Paracetamolo, infondata epatotossicit? pediatrica

31 Mar 2011 Pediatria

Negli studi condotti su popolazioni pediatriche definite, solo raramente sono stati riportati casi di epatotossicit? da paracetamolo al dosaggio terapeutico. I case report, tuttavia, suggeriscono che il fenomeno possa presentarsi, ma i dati sono insufficienti per supportare una relazione causale tra danno epatico e paracetamolo. Sono le conclusioni di una revisione sistematica della letteratura, condotta da Eric J. Lavonas e colleghi del Rocky mountain poison & drug center di Denver. Sono stati analizzati 62 studi, per un totale di 32.414 pazienti, che prevedevano la somministrazione di dosi terapeutiche di paracetamolo (=/<75 mg/kg/die per via orale o endovenosa o =/<100 mg/kg/die per via rettale) a una popolazione pediatrica definita per un periodo superiore alle 24 ore, e i case report di danno epatico dopo somministrazione di paracetamolo. Le conclusioni generali confermano la tollerabilit? pediatrica del farmaco: nessun bambino ha manifestato segni o sintomi di malattia epatica, non ? mai stato necessario ricorrere al trapianto o a un antidoto e non si ? registrato alcun decesso. In 10 bambini (0,031%) si sono verificati eventi avversi a livello epatico di entit? lieve o grave; i pi? alti valori di transaminasi riscontrati in questi pazienti sono stati di 600 UI/L, con un punteggio Naranjo pari a 2-3, identificativo cio? di "possibile" nesso causale tra paracetamolo ed epatotossicit?. Sono stati inoltre evidenziati 22 case report e in 9 di questi il Naranjo score (punteggio 5-6) ha suggerito una ?"probabile" associazione tra impiego del farmaco ed epatotossicit?. Pediatrics, 2010; 126(6):e1430-44

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Fumo passivo causa di 603 mila decessi nel 2004

Nuovi dati avversi al fumo passivo giungono da un’analisi retrospettiva condotta sui dati di 192 Paesi relativi al 2004 da Mattias ?berg, dell’istituto di Medicina ambientale del Karolinska institutet di Stoccolma, e collaboratori. In tutto il mondo, secondo la ricerca pubblicata su Lancet, in quell’anno sono stati esposti a fumo passivo il 40% dei bambini, il 33% degli uomini non fumatori di sesso maschile e il 35% delle donne non fumatrici. Si stima che tale esposizione abbia determinato 379.000 morti per cardiopatia ischemica, 165.000 per infezioni delle basse vie respiratorie, 36.900 per asma e 21.400 per cancro polmonare. Pi? in generale si ritiene che, nel solo 2004, siano attribuibili al fumo passivo 603.000 decessi, equivalenti a circa l’1,0% della mortalit? mondiale. Di questi, il 47% ha interessato donne, il 28% bambini e il 26% uomini. Gli anni di vita aggiustati per disabilit? (Dalys) perduti a causa del fumo passivo ammonterebbero a 10,9 milioni, ovvero lo 0,7% del carico globale di malattie nei Dalys del 2004, il 61% dei quali ha interessato bambini. Le patologie prevalenti sono state: infezioni respiratorie nei bambini di et? inferiore a 5 anni (5.939.000), cardiopatia ischemica negli adulti (2.836.000), e asma negli adulti (1.246.000) e nei bambini (651.000). Queste stime, sottolineano gli autori, suggeriscono che estendendo efficaci interventi clinici e di salute pubblica per ridurre il fumo passivo in tutto il mondo si potrebbero ottenere sostanziali guadagni di salute.

Lancet, 2011; 377(9760):139-46

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Ritardo di crescita intrauterina: induzione uguale all’attesa

29 Mar 2011 Ginecologia

Nelle gestanti con sospetto ritardo di crescita intrauterina a termine, l’induzione al parto o l’attesa con monitoraggio non presentano differenze significative per quanto riguarda eventuali eventi avversi. Le pazienti pi? propense a un decorso naturale possono optare per l’attesa con un monitoraggio intenso materno-fetale. Tuttavia ? pi? indicato ricorrere all’induzione per prevenire morbilit? neonatali e mortalit? perinatale. Sono questi i risultati dello studio Digitat (Disproportionate intrauterine growth intervention trial at term), coordinato da Kim E. Boers del Centro universitario medico di Leida (Olanda). Alla ricerca, condotta in 52 strutture ospedaliere dei Paesi bassi tra il 2004 e il 2008, hanno partecipato donne portatrici di una singola gravidanza con oltre 36 settimane di gestazione e sospetto ritardo di crescita intrauterino. In totale, 321 donne sono state indirizzate all’induzione e 329 all’attesa. Nel primo gruppo, la gravidanza si ? conclusa dieci giorni prima e i neonati pesavano 130 grammi meno rispetto a quelli nati da donne destinate all’attesa. In 17 neonati (5,3%) del gruppo “induzione” e in 20 (6,1%) del gruppo “attesa” si sono registrati alcuni outcome avversi neonatali (morte prima della dimissione ospedaliera, punteggio di Apgar dopo 5 minuti inferiore a 7, pH dell’arteria ombelicale inferiore a 7,05, trasferimento presso un’unit? di cura intensiva). Il parto cesareo si ? reso necessario in 45 gestanti (14%) del gruppo “induzione” e in 45 (13,7%) di quello “attesa”.

BMJ, 2010; 341:c7087

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Otite media acuta sotto i due anni: meglio intervenire

28 Mar 2011 Pediatria

Nei bambini sotto i due anni di et? con otite media acuta (condizione in cui le raccomandazioni divergono tra una terapia antimicrobica immediata o un’attesa vigile), un trattamento di 10 giorni con amoxicillina/clavulanato riduce il tempo necessario per risolvere i sintomi, l’impatto sintomatologico globale e il tasso di segni persistenti di infezione acuta rilevabili all’esame otoscopico. Lo dimostra una ricerca effettuata da Alejandro Hoberman e collaboratori del dipartimento di Pediatria dell’universit? di Pittsburgh, i quali hanno assegnato in modo randomizzato 291 bambini di et? compresa tra 6 e 23 mesi, con otite media acuta diagnosticata secondo criteri stringenti, a ricevere amoxicillina-clavulanato o placebo per 10 giorni. Tra i soggetti in trattamento attivo, il 35% ha manifestato un’iniziale risoluzione dei sintomi entro il secondo giorno, il 61% entro il quarto, e l’80% entro il settimo; tra i bambini che hanno ricevuto il placebo, invece, un’iniziale risoluzione dei sintomi si ? avuta nel 28% entro il secondo giorno, nel 54% entro il quarto, e nel 74% entro il settimo. Per le risposte sostenute dei sintomi, i valori corrispondenti sono stati 20%, 41% e 67% con amoxicillina/clavulanato, e 14%, 36% e 53% con placebo. I punteggi medi dei sintomi lungo i primi sette giorni sono risultati pi? bassi nel gruppo trattato con gli antibiotici rispetto a quello placebo. Anche il tasso di fallimento clinico – inteso come persistenza di segni di infezione acuta all’esame otoscopico – ? risultato inferiore tra i soggetti in terapia con amoxicillina/clavulanato rispetto a quelli che ricevevano il placebo: 4% vs 23% allo visita in quarta o quinta giornata e 16% vs 51% alla visita in decima o dodicesima giornata. Da segnalare, infine, che diarrea e dermatite da pannolino sono state pi? frequenti nel gruppo trattato con il farmaco attivo.

N Engl J Med, 2011; 364(2):105-15

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Cardiomiopatie dilatative, meno ricoveri con omega-3

27 Mar 2011 Cardiologia

Nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (Nicm) e sintomatologia contenuta in risposta a terapia medica basata sulle prove, il trattamento con acidi grassi polinsaturi n-3 (omega-3) aumenta la funzione sistolica e la capacit? funzionale del ventricolo sinistro, e pu? ridurre le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. ? quanto emerge dai risultati di uno studio condotto da Savina Nodari, del dipartimento di Medicina sperimentale e applicata dell’universit? di Brescia, e colleghi, su 133 pazienti con Nicm, randomizzati a ricevere 2 grammi di omega-3 oppure placebo. Nei partecipanti ? stata effettuata una misurazione prospettica della funzione ventricolare sinistra e della capacit? funzionale, mediante ecocardiografia e test da sforzo cardiopolmonare, al basale e 12 mesi dopo la randomizzazione. Al follow-up di 12 mesi, il gruppo omega-3 e quello placebo risultavano significativamente differenti in relazione a vari parametri: la frazione d’eiezione ventricolare sinistra, aumentata del 10,4% nel primo e diminuita del 5,0% nel secondo; il consumo di ossigeno al picco, rispettivamente cresciuto del 6,2% e ridotto del 4,5%; la durata dell’esercizio, aumentata del 7,5% e diminuita del 4,8%, nell’ordine; la classe funzionale media Nyha, infine, scesa da 1,88 a 1,61 nei soggetti randomizzati agli acidi grassi poliinsaturi e salita da 1,83 a 2,14 nei controlli. I tassi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, infine, si sono attestati sul 6% nel gruppo omega-3 e sul 30% in quello placebo.

J Am Coll Cardiol, 2010 Dec 29. [Epub ahead of print]

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Il sartano fa la differenza nello scompenso cardiaco

26 Mar 2011 Cardiologia

La scelta del sartano pu? influire sulla sopravvivenza del paziente con scompenso cardiaco. Lo dimostra uno studio – effettuato da Maria Eklind-Cervenka, del Karolinska institutet di Stoccolma, e collaboratori – in cui soggetti trattati con candesartan mostrano una mortalit? per tutte le cause inferiore a quella di pazienti in terapia con losartan. ? la prima volta che due diversi bloccanti del recettore dell’angiotensina II vengono posti a confronto uno contro l’altro. L’analisi ? stata effettuata basandosi sui dati del registro svedese dello scompenso cardiaco, relativo a 30.254 pazienti (et? media: 74 anni) afferiti a 62 ospedali e 60 ambulatori tra il 2000 e il 2009. Di questi soggetti, 2.639 erano stati trattati con candesartan e 2.500 con losartan. La sopravvivenza a un anno ? risultata del 90% nei primi e dell’83% nei secondi, mentre la sopravvivenza a 5 anni si ? attestata, rispettivamente, sul 61% e 44%. All’analisi multivariata comprensiva dei punteggi di propensione, l’uso di losartan ? apparso associato a un rischio di mortalit? superiore del 43% rispetto a candesartan. Questi risultati non sono cambiati anche dopo stratificazione per et?, anno di inclusione nello studio, durata e gravit? dello scompenso cardiaco. La differenza degli esiti ottenuti, secondo gli autori della ricerca, ? legata alla differente affinit? per il recettore dell’angiotensina mostrata dai due farmaci in vitro: molto alta quella di candesartan (stretto legame, emivita di dissociazione pari a 120 minuti), labile per losartan (legame debole, emivita di pochi secondi).

JAMA, 2011; 305(2):175-82

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Velocit? di passo predice la sopravvivenza negli anziani

25 Mar 2011 Geriatria

Da un’analisi combinata effettuata considerando i dati di 9 studi di coorte emerge che nelle persone anziane la velocit? della camminata si associa alla sopravvivenza. Allo studio, condotto prevalentemente da epidemiologi e geriatri statunitensi, ha partecipato anche Stefania Badinelli, dell’unit? geriatrica dell’universit? di Firenze. I nove studi, compiuti tra il 1986 e il 2000, hanno coinvolto 34.485 soggetti di et? uguale o superiore a 65 anni (et? media 73,5 anni; 59,6% donne), di cui sono stati acquisiti i dati relativi alla velocit? della camminata al basale, seguiti per periodi compresi tra 6 e 21 anni. Nel corso della ricerca e nel successivo follow-up si sono registrati 17.528 decessi; il tasso generale di sopravvivenza si ? attestato sull’84,8% a 5 anni e sul 59,7% a 10 anni. La velocit? di camminata ? risultata associata alla sopravvivenza in tutti gli studi (rapporto di rischio combinato per 0,1 m/s: 0,88). La sopravvivenza ? aumentata in tutto il range delle velocit? di camminata, con incrementi significativi per 0,1 m/s. All’et? di 75 anni, la sopravvivenza predetta a 10 anni in base alla velocit? di camminata ? risultata variabile tra 19 e 87% negli uomini e tra 35 e 91% nelle donne. La predizione della sopravvivenza in base a et?, sesso e velocit? di camminata si ? rivelata accurata quanto quella predetta da et?, sesso, uso di ausili per la mobilit? e funzionalit? autoriferita oppure da et?, sesso, cronicit?, anamnesi relativa al fumo, pressione sanguigna, indice di massa corporea e ospedalizzazione.

JAMA, 2011; 305(1):50-8

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Prostatite e dolore pelvico: alfa-bloccanti e antibiotici al top

Nei pazienti con prostatite e sindrome del dolore pelvico cronico gli ?-bloccanti, gli antibiotici e le loro combinazioni, sembrano in grado di garantire, rispetto a placebo, un maggiore miglioramento dei punteggi dei sintomi clinici. Le terapie antinfiammatorie, invece, conferiscono un beneficio minore ma misurabile su outcome selezionati. Comunque, i positivi effetti degli ?-bloccanti potrebbero essere stati sovrastimati a causa del bias di selezione. Sono queste, in sintesi, le conclusioni di una revisione sistematica e di una metanalisi network eseguite da Thunyarat Anothaisintawee della Mahidol University di Bangkok (Thailandia) e collaboratori su 23 studi clinici. Gli ?-bloccanti rispetto a placebo riducono l’impatto sintomatologico, con differenze medie standardizzate di -1,7 per quanto riguarda i sintomi totali, -1,1 per il dolore, – 1,4 per la minzione e di -1,0 per la qualit? di vita. Insieme agli antinfiammatori (Rr: 1,8), gli ?-bloccanti (1,6) si caratterizzano per una pi? elevata probabilit? di ottenere una risposta favorevole rispetto a placebo. Si segnala tuttavia la presenza di un publication bias per gli studi pi? piccoli sulle terapie con ?-bloccanti. La metanalisi network, inoltre, evidenzia rispetto al placebo i benefici degli antibiotici nel ridurre i punteggi riguardanti sintomi totali (-9,8), dolore (-4,4), minzione (-2,8) e qualit? di vita (-1,9). La combinazione di ?-bloccanti e antibiotici determina i maggiori benefici rispetto a placebo con riduzioni dei punteggi relativi a sintomi totali (-13,8), dolore (-5,7), minzione (-3,7) e qualit? di vita (-2,8).

JAMA, 2011; 305(1):78-86

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Riduzione HbA1c mediante training aerobico e di resistenza

Nei pazienti con diabete di tipo 2 la combinazione di un training aerobico e di resistenza migliora il controllo dei livelli di HbA1c rispetto ai soggetti che non svolgono attivit? fisica; il miglioramento, per?, non si nota se l’allenamento prevede esclusivamente esercizi aerobici oppure soltanto di resistenza. Il dato proviene da un trial controllato randomizzato – condotto da Timothy S. Church, del Pennington Biomedical Research Center presso l’Universit? della Louisiana, a Baton Rouge (Usa), e collaboratori – nel quale 262 soggetti (63% donne) sedentari, con diabete di tipo 2 e livelli di HbA1c =/>6,5%, sono stati coinvolti in un programma di allenamento fisico di nove mesi. I partecipanti sono stati suddivisi in quattro gruppi: training di resistenza tre volte alla settimana (n=73); esercizi aerobici con consumo di 12 kcal/kg alla settimana (n=72); training combinato aerobico/di resistenza con consumo di 10 kcal/kg alla settimana e specifico allenamento di resistenza due volte alla settimana (n=76); gruppo di controllo senza esercizi fisici (n=41). L’et? media dei pazienti era di 55,8 anni, e il valore medio di HbA1c al basale era pari a 7,7%. Rispetto al gruppo controllo, la modificazione media dell’HbA1c nei soggetti sottoposti a training combinato ? stata di -0,34%; la stessa variazione non ? risultata statisticamente significativa nel gruppo con allenamento di resistenza (-0,16%) o aerobico (-0,24%). Inoltre, soltanto mediante il training combinato aerobico/di resistenza ? migliorato il consumo massimo di ossigeno (media: 1.0 mL/kg al minuto) rispetto ai controlli. In tutti i gruppi sottoposti a training fisico la circonferenza vita, rispetto al gruppo controllo, si ? ridotta da -1,9 a -2,8 cm. Infine la perdita di massa grassa, rispetto ai controlli, ? stata di -1,4 kg nel gruppo con training di resistenza e di -1,7 in quello con allenamento combinato.

JAMA, 2010; 304(20):2253-62

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Peptidi natriuretici, indicatori aggiuntivi di rischio

22 Mar 2011 Cardiologia

I convenzionali fattori di rischio cardiovascolare hanno una ragionevole accuratezza predittiva di scompenso cardiaco e fibrillazione atriale negli individui di mezza et? senza malattia. Tra i pi? recenti biomarcatori, invece, soltanto i peptidi natriuretici migliorano leggermente la discriminazione in entrambe le patologie rispetto agli elementi tradizionali; d’altra parte, migliorano sostanzialmente la riclassificazione del rischio nello scompenso. ? quanto ha stabilito un’?quipe internazionale di ricercatori coordinata da Jan Gustav Smith, del dipartimento di Scienze cliniche dell’universit? di Lund (Svezia), dopo aver valutato, in 5.187 individui coinvolti in uno studio di comunit? (Malm? Diet and Cancer Study), le performance dei fattori convenzionali di rischio e di altri sei biomarcatori: il frammento medioregionale del peptide natriuretico proatriale (Mr-proAnp), il frammento N-terminale del peptide natriuretico di tipo pro-B (Nt-proBnp), il frammento medioregionale della proadrenomedullina, la cistatina C, la proteina C-reattiva (Crp) e la copeptina. Durante un follow-up medio di 14 anni, ? stata posta diagnosi di scompenso cardiaco in 112 soggetti, e di fibrillazione atriale in 284 partecipanti. L’Nt-proBnp (rapporto di rischio, Hr: 1,63), la Crp (Hr: 1,57) e il Mr-proAnp (Hr: 1,26) sono stati predittivi di scompenso cardiaco incidente indipendentemente dai fattori tradizionali di rischio e dagli altri biomarcatori. Il Mr-proAnp (Hr: 1,62) e la Crp (Hr: 1,18) sono stati inoltre fattori predittivi indipendenti di fibrillazione atriale. Nel complesso, sommando la rilevazione dei biomarcatori a quella dei fattori tradizionali, si ? osservato un miglioramento netto di riclassificazione (Nri) nel 22% dei soggetti con scompenso e nel 7% di quelli con fibrillazione. L’aggiunta della Crp ai peptidi natriuretici non ha mostrato di migliorare la discriminazione o la riclassificazione.

J Am Coll Cardiol, 2010; 56(21):1712-9

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