Simvastatina: 5 anni di terapia danno benefici per 11

Grandi trial randomizzati hanno dimostrato che la riduzione della colesterolemia-Ldl mediante statine riduce rapidamente la morbilità e la mortalità vascolare nei soggetti ad alto rischio. Ora un follow-up esteso dell’Heart protection study (Hps) offre i dati su efficacia e sicurezza a lungo termine del trattamento con questi farmaci. Il trial ha incluso 20.536 pazienti ad alto rischio di eventi vascolari e non vascolari, randomizzati a ricevere 40 mg/die di simvastatina o un placebo. Il follow-up medio è stato di 5,3 anni; al termine della sperimentazione, i pazienti erano esortati a proseguire il medesimo trattamento: con il follow-up post-trial si è giunti a una durata totale media di 11 anni. L’outcome primario del follow-up a lungo termine è stato identificato nel primo evento vascolare maggiore post-randomizzazione, con analisi intent-to-treat. Nel corso del trial, l’assegnazione al gruppo simvastatina ha determinato una riduzione media della colesterolemia-Ldl di 1 mmol/L e un decremento proporzionale di eventi vascolari maggiori, pari al 23%, con un differenziale significativo ogni anno rispetto al primo. Nel periodo post-trial (quando l’uso delle statine e le concentrazioni lipidiche erano simili nei due gruppi), non si sono notate ulteriori riduzioni significative degli eventi vascolari maggiori né della mortalità vascolare. Considerando insieme i periodi durante e dopo lo studio, non si sono registrate differenze significative di incidenza di cancro o di mortalità correlata al cancro o per cause non vascolari. Un trattamento ipocolesterolemizzante con statine maggiormente prolungato – è la conclusione dell’Heart protection study collaborative group – produce in termini assoluti una maggiore riduzione di eventi vascolari. Inoltre, anche dopo la cessazione del trattamento, i benefici si sono mantenuti per almeno 5 anni, senza alcuna evidenza di rischi emergenti. Questi dati forniscono ulteriore supporto alla raccomandazione di iniziare rapidamente una terapia con statine e di protrarla nel lungo termine.

Lancet. 2011 Nov 22.

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Più cereali integrali, minore rischio di ca colorettale

5 Set 2012 Oncologia

In base a una revisione sistematica e successiva meta-analisi degli studi osservazionali prospettici comparsi in letteratura, una dieta ricca in fibre, in particolare quelle dei cereali integrali, si associa a una riduzione del rischio del tumore al colon-retto. Un team di ricerca, coordinato da Teresa Norat e composto da ricercatori dell’Imperial college di Londra, dell’università di Leeds e dell’università olandese di Wageningen, ha incrociato i dati di 25 studi riferiti a un campione complessivo di quasi due milioni di persone. Ne è emerso che modeste quantità di cereali integrali sono sufficienti per ottenere effetti benefici, ma che la riduzione del rischio è proporzionale all’entità della fibra assunta. L’aggiunta di 10 grammi di fibre al giorno a una dieta povera di queste sostanze comporta una diminuzione della probabilità di sviluppare un cancro colon-rettale del 10%, mentre tre porzioni giornaliere di cereali integrali, corrispondenti a 90 grammi, si associano a un calo del 20%. La meta-analisi ha rilevato l’associazione inversa con il tumore al colon-retto delle fibre contenute nei cereali, ma non ha individuato evidenze significative legate all’assunzione delle fibre provenienti da frutta, verdura o legumi. Sulla scorta di alcuni degli studi esaminati, gli autori ricordano inoltre che «l’assunzione di fibre alimentari e di cereali integrali è probabilmente in grado di ridurre anche il rischio di patologie cardiovascolari, di diabete di tipo 2, di sovrappeso e obesità e di influire sulla mortalità complessiva». 

BMJ. 2011 Nov 10;343:d6617

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Il diabete mellito influisce sull’outcome oncologico

Il diabete, per quanto trattato, influisce sugli outcome dei pazienti affetti da cancro. Tale influsso, però, appare più evidente “a valle”, cioè sul rischio di morte nelle persone già affette da una neoplasia, piuttosto che “a monte”, sul rischio di comparsa di un tumore. È quanto si evince dai risultati di uno studio prospettico di coorte condotto su 599 pazienti diabetici e 17.681 soggetti non diabetici da Hsin-Chieh Yeh, della Johns Hopkins university di Baltimora (Usa), e collaboratori. Tra il 1989 e il 2006, hanno sviluppato un cancro 116 pazienti diabetici e 2.365 soggetti non diabetici, corrispondenti rispettivamente a un’incidenza (aggiustata per l’età) di 13,25 e 10,58 per 1.000 anni-persona. Dopo aver apportato correzioni per età, genere, grado di istruzione, indice di massa corporea (Bmi) e terapie in corso di tipo antipertensivo o ipocolesterolemizzante, utilizzando il modello di regressione proporzionale di Cox il diabete è risultato associato a un aumento di 1,22 volte del rischio di cancro incidente e di 1,36 volte di mortalità per cancro. Negli individui che avevano sviluppato una patologia oncologica, gli adulti affetti da diabete mostravano un rischio aumentato di 1,34 volte di morte per cancro e di 1,61 di mortalità generale. Per il cancro colorettale, mammario e prostatico, le componenti di rischio attribuibili al diabete riguardavano soprattutto la mortalità per cancro e quella generale piuttosto che l’incidenza di cancro.

Diabetes Care, 2011 Nov 18.

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Ca mammario: esiti migliori con alti livelli di enterolattone

3 Set 2012 Oncologia

Nelle donne con cancro mammario in fase precoce livelli sierici elevati di enterolattone (prodotto di trasformazione intestinale dei lignani, tra cui i fitoestrogeni) si associano a ridotta mortalità correlata al cancro. Lo rivela uno studio retrospettivo di coorte realizzato da Pamela Guglielmini, Alessandra Rugabotti e Francesco Boccardo, del dipartimento di Oncologia, biologia e genetica dell’università di Genova, che avevano già dimostrato come gli alti livelli sierici di enterolattone si associassero a una diminuita incidenza di cancro mammario nelle donne sane. In questa ricerca la misurazione dell’enterolattone è stata fatta in campioni crioconservati di siero, ottenuti da 300 pazienti che erano state operate per cancro mammario. Tramite modelli di regressione proporzionale si sono valutati l’efficacia prognostica del sistema e le interazioni tra variabili e concentrazioni di enterolattone nel determinare il rischio di morte. A un follow-up medio di 23 anni, 180 pazienti risultavano decedute, delle quali 112 per eventi correlati a cancro mammario. È stata evidenziata un’associazione tra ridotto rischio di morte (generale e specifica per ca del seno) e livelli di enterolattone =/>10 nmol/L. La differenza nel rischio di decesso è risultata statisticamente significativa, ma è sembrata diminuire con il tempo, fino a perdere significatività dopo i primi 10 anni; l’analisi dei rischi competitivi ha comunque mostrato che il rischio di morte per ca mammario restava costantemente inferiore nelle pazienti con alti livelli di enterolattone. «I nostri dati» concludono gli autori «sono in linea con quelli della più recente letteratura e offrono un’ulteriore evidenza che i lignani dei mammiferi (mammalian lignans) possono giocare un ruolo importante nel ridurre la mortalità generale e cancro-specifica nelle pazienti operate per carcinoma mammario».

Breast Cancer Res Treat, 2011 Nov 18. [Epub ahead of print]

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Antibiotici nell’alimentazione animale da bandire

Due ricercatori della Tufts university School of medicine di Boston (Usa), Bonnie M. Marshall e Stuart B. Levy, affrontano, attraverso una revisione critica della letteratura, il problema dell’utilizzo degli antibiotici nell’alimentazione degli animali da allevamento a scopo non terapeutico ma principalmente per favorirne la crescita: uso indicato come una tra le principali cause dell’antibioticoresistenza. Gli autori riportano stime secondo cui l’utilizzo non terapeutico è otto volte superiore alla somministrazione effettuata allo scopo di curare animali ammalati. Nel lungo termine, si crea un ambiente ottimale che consente ai geni resistenti agli antibiotici di moltiplicarsi. «Fondamentalmente» si riporta nello studio «gli animali si trasformano in “fabbriche” per la produzione e distribuzione di batteri resistenti agli antibiotici, come la Salmonella e l’Mrsa, ossia lo Stafilococco aureo meticillino-resistente». L’antibioticoresistenza si può trasferire ad altri batteri e, anche se gli allevatori non utilizzano farmaci abitualmente usati per l’uomo, alla lunga si produce comunque un fenomeno di resistenza. Diversi studi citati nella revisione dimostrano che questi batteri passano facilmente dagli animali agli uomini con cui sono strettamente a contatto, come veterinari o allevatori, e poi alle loro famiglie. Il 90% degli antibiotici somministrati agli animali finisce nell’ambiente e la resistenza si diffonde direttamente per contatto oppure in via indiretta, attraverso l’acqua, l’aria e la catena alimentare. Nel proporre un bando all’utilizzo degli antibiotici nell’alimentazione degli animali, gli autori della ricerca ricordano le gravi conseguenze della progressiva estensione del fenomeno. Solo negli Usa, i costi per combattere infezioni antibioticoresistenti sono calcolati in 20 miliardi di dollari all’anno, più altri 8 ascrivibili ai costi aggiuntivi di ospedalizzazione. Senza contare le ben più gravi sofferenze che ne derivano ai pazienti.

Clin Microbiol Rev, 2011; 24(4):718-33

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Screening ca cervicale: quando iniziare e interrompere

1 Set 2012 Oncologia

Una revisione critica di un team di ricercatori del Center for health research di Portland, in Oregon (Usa) – sotto la guida di Kimberly K. Vesco – ha esplorato i dati epidemiologici e contestuali relativi allo screening per il tumore cervicale, con l’obiettivo di fornire elementi utili per decidere quando iniziare e fino a quando protrarre lo screening, aspetti intorno ai quali permangono dubbi e discussioni. Gli autori non forniscono risposte incontrovertibili, ma espongono le considerazioni essenziali derivate da altri studi. «Il cancro della cervice» ricordano «è raro prima dei 20 anni e lo screening in questa fascia di età è complicato dai falsi positivi che si riscontrano in maggior numero rispetto alle donne di età più avanzata; inoltre si hanno percentuali relativamente alte di infezione da Hpv transitorie e un trattamento potrebbe minacciare le capacità riproduttive». L’obiettivo dello screening è di individuare lesioni preinvasive, ma l’incidenza delle lesioni Cin2 e Cin3 non raggiunge il picco che all’avvicinarsi dei trent’anni. Quindi la scelta della tempistica di inizio dello screening deve tenere conto dei potenziali benefici ma anche dei possibili rischi. Nelle donne più anziane, invece, le evidenze disponibili supportano la decisione di interrompere lo screening nelle donne dopo i 65 anni che non presentano particolari fattori di rischio. In questa fascia di età lo screening va riservato, secondo l’analisi degli studiosi americani, alle donne che non erano state sottoposte in precedenza a controlli adeguati.

Ann Intern Med, 2011; 155(10):698-705

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Anziani a rischio overdose con antitrombotici e antidiabetici

Un gruppo di ricercatori americani, dei Centers for disease control and prevention (Cdc) di Atlanta (Usa), guidato da Daniel S. Budnitz, si è occupato degli effetti avversi dei medicinali negli anziani e ha avviato un’indagine per determinare sia la frequenza dei ricoveri ospedalieri riconducibili a questa causa sia il contributo dei singoli farmaci alle ospedalizzazioni. Con l’aumento della popolazione anziana, il fenomeno è in crescita e il report segnala che, tra le persone che superano i 65 anni, è molto frequente il ricorso a più farmaci in una quota sempre più ampia di persone. Gli autori hanno utilizzato dati del National electronic injury surveillance system – Cooperative adverse drug event surveillance project, registrati dal 2007 al 2009, e hanno identificato 5.077 casi di ricoveri di emergenza dovuti alle reazioni avverse ai farmaci. Interpolando i dati su scala nazionale, i ricoveri ospedalieri di cittadini americani ultrasessantacinquenni si stimano in 99.628 all’anno; circa la metà di queste ospedalizzazioni riguarda anziani di età superiore agli 80 anni. In due casi su tre gli effetti avversi sono stati conseguenza di sovradosaggi non intenzionali. Inoltre si è visto che 4 farmaci o classi di farmaci sono stati implicati nel 67% di questi episodi, da soli o in combinazione con altri principi: il warfarin (33,3%), le insuline (13,9%), gli antipiastrinici orali (13,3%) e gli ipoglicemizzanti orali (10,7%). Invece, i farmaci ad alto rischio o ad alto livello di attenzione sono stati responsabili solo dell’1,2% dei ricoveri. In ultima analisi, i pericoli maggiori derivano da antitrombotici e antidiabetici: ed è qui che occorre intervenire per migliorarne il corretto uso e ridurre maggiormente le ospedalizzazioni da eventi avversi ai farmaci.

N Engl J Med, 2011; 365(21): 2002-12

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Postinfartuati diabetici: meno aritmie ventricolari con omega-3

31 Ago 2012 Cardiologia

Un’integrazione di omega-3 a basse dosi riduce il rischio di eventi correlati ad aritmia ventricolare nei pazienti postinfartuati con diabete di tipo 2. Il dato giunge da una ricerca olandese condotta da Daan Kromhout, dell’università di Wageningen, e colleghi, su 1.104 soggetti con pregresso infarto miocardico e affetti da diabete, di età compresa tra 60 e 80 anni. I partecipanti sono stati randomizzati in quattro gruppi a ognuno dei quali è stata assegnata una supplementazione – da assumere per 40 mesi – di diversi tipi di margarina: tre con un contenuto aggiuntivo di omega-3, una placebo. I pazienti hanno consumato in media 18,6 g di margarina al giorno, equivalenti a un’assunzione additiva di 223 mg di acido eicosapentaenoico (Epa) più 149 mg di acido docosaesaenoico (Dha) più 1,9 g di acido alfa-linolenico (Ala) nei gruppi di trattamento attivo. Nel corso del follow-up, 29 soggetti hanno sviluppato eventi correlati ad aritmia ventricolare e 27 hanno subito un infarto miocardico. Rispetto ai pazienti del gruppo placebo, i soggetti nel gruppo Epa-Dha-Ala hanno avuto meno eventi correlati ad aritmia ventricolare (hazard ratio, Hr: 0,16). Gli omega-3, inoltre, hanno ridotto l’endpoint combinato costituito da eventi correlati ad aritmia ventricolare e infarto fatale (Hr: 0,28). 

Diabetes Care, 2011; 34(12):2515-20

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Sartani e Ace-inibitori nella stenosi dell’arteria renale

30 Ago 2012 Nefrologia

L’impiego di Ace-inibitori o sartani nei pazienti con stenosi aterosclerotica dell’arteria renale (e conseguente attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone) è sicuro ed efficace a lungo termine, indipendentemente da qualsiasi altro parametro. Lo ha verificato uno studio – realizzato da un team del dipartimento di Medicina e trapianto renale della Guy’s and St Thomas’ Nhs foundation di Londra (UK) guidato da Sofia Sofroniadou – in cui 36 pazienti con stenosi renale definita angiograficamente, e gestita tramite rivascolarizzazione o solo con trattamento medico, sono stati valutati prospetticamente per definire la tollerabilità, sicurezza e outcome di sartani e Ace-inibitori. Il follow-up è stato mediamente di 88,9 mesi. Si è rilevata una riduzione statisticamente significativa della pressione arteriosa sistolica e diastolica nel tempo, mentre i valori relativi al tasso di filtrazione glomerulare (eGfr) si sono mantenuti stabili. Il tempo medio trascorso dalla diagnosi o dall’intervento fino allo stadio terminale della malattia renale per l’intera coorte di 36 pazienti è stato di 165 mesi. La sopravvivenza globale media è risultata di 135,36 mesi, con 14 decessi (38,8%) avvenuti durante il periodo osservazionale. La terapia con sartani o Ace-inbitori è stata interrotta in modo temporaneo in soli 4 soggetti.

Int Urol Nephrol, 2011 Nov 30.

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Maggiore probabilità di colangiocarcinoma nei pazienti diabetici

Esiste una forte correlazione tra diabete mellito e rischio aumentato di colangiocarcinoma (Cc), sia intraepatico (Icc) sia extraepatico (Ecc). Il dato, già segnalato ma rimasto finora non chiarito, sembra ora confermato dai risultati di una metanalisi condotta al dipartimento di Chirurgia generale della Seconda università medica militare di Shangai (Cina) da un’équipe di ricercatori guidata da Wei Jing. Dopo una ricerca della letteratura presente su Medline (dal 1966) ed Embase (dal 1974) fino al 2010, sono stati inclusi nell’analisi 15 articoli: 10 caso-controllo e 5 studi di coorte. In particolare, il numero di rapporti sul rapporto tra diabete mellito e rischio specifico di cancro sono stati 5 nel caso del colangiocarcinoma (Cc), 9 nel caso di Ecc, e 9 in quello di Icc. Messi a confronto dei soggetti non diabetici, gli individui con diabete mellito hanno evidenziato un rischio maggiore di Cc (rischio relativo, Rr: 1,60), di Ecc (Rr: 1,63) e di Icc (Rr: 1,97). Si è accertato mediante funnel plot l’assenza di bias di pubblicazione relativi al rapporto tra diabete e il rischio di Cc (inclusi Ecc e Icc).

Eur J Cancer Prev, 2012; 21(1):24-31

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