Eular, Caps rare e sottodiagnosticate

I sintomi iniziano alla nascita e comprendono affaticamento, febbre, cefalea, dolori articolari, congiuntiviti, eruzioni cutanee. Si tratta delle Caps (Sindromi periodiche associate alla criopirina), un gruppo di malattie autoinfiammatorie molto rare, che a lungo andare portano a complicazioni piuttosto serie: sordit?, deformit? ossee, erosione e distruzione delle articolazioni, danni al sistema nervoso e perdita della vista e in ultima istanza anche alla morte. Dell’argomento si ? parlato nel corso del Congresso Eular (European league against rheumatism), appena conclusosi a Roma. Le Caps sono rare, colpiscono 2500 persone nell’Unione europea, ma a causa dell’assenza di diagnosi o della diagnosi errata, i casi ufficiali sono meno di 1000 nel mondo. Per questo gli esperti presenti al simposio, tra i quali Marco Gattorno, pediatra reumatologo del Gaslini, centro di riferimento per le Caps in Italia, hanno ribadito l’importanza della sensibilizzazione alla malattia anche nella comunit? medica. Ma che cosa provoca le sindromi? A provocarle ? una mutazione genetica del gene CIAS1, responsabile della produzione di una proteina nota come criopirina, determinante nel controllo delle difese dell’organismo. La mutazione determina una serie di effetti a cascata con eccessiva produzione di interleuchina 1-beta e quindi un’infiammazione sostenuta e diffusa, che a lungo andare distrugge i tessuti. Essenziale bench? critica sarebbe una diagnosi precoce e corretta, i farmaci pi? recenti in fase di sviluppo, infatti, possono aiutare i pazienti a gestire i sintomi debilitanti e a prevenire i danni permanenti causati dalle Caps. Tra questi canakinumab, anticorpo monoclonale, che agisce proprio sull’interleuchina 1-beta normalizzandone la produzione. Il farmaco, che stando ai dati pubblicati da New England journal of medicine riesce a indurre gi? alla prima dose una remissione delle Caps nel 97% dei pazienti, ha lo status di farmaco orfano negli USA, nell’UE, in Svizzera e in Australia per il trattamento delle CAPS ed ? atteso in Italia per la fine dell’anno.

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Efficacia della terapia immunosoppressiva nei pazienti con cardiomiopatia infiam

Lo studio TIMIC ha valutato l?efficacia dell?immunosoppressione nella cardiomiopatia infiammatoria virus-negativa.

Lo studio, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, ha incluso 85 pazienti con miocardite e insufficienza cardiaca cronica ( maggiore di 6 mesi ), non-responsiva alla terapia convenzionale, con nessuna evidenza di genomi virali a livello miocardico.

I pazienti sono stati trattati con Prednisone 1 mg/kg/die per 4 settimane, seguito da 0.33 mg/kg/die per 5 mesi , e Azatioprina 2 mg/kg/die per 6 mesi ( 43 pazienti, Gruppo 1 ) oppure placebo ( 42 pazienti, Gruppo 2 ) in aggiunta alla terapia convenzionale per lo scompenso cardiaco.

L?endpoint primario era rappresentato dal miglioramento a 6 mesi della funzione ventricolare sinistra.

I pazienti del Gruppo 1 hanno mostrato un significativo miglioramento della frazione d?eiezione ventricolare sinistra e una significativa riduzione delle dimensioni e del volume ventricolare sinistro, rispetto al basale.

Nessuno dei pazienti del Gruppo 2 ha mostrato miglioramento della frazione d?eiezione, che ? peggiorata in modo significativo rispetto al basale.

Nessuna reazione avversa maggiore ? stata registrata come conseguenza dell?immunosoppressione.

Questi dati hanno confermato l?efficacia dell?immunosoppressione nella cardiomiopatia infiammatoria virus-negativa. La mancanza di risposta nel 12% dei casi sta ad indicare la presenza di virus non-screenati o di meccanismi di danno e di infiammazione non-sensibili all?immunosoppressione.

Frustaci A et al, Eur Heart J 2009; 30: 1995-2002

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Melanoma, il “Pascale” all’avanguardia in Italia

8 Ott 2010 Oncologia

I cosiddetti ?colletti bianchi? sono la categoria professionale che negli ultimi anni ha fatto registrare il maggior numero di casi di melanoma, un tumore della pelle particolarmente aggressivo. Il motivo? Si espongono al sole solo quando vanno in vacanza, e per troppe ore consecutive, scottandosi e accumulando nel corso degli anni pericolose lesioni sulla pelle. Un punto di riferimento per il trattamento di questa malattia ? l?Istituto Nazionale Tumori di Napoli Fondazione ?G. Pascale?, un vero e proprio fiore all?occhiello della sanit? campana. Non solo. Infatti il 20% dei pazienti curati nella struttura partenopea, uno su cinque, viene da altre Regioni. ?Trattiamo circa 400 casi di melanoma l?anno ? spiega il prof. Nicola Mozzillo, Direttore del Dipartimento Melanoma e Tessuti Molli del Pascale -. Le nuove diagnosi sono 150, fortunatamente sempre pi? in fase precoce. ? un tumore che colpisce persone giovani, di et? compresa tra i 40 e i 50 anni.
Grazie alle campagne di informazione abbiamo sensibilizzato la popolazione sull?importanza di sottoporsi a esami di screening?. L?incidenza della malattia ? cresciuta ad un ritmo superiore a qualsiasi altro tipo di tumore (+30% nell?ultimo decennio), ad eccezione delle neoplasie del polmone nelle donne. Ogni anno in Italia si registrano circa 7000 nuove diagnosi, di cui 400 in Campania, e 1500 decessi. Per fare il punto sugli ultimi trattamenti luned? 28 giugno Napoli ospiter? il convegno ?Immunoterapia e melanoma?(Hotel Alabardieri, dalle 9.30 alle 18). ?Oggi, per la prima volta dopo 30 anni ? afferma il prof. Paolo Ascierto, Direttore dell?Unit? di Oncologia Medica e Terapie Innovative del Pascale -, assistiamo a una svolta nella terapia di questa forma di cancro. I trattamenti personalizzati, che agiscono su bersagli specifici, possono rivoluzionare l?approccio al melanoma. In particolare, ipilimumab, ? un anticorpo monoclonale con un meccanismo d?azione ?rivoluzionario?. Agisce, infatti, al livello delle cellule del sistema immunitario, attraverso un meccanismo target che rimuove i ?blocchi? della risposta immunitaria antitumorale?. Attualmente la molecola ? utilizzata in Italia solo per uso compassionevole: il Pascale ? uno dei centri che ha guidato la sperimentazione in Italia. ?Ricerca, terapia e assistenza al malato a 360 gradi – sottolinea il prof. Aldo Vecchione, Direttore Scientifico del Pascale – caratterizzano da sempre il lavoro dei medici. I nostri ricercatori lavorano in laboratori e strutture molto avanzate per cercare le risposte pi? adeguate e personalizzate a seconda del paziente. Il nostro obiettivo non ? solo quello di trasformare una malattia che ha un impatto devastante in una patologia cronica, ma di riuscire a superare lo stadio della cronicizzazione per giungere a quello della definitiva guarigione?.

Fonte: Istituto Nazionale Tumori di Napoli Fondazione ?G. Pascale”

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Meno bibite zuccherate e si riduce la pressione

Una ridotta assunzione di bevande zuccherate (Ssb) si associa a una significativa diminuzione dei valori di pressione arteriosa. La stessa correlazione non si evidenzia, invece, con il consumo di caffeina o di bibite dietetiche. Ridurre l’apporto di zuccheri (e in particolare di Ssb) potrebbe dunque essere una strategia dietetica importante per diminuire la pressione arteriosa. Ne sono convinti Liwei Chen e collaboratori, del Louisiana state university Health science center di New Orleans, che hanno effettuato uno studio prospettico di 18 mesi su 810 adulti americani coinvolti in un trial di intervento comportamentale. I dati relativi alla pressione arteriosa e all’assunzione di alimenti sono stati rilevati al basale, al sesto e al diciottesimo mese. All’inizio dello studio, l’intake medio di Ssb era di 0,9 /-1,0 porzioni al giorno (310,8 /-352,2 ml/die) e i valori pressori medi sistolici e diastolici erano, nell’ordine, pari a 134,9 /-9,6 e 84,2 /-4,2 mmHg. Dopo correzioni per fattori potenzialmente confondenti, ? risultato che la diminuzione di una porzione al giorno di Ssb si associa, nell’arco di 18 mesi, a una riduzione di pressione sistolica e diastolica rispettivamente di 1,8 e 1,1 mmHg. Dopo un aggiustamento addizionale per il cambio di peso nello stesso periodo, la riduzione dell’assunzione di Ssb rimaneva sempre associata con la diminuzione della pressione sistolica e diastolica. Anche un minore intake di zuccheri otteneva lo stesso effetto, non conseguito dal ridotto consumo di caffeina o bevande “diet”: un dato che ha convinto gli autori a ritenere proprio gli zuccheri i nutrienti responsabili della correlazione con i valori pressori.

Circulation, 2010 May 24. [Epub ahead of print]

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Perdita improvvisa dell?udito con gli inibitori della fosfodiesterasi-5

L?FDA ( Food and Drug Administration ) ha approvato cambiamenti nelle schede tecniche dei farmaci per la disfunzione erettile nella classe che comprende Cialis ( Tadalafil ), Levitra ( Vardenafil ) e Viagra ( Sildenafil ), riguardo al potenziale rischio di improvvisa perdita dell?udito.

Inoltre, l?FDA ha richiesto gli stessi cambiamenti alla scheda tecnica di Revatio ( Sildenafil ).
Revatio trova impiego nel trattamento dell?ipertensione polmonare.

L?FDA ? stata indotta ad intervenire dopo che un piccolo numero di pazienti che avevano assunto gli inibitori della fosfodiesterasi-5 ( PDE-5 ) hanno riportato improvvisa perdita dell?udito, talvolta accompagnata da suoni nell?orecchio e da capogiri.

I pazienti che assumono Cialis, Levitra o Viagra e che vanno incontro ad improvvisa perdita dell?udito dovrebbero interrompere immediatamente l?assunzione del farmaco.

I pazienti che stanno impiegando Revatio dovrebbero continuare a prendere il farmaco, ma dovrebbero consultare il proprio medico curante.
La non sospensione del farmaco ? giustificata dalla gravit? dell?ipertensione polmonare, una condizione minacciante la vita.

Nell?aprile 2007, ? stato riportato sul Journal of Laryngology & Otology il caso di un uomo che stava assumendo Viagra e che ha perso improvvisamente l?udito. Ad oggi sono 29 le segnalazioni postmarketing di improvvisa perdita dell?udito, con o senza suoni nelle orecchie, vertigini o capogiri.
Nella maggior parte di casi, la perdita dell?udito interessa un solo orecchio, ed ? parziale o completa.
In un terzo dei pazienti, l?evento ? temporaneo.

Sebbene nessuna relazione causale sia stata dimostrata, la forte associazione tra l?impiego degli inibitori PDE-5 e l?improvvisa perdita dell?udito, ha indotto l?FDA ad intervenire.

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Gli uomini che assumono il Viagra presentano un rischio di perdita uditiva 2 vol

Uno studio ha indicato che gli uomini che assumono il Viagra ( Sildenafil ) presentano un rischio due volte maggiore di danno uditivo.

Gi? nel 2007, l?FDA ( Food and Drug Administration ) aveva imposto un Warning riguardo al rischio di perdita dell?udito nelle schede tecniche dei farmaci per il trattamento della disfunzione erettile, che agiscono inibendo la fosfodiesterasi di tipo 5 ( PDR-5 ).

Lo studio, compiuto dal Dipartimento di Epidemiologia dell?University of Alabama a Birmingham negli Stati Uniti, era basato su un campione della popolazione statunitense di uomini di et? uguale o superiore ai 40 anni.

Dall?analisi di 11.525 soggetti ? emerso che l?assunzione di Sildenafil era associata a un rischio ( odds ratio; OR ) di 2.05. Non ? stata invece trovata una relazione significativa tra danno uditivo e Tadalafil ( Cialis; OR=1.40 ) e Vardenafil ( Levitra; OR=0.88 ).

Fonte: Archives of Otolaryngology-Head and Neck Surgery, 2010

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Silodosina nel trattamento dell?iperplasia prostatica benigna

E? stata valutata la sicurezza nel lungo periodo della Silodosina, un antagonista altamente selettivo del recettore adrenergico alfa1A, negli uomini con segni e sintomi di iperplasia prostatica benigna.

I pazienti arruolati in questo studio di estensione in aperto avevano completato studi di 12 settimane, controllati con placebo, in cieco.
Per 40 settimane, i pazienti hanno ricevuto Silodosina 8 mg, 1 volta die, al momento della prima colazione.

Dei 661 partecipanti, il 65.8% ( n=435 ) ha completato lo studio, ed il 65.2% ( n=431 ) ha presentato 924 eventi avversi.
Non ? stato riscontrato nessun grave effetto indesiderato.
I pi? comuni eventi avversi sono stati: eiaculazione retrograda ( 20.9% ), diarrea ( 4.1% ), e nasofaringite ( 3.6% ).
L?ipotensione ortostatica e i capogiri si sono presentati, rispettivamente, nel 2.6% e nel 2.9% dei pazienti.

La percentuale dei pazienti con eventi avversi emergenti dal trattamento, stratificati per il precedente trattamento in doppio cieco ( placebo o Silodosina ) erano pi? alti per il trattamento attivo de novo ( cio? per i pazienti che in precedenza avevano ricevuto placebo, 71.5% ) rispetto a coloro che avevano continuato ad assumere la Silodosina ( 58.3% ).

Pi? pazienti, riceventi il farmaco de novo ( 7.5% ), rispetto al trattamento continuativo ( 1.9% ) hanno interrotto lo studio a causa di eiaculazione retrograda.

I cambiamenti medi del punteggio IPSS ( International Prostate Symptom Score ) dal basale alla 40.a settimana ( casi osservati ) ? stato di -4.5 per il trattamento de novo ( p<0.0001 ) e -1.6 per la continuazione del trattamento ( p<0.01 ). L?impiego della Silodosina ? risultato associato ad alta incidenza di eiaculazione retrograda; meno comuni i capogiri e l?ipotensione ortostatica. Marks LS et al, Urology 2009; 74: 1316-1322

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Frattura dello stent medicato impiantato a livello coronarico: incidenza e predi

In clinica, la frattura dello stent ? stata riportata nell?1-2% dei pazienti dopo impianto di stent a rilascio di farmaco.

Uno studio ha valutato le fratture dello stent sotto l?aspetto patologico.

Sono state esaminate 177 lesioni consecutive radiografiche dal CVPath DES Autopsy Registry.

La frattura dello stent ? stata classificata come I ( frattura strut singola ), II ( 2 o pi? strut ), III ( 2 o pi? strut con deformazione ), IV ( con transezione senza gap ), V ( con transezione con gap nel segmento dello stent ).
L?incidenza di eventi avversi patologici ( trombosi e ristenosi ) ? stata valutata mediante esame istologico.

La frattura dello stent ? stata documentata in 51 lesioni ( 29%; grado I=10; II=14; III=12; IV=6; e V=9 ).

Le lesioni con frattura dello stent erano associate ad una maggiore durata dopo l?impianto ( 172 giorni versus 44 giorni; p=0.004 ), una pi? alta incidenza di impiego di stent Cypher ( 63% versus 36%; p=0.001 ), una maggiore lunghezza dello stent ( 30 mm versus 20 mm; p<0.0001 ), e una pi? alta incidenza di stent embricati ( 45% versus 22%; p=0.003 ). Sebbene le fratture di grado I-IV non abbiano avuto un significativo impatto sulla presentazione di eventi avversi patologici, come trombosi e ristenosi, il 67% delle lesioni da frattura di grado V erano associate a eventi patologici avversi al sito di frattura. Una maggiore lunghezza dello stent, l?uso di stent Cypher, e una maggiore durata dell?impianto sono stati identificati come fattori di rischio indipendenti di frattura dello stent dall?analisi di regressione logistica. In conclusione, l?incidenza di frattura dello stent con lesioni ? stata del 29% all?esame autoptico, molto pi? alta di quella riportata in clinica. Un?alta percentuale di eventi patologici ? stata riscontrata nelle lesioni con frattura dello stent di grado V, mentre la frattura con grado compreso tra I e IV non ha avuto un significativo impatto sull?outcome patologico. Nakazawa G et al, J Am Coll Cardiol 2009; 54: 1924-1931

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Nortriptilina pi? efficace della Paroxetina CR nei pazienti con malattia di Park

La malattia di Parkinson ? una comune malattia neurodegenerativa che colpisce fino a un milione di persone negli Stati Uniti.
La depressione ? presente in circa la met? di questi pazienti ed ? associata a un grande numero di esiti negativi per i pazienti e le loro famiglie.
Nonostante ci? ci sono pochi dati per guidare il percorso clinico di cura.

Un gruppo di Ricercatori statunitensi ha condotto uno studio clinico randomizzato e controllato con Paroxetina CR ( Paxil ), Nortriptilina ( Noritren ) e placebo in 52 pazienti con malattia di Parkinson e depressione.

L?esito primario era rappresentato dal cambiamento alla scala Hamilton Depression Rating Scale ( HAM-D ) e la percentuale delle persone depresse che rispondevano al trattamento a 8 settimane.

La Nortriptilina ? risultata superiore al placebo per quanto riguarda i cambiamenti alla scala HAM-D ( P<0.002 ) a differenza della Paroxetina CR.
? stata osservata una tendenza alla superiorit? della Nortriptilina sulla Paroxetina CR a 8 settimane ( p<0.079 ). I tassi di risposta sono risultati favorevoli alla Nortriptilina ( p = 0.024 ): Nortriptilina 53%, Paroxetina CR 11% e placebo 24%. La Nortriptilina, ma non la Paroxetina CR, ? risultata superiore al placebo anche in molti degli esiti secondari inclusi il sonno, l?ansia e la funzione sociale. Entrambi i farmaci sono risultati ben tollerati. In conclusione, seppur riferito a un numero esiguo di pazienti, questo ? il pi? vasto studio controllato su persone con malattia di Parkinson e con depressione.
La Nortriptilina ? risultata efficace nel trattamento della depressione a differenza della Paroxetina CR.

Se confrontate direttamente, il trattamento con Nortriptilina era associato a un maggiore numero di risposte rispetto alla Paroxetina CR.
I risultati suggeriscono che la depressione nei pazienti con malattia di Parkinson ? responsiva al trattamento; e fa sorgere domande sulla ridotta efficacia degli inibitori del doppio riassorbimento ( serotonina e noradrenalina; SNRI ) e degli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina ( SSRI ).

Menza M et al, Neurology 2009;72: 886-892

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Associazione tra cancro della prostata e infezione da Trichomonas vaginalis

1 Ott 2010 Oncologia

Uno studio caso-controllo ha mostrato che la presenza di anticorpi contro Trichomonas vaginalis, una comune infezione non virale trasmessa per via sessuale, ? positivamente associata alla successiva incidenza di tumore della prostata.

Ricercatori della Harvard School of Public Health di Boston, negli Stati Uniti, hanno confermato queste osservazioni in una popolazione indipendente e hanno messo in relazione lo stato sierico per gli anticorpi contro Trichomonas vaginalis con l?incidenza del tumore prostatico e con la mortalit? legata alla malattia.

Uno studio caso-controllo ? stato condotto all?interno del Physicians’ Health Study, che ha coinvolto 673 casi e 673 controlli, per i quali erano disponibili campioni di plasma.

Seppur non significativa dal punto di vista statistico, l?associazione tra stato di sieropositivit? per Trichomonas vaginalis e rischio generale di carcinoma della prostata ( OR=1.23 ) ? risultato simile a quello riportato in precedenza.

Inoltre, la sieropositivit? ? risultata associata a un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma della prostata extraprostatico ( OR = 2.17 ) e di cancro con potenziale progressione a metastasi ossee o a morte specifica per carcinoma della prostata ( OR = 2,69 ).

In conclusione, questo ampio studio prospettico caso-controllo ha fornito un ulteriore supporto a favore dell?associazione tra stato di sieropositivit? per gli anticorpi contro Trichomonas vaginalis e rischio di cancro della prostata con associazioni statisticamente significative per il rischio di tumore della prostata extraprostatico e per tumori della prostata clinicamente rilevanti e potenzialmente letali.

Stark JR et al, J Natl Cancer Inst 2009; 101: 1406-1411

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