Effetto del trattamento multifattoriale sulla steatosi epatica non alcolica nei

La steatosi epatica non-alcolica ? una manifestazione della sindrome metabolica.
Non esistono ad oggi trattamenti efficaci per questa malattia epatica.

Ricercatori greci hanno valutato un intervento multifattoriale nel trattamento della steatosi non alcolica.

Lo studio prospettico ha riguardato pazienti non affetti da diabete ( n = 186 ) con sindrome metabolica.

Il periodo osservazionale ? stato di 54 settimane.

I pazienti hanno ricevuto consigli per modificare il proprio stile di vita e sono stati trattati per l?ipertensione ( nella maggioranza dei casi con inibitori del sistema renina-angiotensina ), per l?alterata glicemia a digiuno ( Metformina ), per l?obesit? ( Orlistat ) e per la dislipidemia.
Riguardo alla dislipidemia, i pazienti sono stati trattati in modo random con Atorvastatina 20mg/die ( n = 63 ) o con Fenofibrato micronizzato 200mg/die ( n = 62 ) o con l?associazione Atorvastatina e Fenofibrato ( n = 61 ).

Al termine del trattamento, il 67% dei pazienti che hanno ricevuto Atorvastatina, il 42% di quelli che sono stati trattati con Fenofibrato ed il 70% di coloro che hanno assunto l?associazione Atorvastatina e Fenofibrato non hanno pi? presentato evidenze biochimiche ed ultrasonografiche di steatosi epatica non-alcolica ( p < 0.05 versus il basale, per tutti i confronti).
La percentuale dei pazienti senza pi? evidenza di steatosi non alcolica ? risultata pi? elevata nel gruppo Atorvastatina e nel gruppo Atorvastatina e Fenofibrato, rispetto al gruppo Fenofibrato.

L?effetto era correlato in modo indipendente al trattamento farmacologico, cos? come alla riduzione della proteina C-reattiva ad alta sensibilit?, alla circonferenza-vita, al peso corporeo, ai trigliceridi, al colesterolo LDL, al colesterolo totale, alla pressione sistolica e alla glicemia.

Quattro pazienti hanno dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi.

Lo studio ha mostrato che l?intervento multifattoriale nei pazienti con sindrome metabolica e con evidenza biochimica ed ultrasonografica di steatosi epatica non alcolica ha permesso di ridurre gli elevati livelli di aminotransferasi e l?ecogenicit? del parenchima epatico.

Athyros VG et al, Curr Med Res Opin 2006; 22: 873-883

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Il computer portatile, tenuto in grembo ed in funzione, aumenta la temperatura s

L?ipertermia scrotale ? stata identificata come fattore di rischio per l?infertilit? maschile.

I computer portatili ( laptop ) sono divenuti parte di un attuale stile di vita e hanno guadagnato popolarit? tra la giovane popolazione in et? fertile.

I laptop computer sono noti raggiungere elevate temperature interne durante il funzionamento.

Ricercatori della State University di New York hanno valutato l?effetto termico sullo scroto.

La temperatura scrotale destra e sinistra ? stata misurata in 29 volontari sani in due distinte sedute da 60 minuti.

La temperatura scrotale ? aumentata in modo significativo nella parte destra e nella parte sinistra nei soggetti che lavoravano con il computer in funzione ( 2.8?C e 2.6?C, rispettivamente; p < 0.0001 ) ma anche nei soggetti senza computer ( 2.1?C; p < 0.0001 ).
Tuttavia, l?innalzamento della temperatura scrotale tra coloro che avevano il computer in grembo ? stata significativamente pi? elevata ( p < 0.0001 ).
Secondo gli Autori il computer portatile, in funzione, posizionato in grembo causa un innalzamento della temperatura scrotale, come risultato dell?esposizione a fonte di calore e di effetti correlati alla postura.

Un?esposizione a lungo termine all?ipertermia scrotale transitoria ripetitiva associata al computer portatile ? una moderna caratteristica di stile di vita che pu? avere un impatto negativo sulla spermatogenesi, in modo particolare nei ragazzi adolescenti e nelle giovani donne.

Sheynkin y et al, Hum Reprod, Published Online, 2004

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Trattamento della disfunzione erettile con Yohimbina

Non ? ben chiarito il ruolo della Yohimbina nel trattamento della disfunzione erettile organica.

Al Center for Sexual Function del Lahey Clinic Northshore di Peabody (Usa) ? stato condotto uno studio per meglio definire i pazienti che potrebbero beneficiare dall’assunzione della Yohmbina.

I Ricercatori hanno misurato la tumescenza penile notturna con il RegiScan, ed i livelli ormonali di 18 uomini non fumatori con disfunzione erettile. Inoltre sono state valutate le risposte al Florida Sexual Health Questionnarie e le risposte cliniche al basale e dopo la somministrazione di 2 diversi dosaggi di Yohimbina.

Hanno risposto al trattamento con Yohimbina gli uomini con disfunzione erettile organica meno grave, che hanno presentato un aumento della rigidit? al test del RigiScan, un pi? alto punteggio al Florida Sexual Health Questionnaire e che avevano livelli sierici di testosterone leggermente pi? alti.

Guay AT et al, Int J Impot Res 2002; 14: 25-31

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Rischio di caduta negli uomini anziani correlata a bassi livelli di testosterone

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Negli uomini, i livelli degli steroidi gonadici si riducono con l?et?.

Ricercatori statunitensi hanno compiuto uno studio osservazionale con l?obiettivo di determinare se bassi livelli di testosterone fossero associati a performance fisica e a rischio di cadute negli uomini anziani.

Un totale di 2.587 uomini di et? compresa tra 65 e 99 anni sono stati selezionati da uno studio di coorte di 5.995 volontari.

Il 56% degli uomini ha riportato almeno una caduta; molti sono andati incontro a frequenti cadute.

I pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile erano associati ad un aumentato rischio di cadute.
Gli uomini con livelli di testosterone nel pi? basso quartile avevano un rischio di cadute superiore del 40% rispetto ai soggetti nel pi? alto quartile.

L?effetto dei bassi livelli di testosterone ? risultato pi? apparente negli uomini pi? giovani ( 65-69 anni ) ( rischio relativo: 1.8 ).
Negli uomini pi? anziani ( di et? maggiore o uguale ad 80 anni ) i livelli di testosterone non erano associati alle cadute.

Le pi? basse concentrazioni di testosterone erano associate a pi? ridotta performance fisica.
Tuttavia, l?associazione tra bassi livelli di testosterone e rischio di cadute ? persistito nonostante l?aggiustamento per la performance.

Lo studio ha mostrato che le cadute sono comuni tra gli uomini anziani ed il rischio di cadute era pi? alto negli uomini con pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile.
L?effetto dei livelli di testosterone non dipende dalla pi? scarsa performance fisica, indicando che l?effetto del testosterone sul rischio di cadute pu? essere mediato da altre azioni dell?androgeno.

Orwoll E et al, Arch Intern Med 2006; 166: 2124-2131

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Una dieta ad alto contenuto di carboidrati e basso indice glicemico permette di

Nonostante la popolarit? delle diete a basso indice glicemico o ad alto contenuto proteico, non esistono studi controllati, randomizzati che abbiano confrontato gli effetti di queste diete sul peso corporeo e sul rischio cardiovascolare.

Un totale di 129 giovani adulti in sovrappeso o obesi ( indice di massa corporea maggiore o uguale a 25 ) sono stati assegnati ad una di 4 diete ad alto contenuto di fibre e a basso contenuto di grassi.

Le diete 1 e 2 erano ad alto contenuto di carboidrati ( 55% dell?energia totale assunta ) e ad alto e basso indice glicemico, rispettivamente; le diete 3 e 4 erano ad alto contenuto proteico ( 25% dell?energia totale assunta ), con alto e basso indice glicemico, rispettivamente.

Il carico glicemico era pi? alto nella dieta 1 e pi? basso nella dieta 4.

In tutti i gruppi ? stata osservata una similare perdita percentuale di peso corporeo ( dieta 1: -4.2%; dieta 2: -5.5%; dieta 3: -6.2%; dieta 4: -4.8% ).

Tuttavia, la proporzione dei soggetti in ciascun gruppo che ha perso il 5% o pi? di peso corporeo ? variata in modo significativo secondo la dieta assunta ( dieta 1: 31%; dieta 2: 56%; dieta 3: 66%; dieta 4: 4.33%; p = 0.01 ).

Le donne che hanno seguito la dieta 2 e la dieta 3 hanno perso l?80% in pi? di massa grassa ( -4.5kg e ?4.6kg, in media), rispetto alle donne che hanno seguito la dieta 1 ( -2.5kg, in media; p = 0.007 ).

I livelli di colesterolo LDL si sono ridotti in modo significativo nel gruppo dieta 2 ( -6.6kg/dl ) , ma sono aumentati nel gruppo dieta 3 ( +10mg/dl; p = 0.02 ).

I risultati dello studio hanno dimostrato che entrambi i regimi ad alto contenuto proteico e a basso indice glicemico hanno aumentato la perdita della massa grassa, ma per la riduzione del rischio cardiovascolare ? consigliabile una dieta ad alto contenuto di carboidrati e basso indice glicemico.

McMillan-Price J et al, Arch Intern Med 2006; 166: 1466-1475

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Il Lactobacillum fermentum non riduce i livelli plasmatici dei lipidi

C?? un crescente interesse nell?impiego di terapie naturali per ridurre gli elevati livelli di colesterolo LDL.

Uno studio compiuto da Ricercatori della University of New South Wales a Sidney in Australia ha valutato gli effetti del Lactobacillus fermentum sul colesterolo LDL e su altre frazioni lipidiche.

Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, ha coinvolto soggetti con livelli di colesterolo totale maggiori o uguali a 4mmol/l.

I soggetti ( n = 46 ) sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 2 capsule di Lactobacillus fermentum 2 volte die [ ciascuna capsula conteneva 2×10(9) unit? formanti colonie ], oppure placebo per 10 settimane.

Due soggetti hanno interrotto precocemente lo studio, uno per ragioni personali ed uno per disturbi intestinali.
Tre altri soggetti hanno presentato disturbo intestinale, ma hanno completato lo studio.

E? stato osservato un modesto trend di riduzione del colesterolo LDL da parte del Lactobacillus fermentum e del placebo ( 7% e 5.2%, rispettivamente ).
Questo trend non ha raggiunto significato statistico e non ? emersa differenza statisticamente significativa tra i due bracci di trattamento riguardo ai valori di colesterolo totale, colesterolo HDL o trigliceridi.

Non sono stati riscontrati cambiamenti significativi negli enzimi epatici o in altri parametri di sicurezza.

I dati dello studio hanno mostrato che il Lactobacillus fermentum non sembra essere in grado di produrre cambiamenti significativi delle frazioni lipidiche, anche se un piccolo effetto non pu? essere escluso del tutto.

Simons LA et al, Nutr Metab Cardiovasc Dis 2006; 16: 531-532

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Colesterolo LDL, benefici nel raggiungimento degli obiettivi NCEP tra i pazienti

E? stata valutata l?efficacia e la sicurezza del raggiungimento degli obiettivi di colesterolo LDL < 1.8mmol/l secondo le lineeguida NCEP ( National Cholesterol Education Program ) nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta.
La relazione tra colesterolo LDL a 30 giorni dopo sindrome coronarica acuta, e gli outcome ( esiti ) clinici ? stata valutata tra i pazienti anziani ( di et? uguale o superiore ai 70 anni ) ed i soggetti pi? giovani nello studio PROVE IT-TIMI 22, impiegando l?end point composito di morte, infarto miocardico o angina instabile.

Tra i 634 pazienti pi? anziani, il raggiungimento degli obiettivi NCEP era associato ad un pi? basso rischio di eventi ( rischio assoluto: -8%; rischio relativo: -40% ) ( hazard ratio, HR = 0.60; p = 0.008 ), contro la riduzione del 2.3% e del 26% nei 3.150 pazienti pi? giovani ( HR = 0.74; p = 0.013 ).

Tra i pazienti pi? anziani il numero stimato di eventi che possono essere prevenuti al raggiungimento di questi obiettivi era di 80 eventi per ogni 1000 pazienti a 2 anni, mentre tra i pazienti pi? giovani gli eventi potenzialmente prevenibili erano 23.

L?incidenza di effetti indesiderati maggiori tra i pazienti pi? anziani ? risultata simile a quella dei pazienti pi? giovani e non differiva con l?intensit? del regime a base di statine.

I dati di questo studio hanno mostrato che nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta il raggiungimento degli obiettivi opzionali di colesterolo LDL, secondo il NCEP, come parte di una strategia di prevenzione secondaria, ? sicuro ed efficace come nei pazienti pi? giovani.

Ray KK et al, Eur Heart J 2006; 27: 2310-2316

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Lombosciatalgia in gravidanza

Circa il 50% delle donne incinte soffrono di mal di schiena. Le modificazioni fisiologiche che si verificano nella gravidanza alterano la postura della gestante e la maggiore incidenza di dolore lombare di solitosi si verifica negli ultimi tre mesi.

Low back pain during gestation
Novaes FS, Shimo AK, Lopes MH. Rev Lat Am Enfermagem. 2006 Jul-Aug; 14(4):620-4

Questa ricerca qualitativamente analizza i contenuti delle pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali, indicizzate nel periodo dal 1999 al 2005, sulla lombosciatalgia in gravidanza.
Circa il 50 % delle donne incinte lamentano questa patologia: le modificazioni fisiologiche che avvengono in gravidanza alterano la postura delle gestanti e la maggiore incidenza di lombosciatalgia di solito avviene negli ultimi tre mesi e le cause specifihe restano sconosciute. In ogni caso il trattamento prevede analgesici, antiflogistici, esercizi efisioterapia.

La lombosciatalgia in gravidanza ? un sintomo che causa grande disagio e, secondo il livello del dolore, pu? generare disabilit? motoria e ridurre l?attivit? quotidiana, causando inoltre problemi al bambino da affrontare dopo la nascita.

La lombosciatalgia pu? continuare fino a tre anni dal parto.
C?? un gran bisogno di ulteriori ricerche in questa specifica area, al fine di fornire alle donne in gravidanza una migliore qualit? di vita.

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Un collirio contro l’Alzheimer

Nuove e interessanti prospettive nella cura della malattia di Alzheimer, grazie a un collirio che contiene la molecola Ngf. Una goccia di questa sostanza ? in grado di raggiungere i neuroni del prosencefalo basale e prevenirne la morte. E’ questo il risultato di studi clinici condotti da Luigi Aloe dell’Istituto di neurobiologia e medicina molecolare (Inmm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma e da Alessandro Lambiase della Clinica oculistica dell’Universit? di Roma “Campus”.

Negli ultimi anni il fattore di crescita nervoso (scoperto negli anni ’50 dal premio Nobel Rita Levi-Montalcini) ha ricevuto molta attenzione come potenziale agente terapeutico nella malattia di Alzheimer e attualmente, l’uso di questa molecola nel trattamento della malattia richiede la somministrazione intracerebrale in prossimit? delle aree cerebrali colpite dalla patologia, essendo incapace di attraversare la barriera ematoencefalica.

“La somministrazione di Ngf per via oculare, resa possibile dall’esistenza di una connessione anatomica tra cervello e sistema oculare – spiega Luigi Aloe dell’Inmm-Cnr – rappresenta una strategia nuova, non invasiva in grado di aggirare la barriera cerebrale”. “Fino ad oggi, per la somministrazione della molecola Ngf – sottolineano gli autori della ricerca – sono state utilizzate metodiche invasive con rischi e costi elevati, come l’infusione cerebro-ventricolare, il trapianto di cellule capaci di produrre Ngf e vettori virali. Lo sviluppo di metodi di somministrazione meno invasivi e costosi consentirebbe un potenziale impiego della molecola nella clinica per il trattamento di queste patologie degenerative”.

In futuro la molecola potr? essere somministrata durante le prime fasi della malattia come semplice collirio, per ridurre e/o bloccare l’evoluzione di una patologia, che si stima, oggi nel mondo, colpisca circa 15 milioni di persone di cui circa 4 milioni americani. Nei prossimi 20-30 anni gli statunitensi affetti da morbo di Alzheimer saranno oltre 10 milioni e gli europei circa 15 milioni.

Lo studio – finanziato dal Cnr, dal progetto Firs (Fondo integrativo speciale per la ricerca) e dalla Fondazione G.B. Bietti di Roma – rappresenta un interessante e valido potenziale di competitivit? nello sviluppo e utilizzo di nuovi farmaci per l’Alzheimer.

I risultati ottenuti dai due ricercatori italiani fanno parte di una lunga e intensa collaborazione e attivit? di ricerca di base, pre-clinica e clinica, che ha portato in precedenza alla scoperta dell’efficacia terapeutica del Ngf su ulcere corneali e cutanee di varia origine, pubblicati nelle pi? importanti riviste scientifiche internazionali, tra cui il New England Journal of Medicine, Lancet, Annals of Internal Medicine, Ophthalmology, Archive’s of Ophthamolology.

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La resistenza all?insulina ? associata a steatosi nei pazienti non diabetici con

Ricercatori dell?Universit? di Palermo hanno valutato i fattori associati alla steatosi epatica nell?epatite C cronica, genotipo 1, e l?impatto del grasso epatico sullo sviluppo di fibrosi e sulla risposta all?Interferone.

Un totale di 291 pazienti non diabetici con epatite C cronica, genotipo 1, sono stati sottoposti ad esame per la presenza di steatosi.
E? stata anche ricercata una correlazione con i dati clinici, virologici e biochimici, tra cui la resistenza all?insulina.

La resistenza all?insulina ? stata valutata mediante il punteggio HOMA ( homeostatis model assessment ).

La steatosi era classificata come, lieve ( 1-20% di epatociti coinvolti ), moderata ( 21-40% di epatociti coinvolti ) e grave ( > 40% di epatociti coinvolti ).

La steatosi ? risultata lieve nel 37.8% dei soggetti e moderata-grave nel 18.9%.

All?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave era indipendentemente associata al sesso femminile ( odds ratio, OR = 2.74 ), agli alti livelli di gamma-glutamiltransferasi ( gamma-GT; OR = 1.52 ) e punteggio HOMA ( OR = 1.076 ).

Sempre all?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave ( OR = 2.78 ) e la conta piastrinica ( OR = 0.97 ) erano predittori indipendenti di fibrosi in fase avanzata.

I pazienti con steatosi moderata-grave presentavano un odds ratio di 0.52 per la risposta virologica sostenuta rispetto ai pazienti con steatosi lieve/assente.

I dati dello studio hanno mostrato che nei pazienti europei non diabetici con epatite C, genotipo 1, a basso rischio per la sindrome metabolica, la prevalenza di steatosi era approssimativamente del 60%.

La resistenza all?insulina ? un fattore di rischio per la steatosi moderata-grave, specialmente negli uomini.

La steatosi moderata-grave ha rilevanza clinica essendo associata a fibrosi in fase avanzata e ad iporesponsivit? alla terapia antivirale.

Camma C et al, Hepatology 2006; 46

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