L’esperto: naturale non significa sicuro. Ci vuole il medico

Occhio a tutto ciò che è naturale: è acquistabile facilmente dai pazienti, scevri però di nozioni su possibili interazioni con farmaci. A puntare l’attenzione su questo aspetto è Alessandro Nobili a capo del Laboratorio valutazione della qualità delle cure e dei servizi per l’anziano – dipartimento di Neuroscienze – dell’Istituto Mario Negri, nel corso di una tavola rotonda organizzata nei giorni scorsi a Milano dalla Mniaa (Mario Negri institute alumni association). «Integratori alimentari, farmaci a base di estratti vegetali, fitoterapici, miscele erboristiche, indipendentemente dalla categoria merceologica cui appartengono» ha spiegato Nobili «sono comunque prodotti dotati di una certa attività e, quasi sempre, acquistabili senza la prescrizione del medico». La pericolosità non è necessariamente intrinseca, ma può nascere proprio «dall’autogestione che ne fa il paziente» ha continuato l’esperto «senza informarne il proprio medico, associandoli a terapie farmacologiche, ignorando la possibilità di interazioni negative o reazioni avverse». Tra le segnalazioni più recenti, per esempio, l’Iperico: come induttore degli enzimi epatici riduce l’efficacia di ciclosporina e contraccettivi orali, o peggiora per effetto additivo gli effetti avversi di alcuni antidepressivi. Il Ginkgo biloba può dare emorragie perché agisce in sinergia con i farmaci antiaggreganti, mentre la Liquirizia potenzia la tossicità della digossina perché riduce i livelli di potassio nel sangue. «Sembra anche» ha aggiunto Nobili «che Ginseng, Ginkgo biloba o aglio, assunti nel periodo pre-operatorio possono aumentare il rischio di emorragie in corso d’interventi chirurgici; mentre valeriana e altri sedativi potrebbero potenziare l’azione degli anestetici». Per migliorare le conoscenze e l’uso di questi prodotti, il Centro nazionale di epidemiologia e sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ha attivato dal 2002 un sistema di raccolta delle segnalazioni di reazioni avverse da prodotti di origine naturale. «È importante» ha sottolineato l’esperto «che tutti, medici, farmacisti e cittadini diano il loro contributo alla fitosorveglianza».

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Dagli Usa: serve un nuovo test per salvare la prostata

29 Dic 2011 Oncologia

Si riapre il dibattito sull’utilità per la salute maschile di eseguire il test che misura l’antigene prostatico specifico (Psa). A sostenerne l’assenza di vantaggi è un rapporto della commissione governativa degli Stati Uniti per la medicina preventiva (United States preventive services task force), anticipato dal sito del New York Times. La nuova raccomandazione si basa sull’analisi di cinque sperimentazione cliniche controllate, che hanno monitorato uomini senza distinzione di età. Secondo la commissione, le terapie e i test diagnostici a cui si sottopongono gli uomini a seguito di un esito positivo del test del Psa causano dolori e spese inutili. L’obiezione si inserisce in un dibattito molto acceso in questi anni: «sfortunatamente le evidenze mostrano che questo test non salva la vita agli uomini» spiega Virginia Moyer, a capo della task force «perché non predice le differenze tra i tumori che saranno sintomatici e quelli che non lo saranno. Dobbiamo trovarne un altro». Alcune organizzazioni di pazienti hanno però già criticato la conclusione. Tra i critici ci sono personalità famose, come l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, che hanno già dichiarato che il test ha salvato loro la vita.

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Udca ad alte dosi per colite ulcerosa e rischio ca colorettale

Nei pazienti con colite ulcerosa e colangite sclerosante primaria, l’impiego a lungo termine di acido ursodesossicolico (Udca) ad alti dosaggi è associato a un aumento del rischio di cancro del colon retto. Lo dimostrano i risultati di una ricerca multicentrica coordinata da John E. Eaton della Mayo clinic di Rochester, che sembrano dunque smentire le evidenze di precedenti studi circa un effetto chemiopreventivo dell’Udca. Il team ha arruolato 56 soggetti, colpiti da colite ulcerosa e colangite sclerosante primaria, randomizzandoli a ricevere Udca ad alte dosi (28-30 mg/kg/die) oppure un placebo, e seguendoli per un totale di 235 anni-persona, verificando i referti colonscopici relativi allo sviluppo di displasia di basso o alto grado o cancro colorettale. Le caratteristiche al basale (tra cui la durata di colite ulcerosa e colangite sclerosante primaria, le medicazioni, l’età del paziente, la storia familiare di cancro colorettale e lo stato di fumatore) erano simili in entrambi i gruppi. I pazienti che poi avevano ricevuto l’Udca ad alte dosi, però, mostravano un rischio significativamente superiore di sviluppare una neoplasia colorettale (displasia e cancro) rispetto al gruppo placebo (hazard ratio, Hr: 4,44).

Am J Gastroenterol, 2011; 106(9):1638-45

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Strategie ipoglicemizzanti diverse, pari efficacia su cognizione

27 Dic 2011 Neurologia

Il ricorso a una strategia intensiva di controllo glicemico nei pazienti con diabete di tipo 2, rispetto a un metodo standard, non riduce gli effetti avversi della patologia sul decadimento cognitivo e, anzi, si associa a una maggiore mortalità. È il verdetto di un sottostudio del trial Accord (Action to control cardiovascular risk in diabetes), denominato Mind (Memory in diabetes) e condotto in 52 cliniche del Nord America sotto la guida di Leonore J. Launer, dei National institutes of health (Nih) di Bethesda. I pazienti diabetici, con alti valori di HbA1c (>7,5%) e un elevato rischio di eventi cardiovascolari, sono stati randomizzati a ricevere un controllo glicemico intensivo, mirato a ridurre l’HbA1c a livelli inferiori a 6,0%, oppure a una strategia standard con valori target di HbA1c tra 7.0% e 7,9%. L’outcome primario cognitivo, costituito dal punteggio al Digit symbol substitution test (Dsst), è stato rilevato al basale, al 20° e al 40° mese. L’outcome primario strutturale, rappresentato dal volume cerebrale totale (Tbv), è stato valutato mediante Rm alla baseline e al 40° mese in un sottogruppo di pazienti. In tutto sono stati arruolati 2.977 soggetti consecutivi (età media: 62,5 anni). L’analisi sull’aspetto cognitivo è stata condotta su 1.378 pazienti assegnati al trattamento ipoglicemizzante intensivo e 1.416 sottoposti al trattamento standard, mentre lo studio dei dati di Rm è stato effettuato su 230 soggetti in terapia intensiva e su 273 in trattamento standard. Non si è rilevata alcuna significativa differenza tra i due gruppi di trattamento in relazione al punteggio Dsst a 40 mesi, mentre i pazienti sottoposti a terapia intensiva hanno evidenziato, rispetto al gruppo standard, un valore medio superiore di volume cerebrale totale (Tbv), ovvero un grado inferiore di atrofia cerebrale. Nonostante quest’ultimo dato favorevole, commentano gli autori alla luce degli altri risultati, la terapia intensiva ipoglicemizzante non è da raccomandare per ridurre gli effetti del diabete sul cervello.

Lancet Neurol. 2011 Sep 27. [Epub ahead of print]

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Omega-3: molecole con effetti divergenti su Ldl e Hdl

Gli acidi eicosapentaenoico (Epa) e docosaesaenoico (Dha), entrambi contenuti negli integratori di omega-3, possiedono uguale capacità di ridurre i trigliceridi nel sangue, ma hanno effetti divergenti sulla colesterolemia-Ldl e Hdl. È quanto risulta da una revisione sistematica con metanalisi, effettuata da due ricercatori della Emory university di Atlanta (Usa), Melissa Y. Wei e Terry A. Jacobson, con lo scopo di verificare gli effetti diversificati sulle lipoproteine sieriche delle due molecole somministrate in monoterapia. Gli autori hanno preso in considerazione trial randomizzati e controllati con placebo di monoterapie con Epa (10 studi), con Dha (17), oppure basati sul  confronto Epa-Dha. Rispetto al placebo, il Dha ha rivelato di causare un aumento delle Ldl pari a 7,23 mg/dL, laddove l’Epa le riduceva, seppure non in modo significativo. Negli studi di confronto diretto, il Dha è risultato determinare un aumento delle Ldl di 4,63 mg/dL in più rispetto all’Epa. E se entrambi gli acidi grassi essenziali hanno confermato il loro potere ipotrigliceridemizzante, si è comunque notato in tal senso un effetto più marcato per il Dha. Quest’ultimo, inoltre, paragonato al placebo, si è dimostrato in grado di innalzare i livelli delle Hdl di 4,49 mg/dL, mentre l’Epa non ha indotto alcuna variazione.

Curr Atheroscler Rep, 2011 Oct 6. [Epub ahead of print]

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Antinfluenzale sicura ed efficace nei pazienti con sarcoidosi

24 Dic 2011 Immunologia

È stato dimostrato per la prima volta che la vaccinazione antinfluenzale non determina alcun effetto avverso quando viene somministrata a pazienti con  sarcoidosi, inducendo una risposta immunologica identica a quella di soggetti sani di controllo. Il dato proviene da una ricerca condotta in collaborazione tra alcuni istituti virologici iraniani e due università statunitensi (di Stanford, e del Maryland, a Baltimora), sotto il coordinamento di Sasan Tavana, dell’università di Scienze mediche di Teheran. Questa verifica era importante in quanto si ritiene che la malattia granulomatosa sia connessa a una disregolazione del sistema immunitario; i pazienti, infatti, reagiscono in modo differente a vari antigeni. Inoltre, nonostante la somministrazione di anti-Flu fosse sempre stata raccomandata in questi soggetti, non si erano ancora verificate l’efficacia e la sicurezza del vaccino. Sono stati dunque selezionati 23 casi e 26 controlli, con titolazione degli anticorpi contro gli antigeni virali H1N1, H3N2 e B, eseguita subito prima e 1 mese dopo la somministrazione. I pazienti sono poi stati seguiti per 6 mesi allo scopo di accertare la sicurezza del vaccino. Il dato più rilevante è che la risposta sierologica e l’ampiezza delle modificazioni nei titoli anticorpali contro gli antigeni del vaccino ant-Flu sono risultate sovrapponibili nei due gruppi. Sono poi emersi altri dati di un certo interesse: le donne, rispetto agli uomini, hanno mostrato una risposta sierologica migliore nei confronti dell’antigene B; la calciuria 24 ore è apparsa associata alla risposta anticorpale contro gli antigeni H1N1 e H3N2; l’enzima sierico convertitore dell’angiotensina è risultato correlato negativamente con la risposta anticorpale contro l’antigene B; un elevato volume residuo è apparso associato a minori innalzamenti del titolo anticorpale anti-H3N2.

Influenza Other Respi Viruses, 2011 Sep 28. [Epub ahead of print]

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Profilassi e terapia dell’osteoporosi nei pazienti con Ar

Alle donne in menopausa affette da artrite reumatoide (Ar), se sottoposte a terapia corticosteroidea <7,5 mg/die per almeno 3 mesi e con T-score < -2,0, dovrebbero essere sempre prescritti bisfosfonati e calcio/vitamina D per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi. È la conclusione – coerente a quanto stabilito dalle linee guida tedesche sull’osteoporosi – di una multicentrica condotta in Germania sotto la guida di Heiner Raspe, della Clinica universitaria dello Schleswig-Holstein, a Lubecca. Lo studio ha riguardato 523 pazienti affetti da Ar (di cui 98 uomini e 434 donne) valutati – nell’arco di 2 annni – in 9 centri di reumatologia mediante assorbimetria a raggi X a doppia energia (Dxa) a livello lombare e del collo femorale. Il 29% dei soggetti aveva una normale densità minerale ossea (Bmd), il 49% mostrava osteopenia e il 22% osteoporosi. Quanto ai trattamenti, il 60% assumeva farmaci per la profilassi o la terapia dell’osteoporosi: solo calcio con vitamina D nel 38% dei casi, combinazioni principalmente calcio/vit.D e un bisfosfonato nel 20%, solo un bisfosfonato nell’1% e ormonoterapia sostitutiva nell’1%. Nonostante la frequenza dell’osteoporosi fosse simile tra maschi e femmine, le donne con Ar facevano un uso maggiore di farmaci rispetto agli uomini (63% vs 49%). Un gruppo di 101 pazienti con Ar (composto da 83 donne in menopausa, 6 in premenopausa, e da 12 uomini) era trattato con una dose giornaliera pari o inferiore a 7,5 mg di corticosteroidi per almeno 3 mesi e aveva un T-score Dxa inferiore a -2.0 in uno dei due settori anatomici esaminati. In questo gruppo, le donne in premenopausa, in menopausa e gli uomini assumevano trattamenti a base di calcio/vit.D e bisfosfonato, rispettivamente, nel 41%, 17% e 42% dei casi; percentuali che divenivano, nell’ordine, del 35%, 0% e 50% se si consideravano gli utilizzatori di calcio/vit.D. Nel 18%, 67% e 8% dei casi, infine, non effettuava profilassi o trattamento per l’osteoporosi.

Z Rheumatol. 2011 Sep 30. [Epub ahead of print]

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Danno acuto polmonare: antiossidanti e omega-3 da evitare

22 Dic 2011 Pneumologia

I pazienti con danno acuto polmonare non traggono benefici dalla supplementazione quotidiana di antiossidanti, acido gamma-linolenico e acidi grassi Omega-3 che, anzi, potrebbero essere addirittura dannosi. È il risultato dello studio Omega, un trial clinico multicentrico randomizzato in doppio cieco controllato con placebo, condotto in pazienti con danno acuto polmonare che avevano richiesto il ricorso alla ventilazione meccanica e alla nutrizione enterale. Il trial, svolto da Todd W. Rice, della Vanderbilt university school of Medicine di Nashville (Usa) e colleghi, ha confrontato un regime standard di nutrizione enterale con un regime che prevedeva l’aggiunta di acidi grassi polinsaturi n-3, acido gamma-linolenico e antiossidanti. Lo studio è stato interrotto anticipatamente: dopo 28 giorni, il regime nutrizionale addizionato, infatti, è risultato peggiore su tutti gli outcome misurati. I pazienti nel braccio di trattamento necessitavano per un maggior numero di giorni del ventilatore (+3,2 giorni) e di cure intensive (+2,7) oltre a presentare una mortalità maggiore a 60 giorni (25,1% vs 17,6% nei controlli).

JAMA. 2011 Oct 12; 306(14):1574-81

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Ipertrofia prostatica, nuove linee guida italiane

21 Dic 2011 Urologia

Nuovi farmaci, approcci terapeutici originali con molecole già note e un’analisi rigorosa dell’utilità di impiego dei fitoterapici. Sono tra i capitoli chiave di terapia medica aggiornati nelle linee guida 2011 sull’Ipertrofica prostatica benigna (Ipb) presentate in questi giorni a Sorrento dall’Auro.it (Associazione urologi italiani). «Un lavoro di circa un anno, che ha preso in esame la letteratura a partire dal 2007 sino a fine 2010 e che si distingue per una filosofia di base che pone al centro, ancor prima della malattia, il paziente, le sue condizioni e le sue scelte» spiega Sebastiano Spatafora, coordinatore del Comitato scientifico Auro.it. «Sul fronte della terapia medica abbiamo prodotto diverse raccomandazioni. Intanto sono emerse evidenze importanti per l’uso in combinazione di alfa-bloccanti e inibitori della 5 alfa reduttasi in pazienti con Ipb e prostata di volume aumentato. Tale combinazione porta indubbi vantaggi che superano il maggior rischio di effetti collaterali. Altra novità è la raccomandazione all’uso della combinazione di alfa litici e anticolinergici in pazienti con sintomi ostruttivi della prostata e vescica iperattiva.  Prendendo, poi, in esame gli inibitori della 5 fosfodiesterasi, l’unica indicazione che emerge dall’analisi della letteratura riguarda il taladafil 5 mg: il paziente con disfunzione erettile e Ipb, già in terapia con taladafil, può evitare di assumere farmaci specifici per la cura dell’iperplasia in quanto il farmaco è in grado di controllare i sintomi dell’iperplasia». Infine il capitolo dei fitoterapici, usati da tantissimo tempo ma ancora con poco  evidenza scientifica di supporto in letteratura. «La nostra analisi» precisa Spatafora «consente per la prima volta di discriminare i fitoterapici non indicati da quelli che, in casi fortemente selezionati, possono essere utili».

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