Il test EPCA-2 pi? accurato nell?identificazione del tumore della prostata

9 Ago 2007 Oncologia

Ricercatori della Johns Hopkins University a Baltimora negli Stati Uniti, hanno dimostrato che i livelli della proteina EPCA-2 ( Early Prostate Cancer Antigen-2 ) forniscono una pi? accurata diagnosi di tumore della prostata.

I Ricercatori hanno misurato i livelli di EPCA-2 in 330 pazienti, suddividendoli in gruppi in base alla presenza del tumore della prostata e allo stato del PSA ( antigene prostata-specifico ).
? stato osservato che un livello di EPCA-2 di 30 o pi?, indicava un elevato rischio di carcinoma prostatico, mentre gli uomini senza evidenza della malattia tumorale avevano livelli di EPCA-2 inferiori a 30.

Il 97% dei pazienti che non presentava tumore alla prostata ? risultato negativo al test EPCA-2.
Il 77% degli uomini con iperplasia prostatica benigna, che ? spesso associata a falsi positivi all?esame del PSA, ha presentato livelli di EPCA-2 inferiori a 30.

Il 90% dei pazienti con malattia tumorale che si ? diffusa al di fuori della prostata, hanno mostrato livelli di EPCA-2 maggiori di 30.

Il test EPCA-2 ha anche permesso di identificare il 78% dei pazienti noti per avere un tumore alla prostata, nonostante i normali livelli di PSA.

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Tumore prostatico: acidi grassi omega-3 diminuiscono il rischio

8 Ago 2007 Oncologia

Negli uomini con una predisposizione genetica al tumore prostatico, il consumo di una dieta ricca in acidi grassi omega-3 diminuiscono il rischio di malattia. Lo studio dimostra che gli acidi grassi omega-3 riducono la crescita del tumore prostatico ed aumentano la sopravvivenza mentre quelli omega-6 hanno l’effetto opposto. Le prove del fatto che gli acidi grassi omega-3, comunemente presenti in pesce grasso ed oli di pesce, inibiscono la cancerogenesi, ed in particolare quella del tumore prostatico. A livello clinico, il tumore prostatico si diagnostica di solito in uomini di 60 o pi? anni, e le cellule tumorali proliferano lentamente: la dieta e la chemioprevenzione sono dunque di particolare importanza per la gestione del tumore prostatico. Non ? stato comunque ancora determinato se sia possibile ottenere effetti benefici integrando la dieta con acidi grassi omega-3 nei pazienti che hanno gi? sviluppato la malattia. (J Clin Invest online 2007, pubblicato il 21/6)

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L?assunzione di multivitaminici ? associata ad un aumentato rischio di tumore de

7 Ago 2007 Oncologia

I supplementi multivitaminici sono impiegati da milioni di cittadini statunitensi perch? ritenuti produrre benefici per la salute, ma la relazione tra l?impiego di multivitaminici ed il tumore della prostata non ? chiaro.

Ricercatori del National Cancer Institute a Bethesda negli Stati Uniti hanno esaminato in modo prospettico, l?associazione tra uso di multivitaminici ed il rischio di carcinoma prostatico ( localizzato, avanzato e fatale ).

Sono stati esaminati 295.344 uomini, partecipanti allo studio NIH-AARP Diet and Health Study, che al momento dell?arruolamento non erano affetti da tumore negli anni 1995 e 1996.

Nel corso del periodo osservazionale di 5 anni, la diagnosi di tumore della prostata ha interessato 10.241 uomini, di cui: 8.765 tumori localizzati e 1.467 tumori avanzati.

All?analisi di mortalit? dopo 6 anni di follow-up, ci sono stati 179 casi di tumore della prostata ad esito fatale.

E? stato valutato l?impiego dei multivitaminici.

Nessuna associazione ? stata osservata tra l?impiego dei multivitaminici ed il rischio di carcinoma prostatico localizzato.
Tuttavia, i Ricercatori hanno trovato un aumentato rischio di tumori prostatici avanzati e fatali ( RR = 1,32 e RR = 1,98, rispettivamente ) tra gli uomini che hanno riferito di un uso eccessivo di multivitaminici ( pi? di 7 volte alla settimana ) rispetto ai non utilizzatori.

L?incidenza per 100.000 persone-anno per il tumore della prostata avanzato e fatale per coloro che assumevano un multivitaminico pi? di 7 volte alla settimana ? stata di 143,8 e 18,9, rispettivamente, rispetto a 113,4 e 11,4 nei non utilizzatori.

Le associazioni con eccessivo uso dei multivitaminici erano pi? forti negli uomini con una storia familiare di tumore prostatico o che stavano prendendo supplementi a base di micronutrienti come Selenio, beta-Carotene, o Zinco.

I risultati dello studio stanno ad indicare che l?impiego regolare dei multivitaminici assieme ad altri supplementi e l?aumentato rischio di carcinoma prostatico deve essere ulteriormente valutato, ma ? tema di preoccupazione.
Lawson KA et al, J Natl Cancer Inst 2007; 99: 754-764

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Sindrome ovaio policistico e rischio depressione

Le donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) presentano un rischio pi? che quadruplicato di disordini depressivi. Queste donne dunque dovrebbero essere sottoposte a screening di routine per la depressione. La PCOS ? associata a diverse complicazioni metaboliche, e pochi studi avevano finora suggerito un aumento del rischio di depressione in questi pazienti. Il presente studio dimostra che le donne con PCOS sono significativamente a rischio di disordini depressivi, fra cui anche depressione maggiore. Sono necessari ulteriori studi per convalidare ulteriormente questi risultati, in particolare per la valutazione di farmacoterapia, perdita di peso e controllo della glicemia sulla depressione in queste donne. (Fertil Steril 2007; 87: 1369-76)

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Tumore mammario: possibile ciclo radioterapia pi? breve

5 Ago 2007 Oncologia

A seguito di un intervento chirurgico conservativo, un ciclo breve di quattro settimane di radioterapia in luogo di uno tradizionale pi? lungo di sei settimane risulta pratico nelle pazienti con tumore mammario in fase precoce. Il presente studio dimostra ulteriormente che l’ipofrazionamento, o la somministrazione di un ciclo di radiazioni con un numero di somministrazioni inferiore, pu? essere praticato in sicurezza senza incrementare gli effetti collaterali acuti. Questa strategia ? pi? conveniente per le donne, e pu? aumentare il numero di pazienti che scelgono la radioterapia quale alternativa per il trattamento del tumore mammario in luogo di altre opzioni. In futuro tale tecnica verr? sviluppata ulteriormente, e verr? investigata la categoria di donne che beneficerebbero maggiormente di questa tecnica. (In J Radiation Biol Phys 2007; 68: 347-53)

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Cancro al seno: scoperti 4 nuovi geni

4 Ago 2007 Oncologia

LONDRA – Scoperti quattro nuovi geni che predispongono a contrarre tumore al seno. A identificarli sono stati scienziati del Cancer Research Uk, di cambridge, che hanno coordinato un team di ricerca internazionale. I risultati del loro studio sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista scientifica Nature.
I ricercatori hanno analizzato il DNA di circa 50 mila donne, la met? delle quali colpita da tumore al seno e l’altra met? sane.
I quattro geni che aumentano il rischio di tumore mammario, se ?mutati?, quindi se portatori di cambiamenti rispetto al loro assetto normale, sono: FGFR2, TNRC9, MAP3K1 e LSP1.
RISCHIO – I primi due sono ritenuti capaci di aumentare del 20% il rischio di tumore al seno nelle donne che ne portano una sola copia (i geni sono sempre in due copie) mutata, e tra il 40 e il 60% per quelle che hanno entrambe le copie mutate. Gli altri due geni aumenterebbero il rischio del 10% in caso di mutazione in una sola copia
Gli scienziati finora conoscevano altri geni responsabili del cancro al seno: i test diagnostici per BRCA1 e BRCA2. I geni appena scoperti sono pi? comuni di questi , ma meno pericolosi.
TEST FUTURO – Ora l’obiettivo degli studiosi ? scoprire altri geni associati al tumore al seno per mettere a punto un test unico, capace con un solo esame del sangue, di scandagliare il genoma di ciascuna donna per verificare il, suo eventuale livello di rischio e indirizzare quindi la frequenza delle indagini cui sottoporle per arrivare a una diagnosi precoce tempestiva e a stili di vita adeguati per la prevenzione.Si stima infatti che la predisposizione genetica ?pesi? tra il 5 e il 10 per cento nei casi di cancro mammario; ma la predisposizione ? aggravata in misura molto significativa da stili di vita erronei, come il fumo, da condizioni come l’obesit?, dall’assenza di gravidanze e di allattamento al seno.

PROGRESSO SIGNIFICATIVO – Si tratta di un progresso ?estremamente significativo? secondo Douglas Easton, direttore dell’unit? di epidemiologia genetica di Cambridge, legata all’organizzazione Cancer Research Uk. ?Ora che conosciamo l’efficacia di questo metodo d’indagine, crediamo che si potranno trovare molto altri geni del cancro mammario?. Non solo: ?Questi metodi sono gi? applicati dal Cancer Research Uk per scoprire i geni che propiziano altri tipi di cancro, compresi quelli alla prostata, all’intestino e al polmone?.

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Le bollicine fanno male?

WASHINGTON ? Le bibite gasate andrebbero evitate, non ? una novit?: gonfiano e fanno ingrassare. Ma non solo. Uno studio britannico rivela infatti che alcuni soft drink potrebbero essere responsabili di gravi danni alle cellule del nostro organismo, provocando effetti normalmente associati all?invecchiamento o all?alcolismo.
RESPONSABILE ? Nel mirino un additivo contenuto in diversi nelle bevande in questione, il sodio benzoato ? o E211 ? che potrebbe portare a cirrosi epatica o a malattie degenerative come il morbo di Parkinson. Come spiega The Independent , il conservante incriminato viene usato da decenni dall?industria delle bollicine, ed ? presente praticamente in tutte le bibite pi? famose. In passato, tra l?altro, il sodio benzoato era gi? stato messo sotto accusa, sospettato di essere cancerogeno, poich? in combinazione con l?additivo della vitamina C, anch?esso presente nei drink, forma il benzene ? sostanza appunto in grado di provocare il cancro.
CENTRALE ENERGETICA IN CRISI ? Uno studioso della Sheffield University ? il professor Peter Piper, docente di biologia molecolare e biotecnologia impegnato da oltre 7 anni nello studio dell?E211 ? ha deciso di svelare al mondo i risultati delle sue ricerche, illustrando gli effetti che il conservante pu? avere sulle centrali energetiche delle cellule, ovvero i mitocondri, che tramite il processo di respirazione cellulare ricavano appunto l?energia dalle sostanze di nutrimento. ?Questi agenti chimici hanno la capacit? di danneggiare gravemente i mitocondri, al punto da riuscire a inibirne completamente l?attivit??, ha dichiarato Piper. ?Spegnere i mitocondri significa causare un serio malfunzionamento delle cellule, e sappiamo che esiste un gran numero di malattie collegate a questo tipo di problema, come ad esempio i disturbi del sistema neurovegetativo o quelli legati all?invecchiamento?. L?utilizzo dell?E211 ? approvato dalle autorit?, ma la Food Standards Agency (Fsa) britannica ha gi? fatto sapere che avvier? nuove indagini per verificare i suoi effetti nel lungo periodo.

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Stop al ciclo

Era inevitabile. La questione del ciclo mestruale ? da sempre controversa e le stesse donne hanno un rapporto di odio-amore con il periodo mensile. Chi ritiene che il ciclo sia un?inutile fonte di sofferenza e chi invece lo ritiene un simbolo di fertilit? e salute. Era inevitabile, cos?, che la prospettiva di una pillola che elimini del tutto le mestruazioni generasse controversie e accesi dibattiti. Ed ? proprio questa ambivalenza ad aver generato un certo imbarazzo anche nella Food and Drug Administration, che alla fine, ? cronaca di questa settimana, ha dato l?approvazione definitiva al farmaco. Subito negli Stati Uniti si ? infatti levata alta la voce di molte donne che non approverebbero una simile pillola. E non senza argomenti. Il New York Times ne ha parlato in un recente articolo.

Come un interruttore

Il ciclo, ha dichiarato Christine Hitchcock, ricercatrice presso la University of British Columbia, ? la manifestazione esteriore di un processo ormonale che avviene all?interno del corpo. E l?idea di poter spegnere o accendere il corpo con un interruttore ? preoccupante, secondo la ricercatrice. Del resto, spiegano gli oppositori, simili rimedi anticoncezionali hanno avuto scarso successo in passato. E? il caso di Seasonal la pillola in commercio dal 2003 che consente di avere solo 4 cicli mestruali all?anno. L?ideale per le sportive o per le modelle, ma in generale, per chiunque abbia la necessit? di risolvere drasticamente tutto quello che la mestruazione comporta. Ma la pillola non ha avuto il successo sperato. Quella in arrivo per?, promette ancora di pi?, visto che Lybrel, questo il suo nome, pu? essere assunta ininterrottamente 365 giorni l?anno con il risultato di bloccare del tutto le mestruazioni. Secondo le indagini condotte dall?azienda produttrice, Wyeth, i due terzi delle donne avrebbero interesse a dire basta al ciclo. L?idea ? che le donne siano troppo impegnate al giorno d?oggi e abbiano poco tempo per preoccuparsi delle mestruazioni. E i rischi?

Quali rischi

Secondo gli studi ad oggi disponibili non ci sarebbero rischi particolari, se non quelli che comporta l?assunzione della normale pillola contraccettiva. Ma come sempre in questi casi mancano i dati sui rischi a lungo termine, in particolare di tumore al seno, e quindi forse ci vorrebbe pi? cautela. Anche perch?, come ribadisce Giovanna Chesler, docente di cinema alla Uuniversity of California di San Diego, che sull?argomento ha anche girato un documentario, ?Period: the end of menstruation??, le donne non sono malate e non ha senso sopprimere per 30 o 40 un anni un fenomeno naturale. Il marketing aziendale punta alle donne che soffrano dei sintomi in modo particolarmente pesante e che, sempre secondo Wyeth, vivono male la loro quotidianit?, hanno una ridotta attivit? fisica e anche sessuale, indossano abiti scuri e stanno di pi? a casa. Un quadro desolante cui l?azienda vorrebbe ovviare con la nuova pillola, per la quale si ventilano entrate nell?ordine dei 250 milioni di dollari annuali. Un quadro tutt?altro che desolante, invece, per l?azienda. D?altro canto c?? anche chi nel ciclo mensile vede degli aspetti positivi. Nei sondaggi il 50% delle donne si dicono sollevate dall?appuntamento mensile, perch? significa che non sono incinte. Quasi un quarto lo considera parte indispensabile dell?identit? femminile. Infine il New York Times ricorda come Anna Frank nel suo diario scherzasse sulle mestruazioni, considerandole ?il mio dolce segreto, tra tanto dolore, cattiveria e fastidio?. Un particolare, infine, potrebbe far riflettere: i pi? entusiasti all?idea di questa pillola sembrano i consulenti uomini di Wyeth. Vorr? dire qualcosa?

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Aspirina previene tumori colorettali

31 Lug 2007 Oncologia

L’aspirina pu? prevenire i tumori colorettali: con un dosaggio minimo di 300 mg/die per circa cinque anni essa infatti riduce la susseguente incidenza dei tumori colorettali del 37 percento in assoluto, ed del 74 percento prendendo in considerazione il periodo compreso fra 10 e 15 anni dopo la fine del trattamento. Questi dati comunque, anche se rafforzati dai precedenti, non sono sufficienti a raccomandare alla popolazione generale l’uso dell’aspirina per la prevenzione dei tumori colorettali: l’aspirina pu? avere effetti collaterali a lungo termine, ed inoltre esistono anche altre strategie preventive, come lo screening. Eventualmente, questa strategia potrebbe essere riservata ai soggetti ad alto rischio, come quelli con parenti con tumori colorettali, oppure quelli con malattie vascolari. Negli USA comunque lo screening dei tumori colorettali ? molto diffuso, ma altrove la possibilit? di utilizzare l’aspirina per la prevenzione di questi tumori potrebbe essere vista diversamente. (Lancet. 2007; 369: 1577-8 e 1603-13)

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Ipertensione portale: evidenti disparit? razziali nella gestione delle complicaz

Sussistono evidenti disparit? razziali nel trattamento dei pazienti ospedalizzati con cirrosi complicata da ipertensione portale. I medici dovrebbero essere consapevoli che sussistono differenze negli esiti fra le minoranze, che si tratti di un ambiente ospedaliero universitario o comunitario: queste osservazioni andrebbero prese seriamente, ed ? necessario collaborare con l’amministrazione ospedaliera per costituire comitati multidisciplinari per il monitoraggio periodico di questi esiti. Il fenomeno ? stato riscontrato negli USA dove le disparit? razziali negli esiti dell’assistenza sanitaria sono un argomento che gli autori definiscono “marginalizzato” per via della delicatezza dell’argomento che non ne consente il pubblico dibattito. (Hepatology 2007; 45: 1282-9)

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