Effetto antitumorale degli antagonisti della vitamina K

10 Apr 2011 Cardiologia

I pazienti anziani che fanno uso di antagonisti della vitamina K (Vka) hanno minori probabilit? di sviluppare un cancro – in particolare a carico della prostata – rispetto a chi non ha mai assunto questo tipo di anticoagulanti. ? l’esito di uno studio osservazionale di popolazione condotto da Vittorio Pengo e colleghi dell’universit? di Padova, volto a indagare l’impatto a lungo termine dei Vka? (warfarin o acenocumarolo) su incidenza del cancro e mortalit? oncologica. Nella ricerca sono stati inclusi tutti i residenti del Veneto senza neoplasie n? patologia tromboembolica di et? compresa tra i 65 e i 90 anni tra il 1996 e il 2002. In tutto, hanno partecipato allo studio 76.008 soggetti di entrambi i sessi; di questi, 3.321 sono stati trattati con Vka, i rimanenti 72.777 sono stati considerati come gruppo di controllo. A un follow-up medio di 8,2 anni, si sono manifestate 421 forme maligne tra i pazienti esposti a Vka (130 casi per 1.000) e 9.741 tra i controlli (134 casi per 1.000). Dopo aggiustamento per et?, sesso e tempo trascorso fino all’evento, i pazienti del gruppo Vka hanno evidenziato un rischio significativamente ridotto del 12% per tutti i tipi di cancro rispetto ai controlli, con un rischio diminuito del 31%, in modo specifico, per il cancro della prostata. Al contrario la mortalit? globale ? risultata maggiore del 12% tra gli utilizzatori di Vka, forse per un accresciuto livello di comorbilit?, come la fibrillazione atriale. L’ipotesi degli autori ? che le terapie anticoagulanti potrebbero servire non solo a ridurre il rischio di tromboembolismo venoso ma anche a influenzare direttamente la biologia della cellula cancerosa e lo sviluppo tumorale. In ogni caso – sottolineano i ricercatori – per confermare queste evidenze occorrono altri studi prospettici su larga scala e con follow-up pi? lunghi.

Blood, 2011; 117(5):1707-9

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Clopidogrel pi? Asa: il rischio emorragico ? significativo

I pazienti sottoposti a doppia terapia antipiastrinica (Dat), basata sulla cosomministrazione di clopidogrel e acido acetilsalicilico (Asa), corrono un rischio clinicamente significativo di emorragia acuta. Lo evidenzia una ricerca condotta ai Cdc (Centers for disease control and prevention) di Atlanta (Usa) da un team guidato da Nadine Shehab, della divisione di Promozione della qualit? assistenziale. Il tasso stimato di visite in dipartimenti d’emergenza (Ed) riguardanti emorragie acute da Dat ? di 1,2 per 1.000, a cui fa fronte un valore di 2,5 per 1.000 in caso di pazienti in trattamento con warfarin. Per effettuare una stima realistica della frequenza e della natura degli eventi avversi (Ae) provocati dalla Dat, gli autori non si sono basati su quanto riportato in letteratura, ma hanno analizzato dati di farmacovigilanza rappresentativi degli Stati Uniti, mettendoli a confronto con quelli correlati al warfarin. In un campione di 58 ospedali americani sono stati identificati 384 Ae correlati a emorragia da Dat, corrispondenti a un valore stimato di 7.654 visite effettuate ogni anno negli Usa per tali problematiche; queste cifre vanno confrontate ai 2.926 casi e alle 60.575 visite connesse all’uso di warfarin. Nel 59,4% delle visite per emorragie da Dat e nel 54,3% di quelle per warfarin, i disturbi sono consistiti in epistassi o piccole emorragie cutanee, orali, da piccole ferite o ecchimosi; si tratta di lesioni che, pur non essendo gravi, sono comunque preoccupanti, essendo responsabili di precoce sospensione del trattamento con clopidogrel, a sua volta potenziale causa di trombosi dello stent e scarso outcome clinico dopo stenting coronarico. Inoltre, nel 29,4% delle visite Ed per emorragia acuta da Dat il quadro ? stato sufficientemente grave da far richiedere il ricovero, come nel 40,1% dei casi con implicazione di warfarin. ?Questi dati? concludono gli autori? ?sottolineano l’importanza che medici e pazienti siano consapevoli del rischio emorragico da antipiastrinici e lo prevengano?.?

Arch Intern Med, 2010; 170(21):1926-3

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Ca mammario linfonodo-negativo, adiuvanti con docetaxel

8 Apr 2011 Oncologia

Anche nel cancro mammario linfonodo-negativo ad alto rischio il regime Tac (docetaxel, doxorubicina e ciclofosfamide) si dimostra in grado di migliorare il tasso di sopravvivenza libera da malattia rispetto alla terapia adiuvante Fac (fluorouracile, doxorubicina e ciclofosfamide). La sostituzione di fluorouracile con il taxano, gi? rivelatasi una mossa vincente nel cancro mammario linfonodo-positivo, ? stata sperimentata da Miguel Mart?n, dell’Hospital general universitario Gregorio Mara??n di Madrid, e collaboratori, su 1.060 donne con cancro mammario e negativit? dei linfonodi ascellari in presenza di almeno un fattore di rischio di recidiva secondo i criteri di St. Gallen del 1998 (studio Geicam 9805). Le pazienti sono state randomizzate a ricevere, dopo la chirurgia, il regime Tac o il regime Fac ogni tre settimane per sei cicli. Dopo un follow-up mediano di 77 mesi, la percentuale di pazienti ancora vive e libere da malattia era superiore nel gruppo Tac (87,6%) rispetto al gruppo Fac (81,8%), cui ha corrisposto una riduzione del rischio di ricorrenza pari al 32%. Il beneficio ? apparso costante, non influenzato cio? dallo status dei recettori ormonali, dalla condizione di menopausa o dal numero dei fattori di rischio. La differenza in termini di sopravvivenza non ha raggiunto per? la significativit? (Tac 95,2%, Fac 93,5%). I tassi di eventi avversi di grado 3-4 si ? attestato sul 28,2% con il regime Tac e sul 17,0% con quello Fac. La tossicit? associata a Tac si ? comunque ridotta quando veniva praticata una profilassi primaria con il fattore di crescita delle colonie di granulociti (G-Csf).?

New Engl J Med, 2010; 363(23):2200-10

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Dispositivi cardiovascolari, dati esclusi da rapporti?all’Fda

I pazienti “di pratica” (training patients) – ossia i primi individui in cui i clinici sperimentano un dispositivo medico cardiovascolare – comprendono una quota considerevole del numero totale di pazienti che ricevono un device in fase preregistrativa: eppure i dati da loro ottenuti non vengono inclusi nelle documentazioni sottoposte alla Fda per l’approvazione dei prodotti. Se si escludono tali dati dalle analisi, gli outcome di sicurezza ed efficacia possono per? apparire migliori dei risultati effettivi. La stesura di linee guida su questa problematica potrebbe pertanto migliorare l’accuratezza dei rapporti sugli esiti conseguiti. Lo sostengono Connie E. Chen e colleghi della university of California, a San Francisco, dopo avere passato al vaglio il “Summary of Safety and Effectivenes Data”, che descrive le applicazioni premarket dei device cardiovascolari approvati dall’Fda dal 2000 al 2007. Negli otto anni presi in considerazione si sono avute 78 descrizioni di dispositivi, in 17 delle quali (22%) erano coinvolti training patients. Su 123 studi contenuti nei profili di sicurezza ed efficacia, in 20 (16%) si ? ricorso ai pazienti “di pratica”. Nella totalit? dei casi (20 studi su 20) i training patients sono stati esclusi dall’analisi di efficacia e, in 19 casi (95%), lo sono stati anche dalle analisi di sicurezza. In 16 studi (80%) non ? stato fornito alcun dato relativo agli outcome, e in 15 (75%) non si sono verificate le differenze di esito tra trattamenti effettuati su pazienti “di pratica” e pazienti non “di pratica”. Infine, in 18 studi (90%) non sono state fornite informazioni demografiche sui training patients e in 14 (70%) non sono state prespecificate le linee guida per il loro arruolamento.

Arch Intern Med, 2010 Nov 22.

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Varicocele adolescente: chirurgia mininvasiva come cielo aperto

6 Apr 2011 Pediatria

Non vi ? una differenza statisticamente significativa negli esiti della varicocelectomia laparoscopica o a cielo aperto effettuate nei bambini e negli adolescenti, ma l’approccio mininvasivo ha il vantaggio di permettere il trattamento simultaneo del varicocele bilaterale. ? l’esito di una revisione della letteratura recente con metanalisi effettuata da Francesca Astra Borruto e collaboratori dell’universit? di Messina. Dopo la ricerca su Medline di articoli pubblicati negli ultimi 10 anni relativi a trial clinici controllati, randomizzati, multicentrici prospettici e retrospettivi sul trattamento del varicocele e sulla formazione e la recidiva dell’idrocele negli adolescenti, sono stati identificati 11 lavori adeguati per la metanalisi. Quest’ultima ha dimostrato che non vi ? una differenza statisticamente significativa tra chirurgia laparoscopica e in aperto sotto il profilo del tasso di recidiva e della frequenza di idrocele postoperatorio. Nel gruppo trattato in laparoscopia, l’incidenza di recidive ? risultata pi? elevata tra i pazienti sottoposti a legatura arteriosa rispetto a quelli in cui era stata effettuata una legatura arterovenosa. Inoltre, si ? riscontrato un tasso minore di idrocele postoperatorio nei pazienti andati incontro a iniezioni di un colorante prima della legatura laparoscopica.

J Pediatr Surg, 2010; 45(12):2464-9

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Deprivazione androgenica: pro e contro degli estrogeni

5 Apr 2011 Urologia

Nei pazienti con cancro della prostata in terapia di deprivazione androgenica, gli effetti collaterali degli agonisti dell’Lh-Rh (in primis, disfunzioni sessuali) possono essere ridotti somministrando estrogeni: per migliorarne l’impiego in quest’ambito clinico, Richard J. Wassersug, della Dalhousie university di Halifax (Canada), e collaboratori, hanno effettuato una revisione della letteratura sul ruolo di questi ormoni nella normale funzione sessuale maschile. ? appurato che recettori per gli estrogeni si trovano in vari tessuti coinvolti nel comportamento sessuale (alcune aree cerebrali, muscoli del pavimento pelvico) e che un recupero di interesse sessuale si ha con un loro apporto esogeno in soggetti in deprivazione androgenica o in chi assume alte dosi di antiandrogeni che causano un aumento del livelli endogeni di estrogeni. Questi ormoni possono anche aiutare a prevenire due fenomeni che frequentemente si manifestano durante il trattamento con agonisti dell’Lh-Rh: le “vampate” e la perdita di tessuto minerale osseo. D’altra parte, gli estrogeni possono causare ginecomastia e aumentano il rischio di cancro mammario; pertanto i pazienti con ca prostatico dovrebbero essere informati sui pro e i contro dell’estrogenoterapia prima di iniziare una terapia di deprivazione androgenica. Alla luce di questi dati, ? probabile che la somministrazione di estrogeni fornisca nell’uomo il massimo beneficio se iniziata contemporaneamente alla deprivazione androgenica. Inoltre, dato che gli estrogeni autoregolano i propri recettori, ? verosimile che una dose costante non produca una concentrazione sierica costante e che la loro efficacia possa essere ottimizzata con una somministrazione ciclica.

J Urol, 2010 Nov 11.

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Carcinoma duttale in situ, cure long-term

4 Apr 2011 Oncologia

I risultati dello studio UK/Anz Dcis (Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda cancro mammario duttale in situ), pubblicato sul Lancet nel 2003 e condotto da Joan Houghton, del dipartimento di Chirurgia della Royal free and university college medical school, Londra, avevano mostrato come la radioterapia fosse in grado di ridurre nuovi eventi mammari di carcinoma ipsilaterale invasivo e duttale in situ, mentre non era emersa alcuna utilit? ascrivibile al trattamento con tamoxifene. L’aggiornamento degli esiti della ricerca – coordinata da Jack Cuzick, del Cancer research UK dell’universit? di Londra e pubblicata sempre sul Lancet – dopo un follow-up mediano di 12,7 anni conferma il beneficio a lungo termine della radioterapia ma riporta anche un beneficio di tamoxifen nel ridurre nuovi eventi locali e controlaterali nelle donne con carcinoma duttale in situ (Dcis) dopo chirurgia locale completa. Fra maggio 1990 e agosto 1998, 1.701 donne sono state randomizzate a trattamento con radioterapia e tamoxifen, solo radioterapia, solo tamoxifen o a nessun trattamento adiuvante. Sono stati diagnosticati 376 tumori al seno (163 invasivi, di cui 122 ipsilaterali e 39 controlaterali; 197 Dcis, di cui 174 ipsilaterali e 17 controlaterali; 16 di invasivit? e lateralit? non conosciuta). La radioterapia ha ridotto l’incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (hazard ratio, Hr: 0,41), diminuendo l’incidenza della neoplasia invasiva ipsilaterale (Hr: 0,32) e del DCIS ipsilaterale (HR 0,38), ma senza alcun effetto sul cancro mammario controlaterale (HR 0,84). L’assunzione di tamoxifene ha ridotto l’incidenza di tutti i nuovi tumori al seno (HR 0,71), diminuendo l’incidenza del DCIS ricorrente ipsilaterale (HR 0,70) e dei tumori controlaterali (HR 0,44), ma senza alcun effetto sulla neoplasia invasiva ipsilaterale (HR 0,95). Durante questo trial non sono stati raccolti dati sugli eventi avversi, con l’eccezione della causa di morte.

Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):21-9

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Altamente infettivi i pazienti con tubercolosi Mdr o Xdr

In considerazione dell’elevato rischio di malattia registrato tra i contatti familiari dei pazienti con tubercolosi multifarmaco-resistente (Mdr) o estremamente resistente (Xdr), i programmi contro la tubercolosi dovrebbero implementare indagini sistematiche familiari per tutti i pazienti che hanno contratto le malattie Mdr o Xdr. Inoltre, nel caso in cui nei familiari sia dimostrata la presenza di tubercolosi in fase attiva, dovrebbe essere preso in considerazione il sospetto di tubercolosi Mdr almeno fino a quando non emergano prove in senso contrario. Queste le conclusioni di uno studio retrospettivo condotto da Mercedes C. Becerra, dell’Harvard medical school di Boston, e collaboratori, su 693 familiari di pazienti indice affetti da tubercolosi Mdr nel periodo 1996-2003 a Lima (Per?). In 48 familiari il Mycobacterium tubercolosis isolato dal paziente indice era Xdr. Sui 4.503 contatti familiari, 117 (2,6%) soffrivano di tubercolosi in fase attiva nel momento in cui il paziente indice aveva iniziato il trattamento per la forma Mdr. Durante un follow-up della durata di 4 anni, 242 contatti hanno sviluppato tubercolosi in fase attiva: la frequenza di tubercolosi attiva era quasi due volte superiore nei contatti di pazienti affetti dalla forma Xdr rispetto ai contatti di pazienti con tubercolosi Mdr (hazard ratio: 1,88). Tra i 359 contatti con tubercolosi in fase attiva, 142 (40%) sono stati testati per verificare la resistenza ai farmaci di prima linea e ben 129 (90,9%) sono risultati infetti da tubercolosi Mdr.

Lancet, 2011 Jan 8;377(9760):147-52

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Ca endometriale: positivo lo screening transvaginale

2 Apr 2011 Oncologia

In postmenopausa l’ecografia transvaginale (Tvs) per lo screening del cancro dell’endometrio ? caratterizzata da una buona sensibilit? e il numero dei falsi positivi pu? essere ridotto riservando l’indagine a gruppi ad alto rischio. Se il ruolo dello screening di popolazione con questa tecnica deve ancora essere approfondito, i risultati ottenuti sono gi? di immediata utilit? per la gestione dell’aumentato spessore endometriale nelle donne in postmenopausa che si sottopongono a scansioni pelviche per ragioni differenti dal sanguinamento vaginale. Sono le conclusioni di Ian Jacobs, dell’Institute for women’s health di Londra, e collaboratori, autori di uno studio caso-controllo svolto sulla coorte coinvolta nello studio Ukctocs (United kingdom collaborative trial of ovarian cancer screening). In tutto, 48.230 donne sono state sottoposte all’indagine, con rilevazione dello spessore e di anomalie dell’endometrio e, dopo un follow-up mediano di 5,11 anni, con eventuale documentazione diagnostica di ca endometriale o iperplasia endometriale atipica (Aeh). Il cutoff ottimale dello spessore endometriale per cancro endometriale o Aeh ? risultato di 5,15 mm, in virt? di una sensibilit? dell’80,5% e di una specificit? dell’86,2%. Considerando un cutoff pari o superiore a 5 mm la sensibilit? e la specificit? sono risultate di 80,5% e 85,7%, attestandosi invece sul 54,1% e sul 97,2% con un cutoff pari o superiore a 10 mm. Inoltre, restringendo l’analisi alle 96 donne con ca endometriale o Aeh senza sintomi di sanguinamento vaginale prima della diagnosi, un cutoff di 5 mm ha permesso di raggiungere una sensibilit? del 77,1% e una specificit? dell’85,8%. Mediante regressione logistica, infine, si ? identificato un 25% della popolazione sotto studio come ad alto rischio; in tale gruppo, in cui ? stato riconosciuto il 39,5% dei ca endometriali e dei casi di Aeh, un cutoff di 6,75 mm ha permesso di ottenere una sensibilit? dell’84,3% e una specificit? dell’89,9%.

Lancet Oncol, 2011 Jan;12(1):38-48

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L’indice di massa corporea ? predittivo di risposta ai Ppi

Nei pazienti con sintomi del tratto gastrointestinale superiore la risposta agli inibitori della pompa protonica (Ppi) ? probabilmente correlata al reflusso acido. In questo contesto, il forte valore predittivo dell’indice di massa corporea (Bmi) sembra attribuibile all’associazione con il sottostante reflusso acido e al fatto che si tratti di un parametro pi? obiettivo e riproducibile rispetto alle caratteristiche sintomatologiche. Si raccomanda pertanto la misurazione del Bmi in questa categoria di pazienti. A questa conclusione perviene il gruppo di Jonathan Fletcher del Gardiner institute dell’universit? di Glasgow, al termine di uno studio prospettico randomizzato che ha coinvolto 105 pazienti con risultati endoscopici normali, negativit? al test per H. pylori e sintomi del tratto gastrointestinale superiore dopo 2 settimane di run-in. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a un gruppo trattato con lansoprazolo (30 mg/die) per 2 settimane e a un gruppo placebo ed ? stata eseguita la rivalutazione della gravit? dei sintomi durante la seconda settimana di trattamento. In base all’analisi intention-to-treat, ? stata registrata una risposta del 35,7% nel gruppo in terapia e del 5,7% in quello placebo. All’analisi che ha tenuto conto delle variabili multiple, l’indice di massa corporea ? emerso come l’unico fattore predittivo indipendente e non invasivo di risposta al Ppi. Tale associazione tra Bmi e risposta al farmaco ? risultata apprezzabile in tutti i quartili e si ? mantenuta tale anche considerando i dati della manometria e della pH-metria esofagee acquisiti prima della randomizzazione. Viceversa il sintomo predominante e i vari sottogruppi sintomatologici non si sono rivelati utili nel predire la risposta al Ppi. Tenendo conto di tutte le valutazioni effettuate prima del trattamento, solo il Bmi e la pressione dello sfintere esofageo inferiore si sono dimostrati fattori predittivi indipendenti di risposta.

Gut, 2010 Dec 15

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