Fibrosi cistica: sì a liprotamasi

Nei pazienti con fibrosi cistica la terapia enzimatica pancreatica sostitutiva mediante capsule di liprotamasi (contenenti derivati biotecnologici altamente purificati di lipasi, proteasi e amilasi) alla dose di 1 capsula per pasto è ben tollerata e aumenta in modo significativo l’assorbimento di grassi e proteine, riducendo il peso delle feci. È l’esito di un trial internazionale di fase 3 a gruppi paralleli, in doppio cieco e controllato con placebo, coordinato da Drucy Borowitz della State university of New York at Buffalo (Usa). Sono stati coinvolti 138 soggetti di età pari o superiore a 7 anni affetti da fibrosi cistica con insufficienza pancreatica esocrina, compresi individui compromessi sotto il profilo nutrizionale e funzionale. I partecipanti sono stati sottoposti a un test basale per la rilevazione dei coefficienti di assorbimento di grassi e nitrogeni (Cfa e Cna) e del peso delle feci. Dopo un periodo di trattamento in aperto con lipromatasi, i soggetti sono stati randomizzati in proporzione 1:1 all’assunzione di capsule di lipromatasi o di placebo con 3 pasti e 2 snack al giorno. La differenza nelle variazioni del Cfa registrate tra il gruppo trattamento e quello placebo (espressa come media dei minimi quadrati) è stata di 15,1% per il sottogruppo con Cfa basale <40%, 8,6% per i soggetti con Cfa >40% al baseline e 10,6% per l’intera popolazione secondo l’analisi intent-to-treat. Risultati simili si sono visti per le modifiche del Cna. Il peso delle feci è apparso significativamente minore mentre la frequenza di evacuazione non ha subito variazioni.

J Cyst Fibros, 2011; 10(6):443-452

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Troponina ad alta sensibilità predittiva nello scompenso

27 Ago 2012 Cardiologia

Nonostante i livelli circolanti molto bassi, le modificazioni dei livelli di troponina cardiaca ad alta sensibiità (hs-cTnT) lungo il tempo sono fortemente predittivi di nuovi eventi cardiovascolari in soggetti con scompenso cadiaco cronico, ma aggiungono un limitato valore prognostico. È quanto rivela uno studio – condotto da Serge Masson, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, e collaboratori – nel quale vengono analizzati i dati di 5.284 pazienti con scompenso cardiaco cronico tratti da due trial clinici randomizzati indipendenti, il Valsartan Heart Failure Trial (Val-HeFt, n=4.053) e il Gissi-Heart Failure Trial (Gissi-Hf, n=1.231). La hs-cTnT è stata misurata al momento della randomizzazione e dopo 3 oppure 4 mesi di follow-up, nel Gissi-Hf e nel Val-HeFt, rispettivamente. L’associazione tra le modificazioni nel tempo di hs-cTnt e i vari outcome è stata testata mediante modelli multivariati. In entrambi gli studi, gli aumenti dei livelli di hs-cTnT sono risultati associati a età, diabete mellito, peggioramento della funzione renale (riduzione dell’eGfr) e alle concentrazioni basali o in aumento di Nt-proBnp. Gli incrementi di concentrazione di hs-cTnT sono apparsi associati con la mortalità generale, con tassi di incidenza rispettivamente dell’8,19 e del 6,79 per 100 anni-persona nel ValHeft e nel Gissi-Hf (hazard ratio: 1,59 e 1,88), dopo aggiustamento per fattori di rischio convenzionali e livelli basali di hs-cTnT e Nt-proBnp. Le modificazioni di concentrazione di hs-cTnT hanno migliorato leggermente la discriminazione prognostica rispetto ai valori basali soltanto in relazione agli outcome fatali.

Circulation, 2011 Dec 2. [Epub ahead of print]

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Artrite idiopatica giovanile correlata a entesite

Il trattamento dell’artrite idiopatica giovanile con inibitori del Tnf-alfa è meno efficace nell’ottenimento della condizione di malattia inattiva in quei pazienti che presentano una patologia correlata a entesite. Lo si evince da una revisione retrospettiva dei dati relativi a tutti i bambini affetti da artrite idiopatica giovanile ricoverati presso un unico centro accademico americano, che avevano iniziato una terapia con inibitori del Tnf-alfa. Un team di ricercatori della University of Alabama at Birmingham (Usa), guidato da Katherine J. Donnithorne, ha valutato il grado di riduzione della patologia (secondo i criteri di Wallace del 2004) a 1 anno dall’inizio del trattamento e il raggiungimento dello stato di malattia inattiva in qualunque momento del periodo di studio. Mediante analisi uni- e multivariata si sono poi determinati i fattori predittivi di inattivazione della patologia. In totale avevano iniziato il trattamento 125 pazienti, ma solo di 88 si sono resi disponibili i dati del follow-up a 1 anno. Molti soggetti (49%) cominciarono la terapia entro 6 mesi dalla diagnosi di artrite idiopatica giovanile, di cui, al basale, erano presenti diversi fenotipi: il 29% dei pazienti presentava un’entesite acuta e solo il 23% mostrava una poliartrite attiva. Al follow-up di 1 anno il 41% dei soggetti aveva conseguito l’inattivazione della patologia, mentre il 54% non riuscì a raggiungere mai tale condizione durante il periodo dello studio. Usando modelli multivariabili, è risultato che un’artrite correlata a entesite e alti punteggi al Childhood health assessment questionnaire (Chaq) al basale sono indipendentemente associati al fallimento di un’azione volta a ottenere in seguito il conseguimento dell’inattivazione della malattia.

J Rheumatol. 2011 Dec; 38(12): 2675-81

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Sindrome climaterica ha solo sintomi emotivi

I sintomi somatici in pazienti con sindrome climaterica si associano a disturbi emotivi ma non a malattie o fattori fisici. Sono queste le conclusioni di uno studio cinese, condotto presso l’università medica di Guangzhou, che ha analizzato 78 pazienti in periodo di climaterio con disturbi ansioso-depressivi e 72 donne che non presentavano questi disturbi. Gli autori hanno misurato i sintomi utilizzando la scala climaterica di Green, che prevede la compilazione di un questionario; hanno inoltre registrato dati demografici e controllato parametri fisiologici come l’ormone sessuale, la pressione sanguigna, la densità ossea, il recettore alfa degli estrogeni; infine hanno controllato i disturbi psicologici attraverso la Hamilton anxiety rating scale (Hars-14) basata su 14 item che individuano e misurano numerosi sintomi psichici. Nel gruppo con disturbi ansioso-depressivi si sono registrati livelli significativamente inferiori di estradiolo e di progesterone e valori superiori della scala di Green. Inoltre, i sintomi somatici, di ansia e depressione si sono associati positivamente con l’Hars-14 e negativamente con i livelli di estrogeni. Invece, la scala climaterica di Green non ha evidenziato correlazioni statistiche con la pressione sanguigna, la densità ossea o altri fattori. Infine, tra i due gruppi non si sono rilevate differenze sostanziali nella frequenza degli alleli o nei polimorfismi del recettore alfa degli estrogeni.

Arch Gynecol Obstet. 2011 Nov 29. 

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Meno calorie da giovani, proteggono l’ovaio da tumore

23 Ago 2012 Ginecologia

Una moderata restrizione energetica alimentare protratta per un lungo periodo di tempo durante l’infanzia o la prima età adulta può causare a distanza di tempo un’azione protettiva nei confronti del cancro ovarico. Lo dimostra uno studio retrospettivo, condotto da Leo J. Schouten, dell’Università di Maastricht (Olanda), che ha verificato come ai periodi di nutrizione cronicamente ridotta e addirittura di carestia verificatisi negli anni ’30 e ’40 in varie zone dei Paesi Bassi, specie nelle città più grandi, corrispondessero dopo molti anni tassi inferiori della neoplasia. A 62.573 donne di età compresa tra 55 e 69 anni nel 1986, quando ha preso avvio il Netherland cohort study, è stato chiesto di compilare un questionario sulle proprie abitudini alimentari e su altri fattori di rischio oncologico; in seguito le partecipanti sono state seguite tramite il Registro olandese dei tumori. Dopo un follow-up di 16,3 anni si sono resi disponibili per le analisi casi-coorte 364 casi di cancro ovarico epiteliale invasivo. All’analisi multivariata, il rischio di cancro ovarico è risultato inferiore per le partecipanti con un padre disoccupato durante gli anni ’30 (hazard ratio: 0,70) rispetto a quelle con un padre con un lavoro, così come è apparso ridotto nelle donne che vivevano in una grande città durante il periodo della Seconda guerra mondiale (0,69) rispetto a quante si trovavano a quel tempo in aree rurali.

PLoS One, 2011; 6(11):e27960

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Curare le adolescenti per proteggere la fertilità

22 Ago 2012 Ginecologia

Il tema centrale del 10° Convegno nazionale Sigia (Società italiana di ginecologia dell’infanzia e dell’adolescenza), che si è svolto a Reggio Emilia, dall’11 al 12 novembre, è stata salvaguardia della fertilità futura, in relazione a magrezza e obesità in età evolutiva, di patogenesi dell’endometriosi nella giovane, di disturbi minzionali e malformazioni uro-ginecologiche in infanzia e adolescenza. L’evento, ha spiegato, a Ginecologia33, Gabriele Tridenti, presidente della Sigia «era rivolto a ginecologi e pediatri, e a paramedici che operano a contatto con gli adolescenti, in primo luogo le ostetriche dei consultori e le infermiere dei reparti di Ginecologia e Pediatria, ma gli argomenti trattati coinvolgevano anche medici di base, urologi e chirurghi pediatri» e ha avuto un buon riscontro: «Come promotore e principale organizzatore di questo evento» ha infatti dichiarato Tridenti «mi ritengo soddisfatto, per la partecipazione di pubblico e, soprattutto, per l’interesse suscitato intorno alla ginecologia infanto-giovanile. La felice “contaminazione” con discipline diverse, quali l’urologia infantile e la medicina legale, ha aperto orizzonti clinici nuovi per i ginecologi e ha posto le premesse per future collaborazioni tra società scientifiche». Oltre alle tematiche specifiche, sono stati trattati anche argomenti di grande attualità quali la vaccinazione contro l’Hpv, la contraccezione nelle giovani e giovanissime, e gli aspetti medico-legali in questa fascia d’età, con suggerimenti pratici su prescrizione dei contraccettivi, gravidanza nella minorenne, abuso e mutilazioni genitali

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H. pylori fattore di rischio per ulcere duodenali e gastriche

Da uno studio trasversale tedesco, risulta che la percentuale di ulcere peptiche attribuibili a infezione da Helicobacter pylori potrebbe essere superiore a quanto si riteneva finora. Una coorte di 9.953 persone, dai 50 ai 74 anni di età, ha costituito la base per una sperimentazione che, oltre ai controlli sierologici iniziali, ha previsto questionari inviati ai partecipanti e ai loro medici di base per la rilevazione dell’incidenza delle ulcere a due e cinque anni di distanza. Nel corso della loro vita, 1.030 dei partecipanti erano stati affetti da ulcera peptica e, durante il periodo di follow-up, 48 hanno avuto per la prima volta un’ulcera duodenale e 22 un’ulcera gastrica. L’infezione da ceppi cagA-positivi di Helicobacter pylori si è associata a un rischio aumentato di 1,75 volte di ulcera peptica; le analisi longitudinali hanno rivelato un aumento di rischio rispettivamente di 18,4 e di 2,9 volte di ulcera duodenale e ulcera gastrica. Gli autori, del Centro di ricerca contro il cancro di Heidelberg, ammettono i limiti dell’analisi trasversale dovuti alla possibile confusione che i partecipanti possono aver fatto tra ulcere gastriche e duodenali. «Tuttavia il nostro studio» sostengono «fornisce forti evidenze che l’infezione da Helicobacter pylori costituisca un fattore chiave di rischio sia per le ulcere duodenali che gastriche. Le analisi longitudinali hanno rivelato una associazione particolarmente forte con le prime».

Clin Gastroenterol Hepatol, 2012; 10(5):487-493.e1

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TAO, aspirina e scompenso cardiaco

I pazienti affetti da scompenso cardiaco (HF) vanno incontro, rispetto alla popolazione generale, ad un maggior numero di stroke ed eventi tromboembolici sistemici; per una serie di motivi, tra cui la stasi nel ventricolo sin, disfunzione a livello dell’endocardio, stato di ipercoagulabilità. Ci si aspetterebbe dunque che una terapia anticoagulante sia di fondamentale importanza clinica, ma in realtà non si sa se nei pazienti scompensati in ritmo sinusale la terapia anticoagulante sia superiore alla terapia antiaggregante. A tale proposito il NEJM ha di recente pubblicato uno studio di Homma e coll. [Warfarin versus Aspirin in Reduced Cardiac Ejection Fraction (WARCEF) trial] in cui  2.305 pazienti di età media di 61  anni – relativamente giovani per una popolazione con HF – con disfunzione ventricolare severa (mediamente FE 25%) sono stati randomizzati a ricevere warfarin (INR 2-3.5) o ASA (325 mg/die) per una media di 3.5 anni. Ebbene, non c’è stata differenza significativa tra i due gruppi di pazienti nell’outcome primario di stroke (ischemico o emorragico) o morte. Il warfarin nei confronti dell’ASA era accompagnato da una significativa riduzione dello stroke ischemico (probabilmente tromboembolico) nel periodo di follow-up, ma al prezzo di un più elevato numero di emorragie maggiori (P<0.001), mentre i tassi di emorragia intracranica e intracerebrale non differivano significativamente. In definitiva quindi i risultati del WARCEF trial sono in accordo con precedenti piccoli trials, che già erano arrivati alla conclusione che nei pazienti scompensati in ritmo sinusale la terapia con warfarin non è superiore a quella con ASA e quindi non è da utilizzare routinariamente, ma caso per caso. 

Homma S et al,for the WARCEF Investigators. N Engl J Med 2012; 366:1859-1869

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Valutazione della mortalità dopo intervento chirurgico non cardiaco

Il ‘Revised Cardiac Risk Index’ è uno score ampiamente utilizzato per valutare il rischio di complicanze cardiache in pazienti sottoposti ad interventi chirurgici non cardiaci, ma non sono disponibili sistemi per predire la mortalità post-operatoria globale. Per individuare un tale sistema di valutazione, Glance e collaboratori hanno utilizzato un database dell’American College of Surgeons, relativo ad alcune centinaia di ospedali americani, proponendo un modello che utilizza 3 predittori di rischio ed uno score di 9 punti. La coorte studiata includeva 300.000 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico non cardiaco sotto anestesia generale o loco-regionale. Per elaborare un modello semplificato, i ricercatori hanno selezionato 3 variabili (l’American Society of Anesthesiologists (ASA) Physical Status, il rischio chirurgico specifico relativo al tipo di intervento e la chirurgia di urgenza versus chirurgia di elezione) ed hanno attribuito un punteggio di rischio di mortalità per ogni variabile (vedi tabella). Il modello di previsione del rischio è stato calcolato sulla metà della coorte di pazienti considerata e risultava accettabile nella rimanente metà. La mortalità a 30 giorni è risultata pari rispettivamente a

  • < 0.1% nei pazienti con 0-2 punti
  • 0.2% nei pazienti con 3 punti
  • 0.5% nei pazienti con 4 punti
  • 1.5% nei pazienti con 5 punti
  • 4.0% nei pazienti con 6 punti
  • 10.0% nei pazienti con 7 punti
  • 25.0% nei pazienti con 8 punti
  • 50.0% nei pazienti con 9 punti.

I vantaggi di questo modello sono rappresentati dalla sua relativa semplicità di utilizzo e dal fatto che è stato elaborato a partire da un ampio database di pazienti. Al contrario, i limiti del modello sono riferibili alla assegnazione soggettiva del punteggio ASA da parte del medico e la necessità di definire quali procedure chirurgiche sono da ritenere a rischio basso, intermedio ed elevato. Gli autori dello studio ritengono che il loro modello possa essere utilizzato come un punto di partenza per una valutazione bedside del rischio perioperatorio; questa conclusione appare ragionevole anche se alcuni pazienti presentano caratteristiche che non rientrano nelle 3 variabili del modello. 

Glance LG et al. The surgical mortality probability model: Derivation and validation of a simple risk prediction rule for noncardiac surgery. Ann Surg 2012; 255: 696

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Utilizzo degli inibitori TK nella leucemia mieloide cronica: studi di farmacoeconomia

Il National Institute for health and Clinical Excellence (NICE) ha prodotto recentemente (aprile 2012) un documento in cui vengono individuate le caratteristiche farmacoeconomiche dei 3 farmaci (imatinib, dasatinib, nilotinib) inibitori delle tirosinkinasi (TK) che sono attualmente indicati per il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC). La LMC è una malattia mieloproliferativa cronica che colpisce da 1 a 2 persone ogni 100.000 abitanti e rappresenta il 15-20% circa di tutte le leucemie dell’adulto, con simile percentuale nel sesso femminile e maschile; può manifestarsi in ogni età, con età mediana di comparsa intorno ai 58 anni e con assoluta rarità in età infantile. Più del 90% dei pazienti presenta positività del cromosoma Philadelphia che risulta dal gene di fusione bcr/abl codificante per una proteina tirosinkinasica che, controllando la proliferazione, determina il “vantaggio proliferativo” delle cellule ematopoietiche. Sono stati valutati i risultati di trials clinici di buona qualità DASISION (dasatinib vs imatinib) e ENEST (nilotinib vs imatinib). L’agenzia britannica ha formulato l’impossibilità di differenziare dasatinib e nilotinib per quanto attiene il grado di efficacia clinica, mentre l’uso di dasatinib si è dimostrato meno “cost-effective”. Le conclusioni hanno portato quindi alla raccomandazione di rimborsabilità di nilotinib come prima linea di trattamento e nei pazienti resistenti e/o intolleranti alle dosi standard di imatinib. È stato inoltre ribadito di porre attenzione all’utilizzo di dasatinib e nilotinib in pazienti con potenziali possibilità di allungamenti del QT.

NICE technology appraisal guidance 251, april 2012
guidance.nice.org.uk/ta251

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