Creatina e minociclina nel Parkinson iniziale.

Le due note molecole potrebbero essere capaci di rallentare l’evoluzione della MdP. notizia n.800 del 19-Mag-2006

La valutazione di farmaci potenzialmente efficaci per il trattamento anti-parkinson richiede un considerevole impiego di tempo, risorse umane e denaro, per poi magari trovare che non ne valeva la pena. Questo riguarda soprattutto la cosiddetta Fase III di ricerca clinica, dove una molecola potenzialmente interessante deve dimostrare di avere vantaggi di efficacia e tollerabilit? rispetto alle terapie gi? disponibili. A questo scopo si fanno studi di confronto di lunga durata (alcuni anni) su un’ampia popolazione di pazienti (almeno parecchie centinaia), onde ottenere risultati statisticamente validi.

Sono stati quindi disegnati i cosiddetti “studi di futilit?” di Fase II, nei quali, prima di affrontare la lunga e costosa Fase III, i farmaci candidati vengono sottoposti ad una valutazione controllata a breve termine, per vedere se superano una “soglia di futilit?” pre-determinata, al di sotto della quale essi vengono considerati “futili” e quindi abbandonati.

Questo disegno ? stato utilizzato per due molecole gi? conosciute, la creatina (un aminoacido dell’organismo) e la minociclina (un antibiotico utile contro l’acne) che in base ad alcune segnalazioni sembravano ritardare l’evoluzione della MdP in fase precoce. Duecento pazienti, diagnosticati come parkinsoniani da meno di cinque anni, ma non ancora sottoposti a terapie specifiche, sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo riceveva 10 grammi/die di creatina, il secondo 200 mg/die di minociclina e il terzo placebo (sostanza inerte non distinguibile per aspetto dai farmaci veri). La soglia di futilit? era rappresentata da una riduzione del 30% dei punteggi della Scala di valutazione pi? usata (UPDRS) dopo 12 mesi o al tempo in cui i sintomi rendessero necessaria l’istituzione di una terapia specifica.

Sia la creatina che la minociclina hanno superato la prova e dovrebbero quindi essere presi in considerazione per studi di Fase

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L?omocisteina cala ma non aiuta il cervello

Nonostante la nebulosa di incertezze che ancora circondano le conoscenze sul morbo di Alzheimer e sulle demenze in generale, alcuni punti fermi sono stati tracciati. Anche se ancora non rappresentano una vera e propria strategia terapeutica risolutiva.

Uno degli aspetti della malattia che ha rapito l?attenzione degli esperti sono i livelli di certi nutrienti nel sangue dei pazienti. Sono molti gli studi che hanno segnalato che soggetti con Alzheimer, sospetto o accertato, presentano livelli di omocisteina pi? alti rispetto a coetanei sani. In altri lavori si dimostrava che c?erano maggiori probabilit? di sviluppare la malattia nell?arco di otto anni quando le concentrazioni superavano le 14 micromoli per litro, rispetto a chi aveva livelli inferiori. Anche nello studio di Framingham, isolato un campione di circa mille persone anziane, veniva riportato un rischio doppio di ammalarsi se le concentrazioni superavano il suddetto limite.

Ipotesi omocisteina

L?ipotesi della relazione tra omocisteina e demenza risale al 1998 quando in pazienti con diagnosi istologica di morbo di Alzheimer, vennero riscontrati livelli dell?amminoacido totale effettivamente pi? alti della norma. Anche le evidenze radiologiche di lesioni della materia bianca, di infarto cerebrale silente e di atrofia della corteccia cerebrale e dell?ippocampo erano positivamente associate a elevate concentrazioni di omocisteina nonch? a danni cognitivi.

In questo contesto si inserisce un altro elemento da valutare: esiste una correlazione inversa tra le concentrazioni dell?amminoacido e le concentrazioni di vitamina B12 e di folati. La concomitanza di queste circostanze rende difficile isolare i singoli effetti di ogni nutriente, ma ? anche vero che ? stato osservato che il deficit delle due vitamine porta al danno cognitivo. Tuttavia, tra i risultati dello studio di Framingham, emergeva anche la conclusione che la concentrazione sanguigna di omocisteina ? fattore di rischio forte e indipendente per demenza e morbo di Alzheimer.

Il cervello sano non migliora

La possibilit? di abbassare il livello di omocisteina con la supplementazione di folati, con o senza vitamine B, ? un?opportunit? reale e dimostrata. In pi? occasioni si ? pensato di intervenire in questo modo nella prevenzione di insorgenza della demenza. Ma per ora non ? stato possibile dimostrarlo in modo definitivo in quanto i risultati continuano a essere contraddittori. Per esempio, in due studi randomizzati, e contro placebo della durata di quattro mesi non sono stati registrati effetti benefici nei punteggi di valutazione della prestazione cognitiva di soggetti a elevato rischio di demenza o in comunit? residenziali di persone anziane. Sospettato di essere di troppo breve durata, ? stato allestito un altro lavoro, recentemente pubblicato da New England Journal of Medicine, durato due anni condotto sempre su persone di almeno 65 anni, sane ma con livelli di omocisteina al limite: 13 micromoli per litro. Il trattamento di supplementazione con folati e vitamina B12 confrontata contro placebo, abbassava, come atteso, i livelli della sostanza, ma non modificava i risultati dei test cognitivi che restavano pressoch? uguali tra i due gruppi. Lo studio non aveva la pretesa di chiarire se la riduzione dell?omocisteina riduce il rischio di demenza, esclude l?ipotesi che questa condizione migliori le capacit? cognitive nelle persone anziane sane. Resta da capire che succede se le persone hanno gi? segni di demenza o di sospetto morbo di Alzheimer.

Simona Zazzetta

Fonte

McMahon JA et al. A controlled trial of homocysteine lowering and cognitive performance.

N Engl J Med. 2006 Jun 29;354(26):2764-72

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LA FDA HA AUTORIZZATO L?USO DEL VACCINO ANTI HPV NEGLI STATI UNITI PER LA PREVEN

5 Ago 2006 Oncologia
L’infezione genitale con i tipi 16 e 18 di HPV ? identificata come la causa del 70% dei carcinomi della cervice ed i tipi 6 ed 11 sono responsabili del 90% delle verruche genitali. Questi quattro tipi di Human Papilloma Virus (HPV) sono anche responsabili delle alterazioni cellulari che danno luogo a letture ?alterate? del Pap test. Il carcinoma della cervice uterina ? una delle principali cause di cancro nella donna, con una mortalit? annua di circa 288.000 donne in tutto il mondo.

Lo scorso 8 Giugno la FDA statunitense ha approvato l’uso del vaccino della Merck & Co., Inc. nelle donne dai 9 ai 26 anni per la prevenzione del carcinoma della cervice, lesioni precancerose (CIN ? Neoplasia Cervicale Intraepiteliale) di grado 2/3 e adenocarcinoma in situ, lesioni precancerose vulvari (VIN ? Neoplasia Vulvare Intraepiteliale) di grado 2/3, e lesioni precancerose vaginali (Neoplasia Vaginale Intraepiteliale (VaIN) di grado 2/3 causate da HPV di tipo 16 e 18. Il vaccino ? stato autorizzato all’uso anche per la prevenzione dei condilomi e delle lesioni cervicale di basso grado (CIN 1) causate da HPV dei tipi 6, 11, 16 e 18.

L’efficacia del vaccino ? stata dimostrata in quattro studi clinici randomizzati controllati con placebo in doppio cieco di fase II e III. Gli studi hanno coinvolto globalmente 20.541 donne fra i 16 e i 26 anni. Le partecipanti agli studi sono state seguite con follow-up fino cinque anni dalla data di arruolamento.

Il 1 Giugno il vaccino ? stato approvato in Messico. Sono in corso domande di registrazione presso le agenzie regolatorie di 5 continenti ed includono paesi quali Argentina, Australia, Brasile, Unione Europea, Nuova Zelanda, Singapore e Taiwan.

Il 29 Giugno Merck & Co., Inc. ha annunciato che l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) del Centers for Disease Control (CDC), ha espresso con parere unanime la raccomandazione di vaccinare con GARDASIL le ragazze e le donne dagli 11 ai 26 anni. Le raccomandazioni dell’ ACIP, un comitato di 15 esperti nel campo delle immunizzazioni che fornisce consulenza al CDC, pur non essendo vincolanti per i programmi di vaccinazione obbligatoria dei singoli stati dell’unione, vengono abitualmente implementati dalle autorit? sanitarie degli stati.

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Cardiopatie: aumento dose statine utile nei diabetici

Il trattamento dei diabetici con segni clinici di coronaropatie con statine ad alte dosi pu? diminuire il tasso di eventi cardiovascolari maggiori, del 25 percento. Nell’analisi dei dati dello studio TNT ? stato provato che l’aumento delle dosi delle statine garantisce significativi benefici clinici nei pazienti con coronaropatie stabili. In attesa di uno studio definitivo, i dati della presente indagine suggeriscono che l’uso di statine ad alte dosi volto ad ottenere un livello di LDL considerevolmente al di sotto dei 100 mg/dl potrebbe risultare appropriato nei pazienti diabetici con coronaropatie, a prescindere da livelli iniziali di LDL, et?, durata del diabete o controllo glicemico. (Diabetes Care online 2006, pubblicato il 29/5)

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Sindrome metabolica: statine stimolano sensibilit? all’insulina

Alcune statine migliorano significativamente la sensibilit? all’insulina in determinati pazienti con sindrome metabolica. Ampi studi hanno dimostrato che le statine possono ridurre l’incidenza del diabete di tipo 2, ma non era finora certo se la terapia statinica a breve termine possa influenzare la sensibilit? a breve termine alle statine nei pazienti con sindrome metabolica. Va comunque notato che alcuni dei soggetti nel presente studio non hanno risposto alla terapia: in particolare, ci? ? accaduto nei soggetti con un miglior profilo lipidico e parametri di base nel complesso pi? normali. Dunque sono i pazienti con una sindrome metabolica pi? pronunciata a poter beneficiare maggiormente della terapia statinica.

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Insufficienza cardiaca: obesit? diminuisce soglia BNP

La soglia di BNP per la diagnosi di insufficienza cardiaca dovrebbe essere ribassata nei pazienti obesi. I pazienti pi? pesanti presentano infatti livelli di BNP inferiori rispetto agli altri: bench? la maggior parte dei pazienti pesanti presentano livelli di BNP di molto superiori ai 100 pg/ml, non si dovrebbe realmente escludere la diagnosi a meno che tali livelli non siano al di sotto dei 50 pg/ml. Bench? vi siano probabilmente gi? prove sufficienti allo spostamento dei valori soglia in questi pazienti, ulteriori studi diagnostici getteranno ulteriore luce su questo punto. Per raggiungere il 90 percento di sensibilit?, la soglia di BNP deve essere aumentata a 170 pg/ml nei pazienti magri, e diminuita a 54 pg/ml in quelli gravemente o patologicamente obesi. (Am Heart J 2006; 151: 999-1005)

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Ovaio policistico: statine riducono iperandrogenemia

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Le statine migliorano i parametri endocrini e metabolici nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS). E’ stato recentemente accertato che le statine inibiscono la proliferazione e la steroidogenesi delle cellule interstiziali della teca ovarica in coltura. Gli effetti individuati nelle donne con PCOS devono essere considerati positivi, soprattutto perch? elevati livelli di testosterone e l’aumento del rapporto LH/FSH sono gli elementi chiave della disfunzione ipotalamico-pituitario-ovarica che caratterizza la PCOS. L’uso di statine in queste pazienti dovrebbe offrire una significativa protezione dalla morbidit? cardiovascolare a lungo termine in queste pazienti, anche perch? la PCOS ? associata ad altri fattori di rischio. (Fertil Steril 2006; 85: 996-1001)

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Tumori tiroidei aumentano rischio secondo tumore primario

2 Ago 2006 Oncologia
Dopo essere sopravvissuti ad un tumore della tiroide, il rischio di un secondo tumore primario ? aumentato circa del 30 percento; molti tipi di tumore primario, inoltre, risultano associati ad un aumento del rischio di susseguente tumore tiroideo. L’aumento dell’incidenza ed il miglioramento della prognosi dei tumori tiroidei , cos? come anche la loro maggiore prevalenza nei bambini, suggeriscono che secondi tumori primari sono sempre pi? probabili. I medici dovrebbero dunque mantenere un elevato indice di sospetto, sia per i secondi tumori primari a livello di una gran variet? di siti nel seguire pazienti trattati primariamente per un tumore della tiroide, sia per eventuali secondi tumori primari della tiroide stessa, soprattutto nei sopravvissuti a tumori infantili. (J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: 1819-25)

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Iperplasia prostatica benigna. Linee guida italiane

Un paziente maschio con pi? di 50 anni ha quasi una probabilit? su due di avere una iperplasia prostatica benigna (IPB). Questa patologia rispetto alla bassa mortalit? (0.3/100.000 abitanti) ha una prevalenza molto elevata di quasi il 40%. L’IPB identifica una diagnosi istologica che compendia una serie di problemi medici correlati all’ingrandimento della prostata e all’ostruzione delle vie urinarie. Questa condizione ? comunemente trattata in presenza di sintomi fastidiosi o di un rischio consistente di progressione della malattia. Le opzioni terapeutiche e chirurgiche oggi disponibili sono efficaci e producono un rilevante miglioramento della qualit? di vita dei pazienti. La condizione indispensabile che garantisce un buon trattamento ? rappresentata dalla stretta collaborazione del medico di medicina Generale (MMG) con il paziente. Questo anche in relazione al fatto che i soggetti con sintomi moderati o minimi normalmente dovrebbero essere curati dal medico di famiglia riservando l’invio allo specialista urologo solo per casi selezionati o complicati.
La recente pubblicazione nel Programma Nazionale Linee Guida (PNLG) dell’edizione ?short? delle linee guida IPB, redatte dall’Associazione Urologi Italiani (AURO), rappresenta un’opportunit? per i MMG che possono disporre di uno strumento decisionale di facile e rapida consultazione, che orienta nell’applicazione di semplici regole d’indirizzo basate sull’evidenza scientifica per un’efficace strategia diagnostico-terapeutica dell’IPB.
Diagnosi

  1. I sintomi delle basse vie urinarie (LUTS: Lower Urinary Tract Symptoms) sono di solito il segnale di una IPB [ III, IV ], quindi si dovrebbero informare gli uomini oltre i 50 anni sul loro significato e la possibilit? del loro trattamento A, tenendo presente che la IPB ? una malattia potenzialmente evolutiva [ I ] dove ? utile valutare PSA e volume prostatico A.
  2. La raccolta di una anamnesi accurata A ? fondamentale per valutare correttamente i sintomi e la qualit? di vita del paziente B.
  3. L’esplorazione rettale rappresenta il fulcro dell’esame obiettivo A.
  4. Volume prostatico e residuo post-minzionale sono parametri utili per la scelta terapeutica A.
  5. L’esame completo delle urine [ III ] ? l’esame di laboratorio pi? importante A, riservando la creatininemia [ III ] solo nei casi di sospetto interessamento delle alte vie A e il PSA [ III ] per una valutazione iniziale in soggetti con aspettativa di vita maggiore di 10 anni A.
  6. La diagnostica per immagini si avvale quasi esclusivamente dell’ ecografia sovrapubica A riservando solo nei casi di sospetto carcinoma prostatico l’ ecografia transrettale B. L’ecografia renale e l’urografia non sono considerati esami di routine, cos? come le indagini endoscopiche.
  7. Il diario minzionale e l’ uroflussometria [ III ] sono fondamentali per una valutazione iniziale B.

Terapia
Vigile attesa – riservata ai pazienti con sintomi minimi che non influenzano la qualit? di vita A.
Terapia medica ? in caso di sintomi che alterino la qualit? di vita ? possibile impiegare 4 gruppi di farmaci

  1. alfalitici: appropriati per LUTS e IPB. Migliorano i sintomi e la qualit? di vita, oltre che il flusso urinario. Effetti collaterali poco significativi A
  2. inibitori 5-α-reduttasi: appropriati per LUTS e IPB e documentato aumento del volume prostatico che determina peggioramento della qualit? di vita e aumentato rischio di ritenzione acuta di urina. Migliorano i sintomi e la qualit? di vita, oltre che il flusso urinario, riducono il volume prostatico. A
  3. terapie combinate: delle due classi precedenti nei pazienti LUTS/IPB ad alto rischio di progressione B
  4. fitoderivati e altri trattamenti: opzioni terapeutiche di dubbia provata efficacia C, E

Terapia Chirurgica ? in alternativa alla terapia medica con varie opzioni

  1. Resezione prostatica transuretrale (TURP): intervento di elezione in caso di ghiandola di volume non superiore a 40-50 ml, in complicanze correlate a IPB, in ostruzione cervico-uretrale e sintomatologia medio/severa. Migliora il punteggio sintomatologico del 70% e la qualit? di vita. Causa emorragie, sindrome da TUR, incontinenza urinaria, stenosi uretrali e disfunzioni sessuali A.
  2. Adenomectomia a cielo aperto: indicazioni simili alla TURP, cos? come l’efficacia e le complicanze (esclusa sindrome da TUR) A.
  3. Incisione cervico-prostatica transuretrale (TUIP): opzione per soggetti con ostruzione medio/severa che influenza la qualit? di vita e con volume prostatico di 20-30 ml. Efficacia simile alla TURP, minori complicanze, ma maggiori percentuali di reintervento A.
  4. Vaporizzazione prostatica transuretrale (TUVAP): risultati a breve termine simili alla TURP. Mancano studi comparativi a lungo termine. Non raccomandabile per il trattamento di LUTS/IPB D.
  5. Resezione/enucleazione prostatica con laser a olmio (HoLRP, HoLEP): da proporre a pazienti motivati ad un trattamento alternativo a quello chirurgico tradizionale. Al momento i risultati sono molto condizionati dall’esperienza dell’operatore, dalle patologie intercorrenti e dalle dimensioni della prostata B.

Terapie mini-invasive

  1. Laser (a contatto o interstiziale): proponibile a pazienti motivati C o ostruiti con importanti disturbi della coagulazione B. A breve termine i risultati sono simili alla TURP, con minori complicanze emorragiche, maggiori sintomi di riempimento e cateterizzazione. Percentuali di reintervento alte.
  2. Transurethral microwave themotherapy (TUMT): proponibile a chi vuole evitare la chirurgia e che non risponde o non tollera la terapia medica B. Controindicata nei pazienti con volume prostatico <30 ml E. Meno efficace della TURP e con una maggiore percentuale di reintervento
  3. Transurethral needle ablation (TUNA): proponibile in soggetti che vogliono evitare la chirurgia e non tollerano la terapia medica B. Se non ci sono complicanze, follow up ogni 6 mesi e quindi annualmente. Risultati soggettivi a breve termine simili alla TURP , ma a lungo termine meno efficace.
  4. Stent prostatici, trattamento con ultrasuoni focalizzati per via transuretrale (HIFU) e water induced thermitherapy (WIT): Queste metodiche sono in corso di valutazione. Rispettivamente la prima ? proponibile solo in pazienti ad alto rischio operatorio C, la seconda non ? proponibile per gli tassi alti di fallimento D, l’ultima ? senza dati che permettano di esprimere un giudizio definitivo e riservata a pazienti ad alto rischio operatorio C.

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