Ricercatori del Cardiff Research Consortium in Gran Bretagna hanno confrontato la sopravvivenza e gli outcome ( esiti ) avversi dei pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare trattati o non trattati con il Warfarin ( Coumadin ).
Lo studio ha riguardato 6.108 pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare. Di questi, il 36.4% stava assumendo l?anticoagulante Warfarin.
La sopravvivenza media nel gruppo trattato con Warfarin ? stata di 52 mesi contro i 38.2 mesi nel gruppo che non aveva assunto il Warfarin ( p < 0.001 ).
I pazienti trattati con Warfarin e con valori INR nel quintile superiore hanno presentato una pi? lunga sopravvivenza ( 57.5 mesi ), rispetto a coloro che erano nel pi? basso quintile ( 38.1 mesi; p < 0.001 ).
Il rischio di ictus nel gruppo Warfarin era pi? basso rispetto al gruppo non trattato ( relative rate, RR = 0.74; p < 0.001 ).
Il rischio di morte per ictus ischemico ? stato pi? basso nel gruppo Warfarin ( RR = 0.43; p< 0.001 ), cos? come il rischio di eventi ischemici ed embolici rispetto ai soggetti che non assumevano l?anticoagulante ( RR = 0.74; p < 0.001 ).
L?assunzione di Warfarin era associata ad un maggiore rischio di sanguinamento ( RR = 1.78; p = 0.001 ).
I pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare entro il range raccomandato di INR ( 2-3 ) presentano un pi? lunga sopravvivenza ed una ridotta morbilit?. Dallo studio emerge che troppo pochi pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare sono trattati con il Warfarin.
Il NICE ( National Institute for Clinical Excellence ) ha presentato le linee guida riguardo alla prevenzione secondaria delle fratture da fragilit? osteoporotica nelle donne in postmenopausa, che hanno subito una frattura osteoporotica, clinicamente evidente.
Le lineeguida sono rivolte al trattamento delle donne in postmenopausa che hanno normali livelli di calcio e/o di vitamina D. Inoltre non viene contemplato il trattamento dell?osteoporosi indotta dai corticosteroidi.
I bisfosfonati ( Alendronato, Etidronato, Risedronato ) sono raccomandati come opzioni di trattamento per la prevenzione secondaria delle fratture da fragilit? osteoporotica:
– nelle donne di 75 anni d?et? ed oltre senza la necessit? di un DEXA ( densitometria ossea a doppia energia );
– nelle donne di et? compresa tra 65 e 74 anni se la presenza di osteoporosi ? confermata dal DEXA;
– nelle donne di et? inferiore ai 65 anni, se hanno una densit? minerale ossea molto bassa con T -score di circa ? 3 SD o inferiore, o se hanno osteoporosi ed uno o pi? fattori di rischio et? indipendenti, come: basso indice di massa corporea ( < 19 Kg/m2 ), storia familiare ( madre ) di frattura dell?anca prima dei 75 anni, menopausa prematura non trattata, disturbi non associati a perdita ossea ( malattia intestinale infiammatoria cronica, artrite reumatoide, ipertiroidismo, malattia celiaca ), condizioni associate a prolungata immobilit?.
Il Raloxifene ( Evista ) ? raccomandato come trattamento alternativo nel caso esista controindicazione ai bifosfonati, o una risposta non adeguata, o un?intolleranza.
La Teriparatide ( Forteo/Forsteo ) ? raccomandata come opzione terapeutica nelle donne di 65 anni d?et?, o pi? anziane, che hanno una risposta non soddisfacente al trattamento con bifosfonati o sono intolleranti a questi, e che:
– hanno una densit? minerale ossea estremamente bassa ( T-score di circa ? 4 SD o inferiore ) oltre a fratture multiple ed uno o pi? fattori di rischio et?-indipendente, come: indice di massa corporea < 19 kg/m2, storia familiare ( madre ) di frattura dell?anca prima dell?et? dei 75 anni, menopausa prematura non-trattata, condizioni associate con l?immobilit? prolungata.
L?intolleranza ai bisfofonati ? definita come: ulcerazione esofagea, erosione o gravi sintomi del tratto gastrointestinale inferiore.
Fonte: NICE
La sindrome metabolica consiste di molteplici fattori di rischio di origine metabolica, tra loro correlati, che sembrano promuovere lo sviluppo della malattia cardiovascolare aterosclerotica.
I fattori di rischio metabolici comprendono: dislipidemia aterogenica ( elevate concentrazioni di trigliceridi ed apolipoproteina B, particelle LDL di piccole dimensioni e bassi livelli di colesterolo HDL ), elevata pressione sanguigna, elevata glicemia, stato protrombotico, stato proinfiammatorio.
I fattori di rischio sottostanti che possono precipitare la sindrome metabolica sono l?obesit? addominale e la resistenza all?insulina. Altre condizioni associate sono: l?inattivit? fisica, l?et?, lo sbilanciamento ormonale e la predisposizione genetica ed etnica.
Diagnosi clinica
Nel 2001, il National Cholesterol Educational Program ( NCEP ) Adult Treatment Panel III ( ATP III ) ha proposto una semplice serie di criteri diagnostici basati su comuni misure cliniche comprendenti: circonferenza del giro vita, trigliceridi, colesterolo HDL, pressione sanguigna e glicemia a digiuno. La presenza di alterazioni in 3 di queste 5 misure costituisce una diagnosi di sindrome metabolica.
I criteri diagnostici NCEP-ATP III per la sindrome metabolica sono i seguenti:
– elevata circonferenza del giro vita: maggiore o uguale a 102cm negli uomini e 88cm nelle donne;
– elevati livelli di trigliceridi: maggiore o uguale a 150mg/dl ( 1.7mmol/l );
– ridotti livelli di colesterolo HDL: minore di 40mg/dl ( 1.03mmol/l ) negli uomini e di 50mg/dl ( 1.3mmol/ ) nelle donne;
– elevata pressione sanguigna: maggiore o uguale a 130mmHg per la pressione sistolica ed 85mmHg per la pressione diastolica;
– elevata glicemia a digiuno: maggiore o uguale a 100mg/dl.
L?International Diabetes Federation ( IDF ) ha proposto una serie di criteri clinici che sono simili ai criteri ATP III aggiornati. Infatti, i valori soglia sono identici per quanto riguarda i trigliceridi, il colesterolo HDL, la pressione sanguigna e la glicemia. La principale differenza ? rappresentata dalla circonferenza del giro vita, i cui valori dovrebbero essere aggiustati per i diversi gruppi etnici. Secondo i criteri IDF, l?obesit? addominale incorpora sia il concetto di obesit? sia di resistenza all?insulina.
Management clinico
L?obiettivo primario del management clinico della sindrome metabolica ? ridurre il rischio di malattia aterosclerotica clinica. Inoltre, un obiettivo strettamente correlato ? quello di ridurre il rischio di diabete mellito di tipo 2 in quei pazienti che non hanno ancora i segni manifesti della malattia.
Riguardo alla riduzione degli eventi della malattia cardiovascolare aterosclerotica, gli interventi di prima linea sono quelli di ridurre i principali fattori di rischio: evitare di fumare sigarette e ridurre il colesterolo LDL, la pressione sanguigna ed i livelli di glicemia agli obiettivi raccomandati.
La scelta, e l?intensit?, degli interventi finalizzati a ridurre i fattori di rischio dipende in parte dal rischio assoluto dei pazienti.
I pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica e diabete sono ad alto rischio nel breve periodo ( entro 10 anni ) e richiedono intervento intensivo.
Per i soggetti senza malattia cardiovascolare aterosclerotica e diabete il rischio a 10 anni dipende dal punteggio di Framingham.
Il rischio nel lungo periodo per i pazienti con sindrome metabolica ? elevato senza riguardo al punteggio di Framingham.
Pertanto, il rischio nel lungo periodo deve essere considerato un?alta priorit? per il management clinico delle persone con sindrome metabolica.
Nel management del rischio di lungo periodo, cos? come per quello di breve periodo, il cambiamento dello stile di vita rappresenta l?intervento di prima linea per ridurre i fattori di rischio metabolici.
I principali interventi sullo stile di vita comprendono: perdita di peso nei soggetti obesi o in soprappeso, aumentata attivit? fisica e cambiamento della dieta aterogenica.
Per gli individui a maggior rischio a 10 anni devono essere prese in considerazione anche terapie specifiche. L?intensit? della terapia deve essere commisurata allo stato di rischio a 10 anni.
Dislipidemia aterogenica
Il trattamento della dislipidemia aterogenica segue le raccomandazioni delle linee guida NCEP. Il target primario della terapia ipolipemizzante ? rappresentato dal colesterolo LDL. Il livello di colesterolo LDL deve essere ridotto come raccomandato dalle linee guida NCEP, in base alla categoria di rischio.
Quattro categorie di rischio a 10 anni per la malattia cardiaca sono state identificate per la terapia di riduzione del colesterolo LDL: alto rischio ( > 20% ), moderatamente ad alto rischio ( 10-20%, con 2 o pi? fattori di rischio ) e basso rischio ( inferiore al 10%, con o senza alcun fattore di rischio ). Le linee guida NCEP raccomandano come target i seguenti livelli di colesterolo LDL: alto rischio ( livelli inferiori a 100mg/dl [ opzionale, < 70mg/dl ] ), moderatamente alto rischio ( livelli inferiori a 130mg/dl [ opzionale, < 100mg/dl ] ), rischio moderato ( livelli inferiori a 130mg/dl ), basso rischio (livelli inferiori a 160mg/dl ).
Per i livelli di trigliceridi maggiori o uguali a 200mg/dl, il colesterolo non-HDL rappresenta un target secondario di trattamento dopo aver raggiunto l?obiettivo primario rappresentato dal colesterolo LDL; l?obiettivo colesterolo non-HDL ? 30mg/dl pi? alto di quanto specificato per il colesterolo LDL.
Se i livelli di trigliceridi sono maggiori o uguali a 500mg/dl, la riduzione dei trigliceridi a valori inferiori a 500mg/dl deve rappresentare l?obiettivo primario, anche rispetto alla riduzione del colesterolo LDL, in modo da evitare il rischio di pancreatite acuta.
Dopo che il target di colesterolo LDL e colesterolo non-HDL ? stato raggiunto un terzo obiettivo ? rappresentato dal colesterolo HDL.
Per alcuni individui pu? essere necessario l?impiego di farmaci ipolipemizzanti, come statine, Ezetimibe, sequestranti gli acidi biliari. Altri farmaci che possono produrre moderate riduzioni del colesterolo LDL sono: Acido Nicotinico, fibrati. Deve essere usata precauzione nell?uso contemporaneo dei fibrati ( in modo particolare del Genmfibrozil ) con le statine per un aumentato rischio di grave miopatia.
I fibrati o l?Acido Nicotinico rappresentano la terapia di prima linea per i pazienti con grave ipertrigliceridemia.
Elevata pressione sanguigna
Per i soggetti con pressione sanguigna con valori compresi nel range di pre-ipertensione ( 120-139/80-90 mmHg ), il cambiamento dello stile di vita pu? essere sufficiente a modificare la pressione sanguigna.
A pi? alti valori pressori ( maggiori o uguali a 140/90 mmHg ) si dovrebbe far ricorso al trattamento farmacologico secondo le indicazioni delle linee guida.
Nei soggetti con diabete o malattia renale cronica ? raccomandata la riduzione della pressione sanguigna a valori inferiori a 130/80 mmHg con eventuale impiego di farmaci.
Elevata glicemia
In presenza di alterata glicemia a digiuno, la progressione a diabete mellito di tipo 2 pu? essere ritardata o prevenuta mediante cambiamenti dello stile di vita, specialmente riduzione di peso ed aumentata attivit? fisica.
Attualmente, le terapie farmacologiche atte a ridurre la glicemia o la resistenza all?insulina non sono raccomandate per i pazienti con alta glicemia a digiuno.
Una volta che il diabete si ? sviluppato, la terapia farmacologica ? spesso raccomandata per raggiungere i target fissati dell?American Diabetes Association per quanto riguarda l?emoglobina glicosilata ( HbA1c ) ( < 7% ).
Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, oltre ai cambiamenti dello stile di vita, dovrebbero anche essere prese in considerazione terapie farmacologiche per la dislipidemia aterogenica e l?ipertensione.
Stati protrombotici e proinfiammatori
La maggior parte degli individui con sindrome metabolica presenta uno stato protrombotico caratterizzato da aumenti del PAI-1 e del fibrinogeno.
Sebbene non ci siano specifiche terapie disponibili a trattare queste anomalie, l?impiego dell? Aspirina a basso dosaggio pu? essere raccomandata nei pazienti con sindrome metabolica che presentano un rischio a 10 anni di malattia coronarica, superiore o uguale al 10%, ed anche nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 o con malattia cardiovascolare aterosclerotica.
Nei pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica in cui l?Aspirina ? controindicata, si dovrebbe impiegare il Clopidogrel.
Inoltre, la sindrome metabolica ? frequentemente accompagnata da uno stato proinfiammatorio, caratterizzato da aumenti dei livelli di proteina C-reattiva.
Al momento, non esiste alcuna specifica terapia farmacologica in grado di ridurre lo stato proinfiammatorio; tuttavia, diversi farmaci che trovano impiego nel trattamento di altri fattori di rischio metabolico possono anche ridurre i livelli di proteina C reattiva.
Fonte: Circulation, 2005
La supplementazione con vitamina D nelle donne in gravidanza potrebbe portare ad una riduzione di lunga durata delle fratture osteoporotiche nei loro bambini.
L?insufficienza di vitamina D ? comune nelle donne in et? di partorire un bambino.
Ricercatori del Southampton General Hospital ( UK ) hanno studiato 198 bambini nati nel periodo 1991-1992.
L?alimentazione e la supplementazione di vitamina D delle madri sono state misurate durante la gravidanza. I bambini sono stati seguiti fino a 9 anni e le caratteristiche materne sono state correlate alle dimensioni corporee e alla massa ossea.
Le donne che hanno preso supplementi di vitamina D e le donne esposte a pi? alti livelli di sole in gravidanza avevano una minore probabilit? di andare incontro a carenza di vitamina D.
La somministrazione di vitamina D durante il periodo invernale nelle donne in gravidanza , quando i livelli di luce solare sono bassi, potrebbe indurre la formazione di ossa pi? forti nei bambini.
Secondo Cyrus Cooper dell?MRC Epidemiology Resource Center al Southampton General Hospital, queste scoperte forniscono evidenza circa il fatto che lo status materno di vitamina D durante la gravidanza influenza la crescita delle ossa nella prole ed il successivo rischio di osteoporosi.
Ricercatori dell?Alberta University, in Canada, hanno condotto una revisione sull?efficacia e sulla sicurezza della Melatonina esogena nel trattamento dei disturbi secondari del sonno e nel jet lag.
Una meta-analisi che ha preso in considerazione 16 studi clinici, che hanno coinvolto pi? di 500 soggetti, ha valutato l?effetto della Melatonina sui disturbi del sonno provocati da condizioni mediche, da viaggi aerei o da lavoro a turni.
Il risultato dello studio non ha evidenziato alcuna efficacia della Melatonina nei disturbi secondari del sonno e nei disturbi da restrizione del sonno ( jet lag, disturbi da turni di lavoro ).
Nel breve periodo la Melatonina si ? dimostrata sicura, ma mancano studi di sicurezza nel lungo periodo.
I supplementi multivitaminici e minerali non appaiono prevenire le infezioni nei soggetti anziani.
Almeno il 10% degli anziani ha una deficienza vitaminica o minerale che pu? alterare il sistema immunitario, e sono ad aumentato rischio di infezione.
In Gran Bretagna, almeno un quarto degli anziani assume supplementi nutrizionali, ma non ? chiaro se questi hanno qualche influenza sulle infezioni.
Ricercatori dell?Aberdeen University hanno identificato 910 uomini e donne ,di 65 anni o pi?, che non prendevano vitamine o minerali.
I soggetti sono stati assegnati in modo random ad un supplemento multivitaminico e multiminerale, o a placebo per un anno.
La supplementazione non ha ridotto le visite dal medico a causa delle infezioni, il numero di giorni trascorsi con l?infezione, e non ha migliorato la qualit? della vita.
L?assunzione con la dieta di pesce e di Acidi Grassi Omega-3 ? stata associata a pi? basso rischio di malattia di Alzheimer e di ictus.
Ricercatori del Rush University Medical Center di Chicago hanno esaminato se l?assunzione di pesce o di acidi grassi omega-3 fosse in grado di proteggere dal declino cognitivo associato all?et?.
Hanno preso parte allo studio soggetti di 65 anni ed oltre, partecipanti al Chicago Health and Aging Project.
I punteggi cognitivi si sono ridotti in media di 0.04 unit? standardizzate per anno ( SU/anno ).
L?assunzione di pesce era associata ad un pi? lento declino cognitivo.
E? stato osservato che il declino cognitivo era il 10% pi? lento tra le persone che consumavano pesce una volta alla settimana, e del 13% pi? lento tra le persone che hanno consumato pesce 2 o pi? volte alla settimana.
I dati dello studio hanno confermato che l?assunzione di pesce ? associata ad un rallentamento del declino cognitivo legato all?et?.
E? stato riscontrato un legame epidemiologico tra epatite C cronica e diabete mellito di tipo II.
L?obiettivo dei ricercatori della Mayo Clinic and Foundation di Rochester ? stato quello di determinare in modo prospettico la prevalenza di diabete mellito in pazienti naive per l?Interferone, affetti da epatite C, rispetto alla popolazione generale. Inoltre, ? stata determinata l?associazione tra diabete mellito ed alterazione del glucosio a digiuno con lo stadio istologico nei pazienti infettati dal virus dell?epatite C ( HCV ).
Sono stati inclusi nello studio prospettico 179 pazienti, arruolati in modo consecutivo.
La percentuale grezza di diabete mellito nella coorte ? stata del 14.5%, a differenza della percentuale grezza del 7.8% nella popolazione generale ( p = 0.0008 ) e della percentuale di 7.3% osservata in un gruppo di controllo con malattia epatica differente dall?epatite C .
La prevalenza di diabete mellito e di alterazione del metabolismo del glucosio a digiuno ? risultata pi? elevata tra i pazienti con infezione da HCV con malattia istologicamente avanzata, rispetto a quelli con malattia istologicamente precoce ( p = 0.0004 ).
La malattia istologicamente avanzata era in grado di preannunciare la prevalenza di diabete mellito e di alterazione del metabolismo del glucosio a digiuno, dopo controlli per altri fattori di rischio identificati per il diabete mellito.
La storia familiare ? risultata essere il solo altro fattore indipendente di predizione di diabete mellito e di alterazione del metabolismo del glucosio a digiuno nei pazienti con infezione da HCV.
In conclusione, i pazienti con epatite C hanno una pi? alta prevalenza di diabete mellito rispetto alla popolazione generale. La presenza di una malattia diagnosticata come avanzata all?esame istologico nei pazienti con HCV geneticamente predisposti ? correlata con una pi? alta prevalenza di diabete mellito e alterazione del metabolismo del glucosio a digiuno. Il diabete mellito e l?alterazione del metabolismo del glucosio a digiuno non sono associati a marcatori antropomorfici di obesit? nei pazienti affetti da epatite C, indicando un?unica patogenesi multifattoriale del diabete mellito nei pazienti con infezione da HCV.
Nelle nefropatie croniche, l?inibizione dell?enzima di conversione dell?angiotensina ( Ace ) produce un effetto nefroprotettivo.
I Ricercatori del Mario Negri di Bergamo hanno valutato l?effetto del controllo pressorio convenzionale rispetto a quello intensivo sulla progressione alla malattia renale all?ultimo stadio.
Lo studio ha coinvolto pazienti con nefropatia proteinurica non-diabetica, che stavano assumendo un trattamento con l?Ace inibitore Ramipril ( Triatec ) ( 2,5-5 mg/ die ).
I pazienti sono stati assegnati in modo random al controllo della pressione sanguigna convenzionale ( pressione diastolica: < 90 mmHg; n = 169 ) o intensiva ( pressione sistolica/diastolica: < 130/80 mmHg; n = 169 ).
Per raggiungere il livello ?intensivo? di pressione sanguigna, i pazienti hanno ricevuto una terapia aggiuntiva con un calcioantagonista diidropiridinico.
L?end point primario era il tempo alla malattia renale all?ultimo stadio.
Durante il periodo di follow-up medio di 19 mesi, nel 23% dei pazienti assegnati al controllo pressorio ?intensivo? e nel 20% di quelli allocati al controllo convenzionale, ? stata osservata una progressione a malattia renale all?ultimo stadio ( hazard ratio, HR= 1 ).
I dati di questo studio hanno indicato che i pazienti con nefropatia proteinurica non-diabetica, trattati con un Ace inibitore, non hanno tratto beneficio aggiuntivo dalla somministrazione di un calcioantagonista diidropiridinico.
Ruggenenti P et al, Lancet 2005; 365: 939-946
Un aumentato consumo di frutta e verdura ? risultato associato ad un ridotto rischio di ictus nella maggior parte degli studi epidemiologici.
Ricercatori della St. George?s University ( UK ) e della Deakin University (Australia ) hanno valutato in modo quantitativo la relazione tra l?assunzione di frutta e verdura e l?incidenza di ictus in una meta-analisi di studi di coorte.
Otto studi, che descrivevano 9 coorti indipendenti, hanno incontrato i criteri di inclusione. La popolazione di questi studi era costituita da 257.551 soggetti con 4.917 eventi ictali.
Il periodo di follow-up ( osservazionale ) medio ? stato di 13 anni.
Rispetto ai soggetti con meno di 3 porzioni di frutta e verdura al giorno, il rischio relativo pooled ( raggruppato ) di ictus ? stato 0.89 per coloro che hanno assunto da 3 a 5 porzioni al giorno, e 0.74 per coloro che, invece, hanno assunto pi? di 5 porzioni al giorno.
L?analisi dei sottogruppi ha mostrato che la frutta e la verdura presentano un significativo effetto protettivo riguardo all?ictus emorragico e all?ictus ischemico.
I risultati dello studio forniscono sostegno alle raccomandazioni di consumare pi? di 5 porzioni di frutta e verdura al giorno con l?obiettivo di ridurre l?incidenza di ictus.