Tumore mammario postmenopausale: latticini diminuiscono il rischio

Il consumo di latticini riduce il rischio di tumore mammario postmenopausale. Calcio, vitamina D e latticini sono fattori altamente correlati, ciascuno dei quali ha un ruolo potenziale nella cancerogenesi mammaria. Pochi studi prospettici hanno finora esaminato queste correlazioni in donne in et? postmenopausale. I risultati del presente studio supportano l’ipotesi secondo cui il calcio assunto con la dieta e/o alcuni altri componenti dei latticini possano modestamente ridurre il rischio di tumore mammario in queste pazienti: in questo senso, ? stata osservata una pi? forte correlazione inversa con i tumori positivi al recettore per gli estrogeni, che necessita ulteriori studi. In generale, ? possibile dire che le donne in et? postmenopausale che assumono pi? calcio nella dieta e pi? latticini, principalmente da fonti a basso contenuto di grassi, presentano un minor rischio di tumore mammario, mentre l’integrazione artificiale di questi nutrienti non risulta cos? strettamente correlata al rischio in questione.
(Cancer Epidemiol Biomarker Prevent. 2005; 14: 2898-904)

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Nuove linee guida per la misurazione della pressione

14 Mag 2006 Cardiologia
La American Heart Association ha aggiornato le raccomandazioni per la misurazione della pressione. Dall’ultimo aggiornamento vi sono state grandi variazioni nelle tecnologie utilizzate per misurare la pressione, ed anche nella significativit? di diverse misurazioni. Quelle effettuate dal medico nel suo studio potrebbero in effetti risultare inaffidabili per molti pazienti, e pertanto ? in aumento l’accettazione delle misurazioni effettuate dal paziente a casa propria, nonch? quella del monitoraggio pressorio ambulatoriale nelle 24 ore. E’ in aumento anche il credito concesso ai metodi di misurazione alternativi, ma gli strumenti alternativi possono divenire inaccurati, e pertanto la calibrazione mediante uno sfigmomanometro a mercurio ? di importanza critica. La misurazione accurata della pressione ? essenziale per classificare i soggetti, per accertare i rischi correlati alla pressione e per guidare la gestione del paziente. Lo scopo di questo aggiornamento ? fornire ai medici un gruppo di raccomandazioni standard che, se seguite, dovrebbero portare ad una stima accurata della pressione.
(Hypertension. 2005; 45: 2-21)

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I farmaci anticoagulanti nella fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale ( FA ) ? la pi? comune delle aritmie cardiache con un?incidenza che aumenta all?aumentare dell?et?.
Nei soggetti con pi? di 69 anni la prevalenza di fibrillazione atriale ? compresa tra il 5 e l?8%, contro lo 0.5% nelle persone di et? compresa tra i 25 e i 35 anni.

L?ictus ed il tromboembolismo sono le principali cause di morbilit?-mortalit? associate alla fibrillazione atriale.
Alla base c?? uno stato protrombotico o di ipercoagulabilit?, associato sia ad anomalie del flusso sanguigno ( stasi striale), sia a danni endoteliali e dell?endocardio.

Nel 2001 la Cochrane ha pubblicato una revisione sistematica sulla terapia anticoagulante ed antiaggregante nella fibrillazione atriale.

Da questa analisi ? emerso che l?impiego del Warfarin ( Coumadin ) nei soggetti con fibrillazione atriale ha evitato, rispetto al placebo, 6 ictus ogni 100 pazienti trattati.
Di contro, il rischio di emorragie maggiori dopo trattamento con Warfarin ? aumentato di 2.4 volte, sempre rispetto al placebo.

Gli studi che hanno valutato l?Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) non hanno portato ad alcun risultato definitivo.

Dal confronto tra Warfarin ed Aspirina ? risultato che il Warfarin permette di evitare 2 ictus ogni 100 soggetti trattati rispetto all?impiego dell?Aspirina, con un modestissimo aumento del rischio di emorragie maggiori.

Il trattamento con Warfarin a dosaggio aggiustato ha evitato 5 ictus per ogni 100 pazienti trattati, rispetto all?Aspirina associata a basse dosi di Warfarin. L?incidenza di emorragie maggiori ? risultata sostanzialmente sovrapponibile nei due bracci di trattamento.

I risultati della revisione hanno indicato che assumendo un rischio di base pari a 45 ictus per 1000 pazienti con fibrillazione atriale/anno, l?impiego del Warfarin ? in grado di prevenire 30 ictus , causando 6 eventi emorragici maggiori, mentre l?Aspirina pu? prevenire 17 ictus, senza aumentare il rischio emorragico.

Pertanto, i soggetti ad alto rischio di ictus ( inclusi gli anziani ) possono beneficiare del trattamento con Warfarin, mentre per i soggetti a basso rischio potrebbero essere utile l?assunzione di Aspirina, anche se le evidenze non sono conclusive.

Nonostante sia chiara l?evidenza di efficacia del Warfarin nella prevenzione dell?ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, il farmaco ? poco utilizzato. Uno dei motivi dello scarso utilizzo del Warfarin ? la necessit? di uno stretto monitoraggio di valori di INR.
Allo stato attuale delle conoscenze ? considerato ottimale un range di INR compreso tra 2 e 3.

Fonte: Bollettino d?Informazione sui Farmaci, 2005

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Incontinenza fecale: utile la stimolazione del nervo sacrale

La stimolazione del nervo sacrale ? utile per l’incontinenza fecale. Quest’ultima rimane un problema terapeutico in molti pazienti in cui il trattamento conservativo fallisce e la riparazione dello sfintere non ha successo o risulta inappropriata. La stimolazione del nervo sacrale, applicata con successo per l’incontinenza urinaria, costituisce un approccio alternativo. I suoi risultati clinici appaiono eccellenti, con un tasso di successo dell’80 per cento circa, nei pazienti con un plesso sacrale neurologicamente intatto e sfintere e retto anatomicamente intatti. In base al presente studio, questa tecnica presenta un elevato grado di efficacia a breve termine, ed ? in grado di migliorare la qualit? della vita del paziente.

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I beta-bloccanti non prevengono le varici gastroesofagee nei pazienti con cirros

I beta-bloccanti non-selettivi riducono la pressione portale e prevengono l?emorragia da varici.

L?obiettivo dello studio condotto da Ricercatori del Portal Hypertension Collaborative Group ? stato quello di verificare l?efficacia dei beta-bloccanti nel prevenire le varici.

Un totale di 213 pazienti con cirrosi ed ipertensione portale ( gradiente di pressione venosa epatica minima di 6 mmHg ) ? stato assegnato in modo random a ricevere Timololo ( Blocadren ) ( n = 108 ), un beta-bloccante non-selettivo, oppure placebo ( n = 105 ) .

L?end point primario era rappresentato dallo sviluppo di varici gastroesofagee o emorragie da varici.

Nel corso del periodo osservazionale di 54.9 mesi non ? stata osservata alcuna differenza significativa nell?end point primario tra i pazienti trattati con Timololo e quelli del gruppo placebo ( 39% versus 40%, rispettivamente; p = 0.89 ) e neppure riguardo all?incidenza di ascite, encefalopatia, trapianto di fegato o morte.

Gravi reazioni avverse sono risultate pi? comuni tra i pazienti del gruppo Timololo rispetto a quelli trattati con placebo ( 18% versus 6%; p = 0.006 ).

Le varici si sono sviluppate meno frequentemente tra i pazienti con un gradiente di pressione venosa epatica inferiore a 10mmHg ed in coloro il cui gradiente ? diminuito pi? del 10% ad 1 anno.
Lo sviluppo di varici ? stato invece pi? frequente tra coloro il cui gradiente ? aumentato pi? del 10% ad 1 anno.

Questo studio ha dimostrato che i beta-bloccanti non-selettivi sono inefficaci nel prevenire le varici nei pazienti, non selezionati, con cirrosi ed ipertensione portale.

Groszmann RJ et al, N Engl J Med 2005; 353: 2254-2261

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Sindrome dell?ovaio policistico: il Pioglitazone aumenta la secrezione dell?ormo

11 Mag 2006 Ginecologia
I bassi livelli di ormone della crescita, probabilmente dovuti a resistenza all?insulina, e l?aumento della massa grassa addominale sono ben descritti nella sindrome dell?ovaio policistico.

L?ormone della crescita ha un ruolo importante sulla funzionalit? ovarica e la carenza dell?ormone della crescita pu? rappresentare un addizionale fattore patogenetico nella sindrome dell?ovaio policistico.

Ricercatori danesi hanno esaminato l?effetto del Pioglitazone ( Actos ) sui livelli dell?ormone della crescita nelle donne affette da policistosi ovarica.

Hanno preso parte allo studio 30 pazienti con sindrome dell?ovaio policistico con resistenza all?insulina.
Queste pazienti sono state assegnate in modo casuale a ricevere per 16 settimane Pioglitazone ( 30mg/die ) o placebo.

Il trattamento con Pioglitazone ha aumentato in modo significativo i livelli di ormone della crescita stimolato da GHRH ( ormone rilasciante l?ormone della crescita ) e la secrezione dell?ormone della crescita pulsatile nelle 24 ore, probabilmente migliorando in modo diretto o indiretto la sensibilit? all?insulina.

Glintborg D et al, J Clin Endocrinol Metab 2005; 90: 5605-5612

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Non c?? ancora evidenza per raccomandare la misurazione della proteina C reattiv

11 Mag 2006 Nefrologia
Diversi studi hanno mostrato, in differenti popolazioni, che un incremento modesto del livello plasmatico di proteina C reattiva ( CRP ) entro l?intervallo di riferimento, osservato in individui apparentemente sani, ? un forte predittore di futuri eventi vascolari.

Elevate concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva sono anche correlate ad un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari e di eventi cardiovascolari fatali e non fatali nei pazienti con ictus ischemico.

Queste osservazioni di carattere epidemiologico e clinico indicano che la determinazione delle concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva potrebbe essere utile come elemento aggiuntivo per la valutazione del rischio nella prevenzione primaria e secondaria di malattie cerebrovascolari e potrebbe avere un valore prognostico.

Uno studio coordinato dal Centro per la Medicina Cardiovascolare e Prevenzione della Malattia Cerebrovascolare di Sulmona ha valutato se la proteina C reattiva fosse un predittore indipendente di eventi cerebrovascolari negli individui a rischio e nei pazienti con ictus ischemico, e la sua utilit? prognostica dopo l?ictus.

La proteina C reattiva soddisfa la maggior parte dei requisiti come un nuovo predittore di rischio e predittore prognostico, ma diverse questioni attendono ulteriori conferme e chiarimenti prima che tale marcatore possa essere incluso nelle valutazioni di routine dei pazienti con ictus e nei soggetti a rischio di malattie cerebrovascolari.

Associazioni potenzialmente significative sono state stabilite tra le elevate concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva e l?aumento dell?efficacia delle terapie stabilite, con particolare riferimento alle terapia ipolipidemizzante con statine.

Allo stato attuale, non ci sono sufficienti evidenze per raccomandare la misurazione dei livelli plasmatici di proteina C reattiva nella valutazione di routine del rischio di malattie cerebrovascolari nella prevenzione primaria, poich? sono scarse le evidenze sul fatto che la rilevazione precoce, o un intervento di rilevamento, possa migliorare l?outcome.

Nella prevenzione secondaria dell?ictus, gli elevati livelli plasmatici di proteina C reattiva si aggiungono ai marcatori prognostici esistenti, ma restano da stabilire le opzioni terapeutiche specifiche.

Di Napoli M et al, Stroke 2005; 36: 1316-1329

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Promettenti risultati per il Natalizumab nel trattamento della malattia di Crohn

Due studi clinici hanno mostrato che Natalizumab ( Tysabri ), un anticorpo monoclonale anti-integrina-alfa4, pu? avere una certa efficacia nei pazienti con malattia di Crohn.

Il Tysabri ? un farmaco che ? stato sviluppato per la sclerosi multipla.
Nel corso di studi clinici 3 pazienti in trattamento con Natalizumab hanno sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva. Due di questi pazienti sono morti.

Biogen Idec ed Elan Pharmaceuticals, le due societ? che commercializzavano il farmaco, lo hanno ritirato dal mercato per motivi precauzionali.

L?effetto del Natalizumab ? stato valutato anche nei pazienti con malattia di Crohn.

Nel primo studio ENACT-1, 905 pazienti sono stati assegnati in modo random a trattamento con Natalizumab oppure placebo, nell?arco di 10 settimane.

Non sono state osservate differenze tra i due gruppi riguardo alla risposta e alla remissione della malattia.

Nel secondo studio, ENACT-2, 339 pazienti, che avevano presentato una risposta nel primo studio, hanno ricevuto Natalizumab o placebo, ogni 4 settimane per 1 anno.
I pazienti trattati con l?anticorpo monoclonale hanno presentato una maggiore risposta sostenuta ( 61% versus 28% del placebo ) e remissione ( 44% versus 26% del placebo ).

Nel corso della fase di eastensione, un paziente trattato con Natalizumab ha sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva ed ? morto.

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2005

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Promettenti risultati per il Natalizumab nel trattamento della malattia di Crohn

Due studi clinici hanno mostrato che Natalizumab ( Tysabri ), un anticorpo monoclonale anti-integrina-alfa4, pu? avere una certa efficacia nei pazienti con malattia di Crohn.

Il Tysabri ? un farmaco che ? stato sviluppato per la sclerosi multipla.
Nel corso di studi clinici 3 pazienti in trattamento con Natalizumab hanno sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva. Due di questi pazienti sono morti.

Biogen Idec ed Elan Pharmaceuticals, le due societ? che commercializzavano il farmaco, lo hanno ritirato dal mercato per motivi precauzionali.

L?effetto del Natalizumab ? stato valutato anche nei pazienti con malattia di Crohn.

Nel primo studio ENACT-1, 905 pazienti sono stati assegnati in modo random a trattamento con Natalizumab oppure placebo, nell?arco di 10 settimane.

Non sono state osservate differenze tra i due gruppi riguardo alla risposta e alla remissione della malattia.

Nel secondo studio, ENACT-2, 339 pazienti, che avevano presentato una risposta nel primo studio, hanno ricevuto Natalizumab o placebo, ogni 4 settimane per 1 anno.
I pazienti trattati con l?anticorpo monoclonale hanno presentato una maggiore risposta sostenuta ( 61% versus 28% del placebo ) e remissione ( 44% versus 26% del placebo ).

Nel corso della fase di eastensione, un paziente trattato con Natalizumab ha sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva ed ? morto.

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2005

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Ecco perch? ingrassiamo

Alcuni ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute di Boston hanno identificato un meccanismo molecolare nel fegato che spiega, per la prima volta, come il consumo di cibi ricchi di grassi saturi e acidi grassi idrogenati causi livelli elevati di colesterolo e trigliceridi nel sangue e aumenti il rischio di attacco cardiaco e di alcuni tipi di tumore. In un articolo pubblicato sul numero del 28 gennaio della rivista “Cell”, Bruce Spiegelman e colleghi scrivono che gli effetti dannosi dei grassi saturi e idrogenati vengono messi in moto nelle cellule del fegato da un interruttore biochimico, o co-attivatore, chiamato PGC-1beta.
Finora agli scienziati mancava una spiegazione dettagliata del modo in cui i grassi saturi e idrogenati provocano un aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue. Gli indizi suggerivano che fosse coinvolto il fegato, che ? responsabile della sintesi di queste sostanze nel corpo, ma la catena molecolare degli eventi dal consumo di cibi grassi fino all’accumulo di colesterolo nel sangue era sconosciuta.
“Abbiamo trovato l’anello mancante, – spiega Spiegelman – un meccanismo tramite il quale agiscono i grassi saturi e idrogenati”. Quando viene attivata dai grassi dannosi, la proteina PGC1-beta alterna il metabolismo del fegato attraverso una cascata di segnali biochimici. Il risultato ? un aumento improvviso della produzione di lipoproteine a bassissima densit? (VLDL) – precursori delle lipoproteine a bassa densit? (LDL), quelle del cosiddetto “colesterolo cattivo” – che vengono rilasciate nel flusso sanguigno.

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