Carotidografia e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea

Una accurata metanalisi scioglie i primi dubbi sul confronto tra carotidografia tradizionale e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea. Secondo i dati ottenuti da un importante studio multicentrico Nord-Americano (North American Symptomatic Endarterectomy Trial), l’intervento di endoarteriectomia carotidea, purch? eseguito tempestivamente, riduce significativamente il rischio di ictus ischemico nei pazienti portatori di una stenosi superiore al 70% ma anche – bench? in misura minore – nei casi in cui l’entit? della stenosi oscilla fra il 50 e il 69%.
I maggiori studi effettuati finora sull’argomento hanno invariabilmente utilizzato come tecnica diagnostica la carotidografia con mezzo di contrasto; un esame invasivo e indiscutibilmente rischioso per il quale pu? rendersi necessario il ricovero ospedaliero con ovvie e pericolose perdite di tempo allorch? l’elevato rischio di ischemia impone una effettiva urgenza clinica per l’intervento.
A partire dalla met? degli anni ’90, lo scenario diagnostico di questa patologia ha subito una rapida evoluzione grazie alla introduzione di tecniche molto meno invasive, fra cui l’Eco-Doppler, l’Angio-TAC, l’Angio-Risonanza Magnetica e, da ultimo, l’Angio-RM con contrasto, la cui validit? e accuratezza diagnostica in questo campo non sono per? state validate secondo criteri evidence-based.

A tutt’oggi non si sa se e in quale misura le nuove tecniche possano, da sole o in associazione, essere impiegate in alternativa alla carotidografia tradizionale come test diagnostico risolutivo prima dell’intervento di endoarteriectomia. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Universit? di Edimburgo ha condotto una revisione sistematica degli studi che hanno messo a confronto l’accuratezza diagnostica delle nuove tecniche di studio della carotide con la carotidografia tradizionale con mezzo di contrasto.

Gli studi presi in considerazione, apparsi in letteratura fra il 1980 e il 2004, sono stati sottoposti ad una revisione critica molto severa da due ricercatori indipendenti e, nel caso di opinioni divergenti, giudicati da un terzo revisore, con il risultato che da un pool iniziale di 672 lavori eleggibili si ? arrivati alla analisi di 47 articoli, relativi a 41 studi pubblicati per un totale di 2541 pazienti.

I risultati sembrerebbero indicare che tutte le tecniche non invasive oggi in uso possono essere accreditate di una sensibilit? e specificit? elevate nella diagnosi della stenosi carotidea di alto grado (70-95%) nei pazienti con sintomi ischemici omolaterali, laddove l’accuratezza diagnostica si riduce sensibilmente nei casi di stenosi di grado minore (50-69%). Fra le varie tecniche, l’ Angio-RM con contrasto sembra collocarsi come l’esame di scelta per accuratezza diagnostica. Questo nonostante i dati disponibili siano ancora insufficienti e quindi relativamente poco attendibili, sia per diffusione ancora limitata di questa tecnica, sia per la tendenza a sovrastimare (connaturata negli studi-pilota eseguiti su piccoli numeri di pazienti reclutati in centri di ricerca di alto livello) il potenziale di una tecnica di recente introduzione.

I ricercatori stessi individuano alcuni limiti della revisione ne l’approssimazione metodologica che caratterizzava gran parte dei lavori esaminati (di molto superiore alle previsioni), la relativa scarsit? di pazienti anziani inclusi nelle casistiche e i dati limitati sulle stenosi di grado relativamente minore (50-69%). Queste limitazioni inducono ad una particolare cautela i ricercatori britannici che individuano come punto di partenza essenziale per i nuovi studi la definizione di una metodologia di ricerca pi? accurata i cui requisisti essenziali dovrebbero essere il confronto in cieco fra le nuove tecniche e la tecnica di riferimento, una osservazione esclusivamente di tipo prospettico e la selezione prevalente di pazienti affetti da sintomi ischemici clinicamente significativi.

 1,224 total views

Artrite reumatoide: rischio aterosclerotico e criteri diagnostici

L’evidenza che i soggetti affetti da Artrite Reumatoide (AR) siano pi? esposti a morte cardiovascolare precoce, indipendentemente dai rischi specifici, ripropone l’attenzione sull’infiammazione quale causa aggiuntiva nel processo di aterogenesi in questi pazienti. E’ noto che nell’AR una terapia efficace richiede una diagnosi precoce e un altrettanto precoce trattamento con farmaci che modificano l’evoluzione della malattia ( DMARDs ). Questo permette di ottenere effetti significativi che incidono, a lungo termine, su morbilit? e mortalit?. L’impiego di criteri clinici da parte del MMG potrebbe facilitare il sospetto di AR e il tempestivo invio allo specialista reumatologo per la conferma diagnostica e l’inizio del trattamento che permette esiti favorevoli a lungo termine in una malattia in cui, fin dal suo esordio, ? presente un aumentato rischio aterosclerotico.
AR e aterosclerosi
In uno studio caso-controllo pubblicato sugli Annals of Internal Medicine gli autori forniscono interessanti indicazioni e nuove evidenze sui rischi cardiovascolari indotti dall’attivit? infiammatoria, anche in fase iniziale di malattia. L’analisi di 98 pazienti consecutivi e 98 controlli con un’et? media di 48 anni, valutati per il rischio cardiovascolare e con ecografia carotidea ha evidenziato, nonostante un favorevole profilo di rischio, che le placche aterosclerotiche carotidee erano presenti nel 44% dei soggetti affetti da AR rispetto al 15% dei controlli (p< 0,001). La correlazione tra AR e placca carotidea persisteva anche dopo aver considerato et?, livelli di colesterolo, fumo e presenza di ipertensione. Il valore di prevalenza predetto nel gruppo AR era 38,5% (IC 95%: 25,4 ? 53,5) e nei controlli 7,4% (IC 95%: 3,4 ? 15,2). I fattori indipendenti predittivi di placca erano l'et? (p<0.001), il fumo (p<0.014) e l'AR, considerando l'uso di inibitori del TNF (tumor necrosis factor) come un possibile marker di gravit? della malattia. Lo studio infine non ha dimostrato correlazione tra mediatori dell'infiammazione e placca, ma gli indici di flogosi sono stati valutati un'unica volta.
Questo dato e l’impianto stesso dello studio (cross-sectional) rappresentano i suoi limiti pi? evidenti. Pertanto gli autori possono affermare che la placca aterosclerotica a livello carotideo ? pi? frequente nei soggetti con AR rispetto ai controlli, ma non possono dimostrare che l’AR accelera il processo aterosclerotico. Al momento questo meccanismo rimane sconosciuto e potr? essere l’obiettivo di futuri trial clinici orientati a chiarire la relazione tra flogosi e aterosclerosi.
AR e criteri diagnostici
In un contesto di malattia precocemente evolutiva ad interessamento sistemico la diagnosi precoce di AR ? ancor di pi? cruciale per un’efficace gestione condivisa tra MMG e Reumatologo. A questo proposito lo studio di revisione di P Emery dell’Universit? di Leeds ha proposto dei criteri clinici per facilitare il MMG nell’invio allo specialista reumatologo dei nuovi casi di AR in stadio di attivit? infiammatoria iniziale. I criteri sono stati derivati da un’analisi delle conoscenze mediche in materia di tempestivit? di diagnosi, sintomi, trattamento e fattori prognostici della AR. Dall’analisi di revisione sono emerse forti evidenze a supporto dell’osservazione che il danno strutturale si instaura in fase precoce di malattia attiva. Su questa base ? corretto il rapido invio al reumatologo ogni qualvolta c’? un sospetto di AR. Questo sospetto ? motivato dai seguenti criteri:
? Tumefazione di 3 o pi? articolazioni
? Coinvolgimento delle articolazioni meta-tarsofalangee/meta-carpofalangee
? Rigidit? mattutina ≥ 30 minuti
Quindi l’osservazione attenta del paziente con AR pu? migliorare la diagnosi, permette di identificare i soggetti a maggior rischio di evolutivit? e spingere il MMG ad iniziare terapie specifiche orientate al miglioramento della prognosi di una malattia in cui l’infiammazione potrebbe essere coinvolta nel determinare un maggior rischio aggiuntivo cardiovascolare.

 360 total views

Dall?International Journal of Epidemiology: obesit? e salute

L’Organizzazione Mondiale della Sanit? considera l’obesit? una vera e propria epidemia che sta si sta espandendo a macchia d’olio non solo nei paesi ricchi ma anche in quelli pi? poveri. L’epidemia del secolo. Il segnale d’allarme ? stato recepito dagli organi governativi di competenza, che stanno valutando quale strategia di politiche sanitarie adottare per contenere la crescita della curva dell’indice di massa corporea (BMI, body mass index ). Anche gli organi scientifici prendono in seria considerazione il problema, come dimostra il numero crescente di pubblicazioni sui fattori di rischio che stanno alla base di questa epidemia. Ma dietro questo messaggio – chiaro ed inequivocabile – ci sono troppe poche linee-guide evidence-based per la prevenzione e cura dell’obesit? che possano garantire risultati sicuri a lungo termine. Cos? scrivono Debbie Lawlor dell’Universit? di Bristol e Nish Chaturvedi dell’Imperial College al St Mary’s, nell’editoriale che introduce lo speciale dell’ International Journal of Epidemiology dedicato al problema sanitario dei chili di troppo.
Ma si tratta di un reale problema di salute pubblica o piuttosto di una questione di panico morale? Se lo chiedono il professore di legge Paul Campos dell’Universit? del Colorado, il sociologo Abigail Saguy dell’Universit? della California, il nutrizionista Paul Ernsberger dell’Universit? del Cleveland, il politologo Eric Oliver dell’Universit? di Chigago, e il fisiologo dell’attivit? fisica Glenn Gaesser dell’Universit? della Virginia. I cinque colleghi statunitensi aprono un serrato dibattito, sull’ International Journal of Epidemiology, su quanto e cosa ? noto sulla relazione obesit?, grasso e salute. Le agenzie di salute pubblica in tutto il mondo si stanno rimboccando le maniche per trovare le giuste strategie ?per mitigare la presunta malattia dell’obesit?? che sembra presentata come una delle principali cause di mortalit? nel mondo, ma non si tratta forse di un allarmismo esagerato mosso da fattori culturali e politici? Si pu? davvero parlare di epidemia?
Paul Campos e colleghi sottolineano innanzitutto che non siamo davanti a una epidemia perch? di fatto non si registra nessuna crescita esponenziale della curva del peso medio della popolazione globale. Negli Usa, ad esempio, si osserva una crescita parziale della curva del peso medio: la maggior parte della popolazione pesa solo 3-5 chili in pi? della generazione precedente. ?Un guadagno di peso medio che pu? essere spiegato con un introito di 10 calorie in pi? al giorno, pari a un Big Mac ogni due mesi!?. Nulla a che vedere con le statistiche presentate dai media, che demonizzano i cibi ipercalorici e i corpi extrasized, e con quelle delle airlines statunitensi che valutano il peso medio dei loro passeggeri pari a 90 chilogrammi.
Inoltre non ? ancora chiaro quali siano i principali effetti sulla salute globale dell’incremento della obesit? e del sovrappeso: malattie cardiovascolari, diabete, aspettativa di vita? Se si mette in relazione il famoso BMI con il rischio di insorgenza di sviluppare queste malattie o di compromettere le aspettative di vita, si riscontrano solo piccole differenze all’interno di una ampio intervallo di BMI e che la relazione pu? cambiare tra diversi sottogruppi etnici. E non ? nemmeno provato che perdere peso faccia sempre e comunque bene. Anzi diete fai-da-te come pure molte delle diete presentate bollino di qualit? (come la popolare Atkins), supplementi dietetici, la mania della magrezza hanno gravi effetti collaterali sulla salute. Quello che incide sulla qualit? della vita e sul rischio di malattia ? fondamentalmente la qualit? della vita (alimentazione sana, attivit? fisica, controllo della pressione arteriosa, ecc.).
Campos e colleghi sono dell’idea che i dati scientifici che supportano la ?guerra al grasso? sono scarsi. E che l’attenzione dei media sull’obesit? ? cresciuta esponenzialmente sia in numero (da 62 articoli pubblicati nelle Lexis-Nexis Us News Sources nel 1980 a pi? di 6500 nel 2004) sia in allarmismo esagerato (l’uso delle ?metafore allarmanti? compare in pi? della met? degli articoli). Le ragioni? Innanzitutto economiche e politiche: le industrie del benessere non solo ?influenzano? la comunicazione sui media, ma anche la ricerca clinico-scientifica. Come? Finanziando gli studi che si incentrano sulla relazione tra obesit? e salute lasciando in secondo piano altri campi della problematiche che meriterebbero maggiore attenzione; supportando le attivit? delle societ? scientifiche che promuovono l’urgenza della ?epidemia dell’obesit??. Poi vi sono i politici che tendono a ricondurre un problema sanitario che interessa l’intera popolazione e il suo impatto sui costi sanitari alla ?responsabilit? individuale? del singolo cittadino. br>
Il crescente interesse dei media ? una dimostrazione di ?panico morale?. Un fenomeno tipico di quelle fasi di rapido cambiamento sociale, che porta a un’esagerazione o falsificazione dei fattori di rischio, alla proiezione delle ansie della societ? su un gruppo stigmatizzato e ad una discriminazione di genere e di razza. Studi di sociologia rilevano che ? comune giudicare negativamente le persone in sovrappeso, ancor di pi? se di colore o delle classi socioeconomiche pi? basse; inoltre, le madri lavoratrici vengono spesso ritenute le responsabili della cattiva alimentazione dei figli e dei loro problemi con la bilancia. ?Le evidenze scientifiche dovrebbero spingere i professionisti e i politici della salute a valutare se ha senso parlare dell’BMI come di un barometro della salute pubblica?, concludono Campos e colleghi. ?E dovrebbero soffermarsi a valutare se l’idea diffusa di un’epidemia dell’obesit? non promuova invece interessi politici ed economici di certi gruppi, danneggiando coloro che vengono ingiustamente accusati o stigmatizzati?.
Uno dei membri del Childhood Programme of the International Obesity Taskforce, Tim Lobstein, interviene puntualizzando che il dibattito sull’obesit? e l’implementazione di una risposta politica non dovrebbe riguardare il panico morale ma piuttosto i diritti dell’uomo. ? necessario un approccio democratico che tenga in considerazioni anche a quelle voci non ascoltate che sono spesso colpevolizzate e oggetto dei dibattiti politici ? i poveri, i neri e le madri che lavorano.
Soowon Kim del Center on Social Disparities in Health dell’Univesit? della California, e Barry M Popkin del Department of Nutrition del North Carolina at Chapel Hill considerano la tesi di Campos e colleghi per la metodologia su cui ? stata costruita. Concordano che vi siano alcune complessit? delle relazioni complesse tra sovrappasso e problemi di salute e velati interessi economici entrano in gioco della ricerca che viene fatta e nelle relative campagne promozionali ma rigettano la teoria del panico morale e dell’isteria culturale. ?Siamo davanti a un problema di salute pubblica che merita attenzione?.

 380 total views

Tumore mammario: prevenzione recidive locali riduce mortalit

3 Set 2006 Oncologia
La radioterapia postchirurgica nel trattamento del tumore mammario riduce il tasso di recidiva locale nel corso dei cinque anni successivi, ed ogni quattro recidive locali prevenute vi ? un decesso da tumore mammario in meno nei successivi 15 anni. Ci? potrebbe risultare rilevante per le pazienti inizialmente non sottoposte a radioterapia: probabilmente offrire la radioterapia a donne che negli ultimi anni sono state libere da tumori sarebbe di scarso beneficio, ma potrebbe valere la pena in donne che negli ultimi due anni sono state sottoposte ad asportazione di noduli per tumore mammario o a mastectomia per tumori che si sono diffusi al cavo ascellare e che non sono state sottoposte a radioterapia per timore degli effetti collaterali.

 485 total views

Anoressia nervosa: terapia ossea inverte osteoporosi

2 Set 2006 Ortopedia
Bisfosfonati, calcio e vitamina D invertono efficacemente il grado dell’osteoporosi nei pazienti con anoressia nervosa. E’ noto che l’osteoporosi sia una comune complicazione medica dell’anoressia nervosa. Onde prevenire perdita d’osso e rischio di frattura in questi pazienti, ? molto importante, bench? difficoltoso, ripristinare il peso normale. Gli autori pertanto suggeriscono che il trattamento della BMD sia essenziale per mantenere una buona qualit? della vita nei pazienti con anoressia nervosa nel lungo periodo. Nello studio non sono state riscontrate differenze significative fra trattamento con bisfosfonati e quello con vitamina D.

 583 total views

Gotta: uso diuretici connesso ad attacchi ricorrenti

1 Set 2006 Ortopedia
L’uso recente di diuretici porta ad un aumento di pi? del triplo del rischio di artrite gottosa ricorrente. Pi? di 40 anni fa ? stato stabilito un legame fra uso di diuretici ed iperuricemia, ma fino ad oggi nessuno studio aveva investigato specificamente se l’uso di diuretici di fatto aumenti il rischio di attacchi gottosi ricorrenti. Data l’ampia disponibilit? di agenti alternativi efficaci per il trattamento dell’ipertensione e dello scompenso cardiaco congestizio, i medici hanno ampie possibilit? per l’individualizzazione della terapia in questa popolazione, e potrebbero ridurre il rischio di attacchi gottosi ricorrenti evitando l’uso di tiazidi e possibilmente anche di diuretici dell’ansa nei soggetti con gotta preesistente

 736 total views

Hiv: colposcopia di routine non necessaria nelle donne

Alcuni studi hanno indicato che il Pap test potrebbe essere meno accurato nelle donne con Hiv, e quindi in queste pazienti andrebbe implementata la fase diagnostica, ma lo studio dimostra il contrario. Il rischio di falsi negativi al Pap test ? massimale in presenza di conte CD4+ inferiori a 500/microl e di infezione da Hpv, ma le lesioni mancate dal Pap test sono di solito di basso grado, e seguendo le attuali linee guida per il Pap test verrebbero comunque identificate entro un anno nel 95 percento dei casi. Lo studio non supporta dunque la necessit? di una colposcopia di routine per tutte le donne con infezione da Hiv o per quelle con immunosoppressione pi? avanzata.

 795 total views

Leiomioma: efficace embolizzazione arteria uterina

L’embolizzazione dell’arteria uterina garantisce un controllo sicuro e duraturo dei leiomiomi. Il presente studio costituisce la prima ampia indagine a determinare gli esiti a lungo termine dell’embolizzazione uterina, e questi risultati sono eccellenti, con una piccola percentuale di pazienti con recidiva di formazioni fibroidi e nessun effetto negativo a lungo termine rilevabile. I risultati dopo cinque anni sono chiaramente della stessa portata di quelli della miomectomia, che ? l’altra principale terapia conservativa in uso oggi. Dato che l’embolizzazione uterina presenta una ripresa pi? semplice della miomectomia, essa rappresenta un’opzione terapeutica pi? accattivante per le donne con formazioni fibroidi sintomatiche che vorrebbero comunque mantenere il proprio utero. L’obiettivo per le ricerche future consiste nell’esplorazione del ruolo di vari fattori di crescita correlati all’angiogenesi, per i quali ? nota l’associazione con i fibroidi allo scopo di determinare il modo in cui essi potrebbero modulare le recidive. Sono anche oggetto d’indagine vari materiali embolizzanti per determinare quale di essi potrebbe garantire il maggior controllo della formazione fibroide.

 596 total views

Nuovo test ematico rileva steatoepatite non alcolica

La misurazione dei livelli plasmatici di frammenti di citocheratina-18 (CK-18) rappresenta un metodo non invasivo per differenziare la steatoepatite non alcolica (NASH) dalla semplice steatosi o dal tessuto normale. La NASH ? caratterizzata da apoptosi epatocitaria, e negli stadi tardivi della malattia, le caspasi attivate clivano il CK-18, la principale proteina filamentosa intermedia del fegato. Nella NASH, una diagnosi accurata ? importante, dato che circa un quarto dei pazienti che ne sono affetti progrediscono verso la cirrosi, l’insufficienza epatica o il carcinoma epatocellulare. Comunque, fino ad oggi, l’esame istologico di una biopsia epatica ? stato l’unico mezzo di diagnosticare una NASH e valutare la sua gravit?. Questo nuovo test non invasivo potrebbe aiutare i medici nella selezione dei pazienti per la biopsia epatica, e permetterebbe anche la valutazione non invasiva della progressione della malattia e della risposta alla terapia.

 632 total views

Encefalopatia ipossico-ischemica neonatale: nuovo semplice modello predittivo

28 Ago 2006 Ginecologia
Un semplice strumento predittivo basato su tre variabili, utilizzato entro quattro ore dalla nascita, aiuta a stimare il rischio di esiti gravemente negativi nei neonati con encefalopatia ipossico-ischemica. Questo modello dovrebbe aiutare il medico nella scelta della terapia neuroprotettiva da usare per prevenire la perdita neuronale secondaria. I tre fattori predittivi inseriti nel modello sono somministrazione della compressione toracica per pi? di un minuto, comparsa del respiro dopo 30 minuti e deficit di base superiore a 16 in uno qualsiasi degli emogas. La certezza prognostica, comunque, spesso non pu? essere ottenuta.

 2,761 total views

1 234 235 236 237 238 258

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?