Fazio, la tassa sul fumo vale un miliardo di euro

Un’eventuale tassa sul fumo potrebbe valere un miliardo di euro. La proposta è stata già in parte discussa al Consiglio dei Ministri, ma l’impegno del ministero della Salute è per fare in modo che gli introiti siano destinati alla sanità. A dirlo il titolare del dicastero Ferruccio Fazio, in un intervento a Empoli. «Se va in porto la tassa sul tabacco» è il commento del Ministro «si riuscirebbe a dare una bella boccata di ossigeno, sia in relazione ai ticket, sia agli effetti della manovra in generale». A questo proposito, il Ministro ricapitola l’incidenza del provvedimento di agosto sulla sanità, che «per ora è poca cosa». Quanto alla manovra di luglio, invece, che aveva introdotto i ticket su specialistica e pronto soccorso, «comincerà a farsi sentire in cifre rilevanti dal 2013 e 2014 con un peso che ricadrà su farmaceutica, servizi e dispositivi». Sui ticket il Ministro ricorda che «hanno una iniquità intrinseca e vanno in parte rimodulati dalle regioni e in parte rivisti alla luce della manovra complessiva».

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Addio a certificati cartacei. Cgil, persistono carenze strutturali

Dopo più di un anno di incontri, discussioni e polemiche tra sindacati medici e ministro della Pubblica amministrazione, l’ora X è fissata per domani 13 settembre, quando entrerà ufficialmente a regime, dopo un periodo transitorio durato 3 mesi, il nuovo sistema di comunicazione online delle malattie dei lavoratori dipendenti privati. Una piccola rivoluzione digitale che dovrebbe portare, secondo i calcoli del dicastero della P.A., risparmi per 500 milioni di euro l’anno (calcolati in base al costo di ogni pratica, stimata in 10 euro), oltre all’eliminazione di quasi 100 milioni di fogli di carta. L’ultimo via libera è arrivato la scorsa settimana dal Comitato tecnico di monitoraggio messo in piedi dal ministero. «Qualche piccola perplessità esiste sempre ma la stragrande maggioranza dei medici è pronta per l’avvio del sistema, direi circa il 90%», spiega Giacomo Milillo, presidente della Fimmg, la Federazione dei Medici di Medicina Generale, aggiungendo però che «resta ancora da stabilire la collaborazione con le Regioni». «Oggi si dimostra che le nostre ragioni erano corrette e che ci voleva del tempo per organizzarsi», aggiunge Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg), secondo il quale i medici operativi sarebbero «intorno al 95%». «È una buona notizia» è il commento di Massimo Cozza, segretario nazionale FpCgil Medici e di Nicola Preiti, coordinatore nazionale Fp Cgil Medici Medicina Generale. «Ma» precisano, «nonostante i tanti comunicati del Ministro Brunetta zeppi di cifre e statistiche, persistono carenze strutturali del sistema, in particolare al pronto soccorso, nella specialistica ambulatoriale e nei ricoveri ospedalieri». «Per queste ragioni» conclude la nota «da domani i lavoratori privati potranno avere quasi sempre il certificato di malattia on line quando si recano dal medico di famiglia, meno se chiamano la guardia medica e quasi mai se si recano al pronto soccorso o vengono ricoverati».

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Regioni, spesa sanitaria +74% in dieci anni

In dieci anni la spesa delle Regioni è passata da 119 a 209 miliardi di euro. E il merito, se così lo si può definire, va soprattutto alla Sanità, le cui uscite sono aumentate di quasi 46 miliardi. Mentre i governatori proseguono nelle loro contestazioni alla Manovra e ai tagli che impartisce agli enti locali, dalla Cgia di Mestre arrivano dati che non fanno fare bella figura alle Regioni. Nel periodo che va dal 2000 al 2009, infatti, la spesa delle amministrazioni è cresciuta del 75,1%, un valore di circa tre volte superiore al tasso di incremento dell’inflazione (+22,1% nello stesso periodo). Le medie rivelano andamenti regionali profondamente differenti: le Regioni che hanno fatto registrare i balzi più consistenti sono Umbria (+143,7%), Emilia Romagna (+140,3%) e Sicilia (+125,7%), mentre le più “parsimoniose” risultano Provincia autonoma di Trento (+43,2%), Veneto (+40,9%) e Campania (+40,3%). Stessa eterogeneità per quanto concerne le voci di spesa che hanno inciso sulla crescita. In termini percentuali al primo posto c’è l’assistenza sociale (+185,8%), seguita da oneri non attribuibili (ammortamenti, interessi, fondi di riserva, spese non classificabili: +112,6%), istruzione/formazione (+86,9%) e Sanità (+74,3%). Quest’ultima tuttavia passa al primo posto se la valutazione è sulle cifre assolute: nei dieci anni compresi tra il 2000 e il 2009, infatti, la spesa per assistenza sanitaria è cresciuta di 45,9 miliardi di euro, seguita a grande distanza (+20 miliardi) dagli oneri non attribuibili. «Maggior spesa non sempre è sinonimo di spreco o di una cattiva gestione» è il commento di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre «ma non possiamo nascondere che alcune Regioni, come quelle a Statuto speciale, presentano livelli di spesa che solo in parte sono coperte dalle entrate proprie. Ciò vuol dire che la specificità di alcuni territori è stata in gran parte garantita dallo sforzo fiscale fatto dai contribuenti delle realtà a Statuto ordinario. Un meccanismo, quest’ultimo, che andrebbe eliminato per ripristinare il principio di equità ed uguaglianza tra tutti i territori regionali».

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Sciatica, steroidi sistemici poco efficaci e poco tollerati

30 Set 2011 Ortopedia

Gli steroidi sistemici non solo non sono più efficaci del placebo nel trattamento della sciatica, ma sono gravati da maggiori effetti collaterali. Il rapporto tolleranza/efficacia non è pertanto favorevole all’uso di questi farmaci in tale indicazione. È la conclusione di una review sistematica e meta-analisi compiuta da un gruppo di studiosi coordinati da Cécile Roncoroni, del dipartimento Emergenze dell’ospedale Albert Michallon, a Grenoble (Francia). Per effettuare la ricerca sono stati selezionati 7 studi randomizzati placebo-controllo che avevano come obiettivo la valutazione dell’efficacia e della tollerabilità degli steroidi in soggetti con sciatica. Tra i 383 pazienti presi in considerazione, la differenza del tasso di risposta tra chi assumeva placebo e steroidi non si è dimostrata statisticamente significativa (rischio relativo, Rr: 1,22). La percentuale di eventi avversi è stata di 13,3 per i pazienti inseriti nel gruppo steroidi e del 6,6 per quelli nel gruppo placebo (Rr: 2,01). Il ricorso alla chirurgia si è reso necessario in 20 soggetti (15,3%) del gruppo che assumeva steroidi e in 7 (5,7%) di quelli che ricevevano placebo. Infine, nei pazienti ai quali venivano somministrati steroidi sistemici è emersa una tendenza più accentuata al ricorso alla chirurgia spinale (Rr: 1,14). La qualità metodologica ha influenzato marginalmente i risultati e non si sono riscontrati bias di pubblicazione. Rheumatology, 2011; 50(9):1603-11

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Recidiva di mieloma multiplo, sì a talidomide e desametasone

L’impiego di talidomide e desametasone (thal-dex) si propone come una efficace terapia di salvataggio per i pazienti con mieloma multiplo alla prima recidiva: si nota infatti un controllo protratto nel tempo della malattia e una sopravvivenza globale prolungata. Thal-dex è anche ben tollerato, come emerge dal lungo periodo in cui i pazienti sono rimasti in trattamento senza progressione della malattia (25 mesi in mediana) e dal ridotto tasso di interruzione della terapia per problemi di tossicità (8%). È l’esito di uno studio condotto da Elena Zamagni e collaboratori dell’Istituto di ematologia Seràgnoli dell’università di Bologna, utilizzando un regime che comprendeva una dose quotidiana di talidomide da 100 o 200 mg fino a progressione e desametasone 160 mg al mese. Sono stati arruolati 100 pazienti con una terapia di prima linea costituita da trapianto autologo di cellule staminali (72%) e chemioterapia convenzionale (28%). Il 59% dei pazienti ha ricevuto una dose fissa di talidomide pari a 100 mg al giorno. Gli eventi avversi più frequenti sono risultati costipazione (42%), neuropatia periferica (58%, nel 5% dei casi di grado 3), bradicardia (20%), rash cutaneo (11%) e tromboembolismo venoso (7%). La sospensione di talidomide conseguente a eventi avversi è stato osservata in 8 pazienti. All’analisi intention-to-treat, il 46% dei pazienti ha raggiunto almeno una risposta parziale. La mediana della durata della risposta si è attestata su 28 mesi e il tempo mediano alla successiva terapia sui 15,5 mesi. I valori mediani di sopravvivenza globale, tempo alla progressione e sopravvivenza libera da progressione sono risultati pari rispettivamente a 43, 22 e 21 mesi. Il tempo alla progressione e la sopravvivenza libera da progressione sono stati significativamente maggiori nei pazienti che mostravano almeno una risposta parziale a talidomide. Ann Hematol, 2011 Sep 8. [Epub ahead of print]

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Anziani con frattura del femore: dannoso ritardare la chirurgia

28 Set 2011 Ortopedia

Nei pazienti anziani con frattura del femore, ritardare l’intervento chirurgico determina morbilità e mortalità maggiori. Questi aumenti sono in gran parte spiegati da ragioni mediche all’origine del ritardo. Questa la conclusione di uno studio prospettico di coorte coordinato da Maria T. Vidán, dell’ospedale universitario Gregorio Marañon di Madrid, che ha coinvolto 2.250 soggetti anziani ricoverati in ospedale per frattura del femore. Quattro i parametri che i ricercatori spagnoli hanno preso in considerazione: il tempo di attesa prima dell’intervento chirurgico, i motivi di un eventuale ritardo, la mortalità ospedaliera e il rischio di complicanze. L’intervallo di tempo tra ricovero e intervento è stato mediamente di 72 ore. La carenza di sale operatorie disponibili (60,7%) e problemi medici acuti (33,1%) sono stati i principali motivi per ritardi superiori alle 48 ore. I tassi di mortalità in ospedale e di complicazioni sono stati, mediamente, di 4,35% e 45,9%, ma di 13,7% e 74,2% in pazienti clinicamente instabili. Quanto più si è prolungato il tempo che ha preceduto l’intervento, tanto maggiori sono risultati i tassi di mortalità e di complicanze mediche. Dopo aggiustamenti per età, demenza, condizioni croniche e funzionalità, l’associazione tra tempo di attesa prima dell’intervento chirurgico e maggiori morbilità e mortalità è rimasta valida per ritardi superiori alle 120 ore. I rischi si sono attenuati dopo aggiustamento per la presenza di condizioni mediche acute come causa del ritardo. Il rischio di infezione del tratto urinario è rimasto elevato, mentre non sono emerse interazioni tra ritardo ed età, demenza o stato funzionale. Ann Intern Med, 2011; 155(4):234-245

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Steatosi non alcolica pediatrica: no a metformina e vitamina E

Nei bambini e negli adolescenti con steatosi epatica non alcolica (Nafld), n? la vitamina E n? metformina sono superiori al placebo nell’ottenere una riduzione sostenuta delle Alt (alanino aminotrasferasi).

? questo il risultato dello studio multicentrico randomizzato Tonic, compiuto da un’?quipe medica coordinata da Joel E. Lavine, della divisione di Gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica presso la Columbia university di New York. La ricerca ha coinvolto 173 pazienti, di et? compresa tra 8 e 17 anni, con diagnosi di Nafld confermata da biopsia: il campione arruolato ? stato suddiviso in tre gruppi: 800 IU/die di vitamina E (58 pazienti), 1.000 mg/die di metformina (57 pazienti) o placebo (58 pazienti) per un periodo di 96 settimane. Outcome principale ? stata la riduzione sostenuta di Alt, definita come il 50% o meno del livello al basale oppure 40 U/L o meno alle visite eseguite ogni 12 settimane dalla quarantottesima alla novantaseiesima settimana di trattamento. La riduzione sostenuta del livello di Alt ? stata simile al placebo (10/58; 17%) sia nel gruppo che assumeva vitamina E (15/58; 26%) sia in quello a cui veniva somministrata metformina (9/57; 16%). La variazione media del livello di Alt dal baseline alla settimana 96 ? stata di -35,2 U/L con placebo, -48,3 U/L con vitamina E e -41,7 U/L con metformina. La variazione media al termine dello studio dei punteggi del ballooning epatocellulare ? stata di 0,1 con placebo, -0,5 con vitamina E e -0,3 con metformina; la variazione del Nafld activity score ? stata di −0,7 con placebo, −1,8 con la vitamina E e −1,1 con metformina.

Tra i bambini con steatoepatite non alcolica (Nash), la percentuale di risoluzione a 96 settimane ? stata di 28% con placebo, 58% con la vitamina E e 41% con metformina. Rispetto al placebo, nessuna terapia ha mostrato un miglioramento significativo di altre caratteristiche istologiche.

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Metastasi epatiche da ca colorettale, meglio neoadiuvare

17 Set 2011 Oncologia

Nel trattamento delle metastasi epatiche colorettali resecabili l’aggiunta della chemioterapia neoadiuvante alla sola chemioterapia postoperatoria potrebbe essere favorevole dal punto di vista del rapporto costo/efficacia in quanto permetterebbe di evitare la resezione del fegato nei pazienti che non rispondono all’approccio neoadiuvante. In ogni caso l’aspettativa di vita ottenuta impiegando le due diverse strategie terapeutiche ? molto simile. ? la conclusione di una ricerca – condotta da Giorgio Ercolani, dell’unit? di Trapianto di fegato e multiorgano dell’universit? di Bologna, e colleghi del medesimo ateneo – secondo cui i valori di aspettativa di vita osservati ricorrendo alla chemioterapia perioperatoria sono di 54,56 mesi contro i 52,56 mesi con l’uso della sola chemioterapia postoperatoria, mentre i mesi di vita aggiustati per la qualit? (Qalm) passano, rispettivamente, da 39,33 a 37,84. La chemioterapia perioperatoria, inoltre, determina un aumento dei costi totali ma, considerando la sopravvivenza attesa a 3 anni libera da recidive e il costo della resezione epatica, l’approccio perioperatorio appare pi? favorevole sotto il profilo costo/efficacia rispetto a quello solo postoperatorio, anche se le differenze in media del rapporto costo/efficacia risultano piccole. Il rapporto incrementale costo/efficacia, infine, mostra una relazione inversa con il costo della resezione epatica perch? quanto maggiore ? il costo di quest’ultima, tanto maggiore ? il risparmio dovuto ai pazienti che diventano inoperabili durante la terapia neoadiuvante.

Eur J Cancer, 2011 Jun 6. [Epub ahead of print]

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Raddoppiata epidemia mondiale di diabete negli ultimi 30 anni

Dal 1980 l’epidemia di diabete ? in crescita, per via dell’aumento della popolazione e del suo progressivo invecchiamento, e delle crescenti prevalenze et?-specifiche. In particolare, il numero degli adulti affetti da diabete ? pi? che raddoppiato nelle ultime 3 decadi. La massima crescita si ? registrata in Oceania e in Nord America, mentre l’Europa ? la regione in cui si rileva il minore aumento di prevalenza. Aree di crescita elevata sono anche l’Asia centrale e del Sud, i Caraibi, il Nord Africa e il Medio Oriente. Queste le stime pi? rilevanti effettuate dalla sezione “Blood glucose” del Global burden of metabolic risk factors of chronic diseases collaborating group, guidato da Majid Ezzati, dell’Imperial college di Londra. L’analisi ? stata effettuata su 2,7 milioni di persone, in 199 nazioni, in un periodo compreso tra il 1980 e il 2008. Lo studio ha rivelato un aumento all’incirca del 7% della prevalenza mondiale di diabete per ciascuna delle ultime 3 decadi, con livelli di glicemia a digiuno (Fpg) saliti in media di 0,08 mmol/L ogni 10 anni. Globalmente il numero di persone diabetiche ? aumentato da 153 milioni nel 1980 a 347 milioni nel 2008; in particolare, la prevalenza del diabete standardizzata per et? ? passata da 8,3% negli uomini e 7,5% nelle donne nel 1980 a valori, rispettivamente, del 9,8% e 9,2% nel 2008. Il massimo aumento si ? avuto in Oceania, con il pi? alto valore di prevalenza (15,5% per gli uomini, 15,9% per le donne). Tra le subregioni ad alto reddito, l’Europa occidentale e l’America del Nord hanno evidenziato, nell’ordine, la pi? contenuta e la pi? elevata crescita di Fpg (nel primo caso: 0,07 mmol/L per gli uomini, 0,03 mmol/L per le donne; nel secondo: 0,18 mmol/L e 0,14 mmol/L). Questo quadro, secondo gli autori, rende necessari interventi preventivi efficaci e dovrebbe indurre i sistemi sanitari a migliorare gli approcci diagnostici e terapeutici del diabete e delle sue complicanze.

Lancet, 2011; 378(9785):31-40

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Mortalit? da ca polmonare ridotta da screening

15 Set 2011 Oncologia

Lo screening con Tc a basse dosi di radiazioni riduce la mortalit? per cancro polmonare. ? questo l’esito di uno studio effettuato su 53.454 persone ad alto rischio per la patologia oncologica in 33 centri statunitensi dal National lung screening trial research team. I partecipanti sono stati assegnati, in modo casuale, a due gruppi di screening (comprensivo di tre esami, uno all’anno, tra l’agosto del 2002 e l’aprile del 2004) effettuato con Tc a basse dosi (n=26.772) oppure mediante Rx torace a singola proiezione posteroanteriore (n=26.732). I dati relativi ai casi e ai decessi per cancro polmonare sono stati raccolti fino al dicembre 2009. L’aderenza allo screening ? stata alta: pi? del 90%. Il tasso di esami positivi ? stato del 24,2% nel gruppo Tc e del 6,9% in quello Rx, ma il 96,4% e il 94,5% dei test positivi, rispettivamente, alla Tc e all’Rx sono risultati falsi positivi. L’incidenza di cancro polmonare ? stata di 645 casi per 100.000 anni-persona nel gruppo Tc a basse dosi, rispetto a 572 casi per 100.000 anni-persona nel gruppo Rx (rapporto tra tassi: 1,13). Si sono avuti 247 decessi per cancro polmonare per 100.000 anni-persona nel gruppo Tc contro le 309 morti per 100.000 anni-persona in quello Rx, corrispondenti a una riduzione relativa della mortalit? da cancro polmonare mediante Tc a basse dosi del 20,0%. Anche il tasso di morte per tutte le cause ? risultato diminuito del 6,7% nel gruppo Tc rispetto a quello Rx.

N Engl J Med, 2011 Jun 29. [Epub ahead of print]

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