Fibrosi cistica: screening neonatale conveniente
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Causare una riduzione dell?aspettativa di vita di 5-10 anni, soprattutto per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Essere il principale fattore di cecit? sotto i 65 anni, il primo di amputazione non dovute a traumi, il pi? frequente di dialisi. Sono ragioni evidenti dell?importanza di prevenire, diagnosticare e gestire precocemente le complicanze sul lungo periodo del diabete, un obiettivo reso pi? difficile dal fatto che la patologia stessa in molti casi ? riconosciuta tardivamente, mentre continua la sua avanzata mondiale. A causa delle alterazioni prodotte nell?organismo questa malattia del metabolismo favorisce, infatti, nel tempo l?insorgenza di complicanze sia microvascolari, come retinopatie, nefropatie e neuropatie, sia macrovascolari, quali patologie cardiovascolari, cerebrovascolari e arteriopatie periferica, presenti anche contemporaneamente, che hanno un forte impatto tanto sulla qualit? di vita del singolo quanto a livello socio-economico. In un?analisi di otto studi europei su malati di diabete di tipo 2, per esempio, il 72% presentava almeno una complicanza e il 24% una microvascolare pi? una macrovascolare; nell?arco di sei mesi il 13% aveva avuto un ricovero e il costo medio annuale per paziente ? stato calcolato in 2.834 euro, dovuto per met? all?ospedalizzazione e solo per il 7% al costo dei farmaci ipoglicemizzanti.
In gioco fattori modificabili e non
Nello sviluppo delle complicanze interagiscono vari fattori, alcuni non modificabili come quelli genetici, etnici o la durata della malattia, altri modificabili quali fumo, ipertensione, dislipidemia, obesit?, sui quali si pu? evidentemente intervenire. Quanto alla frequenza, il rischio di infarto miocardico (IMA) o ictus ? 2-4 volte maggiore nel diabete di tipo 2 che nella popolazione generale, dal 20 al 50% dei malati va incontro ad alterazioni della vista che richiedono trattamenti, circa un terzo sviluppa una proteinuria – cio? la perdita di proteine nelle urine per il danno vascolare renale – che progredir? verso la nefropatia e in molti casi la dialisi, nel 30-50% possono insorgere neuropatie periferiche che contribuiscono alle ulcerazioni del piede e possibili amputazioni, infine met? dei malati over50 ha una disfunzione erettile. Sono rischi che possono essere fortemente ridotti prima di tutto mantenendo sotto stretto controllo la glicemia e la pressione arteriosa, e con una gestione aggressiva dei fattori di rischio cardiovascolari. La correzione glicemica diminuisce la probabilit? di complicanze microvascolari ma anche macrovascolari, riducendo il rischio d?infarto miocardico del 14% per ogni calo dell?1% dell?emoglobina glicata, secondo uno studio prospettico inglese; per la pressione arteriosa ogni abbassamento di 10 mmHg era associato a una diminuzione del 13% di eventi microvascolari e dell?11% di IMA. Il rischio cardiovascolare nel diabete 2 risulta ridotto anche con l?utilizzo di farmaci ipolipemizzanti, soprattutto della classe delle statine; essenziale ? poi l?interruzione del fumo, protettiva pure rispetto alle conseguenze microvascolari.
Diagnosi e interventi precoci
Se la prevenzione, attraverso abitudini corrette, controlli e terapie adeguate da seguire scrupolosamente ? la via maestra contro le complicanze del diabete, oltre che del diabete stesso, l?altra strategia ? quella d?individuare in fase iniziale i danni gi? presenti e gestirli in modo da bloccarne o rallentarne l?evoluzione, per scongiurare sviluppi molto pesanti come la cecit?, l?amputazione del piede, la necessit? di dialisi. Si tratta per esempio di monitorare sintomi di malattia macrovascolare come l?angina o la claudicatio, alterazioni dell?acuit? visiva e retiniche, concentrazioni di albumina urinaria e di creatinina sierica quali spie di danno renale, segni di patologia del piede (deformit?, neuropatia, ischemia e infezioni) e presenza di disfunzione erettile ricollegabili a patologia nervosa e arteriosa periferica. Al monitoraggio attento seguono trattamenti specifici per le varie alterazioni trovate, con un approccio multifattoriale, sempre insieme dalle raccomandazioni da seguire sullo stile di vita pi? salutare: un obiettivo che per molte persone appare difficile, ma che ? decisivo per il diabete come per tutte le malattie oggi di maggior impatto.
Elettra Vecchia
Fonte
Marshall SM et al. Prevention and early detection of vascular complications of diabetes. BMJ 2006;333:475-480.
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L?Acido Ursodesossicolico ( UDCA, Deursil ) e l?alterata motilit? della cistifellea, presumibilmente, riducono il dolore biliare e la colecistite acuta nei pazienti con calcolosi biliare.
Tuttavia, l?effetto dell?Acido Ursodesossicolico in questi pazienti non ? stato studiato in modo prospettico.
Uno studio, condotto in Olanda, ha valutato l?effetto dell?Acido Ursodesossicolico in 177 pazienti altamente sintomatici con calcolosi biliare, che erano in attesa dell?intervento di colecistectomia.
I pazienti sono stati stratificati per numero di coliche nel precedente anno ( meno di 3 = 32 pazienti; 3 o pi? = 145 pazienti ).
La motilit? post-prandiale della colecisti al basale ? stata misurata mediante ultrasuoni in 126 pazienti.
Il 26% ( n = 23 ) dei pazienti che hanno ricevuto Acido Ursodesossicolico ed il 33% ( n = 29 ) di quelli che hanno ricevuto placebo non hanno presentato coliche durante il periodo di attesa ( in media 75 giorni ) prima della colecistectomia.
Il numero di coliche, il dolore biliare non-grave e l?assunzione di analgesici sono risultati comparabili.
Un precedente basso numero di coliche era associato ad una pi? alta probabilit? di rimanere liberi dalle coliche ( 59% versus 23%; p < 0.001 ) senza effetti sul rischio di complicanze.
Nei pazienti in cui ? stata valutata la motilit? della colecisti, il 57% ha avuto deboli contrazioni ed il 43% forti.
La probabilit? di rimanere senza manifestare coliche era comparabile tra i pazienti con deboli e con forti contrazioni ( 31% versus 33% ).
Tra coloro che hanno avuto deboli contrazioni, l?Acido Ursodessosicolico ha ridotto la probabilit? di rimanere senza coliche ( 21% versus 47%; p = 0.02 ).
Nel gruppo placebo si sono presentate 3 complicanze pre-operatorie e 2 post-colecistectomia.
Al contrario, tutte e 4 le complicanze nel gruppo Acido Ursodesossicolico si sono presentate dopo colecistectomia.
I dati hanno mostrato che l?Acido Ursodesossicolico non riduce i sintomi biliari nei pazienti altamente sintomatici.
Una precoce colecistectomia ? necessaria nei pazienti con calcolosi biliare sintomatica.
Vanneman NG et al, Hepatology 2006; 43: 1276-1283
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E? una patologia silente, sia nel senso che non se ne parla molto sia nel senso che rimane a lungo asintomatica prima di scompensarsi (e forse per questo ? poco ?avvertita?). La cirrosi epatica ? in effetti una malattia subdola, della quale sono ben note le due cause principali e cio? l?abuso di alcolici e le infezioni da virus dell?epatite B e C, e che ? responsabile nel nostro paese di circa 20 mila vittime all?anno, oltre a frequenti ospedalizzazioni. Questo anche se, rispetto al passato, si assiste a un calo d?incidenza, soprattutto per la diminuzione dell?infezione B (con la vaccinazione obbligatoria), e a una riduzione della mortalit?; l?alcol ? oggi la seconda causa di cirrosi, ma in realt? molti casi che gli venivano attribuiti negli scorsi decenni potevano essere dovuti ai virus dell?epatite.
La cirrosi ? in una forma cronica caratterizzata dall?alterazione strutturale e funzionale del fegato, con progressiva sostituzione delle cellule epatiche da parte di tessuto fibroso e formazione di noduli di rigenerazione con cellule malfunzionanti; consiste in una reazione dell?organo in seguito all?esposizione prolungata all?alcol o ai virus epatitici B, C e D e meno di frequente ? conseguenza di svariati fattori eziologici: agenti tossici (come pesticidi) e farmaci, cause genetiche, alterazioni congenite, infezioni e parassitosi, insufficienza cardiaca, malattia veno-occlusiva e altri ancora, tra i quali la steatoepatite non alcolica o ?fegato grasso? che ? molto legata a stili di vita attuali e ha infatti tra i fattori di rischio l?obesit?, il diabete, l?ipertrigliceridemia. Il fegato non riesce cos? a svolgere bene le sue numerose funzioni e si altera anche la sua circolazione sanguigna: se la situazione peggiora le conseguenze nel tempo sono l?ipertensione della vena porta (che reca il sangue da intestino e pancreas), la formazione di varici esofagee ed emorroidi, l?ascite (accumulo di liquidi nell?addome), l?ingrossamento della milza, l?encefalopatia epatica, fino al coma e all?epatocarcinoma (per il quale ? il primo fattore predisponente).
Senza sintomi anche per anni
Il problema ? che nella maggior parte dei malati il danno epatico progredisce anche per molti anni senza manifestarsi clinicamente, con una distruzione tissutale che pu? arrivare all?80-90%, ed ? solo quando si arriva alla fase scompensata che insorgono sintomi come l?ascite, le varici, la peritonite e l?encefalopatia; infatti la malattia spesso viene scoperta per caso durante controlli di routine con esami di laboratorio o radiografici. E? importante quindi cogliere precocemente segni e sintomi orientativi che, a seconda della fase di malattia consistono in anoressia, perdita di peso, debolezza, dolore o rigonfiamento addominale, vomito, prurito, eritema palmare, presenza di ?spider nevi? (piccoli nei a forma di ragno), ingiallimento della sclera e della cute, confusione mentale, vertigini. Per la diagnosi, oltre all?anamnesi e all?esame fisico per la ricerca di elementi come elevata assunzione di alcol, infezioni epatiche, obesit?, occorrono per? analisi ematologiche, soprattutto per individuare l?aumento di enzimi epatici (transaminasi, fosfatasi alcalina, gammaglutamiltransferasi) e la riduzione dell?albumina, delle piastrine e della protrombina; si ricorre anche a esami radiografici, come l?ecografia addominale, al limite alla biopsia epatica, che pu? essere l?unico elemento decisivo per il riconoscimento. Va detto infatti che non ci sono test specifici per la cirrosi, n? quelli sierologici n? quelli radiologici permettono da soli una diagnosi accurata. Quanto alla terapia, la cirrosi generalmente ? irreversibile, anche se il trattamento delle cause che l?hanno determinata (per esempio interferone e antivirali per le infezioni epatiche) pu? fermarne o rallentarne l?evoluzione; l?astinenza dall?alcol ? sempre necessaria. Si trattano poi le singole complicanze (per esempio l?ascite con restrizione di sale e acqua e con diuretici) e nei casi scompensati in cui non c?? altra soluzione si ricorre al trapianto di fegato.
Elettra Vecchia
Fonte
Heidelbaugh JJ et al. Cirrhosis and chronic liver failure. Afp September 1, 2006, Volume 74, Number 5.
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Parziale non piace
Eppure, nota il commento di Lancet, sono pochi i tumori fino a quattro centimetri, ma anche fino a sette, che vengono trattati cos?. Negli Stati Uniti soltanto il 20%, in Gran Bretagna soltanto il 4%, negli altri casi si ricorre all?asportazione totale del rene, del tessuto fasciale e della ghiandola surrenale ipsilaterale.
Perch?? Le ragioni possono essere diverse: la scarsa dimestichezza del chirurgo con la nefrectomia parziale, effettivamente pi? complessa; oppure, il fatto che l?asportazione completa, eseguita per via mini-invasiva, finisce con l?essere pi? rapida e richiede meno giorni di degenza di un?asportazione parziale eseguita in aperto.
Se le conseguenze dei due interventi fossero identiche, si potrebbe anche approvare questo principio di prudenza che limita il rischio di nuove lesioni.
Conservare ? meglio
Tuttavia, ed ? questo l?oggetto dello studio di Lancet Oncology, non pare che i due approcci abbiano gli stessi risultati. In questa ricerca, infatti sono stati presi in considerazione 662 pazienti trattati al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, con la nefrectomia sia parziale sia totale in presenza appunto di una lesione, su un solo rene, di diametro inferiore ai 4 centimetri. Lo scopo era individuare in quale misura si sviluppava insufficienza renale dopo l?intervento, e se il rischio variava in funzione del tipo di intervento condotto.
Innanzitutto, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti con questo tipo di tumori hanno una funzionalit? renale meno buona di quanto si creda: il 26%, infatti, presentava gi? un?insufficienza.
L?asportazione totale, poi, si rivela un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di un?insufficienza renale grave, cio? con tasso di filtrazione glomerulare inferiore a 45 mL/min per 1,73 mq. Con l?intervento radicale il rischio d?insufficienza aumenta di 11 volte, mentre se si esegue la nefrectomia parziale, nel 95% dei casi non si verifica. Insomma c?? il rischio che, eliminando l?intero organo, il rimedio non sia poi tanto migliore del danno iniziale.
Maurizio Imperiali
(Houston Thompson R. Radical nephrectomy: too radical for small renal masses? The Lancet 2006; 368:823-824
Huang WC et al. Chronic kidney disease after nephrectomy in patients with renal cortical tumours: a retrospective cohort study. Lancet Oncol. 2006; 7:735-40)
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Il caff? pu? aiutare a proteggere il fegato dei forti bevitori di alcol.
Uno studio di coorte di soggetti appartenenti al Kaiser Permanente, un HMO ( Health Maintenance Organization ), ha mostrato che coloro che assumono da 1 a 3 tazze di caff? al giorno presentavano una riduzione del 40% dei rischi di cirrosi alcolica rispetto a coloro che assumevano meno di una tazza ( p < 0.001 ).
Questo effetto protettivo sembra essere dose-dipendente.
Le persone che bevono 4 tazze di caff? o pi? hanno una riduzione dell?80% nel rischio relativo di cirrosi alcolica ( p < 0.001 ).
Nel sottogruppo dei pazienti con cirrosi non-alcolica, il caff? ha mostrato una debole relazione inversa con la cirrosi.
L?assunzione di t? non ?, invece, risultata correlata al rischio di cirrosi alcolica o non-alcolica.
Lo studio ha analizzato i dati di 129.580 iscritti al Kaiser Permanente che hanno risposto ad un questionario tra il 1978 ed il 1985.
Nel 2001, 330 soggetti hanno sviluppato cirrosi alcolica e a 131 cirrosi non-alcolica.
Il 65% dei pazienti con cirrosi alcolica ed il 54% dei pazienti con cirrosi non-alcolica erano uomini, ed in entrambi i gruppi circa la met? dei pazienti avevano 50 anni di et? o meno.
Il rischio di cirrosi, sia alcolica che non-alcolica, ? aumentato con l?et?, il sesso maschile e l?obesit?.
Fonte: Archives of Internal Medicine, 2006
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I fitochimici che si trovano nelle piante possono fornire benefici nella prevenzione del tumore soprattutto attraverso le loro propriet? antiossidanti.
Ricercatori della University of California ? Los Angeles ( UCLA ) hanno valutato l?effetto del succo di melograno sulla progressione del tumore della prostata, definita dai valori di PSA ( Antigene Prostata-Specifico ), dopo terapia primaria ( chirurgia o radioterapia ).
I pazienti eleggibili presentavano livelli di PSA > 0.2 e < 5 ng/ml e punteggi Gleason minori o uguali a 7.
I pazienti hanno assunto un bicchiere di succo di melograno al giorno fino a progressione della malattia.
Non sono stati osservati gravi eventi avversi ed il trattamento ? risultato ben tollerato.
Il tempo medio di raddoppiamento dei valori di PSA ? aumentato in modo significativo con il trattamento, passando da una media di 15 mesi al basale a 54 mesi dopo trattamento ( p < 0.001 ). Test in vitro, che hanno confrontato i sieri dei pazienti prima del trattamento e dopo, hanno mostrato che la crescita di cellule LNCaP si ? ridotta del 12% e l?apoptosi ? aumentata del 17%; inoltre, ? stato osservato un aumento del 23% nell?ossido nitrico sierico, e riduzione significativa dello stato ossidativo. Il succo di melograno ha dimostrato di essere in grado di prolungare in modo significativo il tempo di raddoppiamento dei valori di PSA. Pantuck AJ et al, Clin Cancer Res 2006; 12: 4018-4026
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Un Panel di Esperti dei National Institutes of Health ha concluso che non c?? evidenza sul raccomandare o non raccomandare l?uso di multivitaminici e minerali.
Secondo Michael McGinnis del National Accademy of Sciences, la gente ritiene che assumere multivitaminici faccia bene all?organismo e permette di prevenire alcune malattie, ma l?evidenza ? sottile.
Ad esempio, studi hanno riscontrato un effetto protettivo della dieta ricca di frutta e vegetali nei confronti del tumore del polmone.
Tuttavia, uno studio, compiuto in Scandinavia, ha mostrato che nei fumatori la supplementazione a base di beta-carotene ? risultata associata ad un aumento della mortalit?.
Altri studi invece hanno indicato che nei fumatori maschi la vitamina E ha ridotto il rischio di tumore della prostata.
Il Panel di Esperti ha trovato solo 3 situazioni in cui le vitamine o altri supplementi appaiono offrire dei benefici:
– prevenzione dei difetti del tubo neurale, mediante somministrazione di Acido Folico alle donne in gravidanza.
Fin dal 1998 negli Stati Uniti alcuni alimenti sono fortificati con Acido Folico.
Le donne che desiderano intraprendere una gravidanza dovrebbero assumere Acido Folico prima del concepimento in modo da prevenire la spina bifida ed altri difetti del tubo neurale;
– riduzione della degenerazione maculare.
Il National Eye Institute ha concluso che la supplementazione con la dieta a base di vitamina C e vitamina E, beta-carotene, zinco ? in grado di ridurre il rischio di perdita della visione nelle persone con segni precoci di degenerazione maculare.
Non ? stato osservato alcun effetto sullo sviluppo di cataratta;
– diminuzione del rischio di fratture ossee nelle donne in post-menopausa mediante supplementi di calcio e di vitamina D.
Fonte: National Institute of Health, 2006
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L?esercizio fisico volontario ed una dieta ristretta sono in grado di ridurre il numero e la dimensione dei polipi pre-cancerosi nell?intestino di ratti maschi, migliorando la sopravvivenza.
Lo studio ? stato condotto da Ricercatori della University of Wisconsin?Madison, i quali hanno impiegato topi predisposti a sviluppare polipi intestinali ( mutazione del gene APC ).
I risultati di questo studio potrebbero avere rilevanza anche per gli esseri umani.
Infatti , le mutazioni nel gene APC negli uomini sono responsabili della poliposi adenomatosa familiare ( FAP ).
Questa condizione interessa 10.000-15.000 persone nel mondo e nel 95% di questi pazienti si sviluppano polipi nel colon che possono progredire a tumore, generalmente prima dei 40 anni.
Alcuni topi di 7 settimane sono stati assegnati a svolgere esercizio fisico volontario oppure nessun esercizio, per 10 settimane.
Nel corso dello studio, il gruppo non sottoposto ad esercizio fisico ? stato ipernutrito, mentre nei topi che svolgevano esercizio fisico il cibo ? stato limitato a partire dalla quarta settimana.
Alla fine della 10.a settimana, 6 dei 23 topi del gruppo nessun-esercizio fisico sono morti a causa della crescita di polipi e per la risultante anemia; mentre tutti e 24 i topi che hanno compiuto esercizio fisico erano ancora in vita.
E? stato anche osservato che i topi che hanno compiuto esercizio fisico presentavano alti livelli di IGF-1 ( insulin-like growth factor-1 ) e corticosterone.
Lo studio ? stato pubblicato su Carcinogenesis.
Fonte: University of Wisconsin?Madison, 2006
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