Perdita di peso migliora tolleranza al glucosio
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Una abitudine diffusa
Come ? noto, i mezzi di contrasto iodati si dividono in ionici e non ionici a seconda della loro tendenza a scindersi, una volta entrati in circolo, formando o meno ioni carichi. I composti non ionici sono ormai quelli pi? utilizzati e, anche se a ci? corrisponde una marcata diminuzione nell?incidenza delle reazioni avverse, la premedicazione continua ad essere praticata.
Recentemente linee guida britanniche hanno posto una particolare enfasi su questa diffusa abitudine: l?opinione di molti radiologi ? che si tratti di una pratica del tutto superflua la cui efficacia non ? provata, e che la sicurezza dei mezzi non ionici sia tale da rendere inutile le precauzioni fino ad ora adottate. Per supportare questa ipotesi un gruppo di ricercatori ha analizzato tutti i lavori pubblicati al riguardo, in qualsiasi lingua, dal 1950 al 2005. I criteri a cui ? stata prestata attenzione erano la randomizzazione dei pazienti, l?uso di premedicazione ? corticosteroidi e antistaminici, da soli od in combinazione – la presenza di gruppi controllo o placebo e la segnalazione di presenza o assenza di reazioni allergiche.
Precauzioni inutili
Comparando gli studi in cui erano stati somministrati corticosteroidi con quelli in cui si utilizzava un placebo, ? stato evidenziato che – in una popolazione non selezionata di pazienti come quella considerata- la precauzione era in effetti poco utile. Il numero di soggetti da trattare per prevenire un solo evento avverso era altissimo e le reazioni, talmente gravi da mettere in pericolo di vita il paziente, molto rare.
Anche per quanto riguarda l?uso di antistaminici sembrano esserci poche motivazioni. Quelle causate dai mezzi di contrasto non sono vere e proprie reazioni di tipo anafilattico, ma vengono classificate comunque come anafilattoidi perch? ne condividono molti aspetti, tra cui il broncospasmo, l?ostruzione delle vie aeree, l?edema ed il collasso cardiovascolare. Il loro preciso meccanismo non ? noto; una storia clinica di asma o reazioni allergiche ad altri farmaci aumentano da sei a dieci volte il rischio di tali reazioni, ma mancano completamente dati a favore del trattamento profilattico nei soggetti a rischio e le reazioni si verificano anche in soggetti non allergici.
In conclusione, lo studio sembrerebbe supportare le recenti linee guida del Royal college of radiologists: la premedicazione non ? strettamente necessaria. La somministrazione inutile di qualunque farmaco andrebbe evitata o ridotta al minimo; meglio addestrare il personale a saper riconoscere tempestivamente e ad intervenire in maniera efficace in quei rari casi in cui si verifichi una reazione avversa.
Raffaella Bergottini
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I parametri del disagio
Tutte le tecniche menzionate implicano un certo grado di malessere fisico, bisogna per? sottolineare che questo – da solo – non ? sufficiente a caratterizzare la completa esperienza di chi si sottopone all?esame. L?ansia che precede il test, la sedazione, le difficolt? nella preparazione dell?intestino i giorni immediatamente precedenti l?esame, il senso di imbarazzo e di perdita della dignit? che possono accompagnare il paziente durante l?esecuzione, sono tutti fattori ugualmente importanti che determineranno, sommati, il grado di benessere percepito. In uno studio prospettico pubblicato sull?American Journal of Medicine ? stato eseguito un confronto delle tre metodiche, per stabilire quale fosse avvertita come la meno spiacevole. L?indagine ? stata condotta su persone con sangue occulto nelle feci, ematochezia, anemia ferropriva o una storia familiare di cancro al colon: ? stato eseguito un clisma opaco seguito, dopo 7 o 14 giorni, da colonscopia o colongrafia, ed al termine tutti i pazienti hanno compilato un questionario di tipo qualitativo che includeva anche la valutazione di fattori quali dolore, imbarazzo e difficolt? nella preparazione.
In totale, 614 persone si sono sottoposte a tutti e tre gli esami. Il 52% di loro era disposto a ripetere, se necessario, la colonscopia e solo il 10% la considerava come la metodica pi? dolorosa tra le tre; il clisma opaco, al contrario, era percepito come la meno tollerabile nel 54% dei casi e coloro che erano disposti a rifarlo erano solo il 3%.
Discussione
Questi risultati devono essere accompagnati da alcune considerazioni: la pi? importante ? che la colonscopia ? l?unico esame che viene eseguito sotto moderata sedazione, e di qui la percezione di minore sofferenza durante l?esame. Anche se i ricercatori sottolineano che la valutazione ? stata eseguita una volta terminato completamente l?effetto dei tranquillanti, rimane il dubbio che il trattamento possa influire anche sulla memoria delle sensazioni percepite durante l?esame. Lo stesso discorso non vale per il confronto tra clisma opaco e colongrafia, entrambe eseguite senza premedicazione, che dimostra come il clisma sia di gran lunga la metodica meno tollerata.
Inoltre, lo studio ? stato eseguito in siti differenti ed ? possibile che la stessa metodica, eseguita in strutture diverse e da diversi operatori, non venga percepita allo stesso modo: l?alto numero di pazienti inclusi nello studio dovrebbe per? garantire la generalizzabilit? dei risultati. Il fatto che l?esame che i pazienti sono maggiormente disposti a ripetere ? la colonscopia, ? quindi da tenere presente soprattutto nei soggetti a rischio, che verosimilmente dovranno eseguire l?esame pi? volte nella vita.
Raffaella Bergottini
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I parametri del disagio
Tutte le tecniche menzionate implicano un certo grado di malessere fisico, bisogna per? sottolineare che questo – da solo – non ? sufficiente a caratterizzare la completa esperienza di chi si sottopone all?esame. L?ansia che precede il test, la sedazione, le difficolt? nella preparazione dell?intestino i giorni immediatamente precedenti l?esame, il senso di imbarazzo e di perdita della dignit? che possono accompagnare il paziente durante l?esecuzione, sono tutti fattori ugualmente importanti che determineranno, sommati, il grado di benessere percepito. In uno studio prospettico pubblicato sull?American Journal of Medicine ? stato eseguito un confronto delle tre metodiche, per stabilire quale fosse avvertita come la meno spiacevole. L?indagine ? stata condotta su persone con sangue occulto nelle feci, ematochezia, anemia ferropriva o una storia familiare di cancro al colon: ? stato eseguito un clisma opaco seguito, dopo 7 o 14 giorni, da colonscopia o colongrafia, ed al termine tutti i pazienti hanno compilato un questionario di tipo qualitativo che includeva anche la valutazione di fattori quali dolore, imbarazzo e difficolt? nella preparazione.
In totale, 614 persone si sono sottoposte a tutti e tre gli esami. Il 52% di loro era disposto a ripetere, se necessario, la colonscopia e solo il 10% la considerava come la metodica pi? dolorosa tra le tre; il clisma opaco, al contrario, era percepito come la meno tollerabile nel 54% dei casi e coloro che erano disposti a rifarlo erano solo il 3%.
Discussione
Questi risultati devono essere accompagnati da alcune considerazioni: la pi? importante ? che la colonscopia ? l?unico esame che viene eseguito sotto moderata sedazione, e di qui la percezione di minore sofferenza durante l?esame. Anche se i ricercatori sottolineano che la valutazione ? stata eseguita una volta terminato completamente l?effetto dei tranquillanti, rimane il dubbio che il trattamento possa influire anche sulla memoria delle sensazioni percepite durante l?esame. Lo stesso discorso non vale per il confronto tra clisma opaco e colongrafia, entrambe eseguite senza premedicazione, che dimostra come il clisma sia di gran lunga la metodica meno tollerata.
Inoltre, lo studio ? stato eseguito in siti differenti ed ? possibile che la stessa metodica, eseguita in strutture diverse e da diversi operatori, non venga percepita allo stesso modo: l?alto numero di pazienti inclusi nello studio dovrebbe per? garantire la generalizzabilit? dei risultati. Il fatto che l?esame che i pazienti sono maggiormente disposti a ripetere ? la colonscopia, ? quindi da tenere presente soprattutto nei soggetti a rischio, che verosimilmente dovranno eseguire l?esame pi? volte nella vita.
Raffaella Bergottini
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In questo contesto lo specialista Otorino viene spesso chiamato dal MMG ad esprimere un giudizio su una raucedine o tosse cronica che, in soggetti con presunto reflusso laringo-faringeo (RLF), trova indicazione a una terapia con Inibitori di Pompa Protonica (PPI). Recentemente sono stati pubblicati i dati di due trial clinici randomizzati che hanno valutato gli esiti di questo approccio. Il primo studio randomizzato (1) ha analizzato un gruppo di 39 soggetti che negli ultimi 2 mesi aveva un RLF sintomatico (disfonia, abbassamento della voce, mal di gola) associato ad un quadro laringoscopico suggestivo per reflusso e una PH-metria esofagea anormale senza precedente diagnosi di MRGE. L?analisi dopo due mesi di terapia con PPI o placebo ha mostrato una risposta equivalente nei due gruppi (40% vs. 42% p= 0.89 n.s.) senza correlazione tra gli episodi di RLF e lo score dei sintomi laringei. Il secondo studio (2) ha valutato l?efficacia di un dosaggio di PPI bid. su 145 pazienti con sintomi da RLF e laringoscopia coerente alla clinica, escludendo quelli con pirosi severa. Pi? della met? dei soggetti presentava un monitoraggio della PH metria /24 h normale. Dopo 3 mesi di terapia i sintomi primari erano scomparsi rispettivamente nel 15% e 16% dei gruppi d?intervento e di controllo, senza che la PH metria fosse predittiva della risposta.
Questi risultati orientano a considerare una terapia con PPI non efficace in soggetti con sintomi laringei di origine indeterminata. Inoltre il riscontro di edema ed eritema della mucosa, in laringoscopia, ? da considerare come reperto aspecifico, anche se spesso viene correlato alla presenza di un reflusso acido. Infine la PH-metria esofagea non sembra essere, in questi casi, un buon indice predittivo di risposta al trattamento farmacologico. Tutte queste considerazioni valgono per quei pazienti che vengono messi in terapia usualmente e comunque con PPI, ma devono escludere quei pazienti con pirosi severa nei quali ? opportuno far riferimento al giudizio clinico per optare al trattamento.
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Le argomentazioni. Per quanto riguarda i costi l?impegno pi? gravoso ? l?acquisto iniziale delle apparecchiature necessarie. Una spesa del genere sarebbe giustificata solo in contesti in cui il volume di lavoro ? molto alto; in questi casi, infatti, la tecnologia digitale determinerebbe un risparmio di circa il venti per cento rispetto ad un sistema tradizionale.
Vi sarebbero, tuttavia, piccoli problemi gestionali da risolvere: un referto digitale pu? essere inviato in tempo reale e visionato in ogni parte del mondo a patto che anche la struttura ricevente abbia a disposizione l?apparecchiatura necessaria. In questo senso, sostengono alcuni, la “vecchia” lastra non pone problemi perch? ha bisogno solo di una lampada con cui guardarla in controluce.
Per quanto riguarda la salute dei cittadini, invece, vi sono ancora alcune riserve e si cerca di procedere con cautela. Mentre all?inizio, infatti, si riteneva che la tecnologia digitale avrebbe ridotto anche l?esposizione dei pazienti alle radiazioni, in realt? ci si ? accorti del contrario. Per un?analisi addominale il numero di esposizioni ai raggi X passa da 16, con il metodo tradizionale, a 68 con la tecnologia digitale.
Un altro dato indica che in alcuni ospedali americani il numero degli esami fatti in un giorno ? aumentato dell?82 per cento con il passaggio al digitale il che vuol dire riuscire a ridurre le liste d?attesa, riuscire a fare le diagnosi con tempestivit? e curare meglio i pazienti.
Bibliografia. X ray imaging goes digital. BMJ 2006;333:765.
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Gli uomini con valori di PSA pi? bassi e meno biopsie positive hanno le maggiori probabilit? di trarre beneficio dalla prostatectomia radicale per i tumori prostatici di alto grado. Il presente studio dunque supporta il filone di pensiero secondo cui ? possibile identificare fra questi pazienti coloro che possono essere curati con la sola terapia locale. La possibilit? di identificare coloro che hanno maggiori probabilit? di avere una malattia confinata all’organo o minimamente invasiva sulla base di fattori prognostici preterapeutici permette la selezione di pazienti che possono essere sottoposti ad una soppressione androgenica limitata nel tempo o nulla senza alcun impatto sugli esiti del trattamento. (Urology 2006; 68: 367-70)
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