Pma in Italia, sempre pi? lieti eventi

Mantiene una tendenza in crescita in Italia il ricorso alla procreazione medicalmente assistita (Pma). I nuovi dati relativi al 2008, presentati in Parlamento nell’ambito della Relazione annuale sulla legge 40, mostrano un progressivo aumento dei parametri relativi alla fecondazione assistita, a cominciare dal numero di bambini nati vivi che per la prima volta supera la soglia dei diecimila (10.212 contro 9.137 del 2007). I cicli iniziati, riguardanti le tecniche a fresco di II e III livello (Fivet 18,9%, Icsi 81,1%), sono ulteriormente aumentati rispetto all’anno precedente (44.065 vs 40.026) con 8.847 gravidanze ottenute contro 7.854 del 2007. Si sono contati nel 2008 315 cicli iniziati per 100mila donne in et? feconda (15-41 anni) rispetto a 287 e 265 rispettivamente nel 2006 e 2007. ? in aumento anche l’et? media delle donne che si sottopongono a Pma (36,1 anni), un dato superiore alla media europea: 33,8 anni nel 2005. Nel nostro paese ben il 26,9% dei cicli ? stato effettuato nel 2008 su donne con et? superiore a 40 anni (25,3% nel 2007). Le complicanze associate a iperstimolazione ovarica sono contenute (0,45% dei cicli) e risultano pi? basse rispetto al dato medio europeo. Pi? vicini alla performance media europea i dati relativi ai parti gemellari (21%) mentre i parti trigemini si attestano sul 2,6%, un valore superiore alla media europea. Si nota tuttavia una notevole variabilit? tra i vari centri: il 67,3% dei centri presenta percentuali di parti trigemini variabili dallo 0 al 2,5%, mentre nel 23,9% dei centri italiani i valori variano dal 2,6% al 10%. La percentuale di nati vivi con malformazione si attesta sull’1,1% con le tecniche di II e III livello rispetto allo 0,4% osservato con le tecniche di I livello e allo 0,6% della popolazione generale. La tecnica Icsi ? gravata da un maggior rischio di malformazioni fetali (1,2%). Sempre nel 2008 la percentuale di aborti spontanei ha raggiunto il 20,8%, con lo 0,3% di morti intrauterine e l’1,9% di gravidanze ectopiche. Notevole la migrazione sanitaria delle pazienti che si sono sottoposte alle tecniche a fresco (23%). Emilia Romagna, Lombardia e Toscana attraggono circa il 50% delle pazienti che decidono di scegliere una regione diversa da quella di residenza per sottoporsi a PMA.

 452 total views

Tumore al seno, guarigione nel 90% dei casi

1 Mar 2011 Oncologia

Si ? conclusa a Modena l’International breast cancer conference, occasione di incontro per oltre 250 esperti, che si sono confrontati sui progressi terapeutici, diagnostici e chirurgici nella lotta al tumore al seno. Con una conferma: nella maggior parte dei casi si guarisce

?Il congresso ha confermato i progressi che sono stati fatti nella lotta al tumore della mammella con lo screening, con la terapia adiuvante post-operatoria, con i nuovi farmaci e con la caratterizzazione biologica di questo tumore. Il risultato ? che la maggior parte delle pazienti guarisce? lo ha dichiarato Pier Franco Conte, del Dipartimento integrato di oncologia e ematologia, dell’Universit? di Modena e coordinatore dell’International breast cancer conference, a chiusura dei lavori che si sono svolti nei giorni scorsi a Modena. In Italia, infatti, a fronte dei 40mila nuovi casi, si verificano 11mila decessi, con una tendenza in calo di quest’ultimi. ?Oggi la probabilit? di guarire per una donna, a cui venga diagnosticato il carcinoma della mammella, supera oramai il 90%? puntualizza Conte. Gli esperti hanno sottolineato che i dati vanno letti tenendo conto del fatto che sono in crescita i casi nelle donne molto giovani e in quelle che superano i 65 anni di et?, questo a causa dell’aumento della vita media, e della non trascurabile casistica che interessa il genere maschile.

Durante il convegno c’? stato largo consenso sull’attribuire questi risultati anche ai progressi nella diagnosi precoce con screening mammografico, che in alcune Regioni ? stato esteso alla fascia 45-69 anni, e con la risonanza magnetica per donne giovani a rischio di carcinomi ereditari: ?Si tratta di una tecnica di imaging che rileva lesioni molto piccole che sfuggono alla mammografia, ma non va usato come esame diagnostico di routine, perch? si rischia un eccesso di chirurgia pi? invasiva. Mentre oggi i trattamenti chirurgici tendono a essere sempre pi? ridotti? ha commentato Conte. Un altro aspetto su cui si ? aperto il confronto ? il problema dei piccoli studi: ?Le alterazioni genetiche specifiche, che caratterizzano alcuni sottotipi di tumore spiegano perch? ogni tipo di tumore si comporta in modo diverso e con una diversa aggressivit?. E spiega anche la differenza di efficacia dei farmaci: ogni sottotipo ha una diversa sensibilit? alle terapie ormonali o con farmaci molecolari o alla chemioterapia. Ma questo significa trovarsi di fronte a tante patologie diverse che a loro volta sono rare poich? riguardano una piccola parte, 1-2%, delle pazienti? ha spiegato l’esperto ?e questo crea un problema sulla sperimentazione in piccoli campioni che mancano di forza statistica secondo gli attuali parametri. La difficolt? si riflette anche, a livello regolatorio, nelle decisioni sulla rimborsabilit??.

 458 total views

Trattamento della Sindrome di Sjogren

Si stima che negli USA 0,5-3 milioni di soggetti siano affetti Sindrome di Sjogren (SS), con netta prevalenza nel sesso femminile. Una grande variet? di farmaci sistemici e topici ? disponibile per il trattamento della SS, tuttavia non sono attualmente disponibili linee guida terapeutiche evidence-based.
Una review, recentemente pubblicata su JAMA, effettua un’approfondita analisi di 37 trials clinici controllati randomizzati comparsi in letteratura tra il 1986 e il 2010 con lo scopo di fornire un utile update sugli attuali approcci terapeutici della SS.
La review documenta un livello di evidenza molto basso per la maggior parte dei farmaci impiegati, tuttavia alcune raccomandazioni possono essere proposte.
Nel trattamento della xeroftalmia sono utili lacrime artificiali, gel protettivi (usualmente riservati per la notte) e impiego topico di Ciclosporina 0,05%. Pazienti con secchezza oculare severa potrebbero beneficiare dell’utilizzo topico di FANS o glucocorticoidi. Sostituti della saliva sono utili in presenza di xerostomia lieve-moderata; alcool e fumo vanno evitati e fondamentale ? l’igiene orale; nei pazienti con residua funzione delle ghiandole salivari l’uso di pilocarpina orale e cevimelina (non in commercio in Italia) rappresenta il trattamento di scelta. Non si sono evidenziati benefici significativi sui sintomi generali (artromialgie, astenia) con l’impiego di idrossiclorochina. Vi sono inoltre limitate evidenze sull’utilit? di glucocorticoidi e/o immunosoppressori nel trattamento delle manifestazioni extraghiandolari.
Infine, agenti come gli anti-TNFalfa non hanno dimostrato efficacia clinica e sono necessari trial randomizzati pi? ampi per verificare l’efficacia del Rituximab.

Ramos-Casals M. JAMA 2010;304(4);452-60.

 453 total views

Rischi-benefici e sicurezza d’impiego del rosiglitazone

Nel 2007 la pubblicazione della meta-analisi di Nissen (N Engl J Med 2007;356:2457-71) sulla sicurezza cardiovascolare dell’impiego del rosiglitazone evidenziava un significativo aumento del rischio di infarto del miocardio e un incremento di mortalit? per cause cardiovascolari nei pazienti diabetici trattati con tale farmaco. Successive meta-analisi non hanno completamente confermato i dati di Nissen e negli ultimi mesi ? stato pubblicato su JAMA un ulteriore studio condotto dalla FDA con lo scopo di confrontare il rischio di complicanze cardiovascolari in pazienti trattati con Rosiglitazone (R) o con Pioglitazone (P).
Durante il periodo in esame (3 anni) sono stati osservati 8.667 eventi su una popolazione di 227.571 soggetti di et? maggiore/uguale di 65 anni. L’Hazard Ratio aggiustato (HR) per il R vs P ? stato 1,06 per l’IMA, 1,27 per lo stroke, 1,25 per lo scompenso, 1,14 per la mortalit? e 1,18 per l’end-point composito. Il rischio attribuibile per l’end-point composito ? di 1,68 eventi in eccesso per 100 anni-persona nel gruppo trattato con R rispetto a P. Il corrispondente NNH (Number Needed to Harm) ? risultato pari a 60 soggetti trattati per un anno. I dati sono riportati nella figura 1 e nella figura 2.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione di questo studio, Nissen ha pubblicato un aggiornamento della propria meta-analisi (nella quale sono stati inseriti tutti i trial clinici controllati che avevano valutato l’end-point per le complicanze cardiovascolari in seguito all’impiego del R.
La meta-analisi (su 56 studi) conferma un significativo aumento del rischio di infarto del miocardio ma non di mortalit? cardiovascolare nei gruppi trattati con R.
In conclusione:
? secondo Graham (R vs P)
maggior rischio di stroke, scompenso cardiaco, mortalit? per tutte le cause e un aumentato rischio dell’outcome composito (infarto miocardico acuto, stroke, scompenso cardiaco o mortalit? da tutte le cause) nei pazienti di et? maggiore/uguale di 65 anni;
? secondo Nissen (rischio del R)
significativo aumento del rischio di infarto del miocardio ma non di mortalit? cardiovascolare.
Graham DJ et al. JAMA 2010;304(4):411-418.
Nissen SE et al. Arch Intern Med 2010;170(14):1191-1201.

 403 total views

VP e fratture vertebrali osteoporotiche

Sono stati recentemente pubblicati i risultati di uno studio olandese, il Vertos II (iniziato nel 2005 e concluso nel Giugno del 2008), per verificare efficacia e sicurezza della vertebroplastica percutanea (VP) quale trattamento del dolore secondario a fratture vertebrali osteoporotiche.
L’esperienza ha coinvolto i Dipartimenti di Radiologia di 6 Ospedali del Belgio e dei Paesi Bassi per un totale di oltre 400 Pazienti di et? superiore ai 50 anni randomizzati “in aperto” a ricevere la procedura percutanea o l’abituale trattamento conservativo.
I criteri di inclusione prevedevano la presenza di un dolore con punteggio VAS = o superiore a 5 da pi? di 6 settimane correlabile con una frattura da compressione vertebrale evidenziata dalla diagnostica radiologica per immagine (minimo 15% di perdita in altezza, livello di fratture Th5 o inferiore, edema osseo alla RM).
L’end point primario era il sollievo dal dolore a 1 mese e a 1 anno misurato in termini di punteggio VAS.
L’analisi ? stata per intention to treat.
Dei 431 Pazienti selezionati, sono stati avviati alla sperimentazione solamente la met? poich? i rimanenti hanno avuto una remissione spontanea della sintomatologia dolorosa: 101 pazienti sono stati sottoposti alla VP e 101 sono stati trattati con terapia conservativa.
Questi i risultati:
? a 1 mese dalla procedura, la differenza della valutazione individuale del dolore con scala analogica visiva (VAS) rispetto al basale ? stata significativamente favorevole per la vertebroplastica: -5,2 (95% CI 5,88 -4,72) vs -2,7 (95% CI -3,22 -1,98)
? tale differenza a favore della procedura si ? mantenuta anche a un anno dalla medesima: -5,7 (95% CI -6,22 -4,98) vs -3,7 (95% CI -4,35 -3,05)
? lo score medio di differenza fra il trattamento con vertebroplastica e quello conservativo ? stato di 2,6 (95% CI 1,74-3,37; p <0,0001) a 1 mese e 2,0 (95% CI 1,13-2,80; p <0,0001) a 1 anno
? non sono state segnalate complicanze gravi o eventi collaterali.
Questa l’interpretazione conclusiva degli autori: in un sottogruppo di pazienti con gravi fratture osteoporotiche da compressione vertebrale e con dolore persistente, la vertebroplastica percutanea ? efficace e sicura. Il sollievo dal dolore dopo tale procedura ? significativamente maggiore di quello ottenuto con il trattamento conservativo, ? rapido, si mantiene per almeno un anno e ha un costo accettabile.

Klazen CA et al. Vertebroplasty versus conservative treatment in acute osteoporotic vertebral compression fractures (Vertos II): an open-label randomised trial. Lancet 2010;376:1085.

 438 total views

Ranitidina in trattamenti con Clopidogrel

Sulla scorta di oggettive preoccupazioni riguardanti una possibile, negativa interazione della co-somministrazione di Clopidogrel e PPI, alcuni gastroenterologi dell’Universit? di Taiwan hanno voluto verificare se fosse possibile ottenere risultati migliori per gli outcomes cardiovascolari con la combinazione Clopidogrel e Ranitidina (RA). Lo studio, retrospettivo di coorte, ha preso in considerazione pi? di 6.500 pazienti ricoverati negli Ospedali di Taiwan per SCA dal 2002 al 2005, suddivisi in 5 coorti: 252 pazienti che avevano assunto Clopidogrel pi? RA, 311 trattati con Clopidogrel pi? PPI, 5.551 pazienti con il solo Clopidogrel, 235 con la sola RA e 203 con il solo PPI. L’end point primario (riospedalizzazione per SCA o mortalit? per tutte le cause entro tre mesi dalla riospedalizzazione) ha avuto una incidenze cumulativa/anno significativamente inferiore (p<0,0001) nel gruppo che aveva assunto il Clopidogrel da solo: 11,6% (95% CI 10,8-12,5%) vs il 26,8% (95% CI 21,5-33,0%) della coorte nella quale al Clopidogrel si era associata la RA (NNH 7) e il 33,2% (95% CI 27,8-39,4%) in quella nella quale il PPI era stato co-somministrato con il Clopidogrel (NNH 5). Non sono invece emerse differenze significative nei gruppi con PPI da soli (11,0%, 95% CI 7,1-16,8%), RA da sola (11,8%, 95% CI 8,2-16,8%) e il Clopidogrel da solo (11,6%, 95% CI 10,8-12,5%). L’analisi multivariata ha evidenziato che predittori indipendenti del rischio di sviluppare l’end point primario sono risultati tanto la RA, quanto i PPI con un HR rispettivamente di 2,48 e 3,20. Si pu? pertanto concludere che nei pazienti che assumono Clopidogrel non vi ? riduzione del rischio di maggior comparsa di eventi avversi cardiovascolari sostituendo i PPI con la RA.

Wu CY, Chan FK et al. Histamine-2-receptor antagonist as an alternative to proton pump inhibitor in patients receiving clopidogrel. Gastroenterology 2010 Jul 2. [Epub ahead of print]

 1,223 total views

Profilassi antibiotica per pazienti sottoposti a PEG

L’Unit? Operativa di Endoscopia del Karolinska University Hospital di Stoccolma ha voluto verificare l’efficacia di una nuova metodica di profilassi antibiotica per i pazienti che dovevano sottoporsi a gastrostomia percutanea aendoscopica (PEG).
Dal giugno 2005 all’ottobre 2009 sono stati reclutati, per uno studio randomizzato in doppio cieco e “intention to treat”, 234 pazienti.
Di questi, 116 sono stati randomizzati a ricevere una dose singola di 20 ml di soluzione orale di sulfametossazolo e trimetoprim depositata nella sonda nutrizionale immediatamente dopo l’inserimento e confrontati con i rimanenti 118 per i quali si ? proseguito l’utilizzo della profilassi standard con una singola dose per via endovenosa di 1,5 g di cefuroxima, somministrata poco prima del posizionamento della PEG.
L’outcome primario era rappresentato dalle infezioni della ferita. Gli outcomes secondari, dalla positivit? delle indagini colturali e dei parametri ematici di infezione (leucocitosi e PCR).
Al follow-up (7-14 giorni dopo l’inserimento del catetere PEG):
? l’infezione della ferita ? stata riscontrata nell’8,6% (10 pazienti) del gruppo cotrimoxazolo e nell’11,9% (14 pazienti) del gruppo cefuroxima
? anche il confronto per le indagini microbiologiche e laboratoristiche, che comprendeva 100 pazienti in ciascun gruppo, ha dato risultati simili.
Entrambe le valutazioni indicano quindi che per prevenire le infezioni della ferita nei pazienti sottoposti a PEG 20 ml di soluzione di cotrimossazolo depositati nella sonda nutrizionale appena dopo l’inserimento non sono inferiori rispetto alla usuale profilassi con cefuroxima somministrato per via endovenosa poco prima della procedura endoscopica.

John Blomberg et al. Novel approach to antibiotic prophylaxis in percutaneous endoscopic gastrostomy (PEG): randomised controlled trial. BMJ 2010;341:c3115.

 986 total views

Pressione centrale e farmaci: lo studio EXPLORE

? ormai dimostrato che l’atenololo ? meno efficace dei sartani (ARBs) e dei calcioantagonisti (CCB) nel ridurre la pressione centrale, ma non ? chiaro se l’associazione ARB/CCB sia pi? efficace dell’associazione atenololo/CCB.
Per questo ? stato disegnato lo studio EXPLORE, che ha valutato l’associazione valsartan/amlodipina vs atenololo/amlodipina in PROBE design. Il trial ? multicentrico e, divisi in due bracci paralleli, ha confrontato 393 pazienti con ipertensione resistente a 5 mg di amlodipina.
Sono stati valutati la PAS centrale, l’Augmentation Index (AI, sia grezzo sia aggiustato per la frequenza) e la PWV (carotid-to-femoral pulse wave velocity) sia all’ammissione sia a 8 e 24 settimane di trattamento attivo con le due combinazioni (amlodipina/valsartan 5/80 mg e poi 10/160 mg) o con una combinazione amlodipina-atenololo (5/50 mg e poi 10/100 mg). Il risultato ? stato nettamente a favore dell’associazione valsartan /amlodipina rispetto all’associazione atenololo/amlodipina, nonostante il fatto che in entrambi i casi si sia registrato un decremento analogo nella pressione brachiale.
La differenza nell’AI grezzo era di -6,5% (95% CI: -8,3 a -4,7; P<0,0001) in favore di amlodipina-valsartan e rimaneva significativa anche dopo correzione per la frequenza che, come era prevedibile, diminuiva maggiormente nel gruppo amlodipina/atenololo. Non c'? stata differenza tra i due gruppi nella PWV (0,95 m/sec).
Lo studio ha dimostrato che, anche in associazione con un CCB, l’atenololo pu? non ridurre abbastanza la PA centrale e quindi proteggere dagli eventi cv (Figure). Poich? la PAS centrale e la pressione differenziale sono predittori indipendenti degli eventi cardiovascolari in vari tipi di popolazione, ? importante capire in che modo gli antipertensivi differiscono nella loro capacit? di abbassare la PA centrale, nonostante una simile riduzione di quella brachiale. Se tutto questo si traduca in benefici clinici sar? da appurare con ulteriori studi.

Hypertension 2010;55:1314-1322.

 556 total views

BPCO riacutizzate in ospedale: terapia antibiotica?

“Nel paziente ricoverato per riacutizzazione di BPCO (EA-BPCO) la terapia antibiotica precoce (entro 48 ore dal ricovero) ? sempre utile, indipendentemente dal tipo di antibiotico e dal tipo di riacutizzazione.” Queste sono le affermazioni di Rothberg e collaboratori che hanno esaminato i dati relativi a 84.621 pazienti al di sopra dei 40 anni ricoverati in 413 ospedali americani a causa di una EA-BPCO.
La pratica clinica comune di trattare con gli antibiotici la quasi totalit? di pazienti ricoverati per EA-BPCO e non solo quelli con segni di eziologia batterica (purulenza dell’espettorato), come ? suggerito dalle linee guida, avrebbe quindi oggi un supporto evidence-based.
Nello studio di Rothberg e collaboratori l’80% dei pazienti ha ricevuto un trattamento antibiotico precoce (un chinolonico, una cefalosporina o un macrolide) mentre gli altri pazienti non sono stati trattati o hanno iniziato la terapia dopo oltre 48 ore. Confrontando gli outcomes, a vantaggio del gruppo trattato precocemente, si ? osservata una percentuale significativamente inferiore di fallimento della terapia rispetto ai non trattati o a quelli trattati pi? tardivamente (9,77% contro 11,75%; P < 0,001). In particolare sono state significativamente inferiori la necessit? di ventilazione meccanica (1,07% contro 1,80%), la mortalit? ospedaliera (1,04% contro 1,59%) e la ri-ospedalizzazione per la stessa causa entro 30 giorni dalla dimissione (7,91% contro 8,79%). Nessuna differenza significativa ? stata rilevata nei due gruppi relativamente alla durata della degenza media, ma minori sono stati i costi complessivi del gruppo trattato.
Nei pazienti trattati inoltre ? stato segnalato un maggior tasso di ri-ospedalizzazione per infezione da Clostridium difficile (0,19% contro 0,09%), mentre minore ? stata la frequenza di reazioni allergiche (0,13% contro 0,20%, p = 0,03).
In conclusione l’idea che, in assenza di un metodo affidabile per identificare i casi a eziologia microbica, “tutti i pazienti ricoverati per una EA-BPCO andrebbero trattati con gli antibiotici” e che “l’uso di routine degli antibiotici per EA-BPCO potrebbe essere appropriato” ? sicuramente interessante. Gli stessi autori invitano per? alla cautela poich? lo studio, non essendo esente da bias di selezione, potrebbe non essere in grado di dimostrare con precisione l’esistenza di un nesso causale tra il trattamento e l’effetto osservato.

Jama 2010;303(20):2035-2042.

 757 total views

Osteoporosi post-menopausale e alto rischio fratture

? noto che l’inizio della osteoclastogenesi passa attraverso la trasformazione dei pre-osteoclasti in osteoclasti maturi. Tale trasformazione ? indotta dal legame fra RANKL (proteina prodotta dagli osteoblasti) con i suoi recettori RANK presenti sulla membrana dei preosteoclasti. Quando tale processo non ? pi? adeguatamente modulato dall’azione contraria dell’osteoprotegerina (proteina anch’essa prodotta dagli osteoblasti) si avvia un eccessivo riassorbimento osseo che conduce all’osteoporosi.
Il Denosumab, un anticorpo monoclonale interamente umano, inibisce tale processo maturativo legandosi a RANKL e impedendo la successiva attivazione recettoriale sul RANK. Il farmaco mima quindi gli effetti “protettivi” antiosteoclastici dell’osteoprotegerina impedendo una eccessiva osteoclastogenesi e di conseguenza protegge l’osso dall’osteoporosi.
La FDA ha recentissimamente approvato l’utilizzo del Prolia (Denosumab) per il trattamento dell’osteoporosi post-menopausale. La somministrazione ? semestrale e prevede una iniezione sottocutanea di 60 mg del farmaco associata comunque all’utilizzo quotidiano di almeno 1000 mg di Ca e di 400 IU di Vitamina D.
Le precauzioni riguardano la possibilit?
? di aggravare una preesistente ipocalcemia, specie nei pazienti affetti da insufficienza renale, che deve essere quindi adeguatamente corretta prima dell’inizio del trattamento
? di insorgenza di infezioni, specie cutanee, anche gravi
? di comparsa di reazioni dermatologiche
? di comparsa di osteonecrosi della mandibola

Gli effetti collaterali, che possono comparire in misura di un 5% maggiore rispetto all’utilizzo del placebo, riguardano la possibilit? di comparsa di dolori muscolo-scheletrici, specie alla colonna vertebrale, di cistiti, di ipercolesterolemia e in rari casi di pancreatite.

 478 total views

1 75 76 77 78 79 258

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?