Come gestire gli eventi avversi dei bifosfonati per via endovenosa

I bifosfonati per via endovenosa sono ampiamente impiegati nel trattamento dell?ipercalcemia e nella riduzione della morbidit? scheletro-correlata tra i pazienti colpiti da tumori.

Tuttavia, l?impiego dei bifosfonati per via endovenosa pu? essere associato a gravi complicanze che si presentano in genere con un?incidenza inferiore al 2% e comprendono: reazione infiammatoria sistemica, infiammazione oculare, insufficienza renale, sindrome nefrotica, alterazioni elettrolitiche ed osteonecrosi maxillo-mandibolare.

La reazione infiammatoria sistemica acuta ? spesso auto-limitante con riduzione di intensit? con il proseguire della terapia.

Nei pazienti che sviluppano sintomi oculari, una pronta valutazione oftalmologica ? basilare per determinare la sicurezza della successiva terapia con bifosfonati.

I pazienti che ricevono per lungo tempo il Pamidronato dovrebbero essere valutati ad intervalli di tempo in modo da individuare i primi segni della sindrome nefritica, poich? l?interruzione del trattamento ? associata ad un completo recupero.

Per ridurre il rischio di gravi alterazioni elettrolitiche, soprattutto l?ipocalcemia, ? necessario correggere eventuali squilibri elettrolitici prima del trattamento, ed eventualmente assumere supplementi a base di vitamina D e calcio.

Per ridurre il rischio di osteonecrosi maxillo-mandibolare ? opportuno compiere una valutazione dentale prima del trattamento ed evitare successivamente procedure dentali invasive. ( Xagena_2006 )

Tanvetyanon T, Stiff, Ann Oncol 2006; 17: 897-907

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Il NICE ha raccomandato l?uso di Herceptin nel carcinoma mammario HER2-positivo

18 Set 2006 Oncologia

Il NICE ( National Institute for Health and Clinical Excellance ) ha raccomandato l?impiego di Herceptin ( Trastuzumab ) nel trattamento delle donne con tumore mammario HER2-positivo in fase precoce, con l?eccezione delle donne con problemi di funzionalit? cardiaca.

Le raccomandazioni:

1) Trastuzumab, somministrato ad intervalli di 3 settimane per 1 anno o fino a recidiva della malattia, ? raccomandato come opzione di trattamento per le donne con tumore mammario HER2-positivo in fase precoce dopo intervento chirurgico, chemioterapia ( neoadiuvante o adiuvante ) e radioterapia ( se applicabile );

2) La funzione cardiaca dovrebbe essere valutata prima di iniziare il trattamento con Trastuzumab. Devono essere escluse le donne con frazione di eiezione ventricolare sinistra ( FEVS ) del 55% o meno, o che presentano storia di insufficienza cardiaca congestizia documentata, aritmie ad alto rischio non-controllate, angina pectoris che richiede trattamento, malattia vascolare clinicamente significativa, evidenza di infarto trasmurale all?ECG, ipertensione scarsamente controllata;

3) Le valutazioni della funzione cardiaca dovrebbero essere ripetute ogni 3 mesi durante la terapia con Trastuzumab. Il trattamento con Trastuzumab dovrebbe essere sospeso se la FEVS scende al di sotto del 50%. La decisione di riassumere Trastuzumab dovrebbe essere basata su un?ulteriore valutazione cardiaca e del rapporto rischio-beneficio.

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Il NICE ha raccomandato l?uso di Herceptin nel carcinoma mammario HER2-positivo

18 Set 2006 Oncologia

Il NICE ( National Institute for Health and Clinical Excellance ) ha raccomandato l?impiego di Herceptin ( Trastuzumab ) nel trattamento delle donne con tumore mammario HER2-positivo in fase precoce, con l?eccezione delle donne con problemi di funzionalit? cardiaca.

Le raccomandazioni:

1) Trastuzumab, somministrato ad intervalli di 3 settimane per 1 anno o fino a recidiva della malattia, ? raccomandato come opzione di trattamento per le donne con tumore mammario HER2-positivo in fase precoce dopo intervento chirurgico, chemioterapia ( neoadiuvante o adiuvante ) e radioterapia ( se applicabile );

2) La funzione cardiaca dovrebbe essere valutata prima di iniziare il trattamento con Trastuzumab. Devono essere escluse le donne con frazione di eiezione ventricolare sinistra ( FEVS ) del 55% o meno, o che presentano storia di insufficienza cardiaca congestizia documentata, aritmie ad alto rischio non-controllate, angina pectoris che richiede trattamento, malattia vascolare clinicamente significativa, evidenza di infarto trasmurale all?ECG, ipertensione scarsamente controllata;

3) Le valutazioni della funzione cardiaca dovrebbero essere ripetute ogni 3 mesi durante la terapia con Trastuzumab. Il trattamento con Trastuzumab dovrebbe essere sospeso se la FEVS scende al di sotto del 50%. La decisione di riassumere Trastuzumab dovrebbe essere basata su un?ulteriore valutazione cardiaca e del rapporto rischio-beneficio.

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I pazienti diabetici dovrebbero evitare di assumere l?antibiotico Gatifloxacina

La Gatifloxacina ( Tequin ) ? comunemente impiegata nel trattamento delle infezioni respiratorie tra cui la polmonite acquisita in comunit?, esacerbazioni acute di bronchite cronica, sinusite ed infezioni del tratto urinario.

Health Canada aveva gi? informato di aver ricevuto segnalazioni di casi di ipoglicemia ed iperglicemia, clinicamente significativi, nei pazienti, soprattutto diabetici, che avevano assunto il farmaco.

Uno studio caso-controllo ha confermato gli effetti disglicemici della Gatifloxacina nei pazienti con o senza diabete.

La Gatifloxacina ? un fluorochinolone ad ampio spettro di terza generazione attivo nei confronti dei microrganismi aerobi gram-negativi e gram-positivi, anaerobi ed atipici.
Il farmaco subisce solo una minima biotrasformazione ed ? escreto per via renale.

Park-Wyllie e colleghi ( N Engl J Med 2006 ) hanno esaminato i pazienti dell?Ontario ( Canada ) di et? superiore ai 65 anni, che erano stati visitati in ospedale per ipoglicemia o iperglicemia, ed ai quali era stato prescritto un fluorochinolone per os, una cefalosporina di seconda generazione o un macrolide, durante il mese precedente.

I pazienti che hanno sperimentato iperglicemia avevano una maggiore probabilit? ( 4 volte ) di essere stati trattati con Gatifloxacina piuttosto che con un macrolide.
Dei 788 pazienti trattati per ipoglicemia, 366 sono stati ricoverati in ospedale.
Di questi, 30 pazienti ( 8.1% ) sono morti in ospedale.
Il tempo mediano dall?inizio dell?assunzione di Gatifloxacina alla presentazione in ospedale ? stato di 6 giorni.

I pazienti che hanno sperimentato iperglicemia avevano una probabilit? 17 volte maggiore di essere stati trattati con Gatifloxacina piuttosto che con un macrolide.

Dei 470 pazienti con iperglicemia, 237 sono stati ricoverati e 39 ( 16.5% ) di questi sono morti in ospedale.
Il tempo mediano intercorso tra l?inizio della terapia con Gatifloxacina e l?arrivo in ospedale ? stato di 5 giorni.

Anche la Levofloxacina ( Levaquin; in Italia, Tavanic ) ? risultata associata ad un modesto aumento del rischio di ipoglicemia, ma non di iperglicemia.

La frequenza di disglicemia che si ? presentata entro 30 giorni dopo la prescrizione dell?antibiotico ? stata trovata pi? alta con la Gatifloxacina ( 1.1% ), seguita dalla Ciprofloxacina ( 0.3% ), Levofloxacina ( 0.3% ), Moxifloxacina e cefalosporine di seconda generazione ( entrambe 0.2% ) e, per ultimi, i macrolidi ( 0.1% ).

Tuttavia, l?incidenza di alterazioni glicemiche, con molta probabilit?, ? sottostimata.

Nonostante che i meccanismi alla base di questi effetti opposti, ipoglicemia ed iperglicemia, non siano stati chiariti, ? probabile che la Gatifloxacina provochi ipoglicemia promuovendo il rilascio di insulina e l?iperglicemia per formazione di vacuoli cellulari ( cellule beta pancreatiche ) con conseguente riduzione dei livelli di insulina.

Pertanto, ai pazienti diabetici non dovrebbe essere prescritto l?antibiotico Gatifloxacina, e la Levofloxacina dovrebbe essere impiegata con cautela. ( Xagena_2006 )

Fonte: Canadian Medical Association Journal, 2006

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l tessuto adiposo svolge funzioni endocrine

Il tessuto adiposo secerne peptidi bioattivi, chiamati adipochine, che agiscono localmente e distalmente mediante effetti autocrini, paracrini ed endocrini.

Nell?obesit?, l?incremento della produzione della maggior parte delle adipochine ha un impatto su molteplici funzioni tutte associate alla malattia cardiovascolare, come il controllo dell?appetito ed il bilancio energetico, l?immunit?, la sensibilit? all?insulina, l?angiogenesi, la pressione sanguigna, il metabolismo lipidico e l?emostasi.

Il potenziamento dell?attivit? del fattore di necrosi tumorale ( TNF ) e dell?interleuchina 6 ( IL-6 ) ? elemento importante nello sviluppo della resistenza all?insulina correlata all?obesit?.

L?angiotensinogeno ? coinvolto nell?ipertensione e l?inibitore dell?attivatore del plasminogeno ( PAI-1 ) nell?alterata fibrinolisi.

Altre adipochine come l?adiponectina e la leptina, per lo meno a concentrazioni fisiologiche, sono risparmiatrici di insulina, poich? stimolano la beta-ossidazione degli acidi grassi nel muscolo scheletrico.

Il ruolo della resistina ? meno conosciuto.
E? implicata nella resistenza all?insulina in modelli murini, ma probabilmente non nell?uomo.

La riduzione della massa del tessuto adiposo, mediante perdita di peso associata ad esercizio fisico, pu? abbassare i livelli di TNF-alfa e di IL-6 ed aumentare le concentrazioni di adiponectina, mentre i farmaci come i tiazolidinedioni incrementano la produzione endogena di adiponectina. ( Xagena_2006 )

Ronti T, et al, Clin Endocrinol 2006 ; 64 : 355-365

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Sindrome dell?ovaio policistico: l?adozione dei criteri Rotterdam 2003 ? prematu

16 Set 2006 Ginecologia

La policistosi ovarica ? stata definita secondo i criteri dei National Institutes of Health ( NIH ) nel 1990 sulla base dei seguenti disordini: 1) iperandrogenismo e/o iperandrogenemia, 2) oligo-ovulazione e 3) esclusione di disordini noti.
Alternativamente, in una conferenza di esperti tenuta a Rotterdam nel maggio 2003 la policistosi ovarica ? stata definita come la presenza di almeno 2 delle seguenti caratteristiche: 1) oligo-ovulazione o anovulazione, 2) segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo, 3) ovaie policistiche.

Sostanzialmente, la definizione del Rotterdam 2003 ? un?estensione di quella dei National Institutes of Health del 1990, individuando 2 nuovi fenotipi: 1) donne con ovulazione e con ovaio policistico ed iperandrogenismo e 2) donne oligo-anovulatorie con ovaio policistico, ma senza iperandrogenismo.

L?obiettivo dello studio, compiuto da Ricercatori del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, ? stato quello di accertare la validit? nell?impiego dei criteri Rotterdam 2003 per la diagnosi di policistosi ovarica piuttosto di quelli dei National Institutes of Health ed, in modo particolare, la proposta di definire due nuovi fenotipi per identificare la patologia.

I dati disponibili hanno indicato che le donne con normale ovulazione iperandrogeniche con ovaio policistico tendono ad avere una lieve resistenza all?insulina e minima evidenza di disfunzione ovarica, seppur in modo significativamente inferiore rispetto alle donne con policistosi ovarica anovulatoria.

Tuttavia rimane da definire se queste donne sono ad aumentato rischio di infertilit? o di complicanze metaboliche, come il diabete di tipo 2.
Il rischio di resistenza all?insulina ed i rischi metabolici nel lungo periodo nelle donne oligo-ovulatorie con ovaio policistico ? ancor meno caratterizzato, e pu? essere inesistente.

A causa della carenza di dati riguardo ai due nuovi fenotipi e alle loro implicazioni nel lungo periodo, l?adozione dei criteri Rotterdam 2003 per definire la policistosi ovarica ? considerata prematura. ( Xagena_2006 )

Azziz R, J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: 3781-3785

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Obesit? intra-addominale: un fattore di rischio per il diabete di tipo 2 e per la malattia cardiovascolare

L?accumulo di tessuto adiposo intra-addominale aumenta il rischio di diabete di tipo 2 e di malattia cardiovascolare, indipendentemente dall?adiposit? globale.

I programmi di cambiamento degli stili di vita hanno mostrato che la perdita di peso anche moderata produce benefici sul rischio cardiovascolare, quando comporta una riduzione del grasso intra-addominale.
Tuttavia, questi programmi, per aver successo, richiedono il supporto di un gruppo multidisciplinare di esperti.

Recentemente ? stato scoperto il sistema dei recettori dei cannabinoidi di tipo 1 ( CB1 ) ed il sistema degli endocannabinoidi, ed il loro impatto sulla regolazione del metabolismo energetico.

Studi clinici hanno mostrato che il Rimonabant ( Acomplia ), il capostipite dei bloccanti CB1, potrebbe essere utile nel management dei fattori di rischio per la malattia cardiovascolare nei pazienti con obesit? addominale, ad alto rischio.

Despres JP, J Endocrinol Invest 2006; 29 ( 3 Suppl ): 77-81

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Alterato metabolismo glicemico e Polineuropatia Assonale Idiopatica Cronica

La neuropatia periferica degli arti inferiori si manifesta frequentemente in soggetti adulti con sintomi aspecifici come un senso di bruciore non sempre accompagnato a parestesie. In molti pazienti la sintomatologia ? lentamente progressiva, prevalentemente sensitiva o sensitivo-motoria e all’esame elettrofisiologico ? documentabile un interessamento assonale periferico. Solo nel 7-30% dei casi ? possibile individuare la causa e la neuropatia viene classificata alltrimenti come Polineuropatia Assonale Idiopatica Cronica (PAIC).

Nei soggetti con esami strumentali normali ? ancor pi? arduo formulare una diagnosi eziologica che riconosce tra le sue cause pi? comuni il diabete mellito (DM) oltre che malattie ereditarie, esposizione a tossine e l’amiloidosi primaria. Nei casi di PAIC le alterazioni del metabolismo glicemico non diagnosticate hanno una frequenza molto pi? elevata rispetto alla popolazione normale in cui si attesta su un valore del 33% (stime del Center for Disease Control and Prevention (CDC) ) utilizzando i criteri dell’American Diabetes Association (ADA) per la diagnosi di DM e di prediabete (IFG)

In un recente lavoro apparso sugli Archives of Neurology un gruppo di ricercatori dell’Arizona ha definito la prevalenza di alterazioni del metabolismo glicemico in 100 pazienti con PAIC identificati, attraverso uno studio retrospettivo di 24 mesi, dal gennaio 2003 al gennaio 2005. I soggetti sono stati sottoposti ad una completa valutazione neurologica strumentale associata alla determinazione di glicemia a digiuno e categorizzati secondo i criteri consigliati dalle linee guida ADA (American Diabetes Association 2003) compreso un test da carico di glucosio (OGTT) per la determinazione del tipo di alterazione metabolica.

PAIC – frequenza di alterazioni metaboliche identificate con glicemia e test da carico sec. criteri ADA in 100 casi
. Glicemia a digiuno Test da carico p IC 95%
Metabolismo glicemico normale 61 38 0.001 10-35
Metabolismo glicemico alterato 39 62 0 0
IFG 36 38 0 0
DM 3 24 0 0
tratto da Hoffman-Snyder, C. et al. Arch Neurol 2006;63.

I risultati hanno mostrato una prevalenza di alterazioni del metabolismo glicemico a digiuno nel 62% dei pazienti con PAIC, valore doppio rispetto a quello della popolazione generale corrispondente per l’et?. Applicando i parametri proposti dalle linee guida ADA, la determinazione della glicemia ha permesso l’identificazione di 39 soggetti con alterato metabolismo glicemico a digiuno, dei quali 36 con IFG e 3 con DM, mentre l’OGTT ha individuato alterazioni metaboliche nel 62% dei soggetti, ponendosi come test ad elevata detection rate rispetto alla sola glicemia (p.001). Inoltre la stratificazione dei pazienti secondo i tre tipi di neuropatia (sensitiva, sensitivo-motoria e neuropatia delle piccole fibre) non ha evidenziato percentuali di anomalie metaboliche significativamente differenti tra gruppi.

In conclusione lo studio conferma che le alterazioni del metabolismo glicemico rappresentano un fattore di rischio estremamente importante per la PAIC e in questo contesto l’elevata capacit? diagnostica dell’OGTT offre al clinico uno strumento accurato e semplice per l’inquadramento dei pazienti affetti da una polineuropatia cronica degli arti inferiori ad eziologia sconosciuta. Comunque saranno necessari nuovi studi per meglio definire i nessi di causalit? tra alterazioni dei nervi periferici e alterato metabolismo glicemico.

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Carotidografia e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea

Una accurata metanalisi scioglie i primi dubbi sul confronto tra carotidografia tradizionale e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea. Secondo i dati ottenuti da un importante studio multicentrico Nord-Americano (North American Symptomatic Endarterectomy Trial), l’intervento di endoarteriectomia carotidea, purch? eseguito tempestivamente, riduce significativamente il rischio di ictus ischemico nei pazienti portatori di una stenosi superiore al 70% ma anche – bench? in misura minore – nei casi in cui l’entit? della stenosi oscilla fra il 50 e il 69%.
I maggiori studi effettuati finora sull’argomento hanno invariabilmente utilizzato come tecnica diagnostica la carotidografia con mezzo di contrasto; un esame invasivo e indiscutibilmente rischioso per il quale pu? rendersi necessario il ricovero ospedaliero con ovvie e pericolose perdite di tempo allorch? l’elevato rischio di ischemia impone una effettiva urgenza clinica per l’intervento.
A partire dalla met? degli anni ’90, lo scenario diagnostico di questa patologia ha subito una rapida evoluzione grazie alla introduzione di tecniche molto meno invasive, fra cui l’Eco-Doppler, l’Angio-TAC, l’Angio-Risonanza Magnetica e, da ultimo, l’Angio-RM con contrasto, la cui validit? e accuratezza diagnostica in questo campo non sono per? state validate secondo criteri evidence-based.

A tutt’oggi non si sa se e in quale misura le nuove tecniche possano, da sole o in associazione, essere impiegate in alternativa alla carotidografia tradizionale come test diagnostico risolutivo prima dell’intervento di endoarteriectomia. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Universit? di Edimburgo ha condotto una revisione sistematica degli studi che hanno messo a confronto l’accuratezza diagnostica delle nuove tecniche di studio della carotide con la carotidografia tradizionale con mezzo di contrasto.

Gli studi presi in considerazione, apparsi in letteratura fra il 1980 e il 2004, sono stati sottoposti ad una revisione critica molto severa da due ricercatori indipendenti e, nel caso di opinioni divergenti, giudicati da un terzo revisore, con il risultato che da un pool iniziale di 672 lavori eleggibili si ? arrivati alla analisi di 47 articoli, relativi a 41 studi pubblicati per un totale di 2541 pazienti.

I risultati sembrerebbero indicare che tutte le tecniche non invasive oggi in uso possono essere accreditate di una sensibilit? e specificit? elevate nella diagnosi della stenosi carotidea di alto grado (70-95%) nei pazienti con sintomi ischemici omolaterali, laddove l’accuratezza diagnostica si riduce sensibilmente nei casi di stenosi di grado minore (50-69%). Fra le varie tecniche, l’ Angio-RM con contrasto sembra collocarsi come l’esame di scelta per accuratezza diagnostica. Questo nonostante i dati disponibili siano ancora insufficienti e quindi relativamente poco attendibili, sia per diffusione ancora limitata di questa tecnica, sia per la tendenza a sovrastimare (connaturata negli studi-pilota eseguiti su piccoli numeri di pazienti reclutati in centri di ricerca di alto livello) il potenziale di una tecnica di recente introduzione.

I ricercatori stessi individuano alcuni limiti della revisione ne l’approssimazione metodologica che caratterizzava gran parte dei lavori esaminati (di molto superiore alle previsioni), la relativa scarsit? di pazienti anziani inclusi nelle casistiche e i dati limitati sulle stenosi di grado relativamente minore (50-69%). Queste limitazioni inducono ad una particolare cautela i ricercatori britannici che individuano come punto di partenza essenziale per i nuovi studi la definizione di una metodologia di ricerca pi? accurata i cui requisisti essenziali dovrebbero essere il confronto in cieco fra le nuove tecniche e la tecnica di riferimento, una osservazione esclusivamente di tipo prospettico e la selezione prevalente di pazienti affetti da sintomi ischemici clinicamente significativi.

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Artrite reumatoide: rischio aterosclerotico e criteri diagnostici

L’evidenza che i soggetti affetti da Artrite Reumatoide (AR) siano pi? esposti a morte cardiovascolare precoce, indipendentemente dai rischi specifici, ripropone l’attenzione sull’infiammazione quale causa aggiuntiva nel processo di aterogenesi in questi pazienti. E’ noto che nell’AR una terapia efficace richiede una diagnosi precoce e un altrettanto precoce trattamento con farmaci che modificano l’evoluzione della malattia ( DMARDs ). Questo permette di ottenere effetti significativi che incidono, a lungo termine, su morbilit? e mortalit?. L’impiego di criteri clinici da parte del MMG potrebbe facilitare il sospetto di AR e il tempestivo invio allo specialista reumatologo per la conferma diagnostica e l’inizio del trattamento che permette esiti favorevoli a lungo termine in una malattia in cui, fin dal suo esordio, ? presente un aumentato rischio aterosclerotico.
AR e aterosclerosi
In uno studio caso-controllo pubblicato sugli Annals of Internal Medicine gli autori forniscono interessanti indicazioni e nuove evidenze sui rischi cardiovascolari indotti dall’attivit? infiammatoria, anche in fase iniziale di malattia. L’analisi di 98 pazienti consecutivi e 98 controlli con un’et? media di 48 anni, valutati per il rischio cardiovascolare e con ecografia carotidea ha evidenziato, nonostante un favorevole profilo di rischio, che le placche aterosclerotiche carotidee erano presenti nel 44% dei soggetti affetti da AR rispetto al 15% dei controlli (p< 0,001). La correlazione tra AR e placca carotidea persisteva anche dopo aver considerato et?, livelli di colesterolo, fumo e presenza di ipertensione. Il valore di prevalenza predetto nel gruppo AR era 38,5% (IC 95%: 25,4 ? 53,5) e nei controlli 7,4% (IC 95%: 3,4 ? 15,2). I fattori indipendenti predittivi di placca erano l'et? (p<0.001), il fumo (p<0.014) e l'AR, considerando l'uso di inibitori del TNF (tumor necrosis factor) come un possibile marker di gravit? della malattia. Lo studio infine non ha dimostrato correlazione tra mediatori dell'infiammazione e placca, ma gli indici di flogosi sono stati valutati un'unica volta.
Questo dato e l’impianto stesso dello studio (cross-sectional) rappresentano i suoi limiti pi? evidenti. Pertanto gli autori possono affermare che la placca aterosclerotica a livello carotideo ? pi? frequente nei soggetti con AR rispetto ai controlli, ma non possono dimostrare che l’AR accelera il processo aterosclerotico. Al momento questo meccanismo rimane sconosciuto e potr? essere l’obiettivo di futuri trial clinici orientati a chiarire la relazione tra flogosi e aterosclerosi.
AR e criteri diagnostici
In un contesto di malattia precocemente evolutiva ad interessamento sistemico la diagnosi precoce di AR ? ancor di pi? cruciale per un’efficace gestione condivisa tra MMG e Reumatologo. A questo proposito lo studio di revisione di P Emery dell’Universit? di Leeds ha proposto dei criteri clinici per facilitare il MMG nell’invio allo specialista reumatologo dei nuovi casi di AR in stadio di attivit? infiammatoria iniziale. I criteri sono stati derivati da un’analisi delle conoscenze mediche in materia di tempestivit? di diagnosi, sintomi, trattamento e fattori prognostici della AR. Dall’analisi di revisione sono emerse forti evidenze a supporto dell’osservazione che il danno strutturale si instaura in fase precoce di malattia attiva. Su questa base ? corretto il rapido invio al reumatologo ogni qualvolta c’? un sospetto di AR. Questo sospetto ? motivato dai seguenti criteri:
? Tumefazione di 3 o pi? articolazioni
? Coinvolgimento delle articolazioni meta-tarsofalangee/meta-carpofalangee
? Rigidit? mattutina ≥ 30 minuti
Quindi l’osservazione attenta del paziente con AR pu? migliorare la diagnosi, permette di identificare i soggetti a maggior rischio di evolutivit? e spingere il MMG ad iniziare terapie specifiche orientate al miglioramento della prognosi di una malattia in cui l’infiammazione potrebbe essere coinvolta nel determinare un maggior rischio aggiuntivo cardiovascolare.

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