Remicade nel trattamento della colite ulcerosa attiva moderato-grave

Il CHMP ( Committee for Medicinal Products for Human Use ) dell?EMEA ha raccomandato l?approvazione di una nuova indicazione per Remicade ( Infliximab ): trattamento della colite ulcerosa da moderatamente a gravemente attiva nei pazienti che hanno avuto una risposta inadeguata alla terapia convenzionale ( corticosteroidi, Mercaptopurina ( 6-MP ) o Azatioprina ), o ne sono intolleranti, o presentano una controindicazione medica per queste terapie.

Il CHMP ha analizzato i dati degli studi clinici di fase III, ACT1 ed ATC2.

Un totale di 728 pazienti con colite ulcerosa attiva che erano non-responder ad almeno un trattamento standard ( compresi i corticosteroidi, altri immunosoppressori, oppure 5-Asa [ Mesalazina ] ) sono stati arruolati nello studio ACT1 ( n = 364 ) e ACT2 ( n = 364 ).

I pazienti in ACT1 e ACT2 presentavano evidenza endoscopica di colite ulcerosa da moderatamente a gravemente attiva ( punteggio Mayo totale di 6-12 ) ed un sotto-punteggio all?endoscopia maggiore o uguale a 2.

Nello studio ACT1 i pazienti sono stati trattati con placebo, oppure con Remicade 5mg/kg o Remicade 10mg/kg alle settimane 0, 2 e 6, e poi, ogni 8 settimane fino alla 46.a settimana, con ultima valutazione alla 54.a settimana.

Nello studio ACT2 i pazienti hanno ricevuto il trattamento con placebo oppure con Remicade 5mg/kg o Remicade 10mg/kg alle settimane 0, 2 e 6, e poi ogni 8 settimane fino alla 22.a settimana , con un?ultima valutazione alla 30.a settimana.

In questi studi, le valutazioni primarie di efficacia erano basate sulla risposta clinica, definita come una riduzione dal basale del punteggio Mayo del 30% o pi?, oppure maggiore o uguale a 3 punti, accompagnata da una riduzione nel sotto-punteggio di sanguinamento rettale maggiore o uguale a 1, oppure un sotto-punteggio di sanguinamento rettale compreso tra 0 e 1, e remissione clinica, definita come un punteggio Mayo inferiore o uguale a 2 punti, con nessun sotto-punteggio singolo inferiore a 1.

Nello studio ACT1, all? 8.a settimana il 69% dei pazienti trattati con Remicade 5mg/kg ed il 62% dei pazienti trattati con Remicade 10mg/kg hanno presentato una risposta clinica rispetto al 37% dei pazienti nel gruppo placebo ( p < 0.001 per entrambi i confronti ). Nello studio ACT2, all? 8.a settimana una risposta clinica ? stata osservata nel 65% dei pazienti nel gruppo Remicade 5mg/kg e nel 69% dei pazienti nel gruppo Remicade 10mg/kg contro il 29% nel gruppo placebo ( p < 0.001 per entrambi i confronti ). La proporzione dei pazienti che ha raggiunto una risposta clinica o remissione clinica alla 8.a settimana e alla 30.a settimana negli studi ACT1 e ACT2, e alla 54.a settimana nello studio ACT1 era significativamente maggiore tra i pazienti trattati con Remicade 5mg/kg e Remicade 10mg/kg rispetto ai pazienti trattati con placebo ( p < 0.01 per tutti i confronti con placebo ). La percentuale di risposta clinica era similare tra i sottogruppi non-responsivi e responsivi ai corticosteroidi.
Per entrambi gli studi, la proporzione dei pazienti con risposta clinica sostenuta o remissione clinica sostenuta era significativamente pi? alta in ciascun gruppo Remicade che nel gruppo placebo ( p < 0.01 per tutti i confronti con il placebo.) La proporzione dei pazienti trattati con Remicade 5mg/kg e Remicade 10mg/kg che hanno raggiunto la guarigione mucosale alla 8.a settimana e alla 30.a settimana ( negli studi ACT1 e ACT2 ), e alla 54.a settimana ( studio ACT1 ) era significativamente maggiore rispetto a quella dei pazienti del gruppo placebo ( p < 0.01 per tutti i confronti con il placebo ). Inoltre, il 61% dei pazienti nello studio ACT1 ed il 51% dei pazienti nello studio ACT2 stavano ricevendo corticosteroidi al basale. Il dosaggio giornaliero medio dei corticosteroidi, al basale, era di 20mg/die in entrambi gli studi.
Tra i pazienti che al basale stavano ricevendo corticosteroidi, la proporzione di pazienti in remissione clinica, e che ha interrotto l?assunzione di corticosteroidi alla 30.a settimana, era significativamente maggiore nel gruppo Remicade 5mg/kg ( 24% per ACT1 e 18% per ACT2 ) rispetto al gruppo placebo ( 10% e 3%, rispettivamente ) ( p = 0.030 per ACT1 e p = 0.010 per ACT2 ).
Alla 54.a settimana nello studio ACT1, il 26% dei pazienti che stava ricevendo Remicade 5mg/kg era in remissione clinica ed aveva interrotto l?assunzione di corticosteroidi contro il 9% dei pazienti che ha ricevuto placebo ( p = 0.006 ).

Fonte: Schering-Plough, 2006

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Iperplasia prostatica benigna: nessuna differenza tra Serenoa repens e placebo

3 Apr 2006 Urologia

Serenoa repens ? impiegata da pi? di 2 milioni di statunitensi per il trattamento dell?iperplasia prostatica benigna.

Uno studio ha valutato l?efficacia della Serenoa repens in 225 uomini di et? superiore a 49 anni con sintomi moderato-gravi di iperplasia prostatica benigna dopo un anno di trattamento con un estratto di Serenoa repens ( 160mg due volte die ), oppure placebo.

L?end point primario era rappresentato da cambiamenti nei punteggi all?indice AUASI ( American Urological Association Symptom Index ) e nella velocit? massima del flusso urinario.

L?end point secondario comprendeva, invece cambiamenti della dimensione della prostata, del volume urinario residuo dopo svuotamento, della qualit? della vita, dei valori di laboratorio e dell?incidenza di effetti indesiderati.

Nel corso dello studio, non ? stata osservata alcuna significativa differenza tra Serenoa repens ed il placebo riguardo ai cambiamenti nei punteggi AUASI, nella velocit? massima di flusso urinario, nella dimensione della prostata, nel volume residuo dopo svuotamento, nella qualit? della vita o nei livelli sierici di PSA.

L?incidenza di effetti indesiderati ? risultata simile nei due gruppi.

In questo studio, la Serenoa repens non ha prodotto miglioramenti dei sintomi o delle misurazioni obiettive nei pazienti con ipertrofia prostatica benigna.

Bent S et al, N Engl J Med 2006; 354: 557-566

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Dapoxetina nel trattamento dell?eiaculazione precoce

La Dapoxetina, un inibitore della ricaptazione della serotonina, ? il primo farmaco sviluppato per il trattamento dell?eiaculazione precoce.

Nel corso dell?Annual Meeting dell?American Urological Association ( AUA ) ? stato presentato uno studio clinico di fase III che ha riguardato 2.614 uomini.

E? stato osservato che gli uomini che hanno assunto Dapoxetina 30 mg o 60 mg hanno presentato un tempo di latenza eiaculatoria intravaginale aumentato di 3-4 volte rispetto a coloro che sono stati trattati con placebo.

La percentuale degli uomini con eiaculazione precoce che hanno definito la propria soddisfazione sessuale come ?buona o molto buona? ? raddoppiata con Dapoxetina 30 mg ( passando dal 20,2% al 38,7% ) e 60 mg ( da 22,3% a 46,5% ).

Il pi? comune effetto indesiderato osservato ? stata la nausea, con un?incidenza del 5% nei soggetti che assumono Dapoxetina 60 mg.
Dopo assunzione del farmaco pu? anche presentarsi cefalea.

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La resistenza all?insulina ? associata a steatosi nei pazienti non diabetici con

Ricercatori dell?Universit? di Palermo hanno valutato i fattori associati alla steatosi epatica nell?epatite C cronica, genotipo 1, e l?impatto del grasso epatico sullo sviluppo di fibrosi e sulla risposta all?Interferone.

Un totale di 291 pazienti non diabetici con epatite C cronica, genotipo 1, sono stati sottoposti ad esame per la presenza di steatosi.
E? stata anche ricercata una correlazione con i dati clinici, virologici e biochimici, tra cui la resistenza all?insulina.

La resistenza all?insulina ? stata valutata mediante il punteggio HOMA ( homeostatis model assessment ).

La steatosi era classificata come, lieve ( 1-20% di epatociti coinvolti ), moderata ( 21-40% di epatociti coinvolti ) e grave ( > 40% di epatociti coinvolti ).

La steatosi ? risultata lieve nel 37.8% dei soggetti e moderata-grave nel 18.9%.

All?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave era indipendentemente associata al sesso femminile ( odds ratio, OR = 2.74 ), agli alti livelli di gamma-glutamiltransferasi ( gamma-GT; OR = 1.52 ) e punteggio HOMA ( OR = 1.076 ).

Sempre all?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave ( OR = 2.78 ) e la conta piastrinica ( OR = 0.97 ) erano predittori indipendenti di fibrosi in fase avanzata.

I pazienti con steatosi moderata-grave presentavano un odds ratio di 0.52 per la risposta virologica sostenuta rispetto ai pazienti con steatosi lieve/assente.

I dati dello studio hanno mostrato che nei pazienti europei non diabetici con epatite C, genotipo 1, a basso rischio per la sindrome metabolica, la prevalenza di steatosi era approssimativamente del 60%.

La resistenza all?insulina ? un fattore di rischio per la steatosi moderata-grave, specialmente negli uomini.

La steatosi moderata-grave ha rilevanza clinica essendo associata a fibrosi in fase avanzata e ad iporesponsivit? alla terapia antivirale.

Camma C et al, Hepatology 2006; 46: 64-71

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La dislipidemia ? comune tra le persone senza malattia cardiovascolare

Lo studio MESA ( Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis ) ha determinato la prevalenza, il trattamento ed il controllo della dislipidemia nelle donne senza malattia cardiovascolare alla luce delle raccomandazioni del Third Report of the Adult Treatment Panel ( ATP III ) del National Cholesterol Education Program.

Lo studio MESA ha coinvolto 6814 persone di et? compresa tra 45 ed 84 anni che non erano affette da malattia cardiovascolare al momento dell?ingresso nello studio ( 2000-2002 ).

Il 29.3% ( 1964/6704 ) dei partecipanti aveva dislipidemia e, di questi, il 54% ( 1060/1964 ) era in trattamento ipolipemizzante.

L?obiettivo del controllo lipidico secondo ATP III ? stato osservato nel 75.2% ( 797/1060 ) dei pazienti trattati per la dislipidemia, e nel 40.6% ( 797/1964 ) dei partecipanti con dislipidemia.

E? risultato chegli uomini, a differenza delle donne, erano meno inclini ad essere trattati e controllati.

Il controllo della dislipidemia ? stato raggiunto meno frequentemente nei gruppi a rischio cardiovascolare alto ed intermedio, che nel gruppo a basso rischio.
Tra i soggetti ad alto rischio, il 19.7% di quelli che non assumevano terapia ipolipemizzante presentava valori di calcio a livello dell?arteria coronarica maggiori di 400.

Lo studio ha riscontrato che la dislipidemia ? comune tra le persone senza malattia cardiovascolare. Secondo gli Autori, l?utilit? di inserire lo screening per il calcio a livello delle coronarie nella stratificazione del rischio e nella decisione di trattamento dovrebbe essere valutata sulla base dell?alta percentuale di persone con alti livelli di calcio in sede coronarica, non sottoposti a terapia.

Goff DC et al, Circulation 2006; 113: 647-656

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L?obesit? aumenta il rischio di malattia da reflusso gastroesofageo e le sue com

Le persone obese presentano un aumentato rischio di sviluppare malattia da reflusso gastroesofageo ( GERD ).

Ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston hanno compiuto una revisione di 9 studi clinici , che avevano esaminato l?associazione tra indice di massa corporea ( BMI ) ed i sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo.

Sei di questi studi hanno trovato associazioni statisticamente significative.

L?odds ratio dei sintomi di reflusso gastro-esofageo ? stato 1.49 per BMI compresa tra 25 e 30 kg/m2 ( persone in sovrappeso ) e 1,94 per BMI superiore a 30 kg/m2 ( persone obese ).

L?odds ratio di adenocarcinoma esofageo per BMI 25-30 kg/m2 e per BMI superiore a 30 kg/m2 ? stato 1,52 e 2,78, rispettivamente.

Da questi dati l?obesit? sembra associata ad un aumento significativo del rischio di sintomi da reflusso gastroesofageo, esofagite erosiva ed adenocarcinoma esofageo.

Il rischio per questi disordini sembra aumentare progressivamente con l?aumentare del peso.

Fonte: Annals of Internal Medicine, 2005

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Efficacia clinica della Rosuvastatina nei pazienti con diabete mellito, sindrome

30 Mar 2006 Cardiologia

Rosuvastatina ( Crestor ) riduce il colesterolo totale, il colesterolo LDL, l’apolipoproteina B, il colesterolo non HDL e i trigliceridi, e aumenta il colesterolo HDL.

Le risposte terapeutiche dopo somministrazione di Rosuvastatina sono state osservate entro una settimana, mentre la massima risposta avviene generalmente a quattro settimane e si mantiene nel lungo periodo.

Rosuvastatina ha dimostrato di essere efficace in un’ampia variet? di popolazioni di pazienti tra cui pazienti con diabete, pazienti con sindrome metabolica e pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote ed omozigote.

Lo studio STELLAR ha confrontato Rosuvastatina con altre statine in pazienti ( n = 2240 ) con ipercolesterolemia di tipo IIa e IIb.

La Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% rispetto al basale.

Inoltre, Rosuvastatina 10mg ? risultata significativamente pi? efficace nel ridurre il colesterolo LDL rispetto ad Atorvastatina 10mg, Simvastatina 10mg, 20mg e 40mg, e Pravastatina 10mg, 20mg e 40mg.

Rosuvastatina aumenta il colesterolo HDL.

Il meccanismo non ? completamente noto, anche se si ipotizza che la Rosuvastatina riduca l’attivit? del CETP, una proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo.

Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare con livelli medi di colesterolo LDL di 291mg/dl, quelli trattati con Rosuvastatina hanno presentato una riduzione del colesterolo del 47% ( alla dose di 20mg/die ) e del 55% ( alla dose di 40mg/die ) contro una riduzione nei pazienti che hanno assunto Atorvastatina del 38% ( alla dose di 20mg/die ) e del 47% ( alla dose del 40mg/die ).

La differenza tra i due trattamenti non era statisticamente significativa.

Nei pazienti con ipertrigliceridemia ( Fredrickson di tipo IIb e IV ), Rosuvastatina ha ridotto, nell’arco di 6 settimane, i livelli di trigliceridi del 21% ( alla dose di 5mg/die ).

Lo studio COMETS ha coinvolto pazienti con sindrome metabolica e livelli di colesterolo LDL maggiori o uguali a 130mg/dl dimostrando che il trattamento di 6 settimane con Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 42.7% contro il 36% dell’Atorvastatina 10mg.
I livelli di colesterolo HDL sono aumentati del 9.5% e del 5.1%, rispettivamente.

Inoltre, un numero significativamente maggiore di pazienti del gruppo Rosuvastatina 10mg ha raggiunto i target per il colesterolo LDL raccomandata dalle linee guida NCEP ATP III, rispetto ai pazienti trattati con Atorvastatina 10mg ( 83% versus 72%, rispettivamente ).
Nello studio CORALL, rivolto a pazienti con diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia, Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% contro il 41% di Atorvasttina 20mg, del 51% contro il 46% con Rosuvastatina 20mg ed Atorvastina 40mg, rispettivamente, e del 54% con Rosuvastatina 40mg contro il 48% dell’Atorvastatina 80mg.

Ferdinand KC, Expert Opin Pharmacother 2005; 6: 1897-1910

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Efficacia clinica della Rosuvastatina nei pazienti con diabete mellito, sindrome

30 Mar 2006 Cardiologia

Rosuvastatina ( Crestor ) riduce il colesterolo totale, il colesterolo LDL, l’apolipoproteina B, il colesterolo non HDL e i trigliceridi, e aumenta il colesterolo HDL.

Le risposte terapeutiche dopo somministrazione di Rosuvastatina sono state osservate entro una settimana, mentre la massima risposta avviene generalmente a quattro settimane e si mantiene nel lungo periodo.

Rosuvastatina ha dimostrato di essere efficace in un’ampia variet? di popolazioni di pazienti tra cui pazienti con diabete, pazienti con sindrome metabolica e pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote ed omozigote.

Lo studio STELLAR ha confrontato Rosuvastatina con altre statine in pazienti ( n = 2240 ) con ipercolesterolemia di tipo IIa e IIb.

La Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% rispetto al basale.

Inoltre, Rosuvastatina 10mg ? risultata significativamente pi? efficace nel ridurre il colesterolo LDL rispetto ad Atorvastatina 10mg, Simvastatina 10mg, 20mg e 40mg, e Pravastatina 10mg, 20mg e 40mg.

Rosuvastatina aumenta il colesterolo HDL.

Il meccanismo non ? completamente noto, anche se si ipotizza che la Rosuvastatina riduca l’attivit? del CETP, una proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo.

Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare con livelli medi di colesterolo LDL di 291mg/dl, quelli trattati con Rosuvastatina hanno presentato una riduzione del colesterolo del 47% ( alla dose di 20mg/die ) e del 55% ( alla dose di 40mg/die ) contro una riduzione nei pazienti che hanno assunto Atorvastatina del 38% ( alla dose di 20mg/die ) e del 47% ( alla dose del 40mg/die ).

La differenza tra i due trattamenti non era statisticamente significativa.

Nei pazienti con ipertrigliceridemia ( Fredrickson di tipo IIb e IV ), Rosuvastatina ha ridotto, nell’arco di 6 settimane, i livelli di trigliceridi del 21% ( alla dose di 5mg/die ).

Lo studio COMETS ha coinvolto pazienti con sindrome metabolica e livelli di colesterolo LDL maggiori o uguali a 130mg/dl dimostrando che il trattamento di 6 settimane con Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 42.7% contro il 36% dell’Atorvastatina 10mg.
I livelli di colesterolo HDL sono aumentati del 9.5% e del 5.1%, rispettivamente.

Inoltre, un numero significativamente maggiore di pazienti del gruppo Rosuvastatina 10mg ha raggiunto i target per il colesterolo LDL raccomandata dalle linee guida NCEP ATP III, rispetto ai pazienti trattati con Atorvastatina 10mg ( 83% versus 72%, rispettivamente ).
Nello studio CORALL, rivolto a pazienti con diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia, Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% contro il 41% di Atorvasttina 20mg, del 51% contro il 46% con Rosuvastatina 20mg ed Atorvastina 40mg, rispettivamente, e del 54% con Rosuvastatina 40mg contro il 48% dell’Atorvastatina 80mg.

Ferdinand KC, Expert Opin Pharmacother 2005; 6: 1897-1910

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Infarto miocardico o morte per cause coronariche nelle donne in post-menopausa:

28 Mar 2006 Cardiologia

I risultati di recenti studi clinici randomizzati, non hanno fornito alcuna evidenza dell?effetto protettivo degli estrogeni equini coniugati associati a Medrossiprogesterone nei confronti della malattia coronarica nelle donne in post-menopausa.

I Ricercatori del Women?s Health Iniziative hanno valutato l?effetto degli estrogeni sulla protezione coronarica.

Un totale di 10.739 donne di et? compresa tra 50 e 79 anni al basale ( et? media, 63.6 anni ), precedentemente sottoposte ad isterectomia, sono state assegnate in modo casuale ad assumere gli estrogeni equini coniugati ( 0.625mg/die ) oppure il placebo, in 40 centri degli Stati Uniti a partire dal 1993.

L?end point primario di efficacia comprendeva l?infarto miocardico o la morte per cause coronariche.

Lo studio ? stato interrotto precocemente dopo 6.8 anni di follow-up ( periodo osservazionale pianificato: 8.5 anni ).

Tra le donne assegnate al trattamento con estrogeni equini coniugati ci sono stati 201 eventi coronarici contro i 217 eventi tra le donne assegnate al placebo ( hazard ratio, HR = 0.95 ).

Tra le donne di et? compresa tra i 50 e i 59 anni al basale, l?hazard ratio ( rapporto tra i rischi ) per l?end point primario ? stato 0.63.
In questo gruppo di et?, le donne assegnate a ricevere estrogeni equini coniugati hanno mostrato un minore ricorso alla rivascolarizzazione coronarica ( HR = 0.55 ).

I dati dello studio hanno mostrato che gli estrogeni equini coniugati non forniscono nessuna protezione contro l?infarto miocardico o la morte cardiaca nelle donne in post-menopausa durante il periodo d?impiego di 7 anni.
E? stata osservata un a minore incidenza di malattia coronarica quando gli estrogeni equini coniugati erano assunti dalle donne di et? compresa tra 50 e 59 anni al basale.

Hsia J et al, Arch Intern Med 2006; 166: 357-365

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La terapia con statine e beta-bloccanti riduce il rischio di infarto miocardico

27 Mar 2006 Cardiologia

L?aterosclerosi coronarica si sviluppa lentamente nell?arco di decenni, ma ? caratterizzata da improvvisi episodi instabili.
I pazienti che presentano malattia coronarica instabile ( es. infarto miocardico acuto ) possono differire dai pazienti con malattia coronarica relativamente stabile ( es. angina da sforzo ).

Ricercatori dello studio ADVANCE ( Atherosclerotic Disease, Vascular Function and Genetic Epidemiology ) hanno esaminato se l?impiego di un farmaco o le caratteristiche del paziente potessero influenzare il modo di presentazione clinica iniziale della malattia coronarica.

Sono stati presi in considerazione soggetti adulti alla prima presentazione clinica della malattia coronarica: infarto miocardico acuto ( n = 916 ) o angina da sforzo stabile ( n = 468 ).

Rispetto ai pazienti con angina da sforzo stabile, i pazienti con infarto miocardico acuto erano con maggiore probabilit? di sesso maschile, fumatori, fisicamente inattivi ed ipertesi, ma avevano una minore probabilit? di storia familiare di malattia coronarica.

I pazienti con infarto miocardico avevano una minore probabilit? di assumere le statine ( 19.3% versus 40.4%; p < 0.001 ) e beta-bloccanti ( 19% versus 47.7%; p < 0.001 ) rispetto ai pazienti con angina da sforzo. Dopo aggiustamento per potenziali confondenti, l?impiego recente di statine ( odds ratio, OR = 0.45 ) e di beta-bloccanti ( OR aggiustato = 0.26 ) era associato ad una minore probabilit? di presentare infarto miocardico. Lo studio ha mostrato che l?assunzione di statine e beta-bloccanti ? associata ad un pi? basso rischio di andare incontro ad infarto miocardico acuto piuttosto che ad angina da sforzo. Go AS et al, Ann Intern Med 2006 ; 144 : 229-238

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