentano un’ascite difficile da trattare. Il TIPS ? infatti un trattamento per l’ascite refrattaria nei pazienti cirrotici che pu? migliorare sia la sopravvivenza che la qualit? della vita. Tale tecnica tuttavia non ? applicabile a tutti i pazienti: et?, livelli di bilirubina, sodio plasmatico ed allocazione del trattamento risultano indipendentemente associati alla sopravvivenza libera da trapianto. Il successo dell’applicazione di un TIPS, inoltre, ? correlato all’esperienza del radiologo. (Gastroenterology 2007; 133: 825-34)

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HPV: educare a prevenire

28 Nov 2007 Ginecologia

La pi? recente delle vaccinazioni introdotte in Italia ? quella contro il Papillomavirus umano (HPV). Causa riconosciuta del cancro della cervice uterina, il pericolo rappresentato dall’infezione da HPV non ? per? noto come dovrebbe alla popolazione interessata. Lo prova anche il fatto che gli screening cervicali, con la metodica del Pap-test, pur avendo ottenuto un buon successo, sono ancora lungi dal raggiungere tutte le donne per le quali vi ? l’indicazione. Per aiutare il medico a veicolare alle sue assistite l’importanza della prevenzione di questa infezione sessualmente trasmissibile, anche attraverso la vaccinazione, rendiamo qui disponibili dei materiali educativi, semplici ma di estremo rigore, in formato Powerpoint.

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Nefrolitiasi: coinvolti fattori genetici

27 Nov 2007 Nefrologia

Studi su gemelli identici suggeriscono la presenza di un ruolo per la genetica ed altri fattori nello sviluppo della nefrolitiasi. Essa ? un problema multifattoriale: i pazienti che la sviluppano presentano una predisposizione di base alla formazione di calcoli, ma richiedono anche un fenomeno locale scatenante, come una lesione tubulare o un difetto anatomico. Lo studio di questi pazienti in circostanze in cui i fattori ambientali come la dieta possano essere controllati aiuter? a meglio definire l’interazione fra fattori dietetici e genetici coinvolti nella formazione dei calcoli renali. I figli di gemelli con questa tendenza dovrebbero ricevere uno screening di routine della calcolosi renale, o almeno osservare misure conservative di base per prevenire la loro formazione, come assumere almeno 3000 cc di fluidi al giorno, evitare eccessive quantit? di cibi salati o carni rosse e mantenere una dieta con un normale apporto di calcio. (BJU Intl 2007; 100: 621-3)

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