Ruolo della vitamina D nella prevenzione delle malattie

La supplementazione di vitamina D è efficace nel ridurre il rischio di fratture ossee solo se in combinazione con un’integrazione di calcio, mentre non vi sono evidenze scientifiche a confermarne un ruolo positivo nel contrastare il cancro e le malattie cardiovascolari

Due articoli distinti, comparsi sullo stesso numero degli Annals of Internal Medicine, esaminano il profilo d’azione della vitamina D, in particolare per quanto riguarda l’eventuale utilità di una sua supplementazione ai fini di prevenire l’insorgenza di determinate malattie. Le conclusioni delle ricerche citate sono a favore di un ruolo della vitamina nella salute ossea mentre, nei confronti dei tumori e delle malattie cardiovascolari, gli autori e altri esperti intervenuti in merito esprimono pareri contrastanti e comunque non definitivi. 

Fratture e densità ossea
L’analisi relativa agli effetti sulla salute delle ossa è stata condotta da Mei Chung e dai suoi colleghi del Tufts medical center di Boston, Massachusetts. La revisione della letteratura ha mostrato che, somministrata da sola, la vitamina non ha ridotto il rischio relativo di fratture (mediamente all’1.03 rispetto al placebo) che è invece sceso allo 0,88 con la contemporanea somministrazione di calcio. Tra le donne istituzionalizzate l’efficacia è stata superiore (0.71) rispetto a quelle residenti in comunità (0,89). La maggior parte delle pubblicazioni individuate sono relative a donne anziane mentre, per avere una conferma dei benefici sarà necessario, come spiega Chung, estendere le indagini alla popolazione generale, anche per individuare il dosaggio più idoneo a mantenere la salute delle ossa. Il ricercatore di Boston suggerisce di collegare la supplementazione di vitamina D con la densità minerale ossea: «in questo modo sarebbe sufficiente uno studio di breve durata che dovrebbe però essere esteso a un’ampia popolazione, in modo da mettere a confronto diversi dosaggi; l’utilizzo come outcome delle fratture richiederebbe tempi e costi ben maggiori». 

Tumori
La revisione ha anche evidenziato la scarsità e contraddittorietà delle prove a sostegno dell’efficacia della vitamina D nel prevenire il cancro. Molti studiosi si dicono però convinti degli effetti positivi, anche se ammettono l’assenza di evidenze scientifiche affidabili. Per esempio, il dottor Robert Graham, del Lenox Hill hospital di New York, che ha condotto sperimentazioni sull’argomento, ha così commentato l’articolo di Chung: «ritengo che la vitamina D offra più benefici di quanto attualmente provato e comporta danni minimi» non raccogliendo dunque le preoccupazioni relative a possibili conseguenze ai reni o alla formazione di calcoli alle vie urinarie. 

Malattie cardiovascolari
Nell’altro articolo comparso sulla rivista americana, Cora McGreevy, con il suo gruppo del Royal college of surgeons in Irlanda, ha invece evidenziato l’assenza di conferme dell’ipotesi che la somministrazione di vitamina D aiuti a prevenire le patologie cardiovascolari. La revisione dei contributi scientifici pubblicati sull’argomento dal 1985 al 2011 ha portato a risultati definiti dagli autori «contraddittori o inconcludenti». Pur confermando che la carenza di vitamina D è una condizione sempre più diffusa tra la popolazione e in particolare tra gli anziani, gli effetti di un’integrazione sistematica e giornaliera restano in gran parte da dimostrare. 

Ann Intern Med. 2011 Dec 20;155(12):820-6
Ann Intern Med. 2011 Dec 20;155(12):827-38

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Nuova tecnica per diagnosticare l’Alzheimer

Alla ricerca di strumenti per diagnosticare in modo sicuro, affidabile e non invasivo l’Alzheimer, due studi prendono in esame un innovativo tipo di risonanza magnetica, l’Arterial spin labeling, che permette di rilevare flusso sanguigno cerebrale, con costi molto inferiori alla Fdg-Pet

Un tipo innovativo di risonanza magnetica chiamato arterial spin labeling (Asl) è stato utilizzato da ricercatori della Perelman school of medicine presso la university of Pennsylvania per misurare i cambiamenti nelle funzionalità cerebrali e, in tal modo, diagnosticare la malattia di Alzheimer. L’Asl-Mri si è dimostrata una valida alternativa agli attuali standard, che affidano la diagnosi alla tomografia a emissione di positroni con Fluoro-desossi-glucosio (Fdg-Pet). Mentre l’Fdg-Pet permette di misurare il metabolismo del glucosio nel cervello, l’Asl-Mri è in grado di rilevare il flusso sanguigno cerebrale; ma, come fa notare John A. Detre, professore di neurologia e radiologia alla Penn university, si tratta di fenomeni strettamente collegati. «Aumenti e cali delle funzionalità cerebrali» ricorda Detre «si accompagnano a variazioni sia del flusso sanguigno che del metabolismo del glucosio». Il team ha pubblicato contemporaneamente due studi in cui si mettono a confronto le due tecniche di imaging in pazienti affetti da malattia di Alzheimer rispetto a soggetti di età simile inseriti in un gruppo di controllo. Il flusso sanguigno cerebrale e il metabolismo del glucosio sono stati misurati in simultanea, iniettando il tracciante Pet durante lo studio di risonanza magnetica. Se la procedura è stata analoga nei due protocolli di ricerca, diverse sono state le modalità di analisi.

L’analisi degli esperti
Nel primo studio, comparso sulle pagine di Alzheimer’s and dementia, le immagini di 13 pazienti con l’Alzheimer e di altri 18 di controllo sono state analizzate tramite esame visivo. Una revisione effettuata in modo indipendente e in cieco da esperti in medicina nucleare, non ha evidenziato differenze tra i due tipi di test nelle capacità di escludere (sensibilità) o di diagnosticare (specificità) l’Alzheimer.

L’analisi automatizzata
La sperimentazione riportata su Neurology, invece, si riferisce a un’analisi eseguita in automatico da un apposito software. I dati di 15 pazienti di Alzheimer sono stati confrontati con 19 persone sane e anche in questo caso i pattern di ridotto metabolismo del glucosio e di ridotto flusso sanguigno cerebrale evidenziati rispettivamente da Fdg-Pet e da Asl-Mri sono risultati identici.

Conclusioni
Quest’ultima tecnica presenta però alcuni vantaggi importanti. «Dato che la risonanza magnetica con arterial spin labeling è completamente non invasiva» spiegano gli autori «e non comporta esposizione a radiazioni, è potenzialmente più adatta per uno screening rispetto alla tomografia ». Un altro non trascurabile elemento a favore della tecnica proposta dagli esperti americani è il costo: l’Asl-Mri è quattro volte meno onerosa rispetto alla Fdg-Pet. 

Alzheimer’s and Dementia, 2011; Oct 20. [Epub ahead of print]
Neurology, 2011 Nov 29;77(22):1977-85

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Fumo, studio Usa: nascosta pericolosità additivi

Aver fuorviato e ingannato i fumatori sulla sicurezza degli additivi usati nelle sigarette. È questa l’accusa rivolta all’industria del tabacco dal Centro di ricerca per il controllo sul tabacco dell’università della California a San Francisco, che ha rilevato come la Philip Morris «dieci anni fa abbia oscurato i risultati sulla tossicità degli additivi». Secondo la ricerca pubblicata sulla rivista Plos Medicine, lo studio Project Mix effettuato dall’azienda aveva sostenuto l’assenza «di prove di una sostanziale tossicità associata agli additivi studiati» (sono più di 300) mentre avrebbe dovuto «rivelarne i pericoli». Dopo aver condotto le loro analisi, come specificato nel protocollo iniziale di Project Mix, poi modificato, i ricercatori hanno infatti riscontrato un aumento medio del 20% del livello di 15 additivi carcinogeni. Hanno inoltre scoperto che, per quelle che definiscono «ragioni incomprensibili», la multinazionale del tabacco non aveva messo in rilievo 19 dei 51 additivi testati nella presentazione dei loro risultati. «Mettere queste sostanze nelle sigarette» spiega Stanton Glantz, coordinatore dello studio californiano «aumenta la quantità di particelle sottili e di conseguenza la risposta infiammatoria. Se l’azienda avesse interpretato correttamente i suoi dati, avrebbe potuto usarli per bandire gli additivi». Sul fumo anche dall’Italia parte una campagna capitanata da Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, e da Franca Fossati Bellani, presidente della Lega tumori di Milano (Lilt), che hanno inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio Mario Monti: «Perché rinunciare all’aumento della tassazione delle sigarette che, secondo una ricerca Doxa, la maggioranza degli italiani avrebbe accolto favorevolmente?» è l’accorato appello. «Perché rinunciare a consistenti risorse e a un’azione significativa anche se non risolutiva nella lotta al fumo (in Italia sono 11 milioni i fumatori)?».

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Placche carotidee più predittive dello spessore intima-media

La valutazione ecografica della placca carotidea, rispetto a quella dello spessore intima-media della carotide (Cimt), offre una maggiore accuratezza predittiva di futuri eventi cardiovascolari. È quanto risulta da una meta-analisi effettuata da Yoichi Inaba, dell’Oregon health and science university di Portland (Usa), e collaboratori, condotta su due diversi tipi di studi ritenuti rilevanti: 11 basati sulla popolazione (con misura di outcome costituita da eventi infartuali miocardici), 27 diagnostici di coorte (focalizzati al riconoscimento della malattia coronarica). La meta-analisi effettuata sugli studi di popolazione (che comprendevano un totale di 54.336 pazienti) ha dimostrato che la misurazione della placca carotidea, rispetto a Cimt, possiede un’accuratezza diagnostica significativamente superiore ai fini della predizione di futuri eventi di infarto del miocardio (area sotto la curva Roc, Auc: 0,64 vs 0,61). I tassi di eventi infartuali a 10 anni dopo risultati negativi sono stati inferiori con l’esame della placca carotidea (4%) che con Cimt 4,7%). Anche alla meta-analisi degli studi di coorte (per un totale di 4.878 pazienti) si è confermata una maggiore – ma non significativa – accuratezza diagnostica della valutazione della placca carotidea rispetto alla Cimt per il riconoscimento della malattia coronarica (Auc: 0,76 vs 0,74). 

Atherosclerosis, 2012 Jan;220(1):128-33

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Coronaropatie: Rm cardiovascolare superiore alla Spect

La risonanza magnetica cardiovascolare (Crm) costituisce una tecnica altamente accurata per lo studio delle coronaropatie, è superiore alla Spect e dovrebbe essere adottata subito in modo più ampio nei reparti di imaging diagnostico. È il verdetto di “Ce-Marc”, il più ampio trial prospettico di valutazione “nel mondo reale” della Cmr, compiuto da John P. Greenwood e colleghi dell’università di Leeds (UK). I ricercatori hanno coinvolto 752 pazienti con sospetta angina pectoris e almeno un fattore di rischio cardiovascolare, sottoponendoli all’esecuzione di una Cmr, una Spect e un’angiografia coronarica Rx, tecnica invasiva impiegata come standard di riferimento. L’esame Cmr ha compreso test di perfusione a riposo e sotto stress farmacologico con adenosina, cine imaging, enhancement tardivo con gadolinio, e coronarografia Rm. L’esame Spect gatizzato rest e stress con adenosina è stato svolto con (99m)Tc-tetrofosmina. Il 39% dei partecipanti ha evidenziato una malattia coronarica significativa, dimostrata mediante angiografia. La Cmr multiparametrica ha fatto registrare una sensibilità dell’86,5%, una specificità dell’83,4%, un valore predittivo positivo del 77,2% e negativo del 90,5%. I corrispondenti valori della Spect sono stati, nell’ordine, 66,5%, 82,6%, 71,4% e 79,1%. I valori di sensibilità e predittività negativa di Cmr e Spect sono dunque risultati differenti in modo significativo; non così quelli di specificità e predittività positiva.

Lancet, 2011 Dec 22. [Epub ahead of print]

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Artrite reumatoide, lieve rischio di linfomi da anti-Tnf-alfa

I pazienti affetti da artrite reumatoide trattati con antagonisti del fattore di necrosi tumorale alfa (anti-Tnf-alfa) sembrano correre un rischio lievemente maggiore di sviluppare un linfoma, in particolare a cellule B. Quest’ultimo farebbe parte di una delle nuove entità diagnostiche definite dall’Oms nel 2008 come “disordini linfoproliferativi associati a immunodeficienza iatrogena”, ossia insorti in pazienti trattati con agenti immunosoppressivi per malattie autoimmuni. Il dato deriva da una meta-analisi – effettuata da Anna K. Wong, della Ucsd school of medicine di San Diego (Usa), e collaboratori – di tutti i trial randomizzati controllati, pubblicati tra il 2000 e il 2009, relativi a soggetti con artrite reumatoide trattati con farmaci biologici. In tutto hanno soddisfatto pienamente i criteri di inclusione 14 studi, per un totale di 5.179 pazienti trattati con anti-Tnf-alfa (in particolare con etanercept, adalimumab e infliximab) e 2.306 controlli. Nel gruppo controllo è stato rilevato lo sviluppo di neoplasie ematolinfoidi in 4 soggetti (0,17%), mentre tra i pazienti trattati con anti-Tnf-alfa si sono registrati 7 linfomi (0,21%). I tassi complessivi aggiustati sono risultati pari a 0,36 linfomi per 1.000 anni-persona nei pazienti non in terapia con farmaci biologici vs 1,65 linfomi per 1.000 anni-persona nei soggetti in cura con anti-Tnf-alfa. Le cifre suggeriscono pertanto un aumento della frequenza di linfomi nel gruppo trattato, anche se la differenza aggiustata fra tassi, pari a 1,29 linfomi per 1.000 persone-anno, non è statisticamente significativa.

Clin Rheumatol, 2011 Nov 18. [Epub ahead of print]

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Asa in prevenzione primaria, più danni che benefici

L’impiego dell’acido acetilsalicilico (Asa) in prevenzione primaria al fine di evitare eventi cardiaci o ictali, potrebbe essere più dannoso che benefico. Infatti – secondo una meta-analisi britannica di 9 trial per un totale di 102.261 pazienti seguiti per 6 anni – nonostante vi sia un’importante diminuzione del numero di infarti miocardici non fatali, non si registra una riduzione dei decessi cardiovascolari né della mortalità da cancro. Ma soprattutto è il rischio di sanguinamento interno ad apparire troppo elevato. Gli autori dello studio – appartenenti a varie strutture universitarie e ospedaliere del Regno Unito – ritengono pertanto che sia giustificato l’uso dell’Asa solo in prevenzione secondaria. «Se si trattano 73 persone per circa 6 anni, si avrà un episodio di sanguinamento non banale. Se si trattano circa 160 soggetti per lo stesso periodo di tempo, si riuscirà a prevenire un attacco di cuore che probabilmente non sarebbe stato in ogni caso fatale» ha dichiarato alla Bbc il ricercatore leader Kausik K. Ray, della St George’s University di Londra. «L’Asa può aiutare a ridurre il rischio di attacco cardiaco o ictus nei soggetti con cardiopatia nota, e questo gruppo di pazienti dovrebbe continuare ad assumere il farmaco prescritto dal medico» ha ribattuto Natasha Stewart, della British Heart Foundation. «È però vero che chi non ha una malattia cardiaca sintomatica o diagnosticata non dovrebbe assumere Asa perché il rischio di emorragie interne potrebbe sopravanzare i benefici».

Arch Intern Med, 2012 Jan 9. [Epub ahead of print]

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Ematologia
La luteina previene l’aterosclerosi precoce

Alti livelli sierici di luteina possono giocare un ruolo rilevante nella prevenzione dell’aterosclerosi in fase precoce. È quanto inducono a ritenere i risultati di uno studio caso-controllo effettuato da Zhiyong Zou e colleghi dell’università di Pechino (Cina). I ricercatori hanno arruolato 125 pazienti con aterosclerosi precoce (ossia senza rilevazione ecografica di placche calcifiche), e 107 controlli, tutti di età compresa tra 45 e 68 anni. In ogni partecipante si sono misurati contemporaneamente, mediante ecografia carotidea, lo spessore dell’intima-media (Im) della carotide comune e la rigidità arteriosa del medesimo vaso, oltre alla concentrazione sierica dei carotenoidi tramite cromatografia liquida. Nei casi di aterosclerosi precoce, il livello sierico di luteina è risultato significativamente inferiore rispetto ai controlli. Inoltre si è visto che la concentrazione della luteina era inversamente associata allo spessore Im carotideo. La zeaxantina e il beta-carotene sono apparsi entrambi inversamente correlati alla rigidità della arteria carotide comune destra, al modulo elastico e alla velocità dell’onda di polso. Dopo correzione per età e genere, queste associazioni sono rimaste significative. In ogni caso non si è rilevata una differenza significativa tra zeaxantina e beta-carotene tra casi e controlli.

Atherosclerosis, 2011; 219(2):789-93

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Liberalizzazione fascia C, Aifa: nessuna lista, solo i criteri

Sui farmaci di fascia C che, in base a quanto prevede la Manovra di dicembre, usciranno dalla farmacia perdendo l’obbligo di ricetta l’Aifa non pubblicherà nessuna lista, ma si limiterà a definire i criteri che guideranno la selezione. E’ quanto ha precisato l’Agenzia del farmaco in risposta alle dichiarazioni rilasciate ieri da Federfarma, il sindacato dei titolari di farmacia, nel corso del convegno organizzato a Roma sulle liberalizzazioni del governo Monti. «I farmaci che verranno “delistati” dall’Aifa» ha detto il presidente di Federfarma, Annarosa Racca «saranno parecchi, me ne sono fatta un’idea scorrendo la lista sulla base di quanto prevede la Manovra». Di qui la precisazione dell’Agenzia, affidata a una nota diffusa nel pomeriggio: «Raggiunto a margine di un incontro con il ministro della Salute Balduzzi, il direttore generale dell’Aifa Luca Pani ha precisato che l’Agenzia non produrrà ne diffonderà alcuna lista, ma sta solo lavorando ai criteri relativi ai farmaci di Fascia C che saranno disponibili nelle parafarmacie, criteri che verranno sottoposti al Ministero come previsto dalla normativa».

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Marino: stop ereditarietà farmacie. Racca: è solo il 20%

No a riforme “dimezzate” nelle liberalizzazioni: i farmacisti «aprano a un vero cambiamento». A chiederlo è Ignazio Marino, senatore del Pd e presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. «Il nostro paese» sottolinea «ha bisogno di una evoluzione decisa sulle liberalizzazioni. Posso comprendere le preoccupazioni dei farmacisti e ritengo positive le aperture al confronto che si sono registrate in queste ore. Sono convinto però che dovrebbero dare la disponibilità a eliminare ciò che blocca sul serio lo sviluppo del servizio». La possibilità di tramandare la farmacia per diritto ereditario di padre in figlio, prosegue il senatore del Pd, «è un fatto evidente che però non ci possiamo più permettere: è necessario passare a un sistema moderno di libera competizione che dia a tutti i laureati in farmacia l’opportunità non solo di gestire ma anche di diventare proprietari di una farmacia». Non è d’accordo Annarosa Racca che intervenendo al convegno organizzato da Federfarma Lazio sul futuro delle farmacie, sottolinea come si debba «smetterla» con la polemica sull’ereditarietà delle farmacie, perché sono «solo circa il 20%» a livello nazionale quelle che passano di padre in figlio. «Ho fatto fare una verifica di quello che è  successo a Milano e dintorni negli ultimi anni» ha spiegato  «e il risultato è stato che il 70% delle farmacie sono passate attraverso transazioni commerciali, il 15% sono state vinte con concorso e solo il restante 15% è passata per via familiare». Racca ha comunque dato la disponibilità della categoria a «confrontarsi per una modernizzazione» e una maggiore «qualità del sistema», che secondo i farmacisti titolari deve passare per l’apertura di nuove farmacie, ma anche per concorsi più veloci, revisione della remunerazione delle farmacie e «riportando in farmacia» medicinali ora dispensati dagli ospedali, come quelli innovativi.

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San Raffaele: Ior e Malacalza fuori, vince Rotelli

Ior e Malacalza non hanno presentato un’offerta dai notai Chiodi e Daelli entro il termine della gara per il San Raffaele, rinunciando così a rilanciare a 405 milioni di euro, cifra messa sul piatto da Giuseppe Rotelli. Quest’ultimo si aggiudica così il gruppo ospedaliero fondato da don Luigi Verzé. Si chiude in questo modo la vicenda cominciata nel febbraio del 2011 quando è esplosa la crisi finanziaria della Fondazione Monte Tabor, di cui don Verzé (scomparso il 31 dicembre scorso all’età di 91 anni) era presidente con poteri amministrativi. La crisi è dovuta a un indebitamento insostenibile: oltre all’esposizione verso le banche per circa 300 milioni, con l’ipoteca di tutti gli immobili, risulta un debito verso i fornitori dell’ordine di 500-600 milioni; il totale del debito, secondo alcune stime, supera il miliardo. La crisi peggiora con il passare dei mesi: i creditori chiedono decreti ingiuntivi per decine di milioni, visto anche il deficit di 60 milioni nel conto economico 2010.  Il 23 marzo la Fondazione chiede e riceve dal consulente esterno Borghesi Colombo & Associati la formulazione di un “piano di risanamento”, secondo il quale le banche forniscono ulteriori prestiti per almeno 150 milioni, mentre gli asset aziendali vengono suddivisi in core (ospedale, ricerca e didattica) e non core come un albergo in Sardegna, piantagioni ortofrutticole in Brasile, una società neozelandese proprietaria di un aeromobile. L’accettazione del piano da parte delle banche è però condizionata dal ricambio dei vertici operativi. A giugno: la Fondazione avvia la ricerca di un partner economico forte. Si mostra interessata a intervenire anche la Santa Sede, tramite l’intermediazione di Giuseppe Profiti, presidente dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.  Il 30 giugno il Cda della Fondazione sceglie di affidarsi al Vaticano che pochi giorni dopo insedia il nuovo consiglio di amministrazione, in cui la Santa Sede detiene la maggioranza dei posti (Profiti insieme con il presidente di Ior Ettore Gotti Tedeschi, l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick e l’imprenditore Vittorio Malacalza); del vecchio consiglio, rimane soltanto don Verzé. Il 15 settembre: la Procura di Milano valuta di chiedere il fallimento del San Raffaele. La bozza del piano di salvataggio da 250 milioni, targato Ior e Vittorio Malacalza, non sembra convincere i Pm Luigi Orsi e Laura Pedio, che, al termine di un incontro con i consulenti della Fondazione davanti al presidente del Tribunale fallimentare, Filippo Lamanna, manifestano l’intenzione di chiedere che venga accertata l’insolvenza dell’ente fondato da Don Luigi Verzè. Il 29 settembre: presentazione dell’istanza fallimentare per la Fondazione, con un’udienza fissata per il 12 ottobre. Il 31 dicembre si chiude l’asta per rilevare l’ospedale con la presentazione di una sola offerta, quella di Giuseppe Rotelli per 305 milioni, rilanciata a inizio gennaio a quota 405 milioni. Il finale è noto: vince Rotelli con 405 milioni e l’accollo di altri 320 di debiti.

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