Fruttosio e ipertensione: si, no, forse

Nel ratto l’aumenta; nel cane non fa niente; nell’uomo non si sa. Ci riferiamo all’effetto del fruttosio sulla pressione (PA), per alcuni responsabile di un suo innalzamento, per altri assolutamente no, ma per tutti qualcosa vorrà dire se nell’ultimo secolo la PA è aumentata di pari passo con l’aumento dell’introito alimentare di zuccheri semplici. È colpa del fruttosio o di tutti gli idrati di carbonio? Le linee guida internazionali non si esprimono. Un gruppo canadese ha voluto vederci chiaro ed ha eseguito a tale proposito una revisione sistematica ed una metanalisi sugli effetti del fruttosio – a parità di calorie – con altri carboidrati sulla pressione sistolica (PAS), diastolica (PAD) e media (PAM) nell’uomo. Sono stati selezionati 13 trials in cui la sostituzione con fruttosio veniva effettuata in modo isocalorico (352 soggetti) e 2 (24 soggetti) in cui veniva effettuata in modo ipercalorico. Nel complesso, scambiando il fruttosio con altri carboidrati in modo isocalorico si è ridotta significativamente la PAD e la PAM, mentre non c’è stata significativa riduzione nella PAS. Neanche l’introito di fruttosio in modo ipercalorico ha determinato variazioni della PA rispetto ad altri carboidrati. Sembrerebbe dunque dimostrata l’innocenza del fruttosio, ma sono necessari ulteriori trial disegnati ad hoc, anche in rapporto all’acido urico che è stato chiamato in causa come possibile mediatore degli effetti del fruttosio sulla PA.

Ha V. Effect of Fructose on Blood Pressure: A Systematic Review and Meta-Analysis of Controlled Feeding Trials. Hypertension 2012;59:787-795

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Attenzione all’utilizzo di determinati antibiotici nei pazienti con stato di male epilettico

Un recente studio retrospettivo si è posto come obiettivo quello di verificare quale trattamento antibiotico potesse indurre la ripresa di crisi comiziali in pazienti con documentata diagnosi di stato di male epilettico (SE). Anche se la casistica indagata non è stata numerosa (117 pazienti), i risultati sintetizzati nella Tabella accusa possono essere di valido aiuto per l’abituale pratica clinica. Nel 10% dei pazienti in esame l’utilizzo non solo dei chinolonici (che molti ricordano come i “tipici” antibiotici capaci di diminuire la soglia epilettica e quindi di indurre “crisi comiziali”) ma anche di amoxicillina-acido clavulanico, di piperacillina e di ceftazidime è stato la causa di innesco di un evento comiziale che ha richiesto un pesante trattamento farmacologico per il suo controllo. Da segnalare che alcuni dei pazienti avevano insufficienza epatica e renale, sicure concause della “tossicità” neurologica degli antibiotici utilizzati. 

Misra UK et al. Association of antibiotics with status epilepticus. Neurol Sci 2012 online first Mar 6

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Relazione inversa tra Alzheimer e cancro: risultati del Framingham Heart Study

I sopravvissuti ad un cancro hanno minori probabilità di ammalarsi di morbo di Alzheimer (AD). Questo vale soprattutto nei sopravvissuti ad un tumore provocato dal fumo; per contro, i pazienti con AD hanno meno probabilità di sviluppare un cancro. Perché? Non sappiamo, ma c’è indubbiamente una relazione inversa tra il cancro e le degenerazioni nervose, considerato che anche i pazienti affetti da morbo di Parkinson hanno una minore propensione a sviluppare cancro. Un’importante conferma a questa tesi viene data da un recente lavoro pubblicato sul BMJ: dal Framingham Heart Study sono stati studiati 1.278 pazienti sopra i 65 anni con e  senza storia di cancro e senza storia di demenza nelle condizioni basali, per un follow-up di 10 anni. I pazienti che sopravvivevano al cancro avevano un minor rischio, anche aggiustato per sesso, età e fumo, di sviluppare AD (HR 0.67 95% IC 0.47- 0.97). E a proposito del fumo i sopravvissuti a tumori provocati da esso avevano un HR di 0.26 (0.08 – 0.82) di sviluppare AD, rispetto ai sopravvissuti a cancri non fumo-dipendenti [0.82 (0.57 – 1.19)] anche se avevano un maggior rischio di sviluppare uno stroke [HR 2.18 (1.29 to 3.68)]. Per contro, i pazienti con AD ed una qualsiasi forma di demenza avevano un HR di sviluppare cancro di 0.38 e, rispettivamente, di 0.44. È chiaro che questo studio è solo esplorativo e che necessitano ulteriori studi molto più ampi per accertare il fenomeno, ma nella difficilissima lotta contro il cancro e contro l’Alzheimer saperne di più sugli strani inversi rapporti tra le due patologie può dare qualche ulteriore elemento di conoscenza e di lotta. 

Driver JA et al. BMJ 2012;344:e1442 doi: 10.1136/bmj.e1442 (Published 12 March 2012)

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Epatocarcinoma: protezione antiossidante da parte del selenio

«Ridotti livelli di selenio portano a un accumulo di perossidi lipidici e ciò causa il potenziamento di meccanismi che comportano la crescita dei carcinomi epatocellulari (Hcc)». Lo affermano studiosi dell’università di Vienna guidati da Nataliya Rohr-Udilova, secondo cui l’integrazione con selenio potrebbe essere presa in considerazione per strategie di prevenzione e cura nelle fasi precoce dello sviluppo neoplastico. I ricercatori hanno verificato che, in linee cellulari umane Hcc, il perossido dell’acido linoleico (Looh) e altri pro-ossidanti aumentano l’espressione del fattore di crescita vascolare endoteliale (Vegf) e dell’interleuchina-8 (Il-8), e sovraregolano l’attivazione della proteina attivatrice-1 (Ap-1), tutti e 3 noti marker predittivi di scarsa prognosi nei pazienti con Hcc. Il selenio, la cui carenza può causare perossidazione lipidica e stress ossidativo, inibisce tali effetti, aumentando l’espressione di glutatione-perossidasi antiossidativa 4 (Gpx4), enzima di cui è componente essenziale, che in preferenza degrada i perossidi lipidici e la cui carente attività aumenta l’espressione di Vegf e Il-8. Questi risultati sono stati confermati in vivo. In pazienti con Hcc si sono riscontrati alti livelli di anticorpi ant-Looh, suggestivi di un’aumentata formazione di Looh. L’aumento di tali anticorpi è apparso correlato con il Vegf e l’Il-8 sierici  e con l’attivazione di Ap1 nel tessuto dell’Hcc. All’opposto il selenio è apparso inversamente correlato con il Vegf, l’Il-8 e la dimensione del tumore (solo nel caso di lesioni inferiori a 3 cm). Dunque, la tesi sostenuta dagli autori è quella di un antagonismo tra selenio e perossidi lipidici nell’espressione dei marker tumorali e nella crescita dell’Hcc.

Hepatology, 2012; 55(4):1112-21

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I fattori alla base delle prescrizioni off-label

La prescrizione off-label può portare a eventi avversi eppure è ampiamente praticata, anche in Canada, dove è stata oggetto di uno studio di Tewodros Eguale e colleghi della McGill University di Montreal. Basandosi esclusivamente su dati relativi al Quebec e alla medicina primaria, la prevalenza di questo tipo di prescrizione si è attestata all’11% e appare effettuata in dipendenza del tipo di farmaco, delle necessità del paziente e delle caratteristiche del medico. Il network elettronico del Medical Office of the XXI Century è stato utilizzato perchè in Quebec è obbligatoria l’indicazione della terapia. Sono state analizzate 253.347 prescrizioni effettuate da 113 medici generalisti a 50.823 pazienti dal gennaio 2005 al dicembre 2009, classificandole come on-label oppure off-label in base all’Health Canada drug database. Sul totale delle ricette off-label, il 79% era privo di forti evidenze scientifiche.  Il ricorso a questo tipo di prescrizione era massimo per farmaci del sistema nervoso centrale (26,3%), compresi gli anticonvulsivanti (66,6%), gli antipsicotici (43,8%) e gli antidepressivi (33,4%). I farmaci con 3 o 4 indicazioni approvate sono risultati meno associati all’impiego off-label rispetto a quelli con 1 o 2 indicazioni previste (6,7% vs 15,7%), mentre i farmaci approvati dopo il 1995 sono stati prescritti off-label meno spesso di quelli approvati prima del 1981 (8% vs 17%). I pazienti con Charlson Comorbidity Index =/>1 mostravano un ricorso all’off label inferiore rispetto ai soggetti con indice =0 (9,6% vs 11,7%). Infine, i clinici più orientati alla evidence based medicine erano meno propensi a prescrizioni di questo tipo.

Arch Intern Med, 2012 Apr 16. [Epub ahead of print]

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Sindrome coronarica: con angioTac dimissioni più sicure

Nei reparti di emergenza – dove è elevato il numero di ricoveri per sospette sindromi coronariche – l’impiego dell’angioTac, dall’alto potere predittivo negativo, nei soggetti a basso-medio rischio aumenta le dimissioni sicure. La strategia, messa a punto per verificare rapidamente se il dolore del paziente sia di origine cardiaca o meno, è stato ideato e sperimentato con successo in un trial multicentrico da una task-force di radiologi e cardiologi interventisti statunitensi coordinata da Harold I. Litt, della University of Pennsylvania. I clinici hanno assegnato in modo randomizzato, e in proporzione 2:1, 1.370 pazienti presentatisi nel dipartimento di emergenza con i sintomi di una possibile sindrome coronarica acuta in due gruppi: il primo (n=908) avviato all’esecuzione di un’angioTac, il secondo (n=462) a ricevere un’assistenza tradizionale. Su 640 pazienti che hanno effettuato un esame angioTac con esito negativo, nessuno è morto o ha subito un infarto miocardico entro 30 giorni (outcome primario di sicurezza). Rispetto ai pazienti sottoposti a cure standard, il gruppoo angioTac ha fatto registrare un tasso più elevato di dimissioni dal dipartimento (49,6% vs 22,7%), un tempo inferiore di degenza (in media: 18 ore vs 24,8) e una quota maggiore di identificazioni di malattie coronariche (9% vs 3,5%).

N Engl J Med, 2012; 366(15):1393-403

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Gonartrosi, progressione dimezzata per chi fa uso di statine

L’impiego di statine si associa a oltre il 50% di riduzione della progressione totale di artrosi del ginocchio (ma non dell’anca). È quanto dimostrano i risultati di uno studio di popolazione prospettico condotto da Stefan Clockaerts, del Centro universitario medico Erasmus di Rotterdam (Olanda), e collaboratori, su una coorte di quasi 3.000 pazienti di età pari o superiore ai 55 anni. Ai partecipanti sono state effettuate radiografie del ginocchio e dell’anca alla visita iniziale e dopo una media di 6 anni e mezzo, attribuendo punteggi per l’artrosi sulla base dei metodi Kellgren e Lawrence. Ogni aumento di punteggio è stato valutato come progressione globale di malattia (incidenza e progressione). Le informazioni circa l’uso delle statine durante il follow-up sono state raccolte tramite i database farmaceutici. Si è quindi confrontata la progressione globale dell’artrosi tra utilizzatori e non utilizzatori di statine e, ricorrendo al modello della regressione logistica multivariata, è stato calcolato il valore di odds ratio (Or) corretto per le variabili confondenti. La progressione globale dell’artrosi del ginocchio e dell’anca è occorsa, rispettivamente, nel 6,9% e nel 4,7% dei casi. Ma l’Or per la progressione globale dell’artrosi del ginocchio negli utilizzatori di statine è stato di 0,43, mentre nessuna associazione si è colta tra utilizzatori di statine e progressione globale dell’artrosi d’anca.

Ann Rheum Dis, 2011 Oct 11. [Epub ahead of print]

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Chirurgia per l’alluce rigido: revisione delle tre metodiche

7 Set 2012 Ortopedia

Tutte e 3 le procedure chirurgiche in uso per il trattamento dell’alluce rigido allo stadio finale (artrodesi, emi-impianto metallico, artroplastica selettiva) sono opzioni valide. È la conclusione di una revisione multicentrica retrospettiva sugli esiti a lungo termine conseguiti con le tre metodiche, effettuata da Paul J. Kim, del Georgetown university hospital di Washington (Usa), e collaboratori. Nello studio sono stati presi in esame 158 soggetti (di cui 105 femmine) sottoposti a una delle 3 tecniche chirurgiche. L’indice di massa corporea (Bmi) era significativamente differente nei tre gruppi: in particolare, era inferiore nel gruppo emi-impianto rispetto agli altri due. A un follow-up di circa 159 settimane dall’intervento effettuato, non si sono riscontrate differenze statisticamente significative negli outcome soggettivi (dolore, funzionalità, allineamento) misurati tramite due appositi questionari (American college of foot and ankle surgeon’s first metatarsophalangeal joint and first ray scoring scale, e Hallux metatarsophalangeal scale of the american orthopedic foot and ankle society). Si è inoltre evidenziato un alto grado di correlazione tra le due scale di valutazione. Le valutazioni clinica e radiografica, infine, hanno dimostrato che la metatarsalgia è il più comune reperto nel gruppo artrodesi (9,8%), l’eccessiva crescita ossea nel giunto interessa soprattutto il gruppo emi-impianto (28,3%) e l’alluce flottante coinvolge particolarmente i soggetti con artroplastica selettiva (30,9%).

J Foot Ankle Surg, 2011 Sep 29. [Epub ahead of print]

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Lentiggini e nevi, rischio per due sottotipi di melanoma

La propensione allo sviluppo di lentiggini rappresenta il più importante fattore predittivo di lentigo maligna-melanoma (Lmm), mentre un’elevata propensione alla comparsa di nevi è fortemente predittiva di melanoma a diffusione superficiale (Smm). Inoltre, una storia di cancro cutaneo sembra influire solo sul rischio di Lmm, laddove il numero totale di ustioni solari è determinante soltanto per l’Ssm. Queste distinzioni tra fattori di rischio, importanti ai fini preventivi, sono state effettuate da Marina Kvaskoff, dell’institut Gustave Roussy di Villejuif (Francia) e collaboratori, in uno studio di popolazione caso-controllo svolto nel Queensland (Australia). È stato preso un campione di 49 pazienti con Lmm e di 141 soggetti con Ssm (in situ o invasivo), di età compresa tra i 14 e gli 86 anni al momento della diagnosi (anni 1979 e 1980) e 232 controlli. Mediante regressione logistica multinomiale si sono valutati i rischi di contrarre le due patologie in base a fattori fenotipici e ambientali. Il numero delle lentiggini solari si è rivelato il determinante più robusto di Lmm, con un odds ratio (Or) di 15,93; lo stesso fattore influiva in modo nettamente inferiore sul Smm (Or: 4,61). Al contrario, il numero di nevi ha costituito il più forte elemento determinante per Ssm (Or: 23,22), risultando molto debole per Lmm (3,60). Un’anamnesi patologica positiva per cancro della pelle è apparsa associata in modo significativo a Lmm (Or: 2,84) ma non a Smm (1,33). Una serie di ustioni solari multiple nel corso della vita ha quasi triplicato il rischio di Ssm, mentre non si è rilevata alcuna associazione analoga per Lmm. Fattori di rischio comuni per entrambe le patologie sono stati il numero di cheratosi solari e il complesso fotosensibile (per esempio, colore degli occhi e dei capelli, propensione all’arrossamento cutaneo e alla comparsa di lentiggini): globalmente, questi elementi sembrano provocare un aumento di rischio di 2-5 volte.

Arch Dermatol, 2011 Oct 17. [Epub ahead of print]

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Nt-proBnp: il più affidabile marker di scompenso cardiaco

L’Nt-proBnp (frammento terminale del peptide natriuretico di tipo pro-B), rispetto al peptide natriuretico atriale (Anp) e al frammento N-terminale del peptide natriuretico pro-atriale (Nt-proAnp), risulta il marcatore cardiaco più affidabile ai fini predittivi di morte e insufficienza cardiaca nella popolazione generale senza scompenso manifesto. Il dato è frutto di 9 anni di rilievi effettuati alla divisione di Malattie cardiovascolari della Mayo Clinic di Rochester (Usa) da Paul M. McKie e collaboratori. È stata inizialmente individuata una coorte di 1.769 individui senza segni attuali o pregressi di scompenso cardiaco o di insufficienza renale. I partecipanti, sottoposti a ecocardiografia e a misurazione della concentrazione plasmatica di Anp, Nt-proAnp e Nt-proBnp, sono stati poi seguiti considerando quali endpoint morte, scompenso cardiaco, infarto miocardico e accidenti cerebrovascolari. Dopo aggiustamento per i fattori di rischio convenzionali, Nt-proAnp ha dimostrato di possedere un significativo valore predittivo per il decesso ma non per lo scompenso cardiaco, l’infarto miocardico o l’accidente cerebrovascolare. La capacità predittiva di Nt-proAnp per la mortalità si è peraltro attenuata dopo l’apporto di correzioni per anomalie strutturali e funzionali cardiache. Anp non ha invece evidenziato alcuna valenza predittiva. Al contrario, Nt-proBnp si è dimostrato efficace nel predire exitus, insufficienza cardiaca e infarto miocardico dopo aggiustamento per fattori di rischio convenzionali, mantenendo significatività per morte e scompenso cardiaco anche dopo aggiustamento per anomalie strutturali e funzionali del cuore.

Mayo Clin Proc, 2011; 86(12):1154-60

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