Il vino rosso pu? ridurre l?incidenza di tumore del colon e del retto

19 Dic 2006 Oncologia
Bere pi? di 3 bicchieri di vino rosso a settimana riduce l?incidenza di tumori del tratto intestinale di due terzi.
Il vino bianco non ha lo stesso effetto positivo del vino rosso.

Lo studio, compiuto da Ricercatori dello State University of New York a Stony Brook, negli Stati Uniti, ha interessato 1741 persone, tra le quali 245 bevitori di vino rosso e 115 di vino bianco, e 1381 non bevitori di vino.

L?incidenza di neoplasia colorettale, tumori e polipi, ? stata del 9.9% nei non bevitori e dell?8.8% in coloro che bevevano 3 o pi? bicchieri di vino rosso.
E? stata riscontrata una riduzione del 68% per i bevitori di vino rosso rispetto ai non bevitori.

Gli Autori attribuiscono gli effetti benefici del vino rosso alla presenza di Resveratrolo.

Il contenuto di Resveratrolo ? pi? elevato nel vino rosso che nel vino bianco, poich? la buccia dell?uva ? rimossa precocemente nel processo di fermentazione del vino bianco, a differenza del vino rosso.

Il Resveratrolo appartiene alla famiglia dei polifenoli.

Anche altre sostanze presenti nel vino rosso, o sostanze presenti nei barili di quercia in cui il vino invecchia, possono contribuire, assieme al Resveratrolo, alla prevenzione della neoplasia del colon e del retto.

Fonte: American College of Gastroenterology ( ACG ) ? Annual Scientific Meeting, 2006

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Reflusso gastro-esofageo: una definizione universalmente accettata semplifica la


Non sempre ? facile per il medico diagnosticare con certezza la presenza di reflusso gastro-esofageo a causa delle diverse angolature che questa malattia pu? presentare per cui da tempo si era sentita la necessit? di una definizione e classificazione universalmente riconosciute, sia per la ricerca che per la pratica clinica, utile sia a pazienti, medici ed Autorit? Regolatorie.



E’ stato un gruppo di 5 esperti a sviluppare, modificare ed approvare, nel giro di due anni, attraverso quattro tornate di voto, una serie di affermazioni a seguito di una revisione sistematica della letteratura contenuta in tre database (EMBASE, Cochrane trias register, Meline). Il gruppo dei votanti era costituito da 44 esperti provenienti da 18 paesi. Il voto finale si basava su una scala a 6 punti ed il raggiungimento del consenso ? stato definito a priori come approvazione da parte dei 2/3 dei partecipanti. All’ultima votazione il 94% delle 51 affermazioni finali ? stato approvato dal 90% del gruppo di consenso ed il 90% ? stato approvato con un accordo completo o riserve minori.



“Alcuni aspetti della definizione di Montreal sono di particolare importanza per la medicina di base – ha affermato il prof. Nimish Vakil, Wisconsun School of Medicine and Pubblic Health, Madison & Marquette University College of HealthSciences, Milwaukee (USA) nel corso di un incontro svoltosi a Roma promosso da Astra Zeneca – il reflusso gastro-esofageo (MRGE) presenta una complessit? di sintomi per cui la diagnosi richiede la valutazione delle problematiche che tali sintomi creano ai pazienti in relazione al loro impatto sulla qualit? della vita. Per cui:



La diagnosi di MRGE pu? dunque essere fatta quasi sempre quasi sempre sulla base dei soli sintomi; per contro deve essere ben compreso il concetto della malattia da reflusso non erosiva NERD (non-erosive reflux disease)



Dolore toracico, molto somigliante al dolore dell’ischemia cardiaca, e significativi disturbi del sonno sono manifestazioni frequenti della MRGE.



Lo spettro clinico della malattia da reflusso di estende dalla MRG sintomatica alle complicanze di emorragia e stenosi fino all’esofago di barrett wed, infine, all’adenocarcinoma.

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La disfagia ? una caratteristica comune della MRG ma ? preoccupante (cio? progressiva) unicamente in una minoranza di pazienti.



Tosse, laringite ed asma possono essere aggravate dalla MRGE.


Non ci sono prove di qualit? a supporto della relazione fra sinusite, faringite, otite media e MRGE.”



Negli ultimi anni l’attenzione dei ricercatori si ? rivolta anche alla ricerca di nuove soluzioni terapeutiche nell’ambito dei disordini funzionali dell’intestino quali la dispepsia funzionale e la sindrome dell’intestino variabile. L’omeoprazolo, da pi? di 10 anni in commercio in Italia, ? il capostipite della classe farmacologia degli Inibitori della Pompa Protonica (IPP) ed ? a tutt’oggi il farmaco di confronto nella terapia delle patologie acido-correlate. L’avvento di questo farmaco, prodotto da Astra Zeneca, ha profondamente rivoluzionato l’approcci9 alle malattie acido-correlate rendendo, per esempio possibile la cura dell’ulcera senza pi? intervenire chirurgicamente.



A partire dagli anni ’70 l’Azienda ha iniziato un percorso di ricerca volto allo sviluppo di una nuova entit? farmacologia in grado di superare l’efficacia di omeprazolo e rispondere a quei bisogni non ancora soddisfatti dei pazienti in trattamento per patologie acido-correlate. Nasce, cos?, lo sviluppo di esomeprazolo, la seconda generazione degli IPP: tutti gli IPP di prima generazione sono, infatti, composti racemici formati, cio?, da miscele al 50% di isomeri destro e levo giri. Lo sviluppo do esomeprazolo nasce dalla consapevolezza che i singoli isomeri ottici di un composto racemico possono presentare importanti differenze nel profilo farmacologico e di efficacia clinica. Esomeprazolo ? il primo IPP sviluppato come isomero puro e, precisamente, l’isomero levogiro di omeprazolo.

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Ipogonadismo sintomatico: quale il giusto approccio?

La notizia. L?orologio biologico non ticchetta pi? solo per le donne; l?impietoso scorrere del tempo ha effetto anche sulla fertilit? e sulla vita sessuale degli uomini. La riduzione della concentrazione di testosterone nel sangue, che dai trent’anni diminuisce dell?un per cento all?anno, ? responsabile del raddoppio della probabilit? di essere infertili se si superano i 35 anni. Inoltre l?et? paterna, tradizionalmente considerata meno rilevante rispetto a quella materna, ? altrettanto importante: la qualit? genetica dello sperma, la motilit? degli spermatozoi, le disfunzioni erettili sono tutti fattori influenzati negativamente dall?aumento dell?et?. Questi elementi aumentano il rischio di avere progenie affetta da disturbi quali l?autismo, la schizofrenia e la sindrome di Down, come si sostiene sull?ultimo numero della rivista Journal of the American Medical Association, interamente dedicato alla salute maschile.
“Le donne, se over 30, non dovrebbero pi? essere viste come le sole responsabili dell?infertilit?”, ammonisce il commento del JAMA.

Ridefinire l’andropausa. Anche gli uomini sono soggetti all?azione dell?orologio biologico e, dopo i 30 anni, si comincia a parlare di andropausa, per riferirsi alla diminuzione della concentrazione di testosterone nel sangue; tuttavia questo termine non ? corretto. Negli uomini infatti, a differenza delle donne, non vi ? un brusco calo ormonale ma una progressiva diminuzione della produzione di testosterone. Sarebbe pi? corretto parlare di “ipogonadismo sintomatico”. L?ipogonadismo oltre che sulla salute riproduttiva incide anche su altri disturbi: sia il diabete di tipo due che la sindrome metabolica sono correlati con la diminuzione di testosterone. La riduzione dell?ormone sembra correlata anche, negli uomini over 50, con l?insorgenza di malattie cardiovascolari, depressione e iperplasia prostatica.

Un eccesso di prescrizioni? Alla luce di questi dati sono in aumento le terapie che prevedono la somministrazione esogena di testosterone. Nel 2005 nei soli Stati Uniti sono stati prescritti 2,3 milioni di sostanze contenenti testosterone, secondo i dati forniti da un rapporto dell?IMS Health Inc. Questi numeri testimoniano come vi sia stato il 50 per cento di incremento delle vendite dal 2001 e il 210 per cento dal 1999. Questo enorme aumento non ? senza rischi: un uso indiscriminato di prodotti che innalzino i livelli di testosterone porta a dislipidemia, infertilit?, problemi nella coagulazione del sangue. Secondo i firmatari del commento questo aumento ? stato causato, almeno negli Stati Uniti, da un?eccessiva medicalizzazione dei problemi correlati con la diminuzione dei livelli di testosterone a cui ha fatto seguito una prescrizione eccessiva di terapia ormonale integrativa. Per trovare un equilibrio il primo e pi? importante passo ? comprendere a fondo gli effetti fisiologici dell?ipogonadismo sintomatico.

Bibliografia. Lewis B et al. Medical implication of the male biological clock. JAMA 2006;296:2369-71.

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La restrizione del sonno ? associata ad un modesto aumento di peso

Studi hanno indicato che la restrizione del sonno ha effetti metabolici che predispongono all?aumento di peso.

Uno studio, coordinato da Ricercatori della Case Western Reserve University a Cleveland, negli Stati Uniti, ha esaminato l?associazione tra la durata del sonno, autoriferita, ed il successivo aumento di peso.

I dati sono stati ottenuti dal Nurses? Health Study.

Un totale di 68.183 donne che avevano fornito informazioni riguardo all?abituale durata del sonno sono state tenute sotto osservazione per 16 anni.

Le donne che dormivano per 5 o meno ore hanno aumentato il proprio peso corporeo di 1.14 kg rispetto alle donne con una durata del sonno di 7 ore; le donne la cui durata del sonno era di 6 ore hanno aumentato il proprio peso corporeo di 0.71 kg.

Il rischio relativo di un aumento di peso di 15 kg ? stato 1.32 e 1.12 per le donne con un sonno della durata di 5 e 6 ore, rispettivamente.
Il rischio relativo per l?obesit? definita come indice di massa corporea ( BMI ) maggiore di 30 kg/m2 ? stato 1.15 e 1.06.

Questi dati hanno indicato che la breve durata del sonno ? associata ad un modesto aumento di peso corporeo.

Patel SR et al, Am J Epidemiol 2006; 164: 947-954

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Depressione: i benefici del trattamento con Acidi Grassi Omega-3 nei pazienti in

19 Dic 2006 Pediatria

Il disturbo depressivo maggiore nei bambini pu? essere pi? comune rispetto a quanto precedentemente ritenuto, ed esistono scarse evidenze riguardo al trattamento.



Ricercatori del Beer-Sheva Mental Health Center in Israele hanno pianificato uno studio pilota per verificare l?efficacia degli Acidi Grassi Omega-3 nei pazienti in et? pediatrica con depressione maggiore.


Precedenti studi avevano mostrato benefici con l?assunzione di Acidi Grassi Omega-3 negli adulti affetti da disturbo depressivo maggiore.


I bambini arruolati nello studio avevano un?et? compresa tra i 6 ed i 12 anni.


Sono state impiegate le scale di valutazione CDRS ( Children?s Depression Rating Scale ), CDI ( Children?s Depression Inventory ) e CGI ( Clinical Global Impression ).


I bambini ( n = 28 ) sono stati assegnati in modo casuale ad assumere Acidi Grassi Omega-3 oppure placebo, come monoterapia farmacologica.


L?analisi compiuta su 20 bambini ha mostrato effetti altamente significativi degli Acidi Grassi Omega-3 sui sintomi.


Secondo gli Autori, gli Acidi Grassi Omega-3 possono avere un ruolo terapeutico nella depressione dei pazienti in et? pediatrica.


Nemets H et al, Am J Psychiatry 2006; 163: 1098-1100

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Carne rossa e tumori della mammella con recettori ormonali positivi

13 Dic 2006 Oncologia
La notizia. Un eccesso di carne rossa nella dieta ? un importante fattore di rischio per il tumore della mammella positivo per i recettori degli estrogeni e del progesterone nelle donne dai 26 ai 46 anni: ? la conclusione di uno studio pubblicato dagli Archives of Internal Medicine.

Lo studio. La correlazione tra alimentazione a base di carni rosse e insorgenza dei tumori della mammella ? tradizionalmente poco chiara, anche perch? i tumori della mammella differiscono tra loro notevolmente a seconda dello status dei recettori ormonali e sono poco numerosi gli studi epidemiologici che analizzano le opzioni dietetiche a fare le necessarie distinzioni. I ricercatori del Department of Medicine del Brigham and Women?s Hospital e della Harvard Medical School hanno analizzato i dati riguardanti 90.659 donne in fase premenopausale dai 26 ai 46 anni di et? partecipanti al Nurses?Health Study II. Il consumo di carne rossa ? stato misurato mediante questionari sui regimi alimentari sottoposti alle pazienti ogni 4 anni. Dopo 12 anni di follow-up, i casi registrati di carcinoma invasivo della mammella sono stati 1021. Il consumo di carni rosse ? risultato fortemente correlato alla maggiore incidenza di tumore della mammella positivo per i recettori degli estrogeni e del progesterone, ma non all?incidenza di tumore della mammella negativo per i recettori degli estrogeni e del progesterone. Un consumo di pi? di 5 porzioni di carne rossa a settimana comporta per le donne in giovane et? un rischio quasi doppio di sviluppare un tumore della mammella positivo per i recettori degli estrogeni e del progesterone.

Le ipotesi. Sono numerosi i meccanismi che possono spiegare questa associazione positiva: il consumo di carne entra in qualche modo nel quadro ormonale alterandolo, la cottura della carne rossa sviluppa sostanze cancerogene, la carne rossa ? una fonte significativa di ferro eme, una forma di ferro altamente biodisponibile che numerosi studi hanno correlato all?insorgenza di tumori, o infine il consumo di grassi animali, presenti in gran quantit? nella carne rossa, notoriamente legato all?insorgenza di vari tumori. Quello che ? sicuro ? che la scoperta dei ricercatori di Boston avr? importanti conseguenze sulle strategie di prevenzione oncologica nella popolazione delle donne in giovane et?.

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Valutazione BMD negli adolescenti previene osteoporosi

12 Dic 2006 Geriatria
I pediatri e i medici che assistono adolescenti riconoscono sempre pi? l’importanza della comprensione della salute ossea dei propri pazienti: il picco di massa ossea, ossia la “banca ossea” da cui il paziente attinger? per la propria intera vita adulta, si raggiunge nella tarda adolescenza, mentre la finestra critica per l’accumulo d’osso si ha molto prima.
Sono pochi gli agenti scheletrici disponibili per il potenziale uso nell’adolescenza: gli effetti sconosciuti di alcuni di questi farmaci su uno scheletro in crescita e la scarsa efficacia di altri ha scoraggiato il loro uso presso i pediatri.
Dato che ? noto che i bisfosfonati permangono nello scheletro per diversi anni, e forse indefinitamente, e che essi possono attraversare la placenta, i medici dovrebbero procedere con cautela fino alla disponibilit? di ulteriori dati sulla loro sicurezza ed efficacia in questo ambito.
L’adolescenza ? il periodo pi? critico della vita per la salute ossea perch? pi? della met? del picco di massa ossea viene accumulato in questo periodo: recenti studi e altri ancora in corso hanno sottolineato l’aumento del numero di ambiti clinici in cui gli adolescenti potrebbero potenzialmente perdere BMD, e stanno iniziando a riempire il vuoto di conoscenze sul ruolo di attivit? fisica e apporto di vitamina D negli adolescenti sani, come anche sull’uso appropriato dei farmaci scheletrici nei giovani con malattie croniche.
Sfortunatamente, non sono ancora stati identificati i candidati sia per uno screening di base della BMD che per un monitoraggio continuativo.
(Arch Pediatr Adolesc Med. 2006; 160: 1026-32)

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Switch da tamoxifene ad anastrozolo, ancora conferme

La notizia. Le pazienti con tumore della mammella in fase iniziale trattate con tamoxifene che effettuano uno switch ad anastrozolo dopo 2-3 anni di trattamento hanno pi? chance di sopravvivenza. Lo sostiene una meta-analisi effettuata su 3 studi clinici internazionali che hanno confermato come ? nelle pazienti in post-menopausa con tumore della mammella ormono-sensibile in fase iniziale ? passare alla terapia con anastrozolo dopo tamoxifene pu? pressoch? dimezzare l?incidenza di recidiva e ridurre i tassi di mortalit? di quasi un terzo. Questa meta-analisi ? stata pubblicata su una delle pi? autorevoli riviste scientifiche internazionali, Lancet Oncology.

Dati importanti. Nel gruppo di pazienti che hanno iniziato ad assumere anastrozolo piuttosto che rimanere in trattamento con tamoxifene dopo un follow-up di 30 mesi:

? La mortalit? si ? ridotta del 29 per cento (p=0,0377)

? La ricaduta della malattia si ? ridotta del 45 per cento (p<0,0001) ? La diffusione della malattia in altre parti del corpo si ? ridotta del 39 per cento (p=0,0015). Commenti e prospettive. ?Questi studi, insieme ad altri quali lo studio clinico ATAC, confermano che tamoxifene non ? pi? la migliore opzione che possiamo offrire alle nostre pazienti. Le donne che attualmente sono in trattamento con tamoxifene dovrebbero passare ad anastrozolo appena possibile, per offrire loro la migliore opportunit? di sopravvivenza alla malattia?, conferma Walter Jonat dell?Universit? di Kiel (Germania), uno degli autori dell?articolo. ?Si tratta di ottime notizie per le molte migliaia di donne che in questo momento stanno assumendo tamoxifene per prevenire una recidiva del tumore della mammella. Cambiando trattamento, le possibilit? di battere la malattia e vivere pi? a lungo libere dai sintomi possono aumentare molto, donando nuove speranze per il futuro?. Importante sottolineare che questi risultati ? sebbene di grande importanza per le pazienti trattate con tamoxifene ? non riguardano le pazienti appena diagnosticate. In questo caso, occorre sottolineare che i dati dello studio ATAC hanno confermato che le donne con diagnosi di tumore della mammella ormono-sensibile in fase iniziale dovrebbero iniziare la terapia con anastrozolo come primo trattamento ormonale dopo l’intervento chirurgico. Rimaneva tuttavia aperta la domanda di cosa fare per le pazienti gi? in trattamento con tamoxifene. I dati di questi ultimi studi confermano, ora, che le donne che non hanno avuto il vantaggio di iniziare la terapia con anastrozolo possono ancora avere un beneficio significativo se sostituiscono con anastrozolo la terapia con tamoxifene. “Lo Studio ATAC ha confermato che la terapia con anastrozolo avviata subito dopo l?intervento e completata per i 5 anni di trattamento previsti ? pi? efficace nella prevenzione delle ricadute, comprese le ricadute a distanza potenzialmente fatali. Questi nuovi dati dimostrano che le pazienti che non hanno avuto il vantaggio di partire con il trattamento con anastrozolo dovrebbero passare ora a questa terapia. Io personalmente ritengo che alle pazienti idonee, in postmenopausa con tumore della mammella ormono-sensibile in fase iniziale dovrebbe essere offerta la possibilit? di assumere anastrozolo il pi? presto possibile?, conclude Jeffrey Tobias dell?University College London Hospitals (Londra, Regno Unito), uno degli sperimentatori partecipanti agli studi clinici con anastrozolo. In seguito a questi studi anastrozolo ? l?unico inibitore dell?aromatasi che ha ottenuto in Europa l?indicazione sia per la terapia dopo l?intervento chirurgico che dopo 2 anni di terapia con tamoxifene.

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Pesce: il fritto annulla completamente gli effetti benefici degli omega 3

Si ? parlato anche di alimentazione al XX Convegno Nazionale SISA – Societ? Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi – in programma a Bologna in questi giorni. Nello specifico degli effetti positivi contro il colesterolo dell’assunzione di pesce azzurro e quindi di acidi grassi come gli omega3. Dal punto di vista scientifico gli omega3 sono acidi grassi polinsaturi a lunga catena di carbonio derivanti dall’acido alfa linoleico, pi? concretamente essi sono in grado di entrare nella costituzione delle membrane cellulari diventando protagonisti di diverse azioni molto importanti tra le quali: l’azione antitrombotica, la riduzione dei trigliceridi, e soprattutto migliorano il ritmo cardiaco evitando in concreto l’insorgenza di aritmie cardiache.

“Noi consigliamo sempre di inserire il pesce, ed il pesce azzurro in particolare – ha affermato la prof.ssa Graziana Lupatelli dell’Universit? di Perugia – nella propria dieta alimentare. In generale si pu? affermare che tutte le specie di pesce azzurro sono consigliate: tra le pi? ricche di omega3 segnaliamo gli sgombri, le sardine, le aringhe. In questi anni si ? anche cercato di valutare il rischio/beneficio tra i contaminanti ambientali presenti nel pesce (mercurio e diossina i principali) e l’effetto positivo portato dalla presenza degli omega3.

I risultati della FDA (Food and Drug Administration), hanno portato a consigliare, a scopo cautelativo, ad alcune categorie particolarmente sensibili, quali bambini in et? pediatrica, donne in gravidanza ed in allattamento di evitare elevate assunzioni di alcuni pesci. In particolare: pesce spada, sgombro e spigola. Pesci caratteristici dei mari freddi, portati ad assorbire una quantit? maggiore degli altri di inquinanti. Ma oggi, il nostro consiglio per tutti, come prevenzione cardiovascolare primaria, ? quello di consumare pesce almeno due volte a settimana, e di variare il pi? possibile la tipologia e la provenienza del pesce scelto.”

Altro suggerimento ? quello di non friggere il pesce. Indipendentemente dall’olio usato (oliva o semi) pich? con questa modalit? di cottura vengono annullati i benefici cardiovascolari della molecola omega 3. Le migliori preparazione, secondo gli esperti sono o al forno o bollito.

Per quanto riguarda le dosi di assunzione di omega3 secondo gli esperti:

Per un individuo sano in funzione di prevenzione cardiovascolare, i medici consigliano l’assunzione circa ? grammo al giorno di omega-3, il che significa assumere pesce azzurro due volte a settimana.

Per un individuo che ha gi? avuto eventi cardiovascolari, la quantit? necessaria si alza ad 1 grammo al giorno, il che significa sempre assunzione due volte a settimana ma con l’aggiunta degli integratori farmacologici, sia come terapia che come prevenzione.

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Tumore del colon: valutazione complessiva necessaria nei pazienti pi? giovani

9 Dic 2006 Oncologia
Nei pazienti di et? compresa fra 50 e 64 anni, andrebbe condotta una valutazione approfondita per stabilire la necessit? dello screening del tumore del colon. I pazienti pi? giovani con uno stato di salute scadente ed un elevato rischio di mortalit? da altre malattie hanno meno possibilit? di beneficiare dallo screening del tumore del colon in termini di sopravvivenza, ma lo ricevono con una certa frequenza: ogni potenziale beneficio andrebbe soppesato alla luce dei danni potenzialmente derivanti dallo stesso screening in questi pazienti. Se un soggetto non ? candidato allo screening, dovrebbe essere disponibile un meccanismo che consenta al medico di non offrirglielo senza essere penalizzato. Gli studi futuri dovrebbero essere focalizzati sullo sviluppo di appropriati strumenti decisionali atti a ridurre le prescrizioni di screening potenzialmente inappropriate nei pazienti con malattie croniche. (Arch Intern Med. 2006; 166: 2209-14)

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