PREPARAZIONE PER COLONSCOPIA, RETTOSIGMOIDOSCOPIA

IL GIORNO DELL?ESAME PORTARE CON S? GLI ESAMI ENDOSCOPICI E RADIOLOGICI PRECEDENTI E LA RICHIESTA MEDICA CON INDICATA LA MOTIVAZIONE DELL?ESAME

I pazienti in terapia cronica con farmaci non devono sospenderli tranne nei seguenti casi:
? la terapia con farmaci antinfiammatori (aspirina, antireumatici) deve essere sospesa a partire dai tre giorni precedenti l?esame endoscopico
? nel caso di terapia con anticoagulanti (Sintrom; Coumadin) o antiaggreganti, o nel caso di patologie renali o cardiache, si prega di contattare il C.D.S. San Nicol? (telef. 031-2764111).
In ogni caso, l?assunzione di farmaci, deve essere segnalata al Medico che esegue l?esame. Deve anche essere segnalata l?eventuale presenza di protesi valvolari cardiache o pace maker.

IMPORTANTE:
In corso di esame possono essere somministrati farmaci sedativi allo scopo di rendere l?esame endoscopico pi? confortevole. Per tale motivo, dopo l?esame, ? vietato guidare l?automobile ed ? necessario essere accompagnati.

? NECESSARIO PORTARE CON S? L?ESITO DEI SEGUENTI ESAMI, ESEGUITI NEI 15 GIORNI PRECEDENTI IL GIORNO DELL?ESAME:
? ECG, EMOCROMO, CONTA PIASTRINICA, PT, PTT
I Pazienti devono iniziare una dieta priva di scorie (eliminare frutta, verdura, alimenti integrali) 4 giorni prima del giorno dell?esame e passare ad una dieta liquida (acqua, t?, camomilla, brodo, caff?, latte etc.) il giorno prima.

Procurarsi in Farmacia una confezione di SELG-ESSE 1000 (Polvere per soluzione orale) (contiene 4 buste di granulato che serviranno per la preparazione di 4 litri di soluzione).

Come preparare la Soluzione:
Versare il contenuto di una busta di SELG-ESSE 1000 in 1000 ml (equivalenti ad 1 litro) di acqua non gassata ed agitare bene finch? il granulato non si sia sciolto completamente (soluzione che diventa limpida). Ripetere la stessa operazione con ogni bustina per un totale di 4 litri di soluzione.
La soluzione risulta piu’ gradevole se preparata con acqua fredda (non usare ghiaccio). Non aggiungere alla soluzione alcun tipo di sostanza (zucchero, aromatizzanti vari, liquidi diversi dall’acqua).

PREPARAZIONE PAZIENTE
? Se l?esame verr? effettuato AL MATTINO

Il giorno prima dell?esame:
o A Colazione: t? o latte, fette biscottate e marmellata
o A Pranzo: minestrina senza verdura, o semolino. yogurt, budino, gelato
o – ore 15-17: assumere i primi 2 litri della soluzione di SELG ESSE 1000
o – ore 19-21: assumere gli altri 2 litri della soluzione di SELG ESSE 1000
Si consiglia di bere circa 250 ml di soluzione ogni 10-15 minuti; ogni porzione dovr? essere bevuta nell?arco di due-tre minuti.
o A Cena: semolino o brodo, gelato o yogurt, th? zuccherato e acqua a volont?.
Il giorno di esecuzione dell?esame
o Digiuno

? Se l?esame verr? effettuato AL POMERIGGIO

Il giorno prima dell?esame:
o A Pranzo: minestrina senza verdura o semolino, spremute di frutta, gelato o yogurt
o ore 15-17: assumere i primi 2 litri della soluzione di SELG-ESSE 1000
Si consiglia di bere circa 250 ml di soluzione ogni 10-15 minuti; ogni porzione dovr? essere bevuta nell?arco di due-tre minuti.
o A Cena: semolino o brodo, budino, gelato o yogurt, t? zuccherato ed acqua a volont?.
Il giorno di esecuzione dell?esame:
o ore 7.00: t? o camomilla ben zuccherati, miele, marmellata
o ore 8-10: assumere gli altri 2 litri della soluzione.
Si consiglia di bere circa 250 ml di soluzione ogni 10-15 minuti; ogni porzione dovr? essere bevuta nell?arco di due-tre minuti.

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Resezione colorettale, mininvasiva pari al cielo aperto

16 Ago 2010 Oncologia

La resezione colorettale laparoscopica con la rimozione simultanea delle metastasi epatiche presenta un outcome simile a quello dell’approccio chirurgico in aperto, con alcuni vantaggi a breve termine. La verifica ? frutto di uno studio coreano che ha rivisto, fra gennaio 2003 e agosto 2008, 40 pazienti consecutivi sottoposti a resezione R0 simultanea di metastasi epatiche sincrone: 20 pazienti sono stati avviati a resezione colorettale laparoscopica e 20 a cielo aperto. Gli autori, Jung Wook Huh e collaboratori del Chonnam national university di Gwangju, riferiscono che nessun paziente trattato con la procedura laparoscopica ? passato alla tecnica a cielo aperto e che non ? stata registrata mortalit? post-operatoria in entrambi i gruppi. La perdita di sangue stimata ? risultata per? significativamente pi? bassa nel gruppo laparoscopia. In questo stesso gruppo la durata dell’operazione era significativamente pi? lunga (358 vs 278 minuti) e il recupero della funzione intestinale era pi? precoce (in media un giorno prima) rispetto al gruppo di confronto. Nessuna differenza significativa si ? osservata per quanto riguarda le complicanze post-operatorie. La sopravvivenza globale si ? attestata sul 58,7% a tre anni e sul 49,2% a cinque anni: il tasso di sopravvivenza globale a tre anni nel gruppo laparoscopia non era significativamente diverso da quello osservato nel gruppo chirurgia a cielo aperto (52,8% vs 61,0%).

Surg Endosc, 2010 Jun 12. [Epub ahead of print]

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Epatite cronica pi? complessa negli emodializzati

Le epatiti croniche da virus B e C sono cause importanti di epatopatia nei centri per l’emodialisi. Maurizio Pompili e collaboratori del dipartimento di Medicina interna, scienze specialistiche e dermatologia, universit? Cattolica del Sacro cuore, Roma, rileggono i dati disponibili in letteratura su storia naturale, diagnosi e trattamento dei pazienti in emodialisi e affetti da queste epatiti. I fattori di rischio conosciuti sono l’alta prevalenza di infezione da Hcv e Hbv nelle strutture per l’emodialisi, una storia pregressa di trasfusioni, trattamento dialitico a lungo termine, cambi frequenti del centro per l’emodialisi e trapianti renali pregressi. L’origine, la tempistica e la durata dell’infezione sono spesso difficili da accertare. Pochi studi, e con un follow-up a breve termine, hanno indagato la storia naturale dell’epatite virale nel setting emodialitico: ? emerso comunque un impatto negativo indipendente sulla sopravvivenza dovuto a un aumento del rischio di cirrosi ed epatocarcinoma. Le opzioni terapeutiche includono interferone convenzionale o pegilato (da solo o in associazione con ribavirina), e analoghi nucleosidici/nucleotidici. Lo scopo del trattamento ? l’eradicazione del virus o la soppressione persistente della replicazione virale. Il management ? per? complicato dalle alterazioni farmacocinetiche, dall’aumento del rischio di tossicit? legata al farmaco e dalla necessit? di trapianto renale. Nei pazienti con infezione cronica da Hbv in replicazione attiva l’approccio pi? frequente ? la soppressione della replicazione virale con analoghi nucleosidici/nucleotidici. Per quanto riguarda invece l’epatite C, alcuni studi clinici hanno evidenziato come la monoterapia convenzionale con interferone induca una maggiore risposta virologica sostenuta ma anche pi? alti tassi di drop-out nei pazienti in dialisi rispetto ai soggetti con funzione renale preservata. I dati relativi all’interferone pegilato, come monoterapia o in combinazione con ribavirina, sono giudicati promettenti ma limitati. Un’ultima osservazione: i pazienti in dialisi che ottengono una risposta virologica sostenuta mantengono spesso la risposta dopo il trapianto di rene.

G Ital Nefrol, 2010; 27(3):262-73

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Mantenimento del ritmo sinusale dopo cardioversione elettrica nella fibrillazion

Uno studio ha valutato l?effetto dell?Atorvastatina ( Torvast ) nel raggiungimento del ritmo sinusale stabile 30 giorni dopo cardioversione elettrica nei pazienti con fibrillazione atriale persistente.

Lo studio ha riguardato 234 pazienti, che sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con Atorvastatina 80 mg/die ( n=118 ) oppure placebo ( n=116 ) in modo prospettico.

Il trattamento ? stato iniziato 14 giorni prima della cardioversione ed ? stato continuato fino a 30 giorni dopo.

L?et? media dei pazienti era di 65 anni; il 76% erano di sesso maschile, e il 4% soffriva di cardiopatia ischemica.

L?Atorvastatina ? stata ben tollerata in tutti i pazienti con l?eccezione di uno.

Dodici pazienti sono stati esclusi prima del termine dello studio.

Nel gruppo Atorvastatina l?89% dei pazienti ? stato convertito a ritmo sinusale mediante cardioversione elettrica, contro l?86% del gruppo placebo ( p=0.42 ).

All?analisi intention-to-treat, il 51% dei pazienti nel gruppo Atorvastatina e il 42% di quelli trattati con placebo sono rimasti in ritmo sinusale fino a 30 giorni dopo la cardioversione elettrica ( odds ratio, OR=1.44; p=0.18 ).

Lo studio ha mostrato che l?Atorvastatina non ? statisticamente superiore al placebo nel mantenere il ritmo sinusale a 30 giorni dopo cardioversione elettrica nei pazienti con fibrillazione atriale persistente.

Almroth H et al, Eur Heart J 2009; 30: 827-833

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Fibrillazione atriale: la nefropatia cronica aumenta il rischio di tromboembolis

La fibrillazione atriale aumenta in modo sostanziale il rischio di ictus ischemico, ma questo rischio varia tra i singoli pazienti con questa aritmia, e gli attuali schemi di stratificazione del rischio hanno limitata capacit? predittiva.

La malattia renale cronica ? un fattore di rischio cardiovascolare maggiore, ma non ? noto se aumenti in modo indipendente il rischio di ictus ischemico nelle persone con fibrillazione atriale.

Uno studio, coordinato da Ricercatori del Kaiser Permanente of Northern California a Oakland negli Stati Uniti, ha esaminato in che modo la malattia renale cronica ( ridotta velocit? di filtrazione glomerulare o proteinuria ) influenzi il rischio di tromboembolismo, senza anticoagulazione, in pazienti con fibrillazione atriale.

Durante 33.165 persone-anno, non sottoposte ad anticoagulazione, tra 10.908 pazienti con fibrillazione atriale, sono stati osservati 676 eventi tromboembolici.

Dopo aggiustamento per i fattori di rischio noti per l?ictus e altri confondenti, la proteinuria ha aumentato il rischio di tromboembolismo del 54% ( rischio relativo, RR=1.54 ).

E?stato osservato un graduale aumento del rischio di ictus associato a livelli progressivamente pi? bassi di velocit? di filtrazione glomerulare stimata ( eGFR ) rispetto a una velocit? maggiore o uguale a 60 mL/min/1.73 m2: rischio relativo di 1.16 per eGFR da 45 a 59 mL/min/1.73 m2, e 1.39 per eGFR minore di 45 mL/min/1.73 m2 ( P=0.0082 per la tendenza ).

In conclusione, la malattia renale cronica aumenta il rischio di tromboembolismo nella fibrillazione atriale indipendentemente da altri fattori di rischio.
Conoscere i livelli della funzione renale e la presenza di proteinuria potrebbe migliorare la stratificazione del rischio riguardo alla decisione di instaurare una terapia antitrombotica per la prevenzione dell?ictus nella fibrillazione atriale.

Go AS et al, Circulation 2009;119: 1363-1369

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Estrogeni equini in post-menopausa, pro e contro

12 Ago 2010 Ginecologia

Gli estrogeni coniugati equini (Cee) riducono i sintomi vasomotori e la secchezza vaginale rispetto ai valori basali riscontrati nelle donne in post-menopausa, ma peggiorano la riduzione del tono mammario. La probabilit? di sviluppare sintomi risulta significativamente pi? alta nelle donne che sospendono il trattamento con Cee rispetto al placebo, a prescindere dalla sintomatologia accusata al basale. I potenziali effetti della somministrazione di Cee, quindi, devono essere considerati prima di instaurare il trattamento per ridurre i sintomi della menopausa. Le indicazioni provengono dallo studio randomizzato, placebo-controllato Women’s health initiative che ha sottoposto ad analisi intention-to-treat 10.739 donne prima e un anno dopo la randomizzazione a Cee o placebo. ? stata effettuata anche un’analisi di coorte su 3.496 donne che hanno continuato ad assumere Cee fino alla chiusura del trial e che si sono sottoposte all’esame dei sintomi subito prima e dopo l’interruzione del trattamento. Circa un terzo delle pazienti ha riportato al basale almeno un sintomo moderato o severo. I sintomi riportati tendevano a ridursi all’aumentare dell’et? (ad eccezione di dolore e rigidit? articolare). Dopo un anno si ? notato, nelle pazienti in terapia ormonale, una riduzione di vampate, sudorazioni notturne e secchezza vaginale ma anche una riduzione del tono delle mammelle: quest’ultimo effetto si ? mantenuto significativamente pi? alto nel gruppo Cee fino alla conclusione dello studio. Dopo la cessazione del trattamento, i sintomi vasomotori sono stati riferiti in modo significativamente maggiore dalle donne che accusavano sintomi al basale, rispetto a quelle che non li avevano segnalati, e dalle donne assegnate al gruppo Cee rispetto al placebo (9,8% vs 3,2%). Fra le donne che non avevano registrato sintomi moderati o gravi al basale, le vampate erano cinque volte pi? frequenti dopo l’interruzione della terapia ormonale rispetto al gruppo placebo (7,2% vs 1,5%). Allo studio, che porta la prima firma di Robert Brunner dell’university of Nevada school of Medicine di Reno (Stati uniti), hanno collaborato una quarantina di centri americani.

Menopause, 2010 Jun 2. [Epub ahead of print]?

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Confronto tra Warfarin e Dabigatran nella fibrillazione atriale

Il Warfarin ( Coumadin ) riduce il rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, ma aumenta il rischio di emorragia, ed ? un farmaco di non facile uso.

Dabigatran ( Pradaxa ) ? un nuovo inibitore diretto della trombina.

In uno studio di non-inferiorit?, 18.113 pazienti con fibrillazione atriale e a rischio di ictus sono stati assegnati in maniera casuale a ricevere, in-cieco, dosi fisse di Dabigatran ( 110 mg o 150 mg, 2 volte al giorno ) oppure, non-in-cieco, una dose aggiustata di Warfarin.

La durata mediana del periodo osservazionale ? stata di 2 anni.

L’endpoint primario era rappresentato dall’ictus o dall’embolia sistemica.

I tassi di esito primario sono stati 1.69% per anno nel gruppo Warfarin, contro l?1.53% per anno nel gruppo trattato con 110 mg di Dabigatran ( rischio relativo con Dabigatran 0.91; P<0.001 per la non-inferiorit? ) e l?1.11% per anno nel gruppo trattato con 150 mg di Dabigatran ( rischio relativo 0.66; P<0.001 per la superiorit? ). Il tasso di sanguinamento maggiore ? stato pari al 3.36% per anno nel gruppo Warfarin, rispetto a 2.71% nel gruppo trattato con 110 mg di Dabigatran ( P=0.003 ) e 3.11% per anno nel gruppo trattato con 150 mg di Dabigatran ( P=0.31 ). Il tasso di ictus emorragico ? stato dello 0.38% per anno nel gruppo Warfarin rispetto allo 0.12% per anno con 110 mg di Dabigatran ( P<0.001 ) e 0.10% per anno con 150 mg di Dabigatran ( P<0.001 ). Il tasso di mortalit? ? stato 4.13% per anno nel gruppo Warfarin rispetto al 3.75% per anno con 110 mg di Dabigatran ( P=0.13 ) e 3.64% per anno con 150 mg di Dabigatran ( P=0,051 ). In conclusione, nei pazienti con fibrillazione atriale, Dabigatran somministrato alla dose di 110 mg ? risultato associato a tassi di ictus e embolia sistemica simili a quelli associati a Warfarin e a tassi inferiori di emorragia maggiore.
Dabigatran somministrato alla dose di 150 mg, rispetto a Warfarin, ? risultato associato a tassi inferiori di ictus ed embolia sistemica, ma a tassi simili di emorragia maggiore.

Connolly SJ et al, N Engl J Med 2009; 361: 1139-1151

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Anticorpo monoclonale contro il melanoma

10 Ago 2010 Oncologia

Ipilimumab, anticorpo monoclonale che combatte il melanoma attivando il sistema immunitario contro le cellule tumorali, in uno studio di fase III ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza del 34% in pazienti colpiti dalla patologia in fase metastatica rispetto a quelli trattati con un’altra terapia sperimentale, la vaccinazione peptidica. I dati, appena pubblicati sul New England, sono stati presentati al 46? Congresso Asco (American society of clinical oncology), in corso a Chicago in questi giorni. Ipilimumab, bloccando l’antigene-4 associato ai linfociti-T citotossici (Ctla-4) che a sua volta regola e riduce l’attivazione delle cellule-T, promuove l’attivit? antitumorale; quanto al vaccino usato nello studio, era a base di peptidi derivati dalla proteina melanosomiale, la glicoproteina 100 (gp100). Il trial ha coinvolto 676 persone, provenienti da 125 centri di tutto il mondo, con tumore non asportabile in fase III o IV e progredito durante la terapia contro la malattia metastatica. Questi pazienti sono stati assegnati in modo randomizzato in un rapporto 3:1:1 a ricevere ipilimumab pi? gp 100 (n=403), ipilimumab da solo (n=137) o gp100 da solo (n=136). La sopravvivenza mediana complessiva ? stata di 10,0 mesi nel gruppo ipilimumab pi? gp100 e di 10,1 mesi in quello ipilimumab da solo rispetto a 6,4 mesi dei pazienti trattati con gp100 da solo (Hr per morte: 0,68). In particolare, al follow-up di un anno, il 46% dei soggetti trattati con ipilimumab era vivo (rispetto al 25% di quelli in trattamento con la vaccinazione peptidica) e a due anni la percentuale di sopravvivenza ? risultata del 24%, rispetto al 14% del braccio di controllo. Si possono avere effetti avversi immunocorrelati, ma nella maggior parte dei casi sono reversibili con un apposito trattamento. Alla luce di questi dati, ipilimumab ? da subito disponibile in Italia per uso compassionevole.?

New Engl J Med, 2010 Jun 5. [Epub ahead of print]

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Ipertrofia prostatica benigna, meglio la chirurgia

9 Ago 2010 Urologia

La chirurgia dell’ipertrofia prostatica benigna (Ipb) si rivela pi? efficace contro l’incontinenza e nell’alleviare i sintomi dell’ostruzione urinaria rispetto al trattamento farmacologico. Questo ? quanto si evince dai risultati di uno studio di comunit? condotto da Amy Krambeck e collaboratori della Mayo clinic di Rochester (Stati uniti). L’indagine, presentata in occasione del meeting annuale dell’American urological association, svoltosi a San Francisco, ? stata svolta su 2.184 uomini di et? compresa tra 40 e 79 anni affetti da ipertrofia prostatica, seguiti per 17 anni. I partecipanti hanno compilato annualmente un apposito questionario sui sintomi urinari e sulla gravit? dell’incontinenza prima e dopo aver ricevuto i differenti tipi di trattamento. La maggior parte dei pazienti non ha seguito alcuna terapia (72%), alcuni sono stati trattati con gli antagonisti dei recettori alfa-adrenergici (14%), altri con gli inibitori della 5-alfa-reduttasi (9%) mentre l’1% e il 4% sono stati rispettivamente avviati a chirurgia laser e a resezione transuretrale della prostata (Turp). Si ? visto che i pazienti sottoposti a Turp hanno beneficiato di una maggiore riduzione dei sintomi e dell’incontinenza rispetto ai soggetti sottoposti a tutti gli altri tipi di trattamento. ?Solo il gruppo Turp ha riportato un decremento dell’incontinenza? aggiunge Amy Krambeck. ?Si ? passati da un tasso di incontinenza pre-Turp pari al 64,5% al 41,9% dopo l’intervento?. Il positivo effetto della Turp sull’incontinenza raggiunge la significativit? quando viene confrontato con l’incremento del sintomo registrato nei pazienti in trattamento farmacologico e con la mancata riduzione del disturbo osservata dopo vaporizzazione laser.?

American Urological Association, San Francisco, 29 maggio 2010

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ACE-inibizione per coronaropatici

Il beneficio prognostico derivante dalla somministrazione di un Ace-inibitore in seguito a sindrome coronarica acuta (Acs) si ha soltanto nei pazienti con una pi? marcata elevazione plasmatica del frammento aminoterminale del propeptide natriuretico di tipo B (Nt-proBnp), che pu? dunque diventare un utile marker per la scelta della terapia medica pi? adatta nei soggetti coronaropatici. L’indicazione giunge dall’universit? di Leicester (Regno unito), dove Iain Squire e collaboratori del dipartimento di Scienze cardiovascolari hanno svolto uno studio osservazionale di coorte su 1.725 pazienti, di et? media pari a 67 anni, ricoverati per Acs. Utilizzando l’analisi dei rischi proporzionali di Cox, si ? calcolato il valore predittivo riguardo eventi avversi cardiaci maggiori (Mace, ossia morte, infarto miocardico recidivante od ospedalizzazione per scompenso cardiaco) della prescrizione di un Ace-inbitore, dell’Nt-proBnp e dell’interazione tra questi due fattori; inoltre, al fine di correggere le differenze demografiche tra pazienti ai quali erano somministrati o meno gli Ace-inibitori, si ? inserito un fattore correttivo (punteggio di propensione) riferito alla probabilit? di tale prescrizione. Al momento dell’ammissione, l’Ace-inibizione ? stata prescritta a 1.267 soggetti su 1.725 (73,4%). Nel corso del follow-up (mediana: 528 giorni) 534 pazienti hanno avuto un Mace. Dopo aggiustamento covariabile, l’Nt-proBnp ha mostrato un’associazione lineare con il rischio di Mace, pi? evidente nei pazienti con Nt-proBnp nel quartile superiore dei valori osservati (Hr=2,768). Soltanto nei pazienti con Nt-proBnp nel quartile maggiore la prescrizione di un Ace-inibitore ? apparsa associata? a una riduzione del rischio di Mace (Hr=0,532). Questa associazione si ? mantenuta dopo correzione per i punteggi di propensione.?

Heart, 2010; 96(11):831-7?

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