Crohn pediatrico: remissione prolungata con azatioprina

22 Ott 2011 Pediatria

Nei pazienti pediatrici l’azatioprina è efficace nel mantenere la remissione del morbo di Crohn, sebbene in modo inferiore a quanto si credeva. La maggioranza dei pazienti che è in remissione libera da steroidi a 12 mesi resta in remissione prolungata. Per quanto riguarda invece la tolleranza globale, il dato è eccellente. Queste le conclusioni di uno studio condotto presso l’unità di Gastroenterologia pediatrica dell’ospedale Necker-Enfants Malades, a Parigi, sotto la guida di Laura Riello. La ricerca ha coinvolto 105 bambini (68 maschi/37 femmine) con morbo di Crohn ai quali sono stati somministrati dosaggi di 1,4-4 mg/kg di azatioprina per valutarne retrospettivamente la capacità di mantenere la remissione a 6, 12, 18 e 24 mesi di follow up. In generale, sono stati inclusi 93 bambini con malattia attiva (pediatric Crohn’s disease activity index, Pcdai >30), steroidodipendenti o in nutrizione enterale o con resezione post-ileocecale. La remissione è stata definita da un Pcdai =<10 senza l’impiego di steroidi. I pazienti che necessitavano di cure con Tumor necrosis factor o altri immunomodulatori o della chirurgia sono stati considerati come positivi alla comparsa di una recidiva. In base al Pcdai, la remissione libera da steroidi è stata raggiunta in 56/93 bambini al sesto mese (60,2%), in 37/93 al dodicesimo (39,8%), in 31/93 al diciottesimo (33,3) e in 29/93 al ventiquattresimo (31,2%). Nelle prime quattro settimane, il trattamento con azatioprina è stato sospeso in 10 pazienti su 93 a causa di reazioni avverse (pancreatite, nausea, vomito, reazioni cutanee, debolezza generalizzata) o non introdotto a seguito di bassa attività della tiopurina metil-transferasi (Tpmt). Non si sono registrati casi di neutropenia in soggetti con attività normale della Tpmt. Si sono infine manifestati episodi infettivi in tre pazienti che hanno richiesto la sospensione temporanea della terapia. Inflamm Bowel Dis, 2011; 17(10):2138-43

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Isoflavoni della soia inefficaci in menopausa

L’assunzione di isoflavoni della soia per 2 anni non previene la perdita di massa ossea o i sintomi della menopausa nelle donne in tale condizione da non più di 5 anni e con densità minerale ossea ridotta. È la conclusione di un lavoro statunitense, coordinato da Silvina Levis, del centro di Ricerca geriatrica della Miller school of medicine, università di Miami, in cui è stata valutata l’efficacia di questi prodotti spesso usati come alternativa all’ormonoterapia sostitutiva. La ricerca – randomizzata, in doppio cieco e placebo-controllo – è stata condotta tra il luglio 2004 e il marzo 2009, coinvolgendo 248 donne di età compresa tra 45 e 60 anni, in menopausa da meno di 5 anni e T-score uguale o maggiore a -2 nella colonna lombare e nel femore totale. Al campione arruolato sono stati somministrati isoflavoni della soia in tavolette da 200 mg (122 donne) oppure placebo (126 donne). L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare, dopo un follow up di 2 anni, eventuali cambiamenti della densità minerale ossea nella colonna lombare, nel femore totale e nel collo femorale. Sono state anche valutate modifiche dei sintomi menopausali, caratteristiche citologiche vaginali e funzionalità tiroidea. Al termine del follow up, non sono emerse differenze significative tra le donne che assumevano isoflavoni della soia o placebo in relazione a cambiamenti della densità minerale ossea nella colonna (-2,0% e -2,3%, rispettivamente), nel femore totale (-1,2% e -1,4%) e nel collo femorale (-2,2% e -2,1%). Rispetto al gruppo di controllo, le donne nel gruppo “isoflavoni della soia” hanno registrato un aumento di vampate e costipazione. Anche per gli altri outcome non sono state evidenziate differenze di rilievo. Arch Intern Med, 2011; 171(15):1363-9

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La Bpco è associata alle malattie cardiovascolari

20 Ott 2011 Pneumologia

Si conferma anche nella popolazione italiana che i pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) presentano un’associazione accentuata di diagnosi di malattie cardiovascolari (Cvd). In particolare, la fascia d’età in cui la presenza simultanea di Bpco e Cvd appare massima è quella che va dai 35 ai 54 anni, mentre nei gruppi di età successivi si ha una significativa diminuzione. L’associazione con le Cvd si riscontra anche negli asmatici, ma in misura molto inferiore. Sono questi i dati salienti di un ampio studio retrospettivo trasversale coordinato da Mario Cazzola, dell’università Tor Vergata di Roma, e condotto sulla scorta delle informazioni contenute nell’archivio dati Health search – relativo a circa l’1,5% della popolazione totale italiana – creato e gestito da medici di famiglia appartenenti alla Simg (Società italiana di medicina generale). Alla fine del 2009, risultavano registrati nel database 690.489 individui di età superiore ai 34 anni (quelli di età inferiore sono stati esclusi perché con un rischio di Bpco non rilevante). Il 3,66% (n= 25.821) e il 5,76% (n=39.741) del totale aveva ricevuto, rispettivamente, una diagnosi di Bpco e asma secondo i criteri Icd-9-Cm. Nell’ambito delle varie Cvd, la Bpco è risultata significativamente associata a un’aumentata probabilità di diagnosi di ipertensione; un dato analogo si è rilevato tra gli asmatici, ma con minore intensità. Sia nel caso della Bpco sia in quello dell’asma, inoltre, non si sono rilevate differenze di genere relative all’associazione con tutte le Cvd, fatta eccezione per angina pectoris e coronaropatia, in cui l’odds ratio era superiore nelle donne rispetto agli uomini. Tra i pazienti con Bpco, infine, il cluster 35-44 anni ha determinato il più alto odds ratio per angina, coronaropatia, scompenso cardiaco e malattia cerebrovascolare, mentre tra i 45 e i 54 anni la correlazione più elevata è stata con l’infarto miocardico, acuto o pregresso. Respir Med, 2011 Aug 17. [Epub ahead of print]

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Fecondazione in vitro: Asa non aumenta le gravidanze

19 Ott 2011 Ginecologia

Non esistono chiare prove a supporto dell’efficacia dell’acido acetilsalicilico (Asa) nelle donne trattate per la fecondazione in vitro (Fiv). Lo sostiene una nuova revisione sistematica Cochrane (la precedente risaliva al 2007), in cui la somministrazione di Asa durante un ciclo di Fiv non sembra aumentare la possibilità delle donne di rimanere gravide. Questa applicazione controversa dell’Asa nasce da un presupposto beneficio potenziale legato a un migliore flusso del sangue all’utero e alle ovaie (non sono esclusi peraltro rischi di aborto o altre complicanze) e spesso viene impiegata da coppie disposte a tentare qualsiasi metodo che possa aumentare la possibilità di avere successo nella procedura. In questo studio, condotto da Charalambos S. Siristatidis dell’università di Atene – in collaborazione con due colleghi dell’università di Liverpool – sono stati presi in esame 13 studi clinici, per un totale di 2.653 donne che ricorrevano alla Fiv. In molti casi erano somministrati 100 mg/die di Asa. Soltanto uno degli studi inclusi nell’analisi ha riportato alcuni benefici associati a tale somministrazione. In particolare, non si sono riscontrate differenze significative tra il gruppo trattato con Asa e quello controllo rispetto al numero di gravidanze (analizzato in 10 studi), al numero di bambini nati vivi (unico parametro di efficacia realmente significativo, riportato in soli 3 studi), e a quello di aborti (sul cui rischio pochi trial riportavano informazioni). La conclusione di questa review, pertanto, è che rispetto al placebo l’Asa non aumenta le probabilità di gravidanza nella Fiv, e che sono necessari trial di adeguata potenza statistica; si propone, per esempio, un campione di 350 donne per ogni gruppo allo scopo di dimostrare un miglioramento del 10% grazie all’uso di Asa con un sufficiente grado di potenza (80%) e significatività (5%). Finché tale evidenza non è disponibile viene sconsigliata questa pratica. Cochrane Database Syst Rev, 2011; (8):CD004832

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Ssri assunti dalla madre, rischio autismo per il feto

18 Ott 2011 Ginecologia

L’esposizione in utero agli antidepressivi Ssri (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) può aumentare moderatamente il rischio di disordini dello spettro autistico, in particolare se l’assunzione del farmaco da parte della madre avviene durante il primo trimestre di gravidanza. Così sostengono gli autori di una ricerca condotta in California e coordinata da Lisa A. Croen, della Divisione di ricerca della Kaiser permanente northern California di Oakland. Lo studio di popolazione, caso-controllo, ha coinvolto 298 bambini con disordini dello spettro autistico (e le loro madri) e 1.507 bambini sani (con relative madri) scelti a caso come gruppo di controllo. L’esposizione prenatale agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina è stata rilevata in 20 bambini “casi” (6,7%) e in 50 bambini “controlli” (3,3%). Nei modelli aggiustati di regressione logistica, si è scoperto che il rischio di disordini dello spettro artistico raddoppiava nel caso in cui la madre avesse assunto Ssri durante l’anno precedente il parto (odds ratio aggiustata: 2,2), in particolare durante il primo trimestre della gravidanza (odds ratio: 3,8). Nessun aumento del rischio è stato riscontrato in donne che, nonostante una storia di trattamento di malattie mentale, non avevano assunto Ssri nel corso della gravidanza. Il potenziale di rischio di tale esposizione va bilanciato con il rischio per la madre e il feto derivante da un mancato trattamento di un disordine mentale nella gestante. Arch Gen Psychiatry, 2011 July 4. [Epub ahead of print]

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Esercizi di resistenza per la steatosi epatica non alcolica

Gli esercizi anaerobici di resistenza migliorano il quadro della steatosi epatica non alcolica indipendentemente da qualsiasi variazione del peso corporeo. Resta però da capire se questi benefici persistano a lungo termine. È quanto emerge da una ricerca inglese coordinata da Kate Hallsworth, dell’istituto di Medicina cellulare dell’università di Newcastle. Lo studio ha coinvolto 19 adulti sedentari affetti da steatosi epatica non alcolica; per otto settimane, 11 di questi sono stati sottoposti a esercizi di resistenza e 8 hanno continuato il consueto trattamento. Al termine dei due mesi, si è visto come molti parametri siano migliorati grazie all’esercizio di resistenza: contenuto lipidico nel fegato (riduzione relativa: 30%), ossidazione lipidica, controllo del glucosio, indice Homa nella valutazione dell’insulino-resistenza. Questi risultati clinici positivi sono stati ottenuti senza che si sia registrata una diminuzione del peso corporeo, del volume del tessuto adiposo viscerale o della massa grassa totale. È la prima volta, sottolineano gli studiosi, che si accerta il ruolo efficace dell’esercizio di resistenza nella gestione della steatosi epatica non alcolica. Gut, 2011; 60(9):1278-83

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Sedute ripetute di sauna (Waon Therapy) nello scompenso cardiaco

La Waon Therapy in pazienti con insufficienza cardiaca cronica migliora la tolleranza all’esercizio fisico e contribuisce a migliorare la funzione endoteliale. Queste sono le conclusioni a cui sono giunti Takashi Ohori e collaboratori che, in considerazione del fatto che ripetute sedute di sauna nota come Waon Therapy hanno dimostrato di migliorare la funzione cardiaca e la tolleranza all’esercizio fisico nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, hanno voluto indagare i meccanismi che ne sono alla base. A tal proposito sono stati seguiti 41 pazienti con insufficienza cardiaca cronica (età media 68.3 ± 13.5 anni) sottoposti a Waon terapia 5 volte alla settimana per 3 settimane. Prima e dopo il trattamento tutti i soggetti venivano valutati con il “6-minute walking test” e l’ecocardiogramma; venivano inoltre determinati alcuni parametri neuroumorali ed il numero di cellule CD34+ circolanti e veniva testata la funzione endoteliale mediante valutazione della vaso-dilatazione flusso-mediata (FMD). Dai dati dello studio è emerso che la Waon terapia ha aumentato la frazione di eiezione ventricolare sinistra (dal 30.4 ± 12.6% al 32.5% ± 12.8%, p=0.023), ha ridotto i livelli plasmatici di noradrenalina (da 400 ± 258 a 300 ± 187 pg/ml, p=0.015) e di peptide natriuretico cerebrale (da 550 ± 510 a 416 ± 431 pg/ml, p=0.035), ha aumentato la distanza percorsa al “6-minute walking test” (da 337 ± 120 a 379 ± 126 m, p<0.001), in associazione con un miglioramento della FMD (da 3.5 ± 2.3% al 5.5% ± 2.7%, p<0.001) e con un aumento del numero di cellule CD34+ circolanti (p=0.025). I cambiamenti ottenuti al “6-minute walking test” sono stati correlati positivamente con quelli della frazione di eiezione ventricolare sinistra e della FMD e negativamente con quelli dei livelli plasmatici di noradrenalina e dei livelli di peptide natriuretico cerebrale. Infine, da un’analisi multivariata è emerso che un aumento della FMD è stata l’unica determinante indipendente di miglioramento al “6-minute walking test”.

Ohori T. Am J Cardiol 2012; 109(1): 100-104

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Drenaggio linfatico manuale inefficace contro il linfedema

Dopo dissezione dei linfonodi ascellari per cancro mammario il drenaggio linfatico manuale in aggiunta alle regole preventive previste dalle linee-guida e all’esercizio non sembra in grado a breve termine di produrre un effetto consistente nel ridurre l’incidenza di linfedema a livello del braccio. Lo dimostra uno studio condotto da Nele Devoogdt dell’università Cattolica di Lovanio (Belgio), e collaboratori, su 160 pazienti consecutive con ca mammario sottoposte a dissezione linfonodale ascellare unilaterale. Le pazienti del gruppo d’intervento (n=79) sono state avviate a un programma che prevedeva l’applicazione delle linee-guida per la prevenzione del linfedema, esercizi terapeutici e drenaggio linfatico manuale. Il gruppo di controllo (n=81) ha intrapreso lo stesso programma ma senza il drenaggio linfatico. Gli outcomes principali dell’indagine comprendevano l’incidenza cumulativa di linfedema al braccio e il tempo di sviluppo di linfedema, definito come un aumento di 200 mL del volume dell’arto rispetto al valore precedente l’intervento. Dopo 12 mesi dalla chirurgia, il tasso di incidenza cumulativa per il linfedema del braccio è risultato comparabile nei due gruppi (24% nel braccio intervento vs 19% nei controlli) per una odds ratio pari a 1,3. Durante il primo anno dopo la chirurgia è risultato comparabile anche il tempo alla comparsa di linfedema (hazard ratio: 1,3). Il calcolo della dimensione del campione si è basata su una odds ratio presunta pari a 0,3, non inclusa nell’intervallo di confidenza del 95%. BMJ, 2011; 343:d5326

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Nessuna certezza su antibiotici per evitare parto prematuro

15 Ott 2011 Ginecologia

Mancano dati per spendere una parola definitiva sull’uso di antibiotici per prevenire il parto prematuro o altri esiti avversi di gravidanza nelle donne con pesante colonizzazione vaginale con ureaplasma, batterio sospettato di avere un ruolo anche nella rottura prematura delle membrane. In ogni caso, il ricorso agli antibiotici potrebbe essere utile in una fase precoce di gravidanza per eradicare agenti potenzialmente in causa. Lo sostiene una revisione Cochrane realizzata da Camille H. Raynes-Greenow, dell’Università di Sydney, e collaboratori. Dopo ricerca sul Cochrane pregnancy and childbirth group’s trials register di trial randomizzati controllati di confronto tra qualsiasi regime antibiotico contro placebo o nessun trattamento in donne gravide con presenza di ureaplasma rilevata in vagina, si è passati al giudizio di tre autori indipendenti sull’eleggibiltà e la qualità degli studi. Alla fine è stato incluso nella revisione un solo trial, relativo a 1.071 donne. Di queste, 644, tra la 22a e la 32a settimana di gestazione, erano state assegnate in modo randomizzato a uno fra tre gruppi di trattamento antibiotico: eritromicina estolato (n=174), eritromicina stearato (n=224), clindamicina idrocloride (n=246) o placebo (n=427). In questo studio non erano riportati dati relativi alle nascite pretermine. È stata calcolata soltanto l’incidenza del basso peso alla nascita (inferiore ai 2.500 grammi) nel caso dell’eritromicina (dato combinato, n=398) rispetto al placebo, senza rilevare differenze statisticamente significative tra i due gruppi (risk ratio, Rr: 0,70). D’altra parte, non si sono riscontrate differenze statisticamente significative in qualsiasi gruppo sotto il profilo degli effetti collaterali, tali da indurre alla sospensione del trattamento (Rr: 1,25). Insomma, la questione è ancora da chiarire. Cochrane Database Syst Rev, 2011; 9:CD003767

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Tos su umore e funzioni cognitive: effetti variabili

«La cessazione degli steroidi sessuali, durante la senescenza riproduttiva, ha un impatto drammatico sulle funzioni cerebrali, incidendo in modo negativo sul tono dell’umore, sulla vitalità cognitiva e sul comportamento, che diviene ansioso». A sostenerlo è Andrea R. Genazzani, dell’Università di Pisa, in una lettura plenaria al congresso di Copenhagen. «L’ormonoterapia sostitutiva (Tos) migliora i sintomi cerebrali del climaterio, ma esistono molte differenze a seconda del tipo e della dose di estrogeno, del tipo di combinazione progestinica e della via di somministrazione. Esistono prove che la terapia estrogeno-sostitutiva protegga preferenzialmente le donne sane in postmenopausa dalla riduzione cognitiva età-dipendente, riducendo il rischio di demenza». La conferma della stretta relazione tra ormoni sessuali e funzioni cognitive viene dai risultati di una studio svolto da Victor W. Henderson, della Stanford University (Usa). «Dopo somministrazione di una serie di questionari a una coorte di donne di mezza età in menopausa naturale non utilizzatrici di Tos, abbiamo riscontrato come la memoria semantica fosse associata positivamente con i livelli di estradiolo e un basso rapporto testosterone/estradiolo, inversamente associato anche alla memora episodica verbale». Torbjörn Backström, dell’Università di Umeå (Svezia), ha infine ricordato che «i metaboliti del progesterone e del testosterone sono potenti modulatori positivi del recettore Gaba-A del Snc (come gli anestetici, gli anticonvulsivanti, i sedativi e gli ansiolitici). A basse concentrazioni, però, inducono effetti avversi paradossi, con irritabilità, aggressività, dolore. È quanto capita nella fase luteinica del ciclo a causa dei progestinici dei contraccettivi orali o della Tos, o in caso di disturbo disforico premestruale». 9th Congress of the European Society of Gynecology. Copenhagen, Denmark, 8-11 September 2011

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