La tempestività non modifica outcome del ca cervicale

Il tempo che intercorre tra la visita iniziale e l’intervento chirurgico non influenza in modo negativo l’outcome per il cancro della cervice, in uno studio retrospettivo giapponese. Secondo la International federation of gynecology and obstetrics, il trattamento primario standard per i tumori in questi stadi iniziali consiste nell’isterectomia radicale o nella radioterapia; uno studio sull’argomento non ha evidenziato una differenza fra le due opzioni in termini di sopravvivenza media. È stato consigliato di iniziare tempestivamente la terapia, ma non esistevano dati a supporto di questa raccomandazione basata sul buon senso. I ricercatori giapponesi hanno esaminato retrospettivamente le cartelle cliniche di 117 pazienti con tumore cervicale allo stadio IA o IIA che erano stati sottoposti a chirurgia radicale, con l’obiettivo di identificare i fattori prognostici e di chiarire se il tempo atteso prima dell’intervento influenzasse la frequenza di recidive o le percentuali di sopravvivenza. Il tempo intercorso dalla prima visita ginecologica alla data dell’intervento è variato dai 20 ai 92 giorni, con una media di 48. Le pazienti sono state suddivise in base alla durata di questo periodo ed è stata poi condotta un’analisi statistica univariata in base a diversi fattori, da cui risulta che le metastasi ai linfonodi e l’invasione dello spazio linfovascolare sono effettivamente predittori pronostici della sopravvivenza senza progressione, mentre il tempo d’attesa non presenta nessuna correlazione di questo tipo.

Arch Gynecol Obstet. 2012 Feb;285(2):493-7

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Ph vaginale condiziona infezione Hpv

È possibile che esista una associazione tra le modificazioni del pH vaginale correlate all’età e il grado di infezione da Papillomavirus umano (Hpv) e che, in particolare, alterazioni del microambiente cervicale modifichino il comportamento dell’Hpv nello sviluppo di lesioni precancerose e del cancro della cervice uterina. È quanto sembrerebbero indicare i dati di un ampio studio di popolazione condotto a Guanacaste (Costa Rica) su 9.165 donne (età: 18-97 anni) per un totale di 28,915 visite e un follow-up medio di 3,4 anni da un’equipe guidata da Megan A. Clarke, dei National institutes of health di Bethesda (Usa). Nelle partecipanti si è valutato il rapporto tra pH vaginale, eventuali infezioni da Hpv e lesioni intraepiteliali squamose a basso grado, Lsil (manifestazioni citomorfiche dell’infezione dal Hpv) e infezioni da C. trachomatis. Il rilievo dell’Hpv è apparso positivamente associato con il pH vaginale, soprattutto nelle donne di età inferiore ai 35 anni. Un elevato pH vaginale è risultato associato a un rischio aumentato del 30% di infezione con sierotipi multipli di Hpv e di Lsil, in modo predominante nelle donne di età inferiore ai 35 anni o superiore ai 65. Il riscontro di Dna di C. trachomatis si è associato a un incremento del pH vaginale nelle donne di età inferiore a 25 anni. La ricerca in futuro, concludono gli autori, dovrebbe comprendere studi sul pH vaginale nell’ambito di una più complessa valutazione di come modificazioni ormonali e del microbioma cervicovaginale siano in relazione alla storia naturale della neoplasia cervicale.

BMC Infect Dis, 2012; 12(1):33

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Curare il tumore al seno in gravidanza è possibile

3 Apr 2012 Oncologia

Anche le donne in gravidanza possono curare un tumore al seno, utilizzando tecniche sia chirurgiche sia mediche, ed evitando accuratamente il ricorso a parti prematuri, portando a termine la gravidanza in sicurezza. È quanto è stato pubblicato sulla rivista The Lancet in cui si riporta un lavoro scritto da Frederich Amant – del Breast cancer center al Leuven cancer institute dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio – e colleghi. La stadiazione e il trattamento del cancro mammario durante la gestazione dovrebbero essere definite nell’ambito di un setting multidisciplinare, scrivono gli autori, che proseguono: «sono la biologia del tumore e l’età gestazionale al momento della diagnosi a determinare l’approccio più appropriato. La chirurgia è effettuabile in tutti e tre i trimestri di gravidanza. È possibile ricorrere anche alla radioterapia ma, a seconda della dose ricevuta dal feto, si possono avere outcome scarsi per il nascituro». Pertanto la decisione se ricorrere alla terapia radiante va effettuata su base individuale. «Prove sempre più numerose» si sottolinea «supportano la somministrazione di una chemioterapia a partire dalla 14ma settimana di gestazione in avanti». I più recenti trattamenti contro il carcinoma della mammella potrebbero essere somministrati, ma il tamoxifene e il trastuzumab sono controindicati in gravidanza. Il trattamento del tumore al seno in gravidanza, infine, dovrebbe ridurre la necessità di ricorrere al parto pretermine e al connesso rischio di prematurità del neonato, due tra le maggiori preoccupazioni in questi contesti clinici.

Lancet, 2012; 379(9815):570-9

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Mammografia e pap test, disparità degli accessi

Disparità di accesso per screening mammografico e cervicale in Italia. A lanciare l’allarme uno studio italiano pubblicato su Bmc public health sui dati registrati dal Servizio sanitario nazionale nel biennio 2004-2005. Due i campioni presi in esame: un gruppo di 15.486 donne tra i 50 e i 69 anni per la mammografia e un secondo gruppo di 35.349 tra i 25 e i 64 anni per lo screening cervicale. In entrambi i casi è emerso che le donne con più difficoltà di accesso ai programmi di prevenzione sarebbero quelle con una scolarità e un livello occupazionale più bassi. Per quanto riguarda lo screening mammografico, secondo lo studio, appena il 40,5% delle donne con un’istruzione di base vi si sottoporrebbe regolarmente, contro il 49,5% delle donne con un livello intermedio di scolarità e il 57% titolare di un’istruzione superiore. Copione simile anche nel caso del Pap test, con percentuali rispettivamente del 44%, 50,5% e 56,7%. Anche la posizione lavorativa sembra coprire un ruolo fondamentale: tra le donne disoccupate solamente il 35,4% del campione si sottoporrebbe a screening mammografico regolare, contro il 47,9% con un’attività lavorativa di basso profilo, il  59,9% del gruppo intermedio e il 57,5% che ricopre una carica lavorativa di alto livello. Situazione, invece, più equilibrata per i dati che si riferiscono al Pap test: 63,3% per le disoccupate, 52,8% per le afferenti al secondo gruppo, 62,3% per le donne che ricoprono un ruolo lavorativo intermedio e 62,7% per l’ultimo campione.

BMC Public Health 2012, 12:99

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Alcol e ca mammario, rischioso già il consumo moderato

Il consumo anche contenuti di alcool è associato a un, seppur piccolo, aumento di rischio di cancro del seno e il massimo impatto in tal senso è determinato dall’assunzione cumulativa di alcool durante l’età adulta. È una delle evidenze principali di uno studio osservazionale prospettico, coordinato da Wendy Y. Chen, del Brigham and Women’s hospital di Boston (Usa), condotto su 105.968 donne, arruolate nel Nurses’ health study, e seguite dal 1980 al 2008 con una valutazione precoce dell’assunzione di alcool e 8 controlli successivi. Nel corso di un follow-up pari a 2,4 milioni di anni-persona, sono stati diagnosticati 7.690 casi di cancro mammario invasivo. Un maggiore consumo di alcool è apparso associato a un aumentato rischio di cancro mammario; la correlazione è risultata statisticamente significativa già a livello di 5,0-9,9 g/die, equivalenti a 3-6 drink alla settimana (rischio relativo: 1,15). Dopo controllo per l’intake cumulativo di alcool, è risultato associato al rischio di cancro mammario non tanto la frequenza di assunzione, quanto il consumo compulsivo (binge drinking). Infine, è emerso che l’assunzione in età adulta precoce o tardiva è, in entrambi i casi, associata al rischio in modo indipendente.

JAMA, 2011; 306(17):1884-90

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Esiti e cause del malposizionamento dello Iud

Per far chiarezza sui fattori di rischio e sulle conseguenze della posizione errata del dispositivo intrauterino (Iud), in vista di future gravidanze, Kari P. Braaten e colleghi del Brigham and women’s hospital di Boston (Usa) hanno svolto uno studio retrospettivo caso-controllo, in cui sono state confrontate 182 donne con Iud malposizionato con 182 donne in cui era posizionato correttamente. Le valutazioni sono state eseguite tra il 2003 e il 2008, e nel 10,4% delle donne con Iud in posizione scorretta, questa è stata notata in seguito a ecografia pelvica prescritta per qualsiasi indicazione. Nella maggior parte dei casi (73,1%) il dispositivo si trovava nel segmento inferiore uterino o nella cervice. Fra i fattori di rischio teorici presi in considerazione, è stato escluso l’inserimento dello Iud nel corso delle 6-9 settimane postpartum, in quanto è non è risultato associato a malposizionamento (odds ratio, Or: 1,46). Una sospetta adenomiosi, invece, è apparsa maggiormente correlata (Or: 3,04), inoltre, un precedente parto per via vaginale (Or: 0,53) o la disponibilità di un’assicurazione privata (Or: 0,38) sono risultati elementi protettivi. Circa due terzi degli Iud malposizionati sono stati rimossi da personale sanitario. Si sono avute più gravidanze in 2 anni nei casi che nei controlli (19,2% vs 10,5%). Tutte le gravidanze sono state il risultato di un’espulsione o di una rimozione del dispositivo intrauterino, e nessuna gravidanza si è verificata con uno Iud malposizionato in situ. Le maggiori probabilità di rimanere gravide con uno Iud non posizionato correttamente, infine, sarebbero legate al fatto che, dopo la rimozione del dispositivo, non viene avviato un altro metodo contraccettivo altamente efficace.

Obstet Gynecol, 2011; 118(5):1014-20

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Enzima uterino connesso a insuccesso riproduttivo

Secondo uno studio condotto all’Imperial college di Londra da un gruppo di ricercatori guidati dal team di Jan J. Brosens dell’Università di Warwick, i problemi di fertilità femminile e gli aborti spontanei potrebbero dipendere dalle concentrazioni uterine dell’enzima Sgk1, una chinasi coinvolta nella sopravvivenza delle cellule e nel trasporto di sali minerali nell’organismo. Inizialmente è stata studiata una popolazione di 106 donne con problemi di fertilità o che aveva avuto aborti spontanei ricorrenti. Da tutte è stato prelevato un campione di endometrio, sottoposto poi ad analisi di laboratorio, dalle quali è emerso che nelle donne con infertilità inspiegata i livelli dell’enzima Sgk1 erano particolarmente elevati, mentre in quelle che soffrivano di aborti ricorrenti le concentrazioni della stessa chinasi erano bassi. Per capire l’importanza funzionale di tali osservazioni, è stata condotta un’ulteriore ricerca con fecondazione assistita su modello animale. Alcune cavie sono stati modificate geneticamente in modo che fosse sovraespresso il gene che codifica l’Sgk1, e ciò ha prevenuto l’espressione di alcuni geni di ricettività endometriali, sfavorendo l’impianto dell’embrione. Al contrario, in soggetti omozigoti negativi per Sgk1 l’impianto non ha avuto ostacoli, ma la gravidanza è risultata spesso complicata da sanguinamenti a livello dell’interfaccia deciduo-placentare, con ritardo di sviluppo fetale e conseguente morte. In altre parole, è necessario che i livelli dell’enzima siano bassi nel tessuto uterino perché l’uovo fecondato possa attecchire, ma in seguito tali livelli devono aumentare nella decidua per il nutrimento del feto. Ecco perché, concludono gli autori, a seconda dei compartimenti anatomici, la scorretta regolazione dell’attività di Sgk1 nel ciclo endometriale interferisce con l’impianto dell’embrione, portando a infertilità, oppure predisponendo a complicanze della gravidanza.

Nat Med, 2011; 17(11):1509-13

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Iperplasia adenoidea, assolto Helicobacter pylori

3 Apr 2012 Pediatria

L’infiammazione e l’ingrossamento delle adenoidi nei bambini non sono verosimilmente dovute a un’infezione da Helicobacter pylori (o da altri batteri appartenenti alla stessa famiglia) acquisita attraverso il reflusso laringo-faringeo. È la conclusione alla quale è giunta un’èquipe della Flinder university di Adelaide (Australia), coordinata da Damian J. Hussey, in uno studio di coorte nel quale sono stati esaminati 93 campioni bioptici adenoidei (78 iperplastici e 15 normali) di bambini di età compresa tra i 2 e i 10 anni. L’Rna totale è stato estratto prima della retrotrascrizione dell’Rna batterico usando un primer specifico per le Helicobacteriaceae. Si è poi usata la Rt-Pcr (reverse transcriptase-polymerase chain reaction) per identificare tutte le specie della famiglia delle Helicobacteriaceae. Ogni campione bioptico è stato anche analizzato istologicamente. È stato rilevato un sospetto reflusso laringofaringeo nel 41% dei bambini (n=23), sulla base del Reflux symptom index. Non si è però riscontrata alcuna evidenza di H. pylori nei campioni bioptici. L’unico membro della famiglia delle Helicobacteriaceae rilevato in un solo tessuto adenoideo iperplastico è stato il Candidatus Wolinella africanus. Gli esami istologici, comunque, hanno veirificato la presenza di pochissimi organismi. Gli esiti ottenuti in precedenza con altri metodi basati sulla Pcr, commentano gli autori, possono essere il frutto di falsi positivi.

Arch Otolaryngol Head Neck Surg, 2011; 137(10):998-1004

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Marker prognostico di recidive e metastasi nel Ca prostatico

3 Apr 2012 Oncologia

È stato identificato un nuovo marker tissutale prognostico che, nell’istopatologia del cancro prostatico, riesce a distinguere tra tessuto normale e patologico, predicendo le recidive biochimiche (innalzamenti di Psa) e l’insorgenza di metastasi. Può pertanto essere un utile supporto clinico al decision-making individuale nella gestione della malattia. Si tratta dell’Xpa-210, un marcatore di proliferazione derivato dalla timidina chinasi-1, di cui in realtà era già noto il significato clinico nel cancro renale, mammario e della vescica, ma che finora non era stato mai impiegato in patologia prostatica. Allo scopo di validarne l’uitlità nella gestione del cancro prostatico, Stefan Aufderklamm, dell’università Eberhard-Karl di Tubinga (Germania), e collaboratori, hanno analizzato retrospettivamente campioni tissutali cancerosi e benigni di 103 pazienti (in media, Psa: 9,04 ng/ml e punteggio Gleason: 6) sottoposti a prostatectomia, montati su microarray marcati con Xpa-210. Il punteggio medio di marcatura (mean staining score) è risultato di 0,51 per il tessuto tumorale e di 0,14 per quello benigno. Il tumor staining score è risultato associato in modo significativo al Gleason score e alla stadiazione Tnm. Dividendo il punteggio del tumore per il valore medio, le espressioni più elevate di Xpa-210 sono risultate associate ai tempi più corti prima della comparsa di recidive biochimiche o dello sviluppo di metastasi. Inoltre, la marcatura del tumore si è dimostrata un fattore prognostico di recidiva biochimica indipendente dallo stato di resezione.

World J Urol, 2011 Oct 4. [Epub ahead of print]

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Fratture ostoporotiche d’anca nei giovani diabetici e alcolisti

Le fratture osteoporotiche del collo del femore (Ohf) non interessano solo gli anziani, e il loro studio in soggetti più giovani permette di identficare profili demografici peculari e comorbilità associate la cui conoscenza è utile ai fini della prevenzione. Così si può sintetizzare il messaggio emerso da uno studio retrospettivo, svolto da Sandra G. Pasoto e collaboratori dell’università di San Paolo del Brasile, su 232 ricoveri per frattura d’anca, di cui 51,7% (n=120) osteoporotiche, avvenute in un triennio in un ospedale universitario. Il confronto tra i 13 casi (10,8%) occorsi fino a 64 anni d’età e i 107 (89,2%) avvenuti in soggetti di età =/>65 anni ha evidenziato una predominanza maschile del fenomeno (61,5% vs 27,1%) e una distribuzione etnica caratterizzata da una minore proporzione di caucasici tra i primi (61,5% vs 86,9%). Inoltre, si è visto che tra i non anziani si aveva una frequenza maggiore di diabete melito insulinodipendente (38,5% vs 3,7%) e di alcolismo (38,5% vs 4,7%) rispetto agli over65. L’analisi di regressione logistica ha dimostrato che il diabete mellito insulinodipendente (oddrs ratio, Or: 25,4) e l’alcolismo (Or: 20,3) rimanevano fattori di rischio indipendentente per fratture osteoporotiche del collo del femore nei pazienti non anziani. Questi dati – concludono gli autori – rafforzano la necessità di diagnosi precoce e di mettere in atto azioni rigorose preventive nel caso dei pazienti diabetici o alcol-dipendenti.

Rheumatol Int, 2011 Sep 27. [Epub ahead of print]

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