Fibrillazione atriale: meglio l’ablazione

L’ablazione circonferenziale della vena polmonare ? pi? efficace dei farmaci antiaritmici nella prevenzione della fibrillazione atriale parossistica (PAF). Bench? la terapia medica sia considerata l’approccio di prima linea nel trattamento della PAF, essa pu? comportare alcuni gravi effetti collaterali. Studi precedenti avevano gi? suggerito la superiorit? dell’ablazione, ma la situazione appariva finora poco chiara. L’ablazione dunque merita di essere tenuta in considerazione nei pazienti nei quali la terapia antiaritmica ha gi? fallito e si desidera il mantenimento del ritmo sinusale. (J Am Coll Cardiol 2006; 48: 2340-7)

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La nicturia mette a rischio il cuore


La nicturia ? un significativo fattore predittivo indipendente di mortalit? nei pazienti intorno ai 70 anni. Se questo dato verr? confermato, la terapia medica per la prevenzione della nicturia, disponibile ma scarsamente applicata, diverr? sicuramente pi? diffusa. Svegliarsi ed alzarsi di frequente durante la notte, il che ? comune fra gli anziani, sembra predisporre i soggetti suscettibili agli eventi cardiovascolari. L’aumento della frequenza cardiaca e della pressione che si osserva al risveglio al mattino interviene anche al risveglio dal sonno pomeridiano e nei risvegli notturni. I pazienti con cardiopatia ischemica potrebbero venire scoraggiati per le terapie chirurgiche come la prostatectomia per via dell’aumento del rischio percepito, ma questo tipo di intervento potrebbe invece apportare benefici se la causa ella nicturia viene rimossa. (Am J Cardiol 2006; 98: 1311-5)

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Dolore cronico del collo: utile esercizio su forza e resistenza

Una dose efficace di esercizio su forza e resistenza diminuisce il dolore cronico del collo nelle donne che lavorano in ufficio. Il dolore cronico del collo, la riduzione del range di movimento del rachide cervicale e l’indebolimento della forza dei muscoli del collo sono pi? comuni nelle donne che negli uomini, e sono correlati ad impedimenti, limitazioni funzionali e disabilit?. Il presente studio dimostra che l’insegnamento di esercizi specifici da praticare a domicilio per 12 mesi ? associato ad una diminuzione del dolore e del grado di disabilit?. Le dosi efficaci di esercizio sono risultate praticabili e sicure in queste pazienti. (Med Sci Sports Exerc. 2006: 38: 2068-74)

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Artrite reumatoide: CRP non predittiva nelle donne

Bench? sia stato dimostrato che i livelli di CRP sono correlati con l’attivit? dell’artrite reumatoide, essi non sono predittivi dell’incidenza della malattia nelle donne. Il rilevamento di questa malattia in uno stadio preclinico potrebbe essere utile per la prevenzione della disabilit? da essa derivante: i biomarcatori pi? promettenti per l’identificazione delle pazienti destinate a sviluppare la malattia comprendono il fattore reumatoide ed alcuni autoanticorpi. Non era finora chiaro se la CRP, marcatore di infiammazione sistemica, possa predire l’artrite reumatoide. In base al presente studio, un dosaggio base della CRP ? predittivo di infarto, ictus e morte per cause cardiovascolari, ma non di tumori incidenti o di artrite reumatoide. Va comunque ricordato che la CRP conserva in ogni caso un ruolo nella gestione dei pazienti con artrite reumatoide conclamata, in quanto ? utile per seguire l’attivit? della malattia. (Arch Intern Med. 2006; 166: 2490-4)

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Malattie infiammatorie intestinali infantili: VES ed emoglobina utili nello scre

La combinazione di VES e concentrazione dell’emoglobina risulta altamente sensibile e specifica per lo screening dei bambini con sospette malattie infiammatorie intestinali, e risulta superiore ai test sierologici. Questi ultimi sono stati anche oggetto di studi nei bambini per il passato, ma principalmente in popolazioni con una predominanza di queste malattie, e pertanto pi? per la classificazione che per la diagnosi. L’ulteriore perfezionamento dei test sierologici e/o la combinazione di questi con test di laboratorio di routine e tecniche di diagnostica per immagini non invasive potrebbero offrire mezzi con un buon rapporto costo/beneficio per il futuro. (Pediatrics online 2006, pubblicato l’11/12)

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Artrite reumatoide non trattata: elevato rischio TBC

Nei pazienti con artrite reumatoide sussiste un aumento del rischio di TBC anche prima del trattamento con farmaci anti-TNF-alfa, per i quali ? noto che comportino un aumento del rischio di questa patologia. L’introduzione degli agenti biologici come gli anti-TNF-alfa rappresenta un importante progresso nel trattamento dell’artrite reumatoide, ma d’altro canto l’aumento della frequenza della TBC ne rappresenta uno dei principali motivi di preoccupazione: il TNF-alfa ha un ruolo chiave nella soppressione delle infezioni micobatteriche, e la comparsa dell’infezione tubercolotica attiva ? stata riportata poco dopo l’introduzione di questi farmaci. I dati del presente studio dovrebbero formare le basi per la gestione del rischio del trattamento anticitochinico in questa popolazione. (Ann Rheum Dis 2006; 65: 1661-3)

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Tumore prostatico localizzato: utile trattamento definitivo

28 Gen 2007 Oncologia
I tassi di sopravvivenza nei soggetti con tumore prostatico localizzato ? migliore con la chirurgia o la brachiterapia che con trattamenti non definitivi, anche fra gli uomini anziani. Il presente studio ? il primo a dimostrare un vantaggio della brachiterapia in questo senso, e conferma le precedenti indicazioni sulla chirurgia. Ci? nonostante, solo un numero ristretto di pazienti con questa patologia vanno incontro a decesso entro 10 anni, e sia la chirurgia che la brachiterapia sono procedure invasive con possibili effetti collaterali che permangono per tutta la vita. Fattori diversi dalla sopravvivenza, come rischi, effetti collaterali e qualit? della vita, gravano pesantemente sugli uomini che decidono di sottoporsi a trattamento per questi tumori che difficilmente li metterebbero in pericolo di vita. I pazienti sia giovani che anziani che decidono di sottoporsi ad un trattamento definitivo dovrebbero ricevere indicazioni sul fatto che sia la chirurgia che la brachiterapia sono ugualmente appropriate. (Cancer 2006; 107: 2392-400)

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Aglio e cipolla possono avere un effetto protettivo nei confronti dei tumori

27 Gen 2007 Oncologia
Le persone che assumono con la dieta aglio e cipolla sembrano avere un pi? basso rischio di tumore.

Ricercatori italiani hanno analizzato 8 studi effettuati in Italia ed in Svizzera, che hanno confrontato l?assunzione dei 2 vegetali agliacei in pazienti ed in soggetti sani ( controllo ).

I dati dell?analisi sono in linea con le conclusioni di altri studi, eseguiti soprattutto in Cina.

L?assunzione moderata di cipolla ? in grado di ridurre il rischio di tumori del colon-retto, della laringe e dell?ovaio.
Le persone che mangiano quantit? abbondanti di cipolle presentano anche una riduzione del rischio di tumori orali ed esofagei.

L?uso moderato di aglio ? risultato anche associato a pi? bassi rischi di tumore del colon-retto e del tumore a cellule renali.

L?effetto protettivo contro i tumori viene aumentato sensibilmente assumendo alte quantit? di cipolla e aglio, ad eccezione dei tumori della mammella e alla prostata per le alte quantit? di aglio.

Fonte: American Journal of Clinical Nutrition, 2006

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Transaminasi normali e HCV positiv?. Osservare, ignorare o trattare?

Quando nel 1989 ? stato isolato il virus dell’epatite C (HCV) si ? aperta una strada nuova ed affascinante per la ricerca scientifica con una progressiva evoluzione delle conoscenze che hanno chiarito da un lato gli aspetti biologici del virus e della sua replicazione con lo sviluppo di test diagnostici sempre pi? sensibili ed efficaci, e dall’altro hanno permesso la sintesi di farmaci efficaci come l?interferone che hanno mutato la storia naturale dell’HCV.

Oggi possiamo dare consigli utili sia ai pz HCV positivi che ai loro famigliari perch? conosciamo meglio il ruolo dei vari fattori di rischio. L?osservazione clinica ha permesso di identificare soggetti eleggibili al trattamento attraverso il monitoraggio dei parametri funzionali e dell’attivit? virale, ma anche se ? sempre pi? facile individuare pazienti HCV positivi con transaminasi normali verso i quali ? legittimo porsi il quesito sul come gestirli. Limitarsi ad osservare, semplicemente ignorare o decidere di trattare?

Studi recenti hanno dimostrato che questi soggetti con transaminasi normali persistenti hanno una lenta progressione dell?epatite rispetto a coloro che presentano transaminasi elevate. In particolare due nuovi studi hanno meglio definito le differenze epidemiologiche, immunologiche e istologiche esistenti tra i due gruppi di pazienti HCV positivi, con e senza alterazioni enzimatiche.

Il primo studio realizzato da ricercatori italiani dell?Universit? di Napoli e pubblicato sul Journal of Viral Hepatology ha analizzato le biopsie ottenute a 0, 5 e 10 anni di follow up di 40 pz con ALT elevate e di 24 pz con ALT normali. I risultati dello studio hanno evidenziato che il 22% dei soggetti con ALT normali ha manifestato un incremento delle transaminasi, ma solo nei primi 4 anni di follow up e non successivamente. L?unica variabile demografica significativa e distintiva dei due gruppi era rappresentata dal sesso con prevalenza dei soggetti maschi nel gruppo con ALT elevate rispetto a quello con ALT normali (rispettivamente 60% vs 37.5%; p<0.05). L?istologia iniziale mostrava un grado di fibrosi e steatosi che erano pi? marcate nel gruppo con ALT elevate. Nel follow up del gruppo con ALT normali non era documentabile una significativo cambiamento del pattern istologico e immunologico iniziale. Nel secondo studio, pubblicato su Clinical Gastroenterology Hepatology, sono stati analizzati i dati di 2473 soggetti HCV positivi di cui 480 con ALT normali. Come nello studio italiano, le donne erano prevalenti nel gruppo con ALT normali rispetto a quello con ALT elevate (59% vs 32%; p<0.01) e le alterazioni istologiche in questo gruppo erano significativamente pi? modeste rispetto a quello con ALT elevate (p<0.01), anche se nel 10% di questi soggetti con ALT normali erano documentabili dei ponti fibrotici. Dopo 72 settimane di follow up nell 53% dei 68 soggetti con ALT normali era documentabile un incremento delle transaminasi. Da questi due studi, anche se differenti come disegno, ? possibile trarre alcune conclusioni comuni relative alla gestione di soggetti HCV positivi con ALT normali: Pochi pazienti con queste caratteristiche hanno una fibrosi iniziale. Pertanto ? opportuno, in questi casi, decidere il trattamento in base ai risultati della biopsia epatica. Numerosi pazienti con transaminasi normali possono sviluppare nella loro storia futura un alterazione dei valori enzimatici. La frequenza di tali eventi impone in questi casi un attento e continuo follow up. Nei soggetti con valori normali persistenti e documentabili nel lungo periodo ? consistente l?evidenza della rara progressione istologica. Questa osservazione permette di considerare tali pazienti non eleggibili al trattamento.

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batteri intestinali possono influenzare il peso corporeo

Una ricerca compiuta da Ricercatori della Washington University di St.Louis, negli Stati Uniti, ha trovato un?associazione tra obesit? e microbi presenti nell?intestino.

I Ricercatori hanno scoperto che i livelli dei 2 tipi di batteri, Firmicutes e Bacteroidetes, che nell?intestino contribuiscono alla degradazione del cibo, sono differenti nelle persone e nei topi obesi o magri.

E? stato trovato che la popolazione dei batteri Bacteroidetes ? pi? bassa nei topi e negli esseri umani obesi rispetto ai magri.

Lo studio di 12 persone obese che hanno seguito una dieta a basso contenuto calorico per 1 anno ha mostrato che i livelli dei Bacteroidetes aumentavano al diminuire del peso corporeo.

I risultati stanno a indicare che esiste una componente microbica dell?obesit?.

Le strategie atte a modificare i livelli dei microbi intestinali potrebbero rappresentare un approccio al trattamento dell?obesit?.

Fonte: Washington University School of Medicine, 2006

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