Malattia di Parkinson ad insorgenza precoce, miglioramento della funzione motori

17 Ott 2007 Neurologia

La Safinamide ? una molecola con diversi meccanismi d?azione, che trova indicazione nel trattamento della malattia di Parkinson.

La Safinamide blocca il canale del sodio, modula il canale del calcio ed il rilascio del glutammato.

E? un potente inibitore selettivo, reversibile, della monoamino-ossidasi di tipo B ( MAOBi ).
E? privo di effetto sulla monoamino-ossidasi di tipo A e sull?inibizione del riassorbimento della dopamina.

Uno studio clinico ha dimostrato che un dosaggio medio di Safinamide di 70 mg/die ( range: 40-90 mg/die ) ? in grado di aumentare la percentuale dei pazienti parkinsoniani con miglioramento della funzione motoria del 30% o pi? nell?arco di 3 mesi.

In un sottogruppo di 101 pazienti in trattamento con un singolo agonista della dopamina, l?aggiunta della Safinamide ha migliorato la risposta ( 47,1% di responder, riduzione media del punteggio della funzione motoria di 4,7 punti ).

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Approvato negli USA Neupro, sistema transdermico alla Rotigotina per la malattia

16 Ott 2007 Neurologia

L?FDA ( Food and Drug Administration ) ha approvato Neupro ( il sistema transdermico a base di Rotigotina ), un cerotto per il trattamento dei sintomi precoci della malattia di Parkinson.

Neupro ? il primo sistema transdermico approvato nel trattamento dei sintomi della malattia di Parkinson.

La malattia di Parkinson insorge a causa della perdita delle cellule cerebrali producenti la dopamina.

La Rotigotina appartiene alla classe degli agonisti dopaminergici non ergolinici, ed agisce sui recettori della dopamina, mimando l?effetto del neurotrasmettitore.

Il sistema transdermico Neupro deve essere sostituito ogni 24 ore.

L?efficacia di Neupro ? stata dimostrata in 3 studi clinici, che hanno coinvolto 1154 pazienti con malattia di Parkinson precoce, che stavano assumendo farmaci per il Parkinson.

I pi? comuni effetti indesiderati osservati con Neupro sono: reazioni cutanee al sito dell?applicazione del cerotto, vertigini, nausea, vomito, stato di sonnolenza ed insonnia.

Altri potenziali problemi di sicurezza comprendono: improvvisa insorgenza di sonno mentre il paziente ? impegnato in attivit? di routine, come guidare un autoveicolo o macchinari; allucinazioni, riduzioni della pressione sanguigna stando in piedi ( ipotensione posturale ).

Negli Stati Uniti sono 1 milione i malati di malattia di Parkinson, ed ogni anno sono diagnosticati 60.000 nuovi casi.

I principali 4 sintomi della malattia di Parkinson sono:

– tremore alle mani, alla faccia, alle gambe, alla mandibola, alla faccia;

– rigidit? articolare e del tronco;

– bradicinesia ( lentezza dei movimenti );

– instabilit? posturale ( alterazione dell?equilibrio e della coordinazione ).

Fonte: FDA, 2007

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Approccio attuale alla diagnosi di tromboembolia venosa: nuove linee guida dagli

Trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare sono entit? strettamente legate dal punto di vista clinico ed eziopatogenetico. La stragrande maggioranza delle TVP interessa gli arti inferiori e quelle che riguardano le vene situate prossimalmente al ginocchio sono notoriamente gravate da un rischio maggiore di embolia polmonare, mentre non altrettanto accade per le trombosi delle vene sottopoplitee.
La prevalenza della TVP appare in costante aumento nella popolazione generale, soprattutto in relazione all’aumento dell’et? media e, in particolare, l’embolia polmonare (EP) ? un evento drammatico e potenzialmente letale, le cui chances di successo terapeutico restano fortunatamente elevate solo a patto di un riconoscimento tempestivo. Infatti, il 26% dei pazienti con EP non diagnosticata va incontro ad una recidiva che pu?- in ultima analisi – rivelarsi fatale.
L’importanza dell’argomento giustifica la recente pubblicazione negli Stati Uniti di alcune linee-guida formulate dalla Academy of Family Physicians e dall’American College of Physicians il cui scopo ? stato quello di fornire ai medici di Medicina Generale poche ed essenziali raccomandazioni, tutte basate sulle evidenze attualmente disponibili, mirate ad una diagnosi precoce della malattia.
La prima raccomandazione conferma il buon valore predittivo di un punteggio clinico largamente in uso – il cosiddetto indice di Wells – basato su 7 variabili rappresentate da alcuni fattori di rischio e da segni obiettivi, ma evidenzia altres? come la combinazione dell’indice di Wells con il dosaggio plasmatico del D-dimero (un prodotto di degradazione della fibrina) possa avere un valore predittivo negativo sufficientemente elevato – in pazienti accuratamente selezionati – da ridurre drasticamente il ricorso ad ulteriori e costosi test di imaging.
In relazione al test del D-dimero, la seconda linea guida sottolinea che entrambe le metodiche di laboratorio attualmente in uso ( ELISA e latex test turbidimetrico) sono dotate di un’alta sensibilit? e di un valore predittivo negativo elevato per embolia polmonare nei pazienti con probabilit? clinica moderata o bassa di malattia, soprattutto nei soggetti pi? giovani e con sintomi di breve durata, laddove la specificit? tende a diminuire nelle fasce pi? anziane, in caso di comorbidit? o quando il quadro clinico sia di pi? lunga durata.
Secondo la terza linea-guida, l’ecografia resta caratterizzata da un’alta sensibilit? e specificit? (range oscillante fra 89% e 99%) per la diagnosi di TVP prossimale agli arti inferiori nei pazienti sintomatici (con probabilit? pre-test intermedio-alta di TVP), mentre la sua sensibilit? tende a diminuire nei pazienti asintomatici o in caso di TVP del polpaccio.
Nei pazienti con probabilit? pre-test intermedio-alta di embolia polmonare, ? indispensabile una conferma diagnostica con tecniche di imaging. In questo caso, permangono controversi i dati relativi alla sensibilit? e specificit? diagnostica della Tomografia Computerizzata multistrato, poich? tutti gli studi attualmente disponibili indicano una variabilit? particolarmente accentuata, specie per ci? che riguarda la sensibilit?, che oscilla mediamente dal 45 al 100%. Tuttavia, nella quarta linea guida, gli autori sottolineano come l’evoluzione vertiginosa di questa tecnica – grazie alla introduzione di sonde caratterizzate da una velocit? di rotazione sempre maggiore – sia destinata ad aumentare in modo marcato sia la sensibilit? che la specificit? della metodica, facendo ipotizzare il raggiungimento di valori del tutto sovrapponibili a quelli della arteriografia polmonare convenzionale

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La sindrome metabolica ? un predittore di mortalit? nei pazienti con diabete cli

Uno studio, coordinato da Ricercatori della Tel Aviv University di Beer Sheba, in Israele, ha valutato l?impatto della sindrome metabolica sull?outcome ( esito ) dei pazienti con diabete non clinicamente diagnosticato con sindrome coronarica acuta.

Il periodo osservazionale ? stato di 1 anno.

Hanno preso parte allo studio 1.060 pazienti consecutivi con diabete non clinicamente diagnosticato, ricoverati per sindrome coronarica acuta; 359 pazienti presentavano caratteristiche tipiche della sindrome metabolica.

Un paziente presentava sindrome metabolica se incontrava 3 o pi? criteri su 5:

– iperglicemia, definita come glicemia al ricovero maggiore di 140 mg/dl;

– ipertensione preesistente;

– indice di massa corporea ( BMI ) maggiore di 28 kg/m2;

– colesterolo HDL inferiore o uguale a 40 mg/dl per gli uomini, e inferiore o uguale a 50 mg/dl per le donne;

– trigliceridi maggiori o uguali a 150 mg/dl.

I pazienti con sindrome metabolica erano pi? frequentemente donne ( 27% versus 12%; p = 0.001 ), presentavano classe Killip maggiore o uguale a II al momento del ricovero ( 19% versus 14%; p = 0.03 ) ed erano associati ad una pi? elevata mortalit? a 30 giorni ( 5% versus 1.7%; p = 0.002 ) e ad 1 anno ( 8.9% versus 4.6%; p = 0.005 ).

I pazienti con iperglicemia ( livelli di glicemia maggiori di 140 mg/dl ) e sindrome metabolica avevano una pi? alta incidenza di mortalit? a 30 giorni rispetto ai pazienti con iperglicemia ma senza sindrome metabolica ( 8.3% versus 2.5%; p < 0.05 ). L?analisi multivariata ha identificato la sindrome metabolica come un forte predittore indipendente di mortalit? a 30 giorni e a 1 anno, con un hazard ratio di 2.54 e 1.96, rispettivamente.

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Trattamento dell?eiaculazione precoce

L?eiaculazione precoce ? un frequente disturbo sessuale maschile che ? mediato principalmente da alterazioni della neurotrasmissione serotoninergica ed in parte dalla neurotrasmissione ossitocinergica a livello del sistema nervoso centrale.

Nel corso dell?ultimo decennio sono stati valutati diversi farmaci nel trattamento dell?eiaculazione precoce.
Una meta-analisi di questi studi non ha mostrato differenze di efficacia con gli antidepressivi serotoninergici, Paroxetina ( Seroxat ), Clomipramina ( Anafranil ), Sertralina ( Zoloft ) e Fluoxetina ( Prozac ).

Tuttavia, ? stato osservato che il trattamento giornaliero con i farmaci SSRI ( inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ) non ? associato ad un significativo ritardo nell?eiaculazione.

Studi con un nuovo farmaco SSRI, Dapoxetina, hanno mostrato un debole effetto ritardante l?eiaculazione dopo 1-2 ore dall?assunzione del farmaco.

L?eiaculazione precoce pu? essere ritardata dall?impiego di anestetici per uso topico e dal Tramadolo ( Contramal, Fortradol ).

Il trattamento con gli inibitori della fosfodiesterasi 5 non dovrebbe essere prescritto agli uomini che soffrono di eiaculazione precoce, ma possono essere impiegati se l?eiaculazione precoce ? associata a difficolt? nell?erezione.

Non c?? supporto scientifico all?impiego di iniezioni intracavernose di farmaci vasoattivi nel trattamento dell?eiaculazione precoce.

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Aspirina a basso dosaggio nella fertilizzazione in vitro

Nonostante i recenti avanzamenti nei regimi di stimolazione ovarica e tecniche di laboratorio, la percentuale di gravidanza della riproduzione assistita rimane relativamente bassa.
Nuovi metodi in grado di migliorare la percentuale di successo degli impianti sono necessari.

Una strategia consiste nell?aumentare il flusso di sangue al sito d?impianto con l?uso di Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), a basso disaggio, nelle donne sottoposte a fertilizzazione in vitro ( IVF )/iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo ( ICSI ).

I Ricercatori del Royal Bolton Hospital in Gran Bretagna hanno compiuto una ricerca di letteratura con l?obiettivo di verificare la validit? della strategia a base di Aspirina nelle donne sottoposte a IVF/ICSI.

Sono stati identificati 10 studi controllati, randomizzati. Di questi 6 hanno incontrato i criteri di inclusione nella meta-analisi.

La percentuale di gravidanza clinica per trasferimento d?embrione non ? risultata significativamente differente tra le pazienti che avevano ricevuto Aspirina a basso dosaggio e quelle che avevano ricevuto placebo o nessun trattamento ( RR = 1.09 ).

Nessuno degli altri outcome, tra cui la gravidanza clinica per ciclo, l?aborto spontaneo o la gravidanza ectopica per gravidanza clinica ,e la percentuale di nati vivi per ciclo o per trasferimento di embrioni, differiva in modo significativo tra i gruppi confrontati.

Dall?analisi degli studi non ? emerso nessun sostanziale effetto positivo dell?Aspirina a basso dosaggio sulla probabilit? di gravidanza e, pertanto, questa strategia non dovrebbe essere raccomandata in modo routinario nelle donne sottoposte a IVF/ICSI. (

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Alta prevalenza di policistosi ovarica tra le donne in premenopausa obese o in s

11 Ott 2007 Ginecologia

La prevalenza della sindrome dell?ovaio policistico nelle donne in sovrappeso o obese non ? nota, nonostante l?obesit? sia frequente nelle pazienti con policistosi ovarica.

Ricercatori dell?Hospital Universitario Ramon y Cajal di Madrid, in Spagna, hanno compiuto uno studio per definire la prevalenza di sindrome dell?ovaio policistico nelle donne in premenopausa, obese o in sovrappeso.

Delle 113 donne reclutate nel periodo 2002-2005, il 28.3% ( n = 32 ) presentava policistosi ovarica.

La prevalenza dell?ovaio policistico non presentava differenze quando si prendeva in considerazione il grado di obesit?.

Tre donne presentavano iperandrogenemia senza oligo-ovulazione, 2 donne presentavano irsutismo idiopatico, 2 avevano oligomenorrea cronica senza iperandrogenismo clinico o biochimico e 2 donne avevano oligomenorrea con iperprolattinemia.

Le rimanenti 72 donne ( 63.7% ) non presentava iperandrogenismo o anomalie riproduttive.

I risultati dello studio hanno dimostrato che in Spagna il 28.3% delle donne in sovrappeso o obese presenta la sindrome dell?ovaio policistico.
Il valore ? sensibilmente pi? alto rispetto al 5% riscontrato nelle donne magre.
Pertanto, la policistosi ovarica dovrebbe essere ricercata nelle donne in premenopausa in sovrappeso o obese.

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Rischio di caduta negli uomini anziani correlata a bassi livelli di testosterone biodisponibile

Negli uomini, i livelli degli steroidi gonadici si riducono con l?et?.

Ricercatori statunitensi hanno compiuto uno studio osservazionale con l?obiettivo di determinare se bassi livelli di testosterone fossero associati a performance fisica e a rischio di cadute negli uomini anziani.

Un totale di 2.587 uomini di et? compresa tra 65 e 99 anni sono stati selezionati da uno studio di coorte di 5.995 volontari.

Il 56% degli uomini ha riportato almeno una caduta; molti sono andati incontro a frequenti cadute.

I pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile erano associati ad un aumentato rischio di cadute.
Gli uomini con livelli di testosterone nel pi? basso quartile avevano un rischio di cadute superiore del 40% rispetto ai soggetti nel pi? alto quartile.

L?effetto dei bassi livelli di testosterone ? risultato pi? apparente negli uomini pi? giovani ( 65-69 anni ) ( rischio relativo: 1.8 ).
Negli uomini pi? anziani ( di et? maggiore o uguale ad 80 anni ) i livelli di testosterone non erano associati alle cadute.

Le pi? basse concentrazioni di testosterone erano associate a pi? ridotta performance fisica.
Tuttavia, l?associazione tra bassi livelli di testosterone e rischio di cadute ? persistito nonostante l?aggiustamento per la performance.

Lo studio ha mostrato che le cadute sono comuni tra gli uomini anziani ed il rischio di cadute era pi? alto negli uomini con pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile.
L?effetto dei livelli di testosterone non dipende dalla pi? scarsa performance fisica, indicando che l?effetto del testosterone sul rischio di cadute pu? essere mediato da altre azioni dell?androgeno.

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Pancreatite indotta da farmaci

I calcoli biliari e l?alcol sono le due pi? comuni cause di pancreatite.
L?incidenza della pancreatite indotta da farmaci ? del 2.5%.

L?ADRAC ( Australian Drug Reaction Advisory Committe ) ha ricevuto 414 segnalazioni di pancreatite farmaco-indotta che hanno coinvolto 695 farmaci.

Segnalazioni di pancreatite sono risultate pi? frequenti con Azatioprina ( Imuran ), Valproato ( Depakin ), Didanosina ( Videx ), Simvastatina ( Sinvacor / Zocor ), Stavudina ( Zerit ), Clozapina ( Clozaril / Leponex ), Ezetimibe ( Zetia ), Lamivudina ( Epivir ), Prednisolone, Olanzapina ( Zyprexa ), Celecoxib ( Celebrex ), Mercaptopurina ( Purinethol ).

I gruppi di farmaci pi? comunemente causa di pancreatite sono i seguenti: farmaci antivirali, farmaci ipolipidemici, antipsicotici atipici, corticosteroidi e altri farmaci immunosoppressori, inibitori COX-2, farmaci antinfiammatori non steroidei ( FANS ), aminosalicilati ( Mesalazina, Sulfasalazina ), antagonisti del recettore dell?angiotensina II, Ace-inibitori, antagonisti del recettore H2.
Assieme questi gruppi di farmaci sono responsabili di pi? del 60% delle segnalazioni di pancreatite.

Un?associazione causale non ? stata stabilita per molti farmaci, tuttavia il coinvolgimento del farmaco dovrebbe essere preso in considerazione dopo l?esclusione di altre cause ragionevoli.

I pazienti a rischio di pancreatite sono soggetti anziani che assumono pi? farmaci, pazienti HIV positivi, pazienti affetti da tumore e pazienti trattati con farmaci immunomodulatori.

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L?elevata pressione pulsatoria ? un fattore di rischio per la fibrillazione atriale

La pressione pulsatoria pu? rappresentare un fattore di rischio per l?insorgenza di fibrillazione atriale, indipendentemente dalla pressione arteriosa.

Uno studio osservazionale ha trovato che ogni incremento di 20 mmHg nella differenza tra pressione sistolica e pressione diastolica ? associato ad un aumento del 24% del rischio di fibrillazione atriale.

Cambiamenti dello stile di vita o trattamenti con l?obiettivo di limitare l?aumento della pressione pulsatoria con l?avanzare dell?et? possono ridurre l?incidenza della fibrillazione atriale.

Durante un periodo osservazionale di 12 anni ( valore mediano ), su 5.331 soggetti, partecipanti allo studio Framingham, analizzati, il 13.1% ( n = 698 ) ha sviluppato fibrillazione atriale.

L?incidenza cumulativa a 20 anni di fibrillazione atriale ? stata del 5,6% tra i soggetti con pressione pulsatoria al di sotto del 25? percentile ( < 40mmHg ) e del 23.3% per coloro che avevano la pressione pulsatoria al di sopra del 75? percentile ( > 61mmHg ).

La probabilit? di sviluppare fibrillazione atriale aumenta con l?aumentare della pressione pulsatoria.

Un aumento di 20mmHg nella pressione pulsatoria ? risultato associato a un incremento del 34% nel rischio di fibrillazione atriale ( hazard ratio = 1.34; p < 0.001 ).
Questa associazione ? rimasta significativa anche dopo ulteriori aggiustamenti ( oltre all?et? e al sesso ).

Al contrario, la pressione arteriosa media non era associata al rischio di fibrillazione atriale.

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