Bpco, efficace nuovo Laba in monosomministrazione

Indacaterolo, nuovo beta-2 agonista a lunga durata d’azione (Laba) per il trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), ha dimostrato di essere efficace in monosomministrazione quotidiana, riducendo i sintomi e migliorando lo stato di salute dei pazienti, con vantaggi clinici rispetto a formoterolo, Laba impiegato in doppia somministrazione giornaliera. Lo ha dimostrato un trial durato un anno, condotto da Ronald Dahl, dell’Ospedale universitario di Aarhus (Danimarca), e collaboratori. In questo trial, in doppio cieco, “con doppio inganno” (double-dummy) e a gruppi paralleli, i pazienti studiati, affetti da Bpco di entit? da moderata a grave, sono stati randomizzati a ricevere indacaterolo una volta al giorno alla dose di 300 microg (n=437) o 600 microg (n=428), formoterolo due volte al giorno alla dose di 12 microg (n=435) o un placebo (n=432) per 52 settimane. Come variabile principale di efficacia si ? usato il volume espiratorio forzato in un secondo (Fev1) misurato 24 ore dopo la somministrazione della dose, a partire dalla dodicesima settimana (indacaterolo vs placebo). Altri outcome considerati sono stati la dispnea (indice di dispnea transitorio, Tdi), uso di salbutamolo al bisogno, autorilevazione di sintomi su diario, riacutizzazioni, stato di salute (questionario respiratorio di St. George), indice Bode (indice di massa corporea, ostruzione, dispnea, esercizio), sicurezza e tollerabilit?. L’indacaterolo, dopo la 12ma settimana, ha fatto aumentare il Fev1 di 170 ml (con entrambi i dosaggi) rispetto al placebo e di 100 ml in confronto al formoterolo. Queste differenze significative si sono mantenute fino alla 52ma settimana. I sintomi sono apparsi ridotti con entrambi i trattamenti attivi rispetto al placebo, ma indacaterolo si ? dimostrato pi? efficace di formoterolo nel migliorare il punteggio Tdi e nel ridurre la necessit? di salbutamolo al bisogno. Il nuovo farmaco, infine, ? apparso ben tollerato e con un buon profilo complessivo di sicurezza, compreso un minimo impatto sull’intervallo QT e sugli eventi sistemici beta-2-mediati.

Thorax. 2010;65(6)473-9

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Esame del sangue potrebbe sostituire amniocentesi

Ricercatori olandesi sono molto prossimi all’allestimento di un test su campioni di sangue per verificare la presenza di anomalie cromosomiche del feto, informazioni che attualmente si ottengono con l’amniocentesi o con il prelievo di villi coriali. La nuova prospettiva ? stata illustrata dalla genetista clinica Suzanna Frints, del Maastricht University Medical Centre, che ha spiegato l’uso di sonde genetiche molecolari per rilevare il Dna del feto nel campione di sangue della madre. La tecnica usata per l’analisi ? la Mlpa (Multiplex ligation-dependent probe amplification), pu? essere applicata in gravidanze di almeno 6-8 settimane, fornisce risultati in 24-62 ore ed ? gi? incluso nelle batterie di esami che si eseguono sul campione amniotico. Lo studio, avviato nel 2009 proseguir? fino al 2012. ?? meno dispendiosa rispetto ai costi di una diagnosi invasica e potrebbe essere implementata con facilit? a basso costo – ha dichiarato Suzanna Frints – tra i 30 e i 15 euro a kit per persona, con un piccolo apparato in ogni ospedale. E i campioni di sangue possono essere prelevati durante gli esami di routine nelle visite prenatali?. Nelle sue previsioni potrebbe essere disponibile nella pratica clinica tra 2-5 anni.

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Fratture vertebrali: trattamento inadeguato

Nelle donne con fratture vertebrali indotte dall’osteoporosi, rilevate mediante radiografia di routine, l’assenza di sostanziali differenze nel rischio di nuove fratture tra pazienti trattate e non trattate pu? essere spiegata con l’inadeguatezza del trattamento. Questa la conclusione della valutazione prospettica effettuata su 4.045 donne che sono state sottoposte a radiografia del torace per qualsiasi indicazione presso il dipartimento di Radiologia della Universit? Campus Bio-Medico di Roma. Lo studio, svolto da Bruno Beomonte Zobel e collaboratori, ha identificato 166 donne portatrici di almeno una frattura vertebrale (et? 73 /- 10,5 anni). Di queste, 101 hanno risposto a un questionario per raccogliere informazioni su diagnosi di osteoporosi, storia di malattie tumorali e sistemiche, impiego di farmaci a rischio osteoporosi e trattamenti ricevuti farmacologici, radiologici o chirurgici. Il 97,1% delle pazienti era in menopausa, esordita a un’et? media di 48,2 anni. Tra le pazienti in menopausa, il 15,8% era stato sottoposto a isterectomia. A tutte le pazienti ? stata posta una diagnosi di osteoporosi, conseguente nel 23,7% dei casi al referto radiografico. Una nuova frattura scheletrica ? occorsa nel 20,5% delle pazienti in trattamento per l’osteoporosi contro una frequenza del 20,8% registrata nelle donne non trattate: non si ? riscontrata una differenza statistica tra i gruppi.

Radiol Med, 2010 Jun 24. [Epub ahead of print]

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Neoplasie epatiche: buoni esiti con laparoscopia

In pazienti selezionati, la resezione del carcinoma epatocellulare (Hcc) effettuata in laparoscopia ? praticabile e sicura: ? possibile ottenere buoni risultati chirurgici con outcome simili a quelli della chirurgia a cielo aperto in termini di sopravvivenza globale e libera da malattia. Lo testimonia uno studio effettuato da Luca Aldrighetti, Gianfranco Ferla e collaboratori dell’Istituto Scientifico H San Raffaele di Milano su 16 pazienti avviati a epatectomia laparoscopica per Hcc e 16 soggetti sottoposti all’intervento in aperto per la medesima malattia nello stesso periodo di tempo (settembre 2005-gennaio 2009). Un paziente del gruppo laparoscopia ? stato in seguito sottoposto all’approccio a cielo aperto. La laparoscopia ha garantito una pi? breve durata della chirurgia (150 min, P:0,044), una minore perdita di sangue (258 ml, P:0,008) e un pi? breve tempo di permanenza in ospedale (6,3 giorni, P:0,039). Non ? stata osservata alcuna differenza per quanto concerne i tassi di morbilit? e mortalit? peri-operatorie. Dopo un periodo di follow-up mediano di 32 mesi, la sopravvivenza libera da malattia e quella globale sono risultate rispettivamente pari a 40,2 e 23,3 mesi per il gruppo laparoscopia e 47,7 e 31,4 mesi per il gruppo chirurgia a cielo aperto.

J Surg Oncol, 2010; 102(1): 82-6

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Nelle donne, Bmi correlato a vita sessuale

26 Ott 2010 Ginecologia

Emerge una correlazione tra indice di massa corporea, comportamento sessuale ed eventi avversi nell’ambito della sessualit?: le donne obese sono meno propense a rivolgersi ai servizi sanitari per la contraccezione e incorrono in un maggior numero di gravidanze non pianificate. In generale, in queste donne la prevenzione della gravidanza non desiderata costituisce un problema importante per la salute riproduttiva. Gli operatori sanitari, pertanto, devono essere consapevoli delle diverse sensibilit? legate al peso corporeo e al genere quando erogano i servizi per la tutela della salute sessuale. Non ha dubbi il team guidato da Nathalie Bajos, del Centro per la ricerca in epidemiologia e salute della popolazione (Cesp) e dell’Istituto nazionale di sanit? e ricerca medica (Inserm) di Kremlin Bicetre (Francia), nel trarre le conclusioni della propria indagine: gli autori hanno seguito 5.535 donne e 4.635 uomini, appartenenti a diverse categorie (Bmi normale, sovrappeso, obesit?). Le probabilit? che le donne obese riferissero la presenza di un partner sessuale nei 12 mesi precedenti lo studio sono risultate inferiori a quelle registrate nelle normopeso. Gli uomini obesi, invece, hanno asserito con minore frequenza di aver avuto pi? di un partner sessuale rispetto ai normopeso ed era pi? probabile che lamentassero disfunzioni erettili. Una disfunzione sessuale non sembra invece associarsi al Bmi tra le donne ma quelle obese di et? inferiore a 30 anni sono apparse meno propense a rivolgersi ai servizi sanitari per la contraccezione o a usare contraccettivi orali: il risultato ? che avevano maggiori probabilit? di riferire una gravidanza non desiderata.

Bmj. 2010; 340:c2573

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Tumore alla prostata, quale prevenzione?

25 Ott 2010 Oncologia

La campagna promossa dai dicasteri della Salute e delle Pari opportunit? per la prevenzione del tumore della prostata va immediatamente sospesa. A chiederlo sono alcune societ? scientifiche della medicina generale (Assimefac, Csermeg) e dell’area specialistica (Associazione italiana epidemiologica, Societ? italiana per la qualit? nell’assistenza sanitaria, Associazione per la ricerca sull’efficacia dell’assistenza Sanitaria – Centro Cochrane italiano). I motivi sono riassunti in una lettera aperta indirizzata ai ministri Ferruccio Fazio e Mara Carfagna: ?Poich? allo stato attuale delle conoscenze non esistono interventi di prevenzione primaria del tumore alla prostata? si legge nella missiva ?una propaganda al pubblico nei termini in cui ? condotta, ? discutibile scientificamente ed eticamente?. La preoccupazione dei medici, in sostanza, ? che la campagna finisca per incrementare la domanda di test per la diagnosi precoce. ?Due grandi studi controllati pubblicati nel marzo 2009 sul New England Journal of Medicine? ricorda al riguardo la lettera ?hanno documentato che i danni di questo screening possono essere maggiori dei benefici. Persino negli Usa, dove il test ha avuto grande diffusione, i pi? determinati fautori hanno rivisto le loro posizioni invitando alla prudenza?.
Il rischio ? “medicalizzare” troppo
Lo screening del tumore prostatico, ricordano ancora le associazioni firmatarie, non ? paragonabile a quello mammografico n? tanto meno a quello della cervice uterina, ?ed ? ammissibile solo a seguito di una decisione presa sulla base di un colloquio personale tra medico e paziente, con una corretta informazione sui possibili benefici e sui possibili danni in cui pu? incorrere chi vi si sottopone?. Il test, infatti, pu? rivelare la presenza di forme tumorali che invece per aggressivit? ed evoluzione non renderebbero necessario il trattamento terapeutico, tra i cui rischi ci sono impotenza sessuale e incontinenza urinaria. ?Da un punto di vista di sanit? pubblica? ? quindi la conclusione della lettera ?c’? unanime consenso internazionale sull’inopportunit? e dannosit? di promuovere l’uso di qualsiasi test in persone che non abbiano sintomi?. Di qui, pertanto, la richiesta che i firmatari rivolgono ai due dicasteri: ?Oltre alla sospensione della campagna cos? com’? formulata? le societ? scientifiche auspicano ?l’adozione sistematica di un metodo di consultazione di operatori (medici di famiglia, epidemiologi, specialisti, esperti di sanit? pubblica), di rappresentanti dei cittadini) e degli organi tecnici del Servizio sanitario implicati, sia a livello centrale (Sistema nazionale linee guida, Osservatorio screening eccetera) sia a livello regionale?.

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Mortalit? in aumento con basso testosterone

Bassi livelli sierici di testosterone sono associati a un rischio aumentato di morte per tutte le cause, indipendentemente da altri fattori di rischio. Inoltre, essendo i livelli di testosterone inversamente associati alla mortalit? da malattia cardiovascolare e da cancro, potrebbero essere usati come marker predittivi. La proposta viene lanciata da Robin Haring, dell’Universit? Ernst-Moritz-Arndt a Greifswald (Germania), e collaboratori, dopo aver analizzato i dati relativi a 1.954 uomini (et? compresa tra 20 e 79 anni) coinvolti in uno studio prospettico di popolazione, con misurazione del testosterone sierico al basale e registrazione di 195 decessi durante un follow-up medio di 7,2 anni. Veniva classificata come “bassa” una testosteronemia inferiore a 8,7 nmol/L (250 ng/dL) e la relazione tra un ridotto livello sierico di ormone sessuale con la mortalit? per tutte le cause o per una causa specifica veniva valutata mediante modelli di regressione del rischio proporzionale di Cox. I soggetti con ridotti livelli di testosterone hanno presentato una mortalit? per tutte le cause significativamente superiore agli uomini con elevati livelli dell’ormone (Hr 2,24). Dopo correzioni per circonferenza vita, abitudine al fumo, consumo di alcol ad alto rischio, attivit? fisica, insufficienza renale e livelli di deidroepiandrosterone solfato, i ridotti livelli di testosterone continuavano a essere associati a un’aumentata mortalit? (Hr 2,32). A un’analisi per cause specifiche, infine, la diminuita testosteronemia era predittiva di aumentato rischio di morte da malattia cardiovascolare (Hr 2,56) e cancro (Hr 3,46), ma non da patologie respiratorie o altre cause.

Eur Heart J, 2010; 31(12):1494-501

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Tbc, esame sputo non indice di efficacia terapeutica

In corso di trattamento della tubercolosi, l’esame microscopico dello sputo e la coltura micobatterica sono caratterizzati da un basso valore predittivo di insuccesso terapeutico e recidiva. In base a questi risultati, secondo David Horne della Division of pulmonary and critical care medicine di Seattle e collaboratori, autori di una review sistematica e di una metanalisi su 28 studi selezionati dalla letteratura, si impone l’identificazione di migliori marker predittivi. Il lavoro ha incluso studi randomizzati, di coorte e caso-controllo su pazienti con tubercolosi precedentemente non trattati che hanno ricevuto un regime con rifampicina nella fase iniziale. Basse le sensibilit? combinate nel predire la recidiva per l’esame dello sputo a due mesi dall’inizio del trattamento (24%, 6 studi) e la coltura (40%, 4 studi); pi? alte, ma modeste, le corrispondenti specificit? (rispettivamente 85% e 85%). Per quanto riguarda il fallimento terapeutico, l’esame dello sputo a due mesi ha mostrato una bassa sensibilit? (57%) e una pi? alta, sebbene modesta, specificit? (81%). Ricordiamo che, l’esame dello sputo al secondo mese di trattamento ? raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanit? nei pazienti con diagnosi recente di tubercolosi polmonare: se l’esito ? positivo si pu? procedere all’estensione della fase di terapia intensiva.

Lancet Infect Dis, 2010; 10(6):387-94

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Ipercolesterolemici oggi, ipertesi domani

22 Ott 2010 Cardiologia

Controllare il colesterolo per ridurre la pressione. A suggerire questa strategia sono i risultati del Brisighella heart study, condotto dal gruppo di Ada Dormi del Dipartimento di Medicina, Invecchiamento e Nefrologia clinica dell’Universit? di Bologna per valutare in che misura l’ipercolesterolemia costantemente elevata in soggetti giovani e inizialmente normotesi pu? incidere sullo sviluppo di ipertensione stabile nell’arco degli otto anni successivi. I 932 soggetti coinvolti nello studio, caratterizzati da valori di colesterolo crescenti (da normali a francamente elevati) e sottoposti o meno a terapie ipocolesterolemizzanti, sono stati suddivisi in quattro gruppi in funzione dei cambiamenti della colesterolemia registrati tra il 1996 e il 2004. I gruppi 1 e 2 comprendevano soggetti con valori di colesterolo totale nella norma o scesi al di sotto della soglia critica nel periodo d’osservazione. Nei gruppi 3 e 4 erano inclusi pazienti con colesterolemia elevata fin dall’inizio del trial o aumentata oltre i limiti di tolleranza nel corso del monitoraggio. In base ai dati presentati a Oslo (Norvegia) in occasione del 20? Congresso dell’European society of hypertension (Esh 2010), la presenza di ipercolesterolemia di base o di nuova insorgenza aumenta in modo significativo l’incidenza di ipertensione stabile, che passa dal 7,1% registrato nei gruppi 1-2 al 13,8% dei gruppi 3-4, quasi il doppio. Un incremento che si mantiene statisticamente significativo anche dopo aver eliminato possibili fattori di rischio confondenti e che ? particolarmente accentuato nella sottopolazione femminile, dove l’incidenza di ipertensione cresce in media dal 6,1% della coorte con valori di colesterolo accettabili a ben il 14,5% nel gruppo con ipercolesterolemia pi? o meno pronunciata. Le corrispondenti incidenze registrate negli uomini sono state dell’8,2 e del 13,1%. Un chiaro segnale che il parametro lipidico peggiora il rischio cardiovascolare non soltanto per se, ma anche indirettamente influenzando in modo sfavorevole i parametri pressori, probabilmente attraverso l’attivazione del sistema renina-angiotensina a livello tissutale.

Congresso Esh 2010, 18-21 giugno

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TEV e riacutizzazione di BPCO

Gli autori dello studio hanno sottoposto tutti i pazienti ospedalizzati per BPCO riacutizzata giunti consecutivamente alla loro osservazione ad angio-TC e a esame ultrarsonografico per evidenziare la presenza di tromboembolismo venoso [TEV] o di embolia polmonare [EP], calcolando sia lo score di Wells sia quello di Genova. Inoltre, i pazienti sono stati seguiti per un anno al fine di valutare la mortalit? del campione. La prevalenza di TEV era tre volte maggiore nei soggetti con riacutizzazione di origine incerta (p = 0,016). I valori pi? elevati del D-Dimero erano presenti nei pazienti con TEV documentata, con un valore predittivo negativo di 0,98. Sebbene i valori elevati di entrambi gli score identificassero tutti i pazienti con EP, il test di Wells risultava pi? sensibile nell’escludere i pazienti con basso rischio di EP (49%). La mortalit? a un anno risultava significativamente pi? alta nei pazienti con TEV [61% vs 31,8%], p = 0,013.
Il tromboembolismo venoso ? un problema non infrequente nei pazienti ospedalizzati per BPCO riacutizzata, con una mortalit? significativa a un anno. I valori del D-Dimero e i criteri di Wells potrebbero identificare i pazienti in cui va ricercata attivamente la presenza di un evento tromboembolico.

Gunen H et al. Eur Respir J 2010;35:1243-1248.

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