L’endocardite batterica (EB) rappresenta un evento raro, ma pericoloso per la vita nonostante i progressi della terapia antibiotica, chirurgica e delle sue complicanze. Le cure dentistiche sono tra le procedure più comuni in grado di esporre i pazienti al rischio di ED e nell’ambito delle linee guida per la sua prevenzione si è assistito ad un’evoluzione iniziata dal 1955, anno della prima pubblicazione su Circulation della raccomandazione sulla somministrazione di 600000 U di penicillina 30 minuti prima delle cure dentali, per arrivare alla revisione del 1997 in cui si consigliavano 2 g di amoxicillina due ore prima delle cure.
In questi ultimi 10 anni la profilassi antibiotica dell’EB si è diffusa nella pratica clinica a tutti i pazienti che affrontano procedure odontoiatriche minimamente invasive, in accordo con i principi guida originari, rimasti pressochè invariati per circa 30 anni, nonostante le scarse prove a supporto. Le evidenze scientifiche attuali suggeriscono che nei casi di EB riscontrati annualmente solo un piccolo numero è attribuibile a procedure dentistiche. La maggior parte dei casi di EB da microflora batterica orale è dovuta a batteriemie casualmente e banalmente determinate da attività quotidiane di routine come la masticazione di cibo, il lavaggio dei denti, l’uso di idropulsore o l’uso delle stuzzicadenti, che possono condizionare un alto rischio di batteriemia soprattutto in presenza di patologie dentali. Questo ha determinato un dibattito scientifico molto critico rispetto ai vecchi criteri per cui l’American Heart Association in collaborazione con l’American Dental Association ha definito le motivazioni per la nuova revisione e prodotto un documento che è stato recentemente pubblicato su Circulation1.
La caratteristica principale delle nuove raccomandazioni consiste in una riduzione significativa dello spettro di pazienti eleggibili per la profilassi antibiotica secondo criteri che fanno riferimento a comprovati standard di cura.
può prevenire solo un piccolissimo numero di casi di EB da procedure dentistiche.
è raccomandata in pazienti con protesi valvolari, trapianto cardiaco con valvulopatia associata, soggetti con pregressa endocardite batterica, alcuni pazienti con cardiopatie congenite (CHD) in particolare le CHD con cianosi non sottoposte a riparazione chirugica, le CHD nei 6 mesi successivi al trattamento cardiochirurgico, le CHD con difetto residuo dopo cardiochirurgia.
è indicata se le procedure odontoiatriche coinvolgono i tessuti gengivali o la regione periapicale del dente o la manipolazione traumatica della mucosa orale.
nel set di pazienti identificati sarebbe opportuno estenderla anche per procedure alle vie respiratorie, alla cute e ai tessuti muscolo-scheletrici.
non è indicata basandosi solamente sulla valutazione dell’aumentato rischio nella vita di contrarre l’EB.
non è raccomandata con il solo scopo di prevenire l’EB in pazienti che devono essere sottoposti a procedure del tratto genito-urinario o gastro-enterico.
non è raccomandata per procedure di piercing, tatuaggi, parto vaginale e isterectomia
In conclusione, per un’efficace profilassi dell’EB è necessario spostare l’enfasi finora centrata sulle problema delle procedure odontoiatriche e della terapia antibiotica al contesto della prevenzione migliorando l’accesso alle cure di prevenzione dentale e all’igiene orale in particolare dei pazienti con patologie cardiache associate ad alto rischio di EB. Questo cambiamento è attuabile nella pratica clinica considerando che le categorie di pazienti ad alto rischio di EB hanno un accesso alle cure odontoiatriche non limitato e compreso nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).
Bibliografia
Wilson W et al Prevention of Infective Endocarditis Guidelines From the Amirican Heart Association Circulation 2007;115:%NA
Il dibattito. La pubblicazione delle linee-guida del National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) sulla tromboprofilassi, che prevedono la somministrazione di eparina per i pazienti con scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, patologie infiammatorie, tumori (soprattutto quelli con mobilità ridotta) con tempi di ricovero superiori ai 4 giorni e l’aggiunta di tromboprofilassi meccanica mediante calze elastiche e cuscini posti sotto alle gambe nel trattamento dei pazienti chirurgici, tranne quelli a bassissimo rischio, sta suscitando un vivo dibattito nell’ambiente medico-scientifico. La rubrica delle lettere del British Medical Journal è specchio fedele di questo dibattito.
Le lettere. Domnick F. D’Costa, primario di Gerontologia ai Royal Wolverhampton Hospitals, ha qualche perplessità: “Innanzitutto, una recente meta-analisi sulla profilassi anticoagulante per la prevenzione della trombosi venosa profonda (TVP) su 19.958 pazienti ospedalieri ha mostrato solo benefici modesti. Prima di correre a praticare una tromboprofilassi così intensiva su tutti i pazienti, si dovrebbero tenere presenti questi dati e limitarsi esclusivamente ai pazienti a rischio. In secondo luogo, non sono ancora disponibili studi che valutino costi e benefici della tromboprofilassi con farmaci anticoagulanti nel quadro della prevenzione della TVP: su questo punto ad esempio le mie perplessità sono tante”. Christian Schwiebert, anestesista al Royal Brompton Hospital di Londra, plaude invece alle nuove linee-guida, e suggerisce: “I pazienti dovrebbero esser classificati secondo i parametri suggeriti dalle linee-guida NICE al ricovero o anche prima, e al quel punto i protocolli d’intervento suggerirebbero la corretta profilassi da implementare. L’adozione di questa semplice procedura ci consentirebbe di abbattere significativamente il rischio di TVP nei pazienti”. Una procedura che è già applicata in numerose strutture, occorre precisarlo. Lucy V. Harding, reumatologa all’Hope Hospital di Salford racconta la sua esperienza: “Il nostro ospedale ha implementato un protocollo per la tromboprofilassi sin dal 2004. In linea con le recenti indicazioni delle autorità sanitarie britanniche, di ogni paziente ammesso in ospedale viene valutato il rischio di tromboembolismo venoso, con prescrizione se necessario di eparina. Quando il protocollo è stato introdotto tutto il personale dell’ospedale è stato sensibilizzato e informato”.
Le ragioni di questa impennata di infezioni restano inspiegabili
Altro che ospedali. Secondo uno studio Usa, negli ultimi anni si è assistito a un vero e proprio boom di infezioni da stafilococco aureo contratte fuori dalle corsie (CA-MRSA). Sono le cosiddette infezioni di comunità: prese in carcere, nelle residenze assistenziali, ma anche nella pratica di alcuni sport o diffuse tra i tossicodipendenti che usano droghe per via endovenosa. Infine, anche tra chi si tatua o ha scarsa cura dell’igiene personale. La ricerca statunitense, condotta dal centro medico della Rush University e dall’ospedale John Stronger Jr. di Chicago, rivela che le infezioni multiresistenti da stafilococco aureo non contratte in ospedale sono passate dai 24 casi ogni 100 mila persone del 2000 ai 164,2 casi del 2005. Al contrario – aggiungono i ricercatori sugli Archives of Internal Medicine – il numero di infezioni batteriche che ben rispondono agli antibiotici è rimasto stabile nel periodo osservato. “A riprova del fatto che le infezioni multiresistenti si aggiungono a quelle trattabili, e non le sostituiscono”. Secondo l’equipe, le ragioni di questa impennata di infezioni “restano inspiegabili. Ma certo non è più possibile, alla luce di questi dati – concludono – accusare solo gli ospedali di essere la causa delle infezioni da stafilocco”.
Gli uomini con una velocità del PSA superiore a 2 ng/ml/anno presentano un rischio di mortalità tumore prostatico-specifica significativamente superiore rispetto a coloro con qualsiasi altro singolo fattore di alto rischio. Per quanto riguarda i tassi di mortalità tumorale nei pazienti con un singolo fattore di rischio, il rischio di morire di tumore prostatico nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale o terapia radiante ad impulsi esterni risulta sei-nove volte maggiore in presenza di una velocità superiore a due: ciò surclassa qualsiasi altro fattore di rischio, compresa la scala di Gleason. Era stato già dimostrato che la velocità del PSA prima della diagnosi di tumore prostatico predice stadio e grado del tumore ed anche l’intervallo di tempo prima della recidiva. Nei pazienti più a rischio sarebbe opportuno applicare più di un singolo trattamento per ottenere il miglior tasso di cura: le combinazioni possibili comprendono radioterapia e terapia ormonale o chirurgia e terapia neoadiuvante. Un elevato livello di PSA o un alto stadio clinico sulla base degli esami, comunque, non escludono la possibilità di un esito positivo.
La ricerca di globuli bianchi e rossi nelle urine può aiutare a discriminare le forme cardioemboliche di ictus da quelle non cardioemboliche. Conoscere il sottotipo dell’ictus è importante nella valutazione della prognosi e nella scelta del trattamento ottimale, ma al momento distinguere le forme cardioemboliche dalle altre può essere difficile. Date queste difficoltà, nonché l’elevata e diffusa disponibilità dell’esame delle urine e gli scarsi costi ad esso associati, la potenzialità del contributo dell’analisi delle urine alla classificazione dell’ictus cardioembolico necessita di studi di conferma in popolazioni indipendenti.
L’esposizione ai pesticidi è associata al rischio di morbo di Parkinson. Sembra che quest’ultimo non sia una singola malattia, ma un insieme di patologie fenotipicamente simili: una gamma variabile di interazioni genetiche ed ambientali potrebbe produrre queste patologie, e può darsi che ogni singolo fattore di rischio influenzi soltanto i soggetti suscettibili. L’associazione fra esposizione a pesticidi e morbo di Parkinson potrebbe essere causale, e la perdita di coscienza di natura traumatica ripetuta è associata ad un aumento del rischio. L’esposizione a pesticidi, comunque, rappresenta un fattore di rischio potenzialmente modificabile.
(Occup Environ Med online 2007, pubblicato il 30/5)
L’iperglicemia postprandiale è più comune dell’iperglicemia a digiuno nei pazienti con diabete di tipo 2 con mancata diminuzione notturna della pressione. Al momento non è il caso di raccomandare variazioni del trattamento antidiabetico per il ripristino della corretta variabilità pressoria, ma considerando l’importanza dell’iperglicemia postprandiale per gli eventi cardiovascolari, sarebbe opportuno trattare sia l’iperglicemia a digiuno che quella postprandiale in questi pazienti. Il collegamento meccanico fra anomalie della variabilità pressoria notturna e anomalie del metabolismo del glucosio rimane poco chiaro: l’anello mancante potrebbe consistere in una disfunzione autonomica e delle cellule endoteliali.
La retinaldeide, un metabolita della vitamina A, incrementa la generazione di tessuto adiposo e diminuisce la sensibilità all’insulina. Gli inibitori della retinaldeide, d’altro canto, diminuiscono il tessuto adiposo e l’obesità indotta dalla dieta. E’ sempre più riconosciuto che i retinoidi, quali derivati naturali della vitamina A, possono svolgere ruoli importanti e alquanto specifici nel controllo dell’espressione genica, e di conseguenza anche le risposte quali bilancio energetico, obesità e diabete. Ora che è noto che la retinaldeide può svolgere un ruolo importante a livelli diversi dall’occhio, fra cui nella localizzazione del tessuto adiposo, le vie che controllano i livelli di retinaldeide possono divenire target per la terapia farmacologica. Questi dati non indicano la necessità di un eccesso di somministrazione di vitamina A: una dieta ben bilanciata è sempre ottimale, e l’eccesso di vitamina A può essere associato a problemi per la salute.
Nonostante recenti indicazioni secondo cui la rimozione di tre linfonodi sentinella nelle donne con tumore mammario sia abbastanza per una biopsia, sarebbe necessario rimuovere tutti i linfonodi sentinella per ridurre il rischio dei risultati falsi negativi. La rimozione di più linfonodi, se presenti, aumenta di poco la morbidità, ed aumenta la possibilità di riscontrare tumori. Probabilmente un numero ideale di linfonodi da rimuovere non esiste: è necessario evitare di non riscontrare la malattia se presente, minimizzando al contempo la morbidità. Sono attualmente allo studio nuovi traccianti radioattivi che potrebbero consentire la rimozione di meno linfonodi.
L’Alopecia androgenetica (AGA) è la più comune condizione che provoca perdita di capelli e colpisce sia gli uomini che le donne. A causa della sua frequenza e della compromissione spesso significativa della vita percepita dai pazienti che ne sono affetti, richiede una consulenza competente del medico, per una corretta diagnosi e un appropriato trattamento. In generale l’AGA è una diagnosi clinica in cui l’anamnesi del paziente e la sua valutazione obiettiva possono orientare ad ulteriori test diagnostici. Considerando che sul problema della perdita dei capelli esistono poche linee guida basate sull’evidenza il Gruppo di Consenso Europeo ha deciso di formulare delle linee guida S1 (1) per la diagnosi di AGA pubblicate sul British Journal of Dermatology e delle linee guida S3 (2) per il trattamento di AGA pubblicate sul Journal of the German Society of Dermatology.
Il documento definisce AGA una progressiva miniaturizzazione non cicatriziale del follicolo pilifero con una distribuzione secondo uno schema caratteristico negli uomini e nelle donne geneticamente predisposti. Negli uomini, l’AGA mostra un modello di distribuzione tipico, ma a volte è possibile osservare nel maschio un modello femminile. Nelle donne, l’AGA si presenta tipicamente con una diffusa riduzione della densità dei capelli nelle aree frontale e centrale, ma possono essere coinvolte anche le regioni parietali ed occipitali. E’ possibile che l’AGA si manifesti nelle donne con un modello maschile. Poiché la diagnosi è clinica, vanno escluse altre malattie che possono coinvolgere il cuoio capelluto e la crescita dei capelli. Poiché esistono trattamenti selettivamente efficaci nell’AGA, come la finasteride, si può considerarne l’impiego per escludere il coinvolgimento di altre patologie con le stesse modalità di caduta dei capelli.
La prevalenza nel maschio di AGA è più elevata nella popolazione caucasica, raggiungendo l’80% negli uomini > 70 anni, rispetto al 60% nella popolazione asiatica. Mancano informazioni per gli uomini africani, mentre negli afro -americani la calvizie è 4 volte meno comune rispetto ai caucasici. La gravità della calvizie del maschio aumenta con l’aumentare dell’età in tutti i gruppi etnici, con i primi segni di profonda recessione frontale e alle tempie che si possono manifestare durante l’adolescenza anche se, nella maggior parte dei casi, l’esordio inizia successivamente. Dopo i 70 anni circa il 60% dei maschi caucasici è calvo. Anche nelle donne la frequenza e la gravità dell’AGA aumentano con l’età. I tassi di prevalenza variano dal 3-6% al di sotto dei 30 anni fino al 29-42% in donne di età > 70 anni, con una frequenza inferiore delle donne orientali rispetto alle europee. Mancano i dati sulle donne africane.
L’AGA è un tratto androgeno-dipendente che porta alla progressiva miniaturizzazione dei follicoli dei capelli negli uomini predisposti geneticamente e con un’aumentata densità dei recettori degli androgeni e/o aumento dell’attività della 5 alfa -reduttasi di tipo II. In questi soggetti i livelli circolanti di androgeni sono normali e l’analisi della famiglia mostra un aumento significativo del rischio di sviluppare AGA negli uomini con padre affetto. Attualmente le evidenze sono a sostegno della tesi che l’AGA sia un tratto poligenico, inoltre sono state riportate associazioni significative con la regione variabile del gene per il recettore degli androgeni sul cromosoma X ed è stato identificato un locus di suscettibilità sul cromosoma 20p11. Il ruolo degli androgeni nella donna è meno certo ed è possibile che le forme di AGA femminile ad esordio precoce e tardivo rappresentino due entità geneticamente distinte. Il Gruppo di Consenso Europeo ha cercato di definire un subset di donne con AGA associata ad alterazioni ormonali.
Sotto il profilo clinico, nella maggior parte degli uomini, l’AGA coinvolge la zona fronto -temporale e il vertice secondo il modello della scala di Hamilton -Norwood, mentre in alcuni casi si sviluppa un assottigliamento diffuso della corona con mantenimento dell’attaccatura frontale analoga al pattern di Ludwig osservato nelle donne. Nella donna si osservano essenzialmente 3 patterns di perdita di capelli: nel primo si evidenzia un diffuso assottigliamento della corona frontale con attaccatura conservata. Il processo viene rappresentato sia dalla scala di Ludwig (a 3 punti) che dalla scala di Sinclair (a 5 punti); il secondo vede un assottigliamento e ampliamento della parte centrale del cuoio capelluto con compromissione della linea frontale come nella scala di Olsen; nel terzo modello si assiste ad un diradamento associato a recessione bitemporale, secondo la scala di Hamilton -Norwood.
Nella valutazione clinica è fondamentale registrare quando si è verificata la prima manifestazione di caduta dei capelli e le sue caratteristiche (cronica o intermittente). I primi sintomi di AGA possono essere il prurito e la tricodinia. Spesso è presente una familiarità, anche se la sua negatività non esclude la diagnosi. Vanno escluse condizioni concomitanti come la carenza di ferro, che spesso determina perdita diffusa di capelli nelle donne, o altre cause di effluvium diffuso come infezioni gravi o disfuzioni della tiroide. E’ opportuno sondare il comportamento alimentare che, per diete carenti o rapida perdita di peso, può innescare l’effluvium diffuso. L’anamnesi farmacologica è importante perché molti farmaci possono indurre la perdita dei capelli (chemioterapici, steroidi anabolizzanti, ormoni con azione antitiroidea) Un ruolo significativo può esser giocato da alcuni stili di vita come acconciature speciali, fumo, esposizione a raggi UV. Le donne con AGA solitamente hanno una fisiologica funzione ormonale, ma questo non esclude un’attenta anamnesi ginecologica orientata a definire menarca, tipo di ciclo, presenza di menopausa, amenorrea, uso di contraccezione ormonale orale o sistemica, fertilità, gravidanze, chirurgia ginecologica, segni di iperandrogenismo. Negli adolescenti è fondamentale discriminare una perdita di capelli congenita da un’acquisita. L’AGA è una perdita di capelli di tipo acquisito con una distribuzione caratteristica e differisce dall’effluvium diffuso da fattori nutrizionali, dall’alopecia indotta o dal’ipotricosi simplex (congenita). L’AGA senza segni di pubertà precoce comunque non deve esimere dall’acquisire il parere dell’endocrinologo pediatra.
La valutazione clinica comprende l’esame del cuoio capelluto che nell’AGA di solito è normale. Può essere associata una dermatite seborroica che potenzialmente è un fattore aggravante. E’ importante la ricerca dei segni di flogosi, seborrea e di cicatrici. L’alopecia areata e l’alopecia cicatriziale possono mimare un AGA specialmente frontale. E’ possibile che il cuoio capelluto sia atrofico in AGA di lunga durata. Si raccomanda di esaminare la distribuzione dell’alopecia confrontando le aree frontale occipitale e temporale. In alcune donne con AGA è possibile osservare un’atrichia focale di pochi millimetri di diametro. Nei maschi l’AGA si presenta con una distribuzione di tipo maschile per recessione bitemporale e/o recessione e diradamento di vertice e talvolta anteriore. Nel 10% degli uomini l’AGA si presenta con un modello femminile. La distribuzione della perdita nelle donne è più diffusa, accentuata nel cuoio capelluto frontale, ma con conservazione dell’attaccatura. Le scale di valutazione più usate nella pratica clinica sono per l’uomo la scala di Hamilton -Norwood e per la donna le scale di Ludwig e di Olsen. Nella donna che consulta il medico in una fase precoce di perdita dei capelli la scala di Sinclair offre più possibilità di categorizzare la paziente rispetto alle altre scale. L’esame della peluria del viso e del corpo, la sua densità e la sua distribuzione orientano verso un’alopecia areata in assenza o netta riduzione delle ciglia e sopracciglia, reperto che può far pensare anche all’alopecia frontale fibrotica. Una crescita di peluria con distribuzione nelle aree terminali del corpo orienta all’ipertricosi etnica, o farmacologica, o all’irsutismo. Acne, seborrea e obesità sono suggestivi di iperandrogenismo. Le alterazioni ungueali possono essere presenti nell’alopecia areata, nel lichen planus e in alcune forme di carenza.
Tra gli esami di laboratorio Ferritina e TSH trovano indicazione solo se supportati dalla storia del paziente e in presenza di un effluvium diffuso. Nei maschi non c’è indicazione all’esecuzione di esami di laboratorio per la diagnosi di AGA. Nei soggetti > 45 anni è raccomandabile il dosaggio del PSA prima di iniziare la terapia con finasteride, farmaco in grado di ridurne la concentrazione sierica e potenzialmente ritardare la diagnosi in caso di neoplasia prostatica. Nelle donne non è necessario esegire un work up endocrinologico e una valutazione interdisciplinare (ginecologo, endocrinologo, dermatologo). E’ necessaria solo se esiste un sospetto clinico di eccesso di androgeni (es. s. ovaio policistico). Sono considerati solo due test di screening: il testosterone totale e la SHBG, utili per l’identificazione dell’iperandrogenismo, ricordando che i dosaggi vanno eseguiti solo in donne che non assumono ormoni come ad esempio i contraccettivi orali per almeno due mesi. Nei bambini e negli adolescenti con un’insorgenza precoce di AGA si impone un approccio multidisciplinare tra dermatologo, pediatra ed endocrinologo. Diversi test possono essere impiegati per confermare la diagnosi di AGA come il pull test, la dermatoscopia, la fotografia globale, il tricoscan, il tricogramma, la biopsia, ma l’AGA è essenzialmente una diagnosi clinica e queste linee guida offrono al medico pratico le raccomandazioni essenziali per un rapido e corretto inquadramento.
Bibliografia (1) U. Blume -Peytavi; A. Blumeyer; A. Tosti; A. Finner; V. Marmol; M. Trakatelli; P. Reygagne; A. Messenger S1 Guideline for Diagnostic Evaluation in Androgenetic Alopecia in Men, Women and Adolescents Br J Derm 2011;164(1):5 -15 (2) A. Blumeyer, A. Tosti, A. Messenger, P. Reygagne,V. del Marmol, P. I. Spuls, M. Trakatelli, A.Finner, F. Kiesewetter, R.Trüeb, B.Rzany, U. Blume -Peytavi Evidence -based (S3) guideline for the treatment of androgenetic alopecia in women and in men