Fattori dentari connessi ad arteriosclerosi carotidea
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Sono state intervistate donne in gravidanza ( n = 1835 ) arruolate nel Pregnancy Exposures and Preeclampsia Prevention Study ( 1997-2001 ) e con almeno 16 settimane di gestazione.
Ed ? stato loro richiesto se avevano fatto uso regolare di multivitaminici o avevano assunto vitamine nei 6 mesi precedenti.
La prevalenza di preeclampsia ? stata del 44% tra le donne che non hanno fatto uso di vitamine e 3.8% nelle utilizzatrici.
Dopo aggiustamento per alcuni fattori, tra cui razza/etnicit?, stato maritale, numero di parti, attivit? fisica pre-gravidanza, l?impiego regolare di multivitaminici ? risultato associato ad una riduzione del 45% del rischio di preeclampsia rispetto al non impiego ( odds ratio, OR = 0.55 ).
Il sovrappeso nel periodo pre-gravidanza ha modificato questo effetto.
E? stato osservato che le donne magre che hanno fatto uso di multivitaminici hanno presentato una riduzione del 71% del rischio di preeclampsia rispetto alle donne magre che non ne avevano fatto uso ( OR = 0.29 ).
Non ? stata, invece, evidenziata alcuna relazione tra assunzione di multivitaminici e preeclampsia tra le donne in sovrappeso ( OR = 1.08 ).
Lo studio ha indicato che l?uso regolare di un supplemento multivitaminico nel periodo periconcezionale pu? aiutare a prevenire la preeclampsia, soprattutto tra le donne magre.
I dati dello studio devono essere confermati da ulteriori studi prima di fare raccomandazioni.
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di Giuseppe La Pera
La malattia deve il suo nome a Fran?ois Gigot de La Peyronie chirurgo francese alla Corte del Re Sole che la descrisse nel 1643.
Che cosa ??
Per la Peyronie o “Induratio Penis Plastica” s’intende una malattia nella quale si formano dei noduli dentro il pene che determinano dolore all’erezione e deviazione dell’asse. In altre parole il pene durante l’erezione ? storto (anche di 60-90 gradi: penetrazione scomoda e in alcuni casi impossibile). Non ? una malattia infettiva a trasmissione sessuale ma la conseguenza della formazione di una cicatrice sulla guaina che avvolge i corpi cavernosi al di sotto della pelle. Il pene non potendo distendersi in tutta la sua lunghezza si accorcia ed in alcuni casi il processo infiammatorio ingloba le arterie dell’erezione con conseguente impotenza.
Chi colpisce?
La malattia ? apparentemente rara perch? esiste ancora un certa ritrosia da parte degli uomini a farsi visitare e a riferire tempestivamente al proprio medico. In uno studio che ho condotto con l’Istituto Superiore di Sanit? in tutta Italia la prevalenza di questa malattia nella fascia di et? compresa tra i 50 ed i 69 anni ? del 7%. Prima dei 40 anni ? molto rara e prima di questa et? va differenziata dalla deviazione congenita che colpisce i giovani maschi per un asimmetrico sviluppo del pene e non per un processo infiammatorio.
A cosa ? dovuta?
Si sa solo che tutto parte da un processo infiammatorio che determina una cicatrice. In individui predisposti si presuppone un ruolo dei ripetuti microtraumatismi del pene durante il coito. Possibile anche una genesi autoimmunitaria forse legata a particolari assetti cromosomici. In realt? i meccanismi che presiedono la genesi della malattia di La Peyronie non sono ancora del tutto chiari. Recentemente in una ricerca che ho eseguito in tutta Italia, ho messo in evidenzia che la malattia ? pi? frequente tra i fumatori con un rischio ben 5 volte superiore alla popolazione generale.
Cosa fare?
Andare dall’Andrologo. E’ molto importante perch? lo scopo della terapia medica ? di ridurre il pi? possibile la formazione della cicatrice e questo si pu? fare solo nei primi 3, massimo 6 mesi. Una volta che la cicatrice si ? formata ? molto difficile se non impossibile contrastarne gli effetti.
Gli strumenti diagnostici
Di solito vengono chieste al paziente delle fotografie del pene in erezione per dare modo al medico di accertare l’effettivo grado di incurvamento. Le tecniche che permettono invece di studiare meglio la lesione sono l’ecografia del pene in erezione dopo una puntura a base di prostaglandina, farmaco vasodilatatore che determina un’erezione.
1 – Terapia medica
Va effettuata entro 3-6 mesi dall’inizio della sintomatologia dolorosa o della comparsa dei noduli. Non vi sono in commercio prodotti sicuramente efficaci: le cure mediche si basano solo su prove empiriche.
Nell’armamentario degli andrologi ci sono la vitamina E, gli antinfiammatori e un farmaco non in commercio in Italia ma molto usato in Germania, che si chiama Potaba. L’efficacia di queste terapie ? molto incerta. Vi ? anche una modalit? di somministrazione dei farmaci attraverso la ionoforesi, che consente di concentrare in un unico punto una quantit? di farmaco maggiore: sembrerebbe avere una qualche efficacia, almeno sul dolore e sulla consistenza del nodulo. La modalit? ? quella che usano gli sportivi quando si fanno male o chi ha patologie osteoarticolari. Si utilizzano delle placche attraverso le quali passa una corrente a bassa intensit? che consente al farmaco di essere veicolato solo in quel punto. La somministrare dei farmaci attraverso una puntura diretta sul pene, una volta assai diffusa, ? oggi tendenzialmente abbandonata perch? la puntura, oltre a provocare dolore, pu? determinare la formazione di una nuova cicatrice.
2 – Terapia fisica
Si basa sul laser. Anche questo, se effettuato nei primi mesi dall’insorgenza, pu? avere una certa efficacia. Si stanno sperimentando le onde d’urto, ma oltre ad essere ancora una terapia sperimentale, i pazienti che, negli Usa l’hanno sperimentata, ne hanno avuto scarso beneficio.
3 – Terapia chirurgica
Si potrebbe essere tentati di storcere il naso ma va ricordato che si tratta di persone che hanno una grave invalidit? e che molto spesso non hanno, a causa di questa malattia, rapporti sessuali. La terapia chirurgica ? perci? la sola chance per tornare ad avere rapporti sessuali soddisfacenti ed una relazione di coppia. Anche per le terapie chirurgiche vi sono molte tecniche e a scopo esemplificativo se ne riportano tre tipi che vanno scelti in base al singolo paziente, in quanto ogni tecnica ha i suoi vantaggi e svantaggi e non esiste un intervento ideale.
Il primo intervento si chiama intervento di Nesbit. Sebbene esistano numerose varianti, la tecnica consiste nel correggere la curvatura facendo una sutura dalla parte opposta alla deviazione. E’ una tecnica abbastanza semplice ma pu? comportare in alcuni casi un accorciamento del pene che non sempre ? tollerabile. Il vantaggio sta nella semplicit? e nel fatto che i rischi di impotenza sono molto molto bassi.
La chirurgia della placca ? l’intervento che d? un migliore effetto cosmetico e consente di recuperare la lunghezza del pene ma ha il rischio di provocare l’impotenza, evento che tutti vorrebbero scongiurare. Tanto che oggi si pratica la contemporanea apposizione di due tubicini di silicone soffice per sostenere meglio il pene durante l’erezione.
Infine la terza possibilit? ? quella di impiantare una protesi del pene ma questo intervento in genere viene riservato ai casi in cui, oltre alla deviazione, ? presente anche una impotenza.
Stile di vita
Si consiglia l’abolizione del fumo perch? implicato con i radicali liberi nella formazione della cicatrice. L’alimentazione deve prevedere prodotti che contengono vitamine E. Ad esempio i pomodori.
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Nei soggetti affetti da ipotiroidismo primario la tiroxina rappresenta il trattamento standard ed ? ottimale un aggiustamento del suo dosaggio fino al raggiungimento di una concentrazione di TSH nel range normale di riferimento compreso tra 0,5 e 5.0 mU/ml. Che questa modalit? di gestione sia la migliore non ? mai stato dimostrato da trial clinici controllati e sull?argomento esistono a tutt?oggi solo delle evidenze aneddotiche. Resta il problema che nella pratica clinica, in molti soggetti trattati, ? facile riscontrare una persistenza di sintomi che non ? facile discriminare se correlati a comorbilit? o ad un dosaggio subottimale di tiroxina. Per questo motivo e non esistendo un consenso su quale debba essere il target di TSH per il trattamento con tiroxina molti esperti ritengono opportuno abbassare e considerare il limite superiore normale di TSH < 3.0 mU/ml. Partendo da questo contesto un gruppo di ricercatori australiani ha cercato di studiare il problema mediante un trial randomizzato cross-over in doppio cieco che ha coinvolto 56 soggetti affetti da ipotiroidismo primario, tutti in terapia con dosaggi consolidati di tiroxina e un livello di TSH compreso tra 0.1 e 4.8 mU/ml. L?obiettivo del lavoro era di dimostrare se mediante una titolazione del dosaggio per concentrazioni di TSH<2mU/ml ci fosse un miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti rispetto a quelle ottenute mantenendo un TSH intorno ai limiti superiori normali. L?intervento prevedeva che tutti i soggetti, dopo aver adeguato il dosaggio abituale rispetto al TSH ricevessero in ordine casuale tre dosaggi di tiroxina (basso, medio e alto con un incremento progressivo di 25μg) per otto settimane. I risultati ottenuti con i tre trattamenti hanno determinato rispettivamente una media dei TSH di 2.8? 0,4 / 1.0 ? 0.2 / 0.3 ? 0.1 mU/ml. Le misure di esito valutate con analogo visivo per il senso complessivo di benessere, che rappresentava l?end-point primario, i sintomi di ipotiroidismo, qualit? di vita, test cognitivi e preferenze di trattamento non hanno dimostrato differenze significative tra i vari gruppi. Questo conferma che piccoli cambiamenti nel dosaggio di tiroxina non producono modifiche sostanziali sui sintomi da ipotiroidismo e sul benessere dei soggetti trattati, nonostante le modifiche significative dei livelli di TSH sierico. Questa evidenza contrasta l?ipotesi iniziale che suggeriva un target per il trattamento dell?ipotiroidismo primario differente dagli usali range di laboratorio, accantonando l?idea che questi soggetti possano trarre un beneficio maggiore o avere migliori performance cognitive se la loro dose di tiroxina viene titolata per livelli di TSH prossimi al limite inferiore normale piuttosto che semplicemente nella norma.
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A queste conclusioni ? giunto lo studio WHIMS ( Women’s Health Iniziative Memory Study ), il cui obiettivo ? stato quello di verificare se il trattamento sostitutivo ormonale potesse ridurre il rischio di demenza nelle donne di et? compresa tra i 65 ed i 79 anni.
Lo studio WHIMS fa parte del Women’s Health Initiative ( WHI ).
Sono state esaminate 7.479 donne, alcune trattate solamente con estrogeno ( Premarin ), altre con l’associazione estrogeno e progestinico ( Prempo ).
Rispetto al placebo le donne del gruppo solo-estrogeno ha presentato un rischio di compromissione cognitiva lieve pi? alto del 34% .
Le donne trattate con solo-estrogeno hanno presentato un rischio di probabile demenza o compromissione cognitiva lieve pi? alto del 38% rispetto al placebo.
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Uno studio di Ricercatori dell?Harvard Medical School di Boston ha trovato che il trattamento ormonale aumenta il rischio di diabete e di malattia cardiaca senza migliorare la sopravvivenza negli uomini a cui ? stato diagnosticato carcinoma prostatico.
La terapia del tumore della prostata consiste nel bloccare la produzione di testosterone mediante orchiectomia bilaterale oppure mediante iniezioni di agonisti dell?ormone rilasciante la gonadotropina ( GnRH ).
I farmaci che sopprimono il testosterone, riducono la massa ossea e sono associati ad un aumentato rischio di fratture.
Inoltre, i soggetti trattati con questi farmaci vanno incontro ad obesit? addominale, perdita della massa muscolare e sviluppano resistenza all?insulina.
Lo studio ha riguardato 73.196 uomini di et? uguale o superiore ai 66 anni, ai quali era stato diagnosticato un tumore della prostata tra il 1992 ed il 1999.
I Ricercatori hanno trovato che gli uomini trattati con un agonista GnRH hanno presentato un aumentato rischio di diabete, un aumento del 16% del rischio di malattia coronarica, un rischio aumentato dell?11% di infarto miocardico e un aumento del 16% del rischio di morte cardiaca improvvisa.
Gli uomini sottoposti ad orchiectomia hanno invece presentato un aumento del rischio del 34% di sviluppare diabete, senza alcun effetto sull?incidenza di malattia coronarica, infarto miocardico o morte cardiaca improvvisa.
Fonte: Journal of Clinical Oncology, 2006
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L?anemia rappresenta un fattore prognostico negativo nella popolazione anziana, tuttavia il suo impatto sulla sopravvivenza non ? chiaro.
I dati sono stati ottenuti dal Cardiovascular Health Study, uno studio prospettico di coorte con un follow-up di 11.2 anni, che ha coinvolto 5.888 uomini e donne di et? pari o superiore ai 65 anni.
Un totale di 1.205 partecipanti allo stuidio presentava valori di emoglobina nel pi? basso quintile ( < 13.7g/dl per gli uomini; < 12.6g/dl per le donne ), e l?8.5% ( n = 498 ) erano anemici ( < 13g/dl per gli uomini; < 12g/dl per le donne ).
E? stata osservata un?associazione indipendente tra le pi? basse e le pi? alte concentrazioni di emoglobina, l?anemia ( secondo i criteri WHO ) e l?aumento della mortalit?.
Zakai NA et al, Arch Intern Med 2005; 165: 2214-2220
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