Screening del colesterolo a 9 anni. Polemica su linee guida Usa

29 Ott 2012 Pediatria

Un’efficace prevenzione delle malattie cardiovascolari (Cv) deve cominciare da uno screening molto precoce, già nei bambini di 9-11 anni. Era questo il passaggio-chiave di un documento sulla riduzione del rischio Cv nell’infanzia e nell’adolescenza pubblicato alla fine dello scorso anno su Pediatrics dal National Heart, Lung and Blood Institute di Bethesda (Usa). La linee guida dell’istituto americano hanno però diviso la comunità scientifica, come riferisce il New York Times: da una parte c’è chi ritiene inutile anticipare il controllo del colesterolo a un’età così bassa, aggiungendo che l’ampliamento dello screening comporterebbe costi sanitari più elevati, test ripetuti e falsi positivi; dall’altra è schierato il fronte di chi considera opportuna la prevenzione precoce, sottolineando che individuare un’ipercolesterolemia in fase precoce consente di attuare modificazioni negli stili di vita dei bambini, migliorandone le condizioni di vita a lungo termine. Un esempio delle due opposte visioni è rappresentato da due editoriali apparsi su JAMA; nel primo, pubblicato a dicembre, Frederick P. Rivara, della University of Washington di Seattle, sostiene che uno screening universale potrebbe determinare l’avvio di una terapia farmacologica, per esempio con statine, e che ciò non sarebbe giustificato in base alle attuali evidenze scientifiche. Il mese dopo sempre su JAMA, replica Stephen R. Daniels, dell’università del Colorado e presidente del board delle linee guida. «Sappiamo che il processo di aterosclerosi inizia durante l’infanza ed è progressivo. Sappiamo inoltre che gli individui in grado di mantenere una condizione di basso rischio durante l’infanzia e l’adolescenza arrivano all’età adulta in una condizione per cui è molto improbabile sviluppare malattie cardiovascolari». Questo lavoro “educativo”, secondo Daniels, dovrebbe essere svolto insieme da genitori, pediatra e medico di famiglia. Infine, si fa notare, lo screening permetterebbe di intercettare i gravi casi di ipercolesterolemia familiare che richiedono subito una terapia ipolipemizzante cronica.

Pediatrics, 2011; 128 Suppl 5:S213-56

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Iperplasia adenoidea, assolto Helicobacter pylori

3 Apr 2012 Pediatria

L’infiammazione e l’ingrossamento delle adenoidi nei bambini non sono verosimilmente dovute a un’infezione da Helicobacter pylori (o da altri batteri appartenenti alla stessa famiglia) acquisita attraverso il reflusso laringo-faringeo. È la conclusione alla quale è giunta un’èquipe della Flinder university di Adelaide (Australia), coordinata da Damian J. Hussey, in uno studio di coorte nel quale sono stati esaminati 93 campioni bioptici adenoidei (78 iperplastici e 15 normali) di bambini di età compresa tra i 2 e i 10 anni. L’Rna totale è stato estratto prima della retrotrascrizione dell’Rna batterico usando un primer specifico per le Helicobacteriaceae. Si è poi usata la Rt-Pcr (reverse transcriptase-polymerase chain reaction) per identificare tutte le specie della famiglia delle Helicobacteriaceae. Ogni campione bioptico è stato anche analizzato istologicamente. È stato rilevato un sospetto reflusso laringofaringeo nel 41% dei bambini (n=23), sulla base del Reflux symptom index. Non si è però riscontrata alcuna evidenza di H. pylori nei campioni bioptici. L’unico membro della famiglia delle Helicobacteriaceae rilevato in un solo tessuto adenoideo iperplastico è stato il Candidatus Wolinella africanus. Gli esami istologici, comunque, hanno veirificato la presenza di pochissimi organismi. Gli esiti ottenuti in precedenza con altri metodi basati sulla Pcr, commentano gli autori, possono essere il frutto di falsi positivi.

Arch Otolaryngol Head Neck Surg, 2011; 137(10):998-1004

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Il tempo speso in attività fisica prescinde dalla sedentarietà

12 Mar 2012 Pediatria

Nei bambini il tempo trascorso in attività fisica moderata o vigorosa (Mvpa) si associa a migliori outcome cardiometabolici, indipendentemente dal tempo speso in attività sedentarie. Il dato è stato ricavato da Ulf Ekelund, dell’Istituto di Scienze metaboliche di Cambridge (UK), e collaboratori, tramite la meta-analisi di 14 studi, tratti dal Children’s Accelerometry Database, effettuati tra il 1998 e il 2009, per un totale di 20.871 bambini (età: 4-18 anni). Il tempo accumulato dai bambini in Mpva o in attività sedentaria (espresso come media di minuti al giorno) è risultato pari, rispettivamente, a 30 e 354. Il tempo speso in Mpva è apparso significativamente associato a tutti gli outcome cardiometabolici indipendentemente da genere, età, tempo trascorso in modo sedentario e circonferenza vita. Al contrario il tempo passato in modo sedentario non è risultato associato ad alcun outcome indipendente dal tempo speso in Mpva. Nelle analisi combinate, ai livelli più elevati di Mpva è sempre corrisposto un quadro dei fattori di rischio cardiovascolare più favorevole rispetto a tutti i terzili di attività sedentaria. La differenza media di circonferenza vita tra i soggetti in Mpva e l’altro gruppo è stata di 5,6 e 3,6 cm per i soggetti, rispettivamente, con molto o poco tempo passato in sedentarietà. La differenza di pressione arteriosa sistolica per i soggetti a elevato e basso tempo di sedentarietà è risultata di 0,7 mmHg e 2,5 mmHg, rispettivamente, mentre la variazione di colesterolemia Hdl è risultata di -2,6 mg/dL e -4,5 mg/dL. Simili differenze sono state riscontrate per insulina e trigliceridi. I soggetti nel terzile superiore di Mpva hanno accumulato oltre 35 minuti al giorno a tale intensità di lavoro contro un livello inferiore a 18 minuti al giorno per i bambini nel terzile inferiore. Il tempo speso in Mpva e in sedentarietà non sono risultati associati alla circonferenza vita al follow-up, ma un valore più elevato di quest’ultima al basale è apparso correlato a valori più alti di sedentarietà al follow-up. 

JAMA, 2012; 307(7):704-12

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Obesità, infiammazione e sindrome metabolica nei giovani

20 Feb 2012 Pediatria

A differenza dei coetanei in buona salute, gli adolescenti obesi fanno registrare una marcata infiammazione a bassa intensità e valori elevati dei biomarcatori di sindrome metabolica. Le misurazioni sono state effettuate nell’ambito di uno studio danese – diretto da Rikke Juul Gøbel dell’università di Copenhagen – su 51 ragazzi dai 12 ai 15 anni obesi e su 30 di pari età e peso nella norma. I risultati sono in linea con altri studi che avevano rilevato livelli più elevati di pressione sanguigna, insulina, insulinoresistenza, C-peptide, colesterolemia totale, Ldl, trigliceridi, proteina C-reattiva, interleuchina-6, tumor necrosis factor-alfa e livelli inferiori di colesterolo Hdl tra gli adolescenti obesi rispetto ai normopeso, mentre non si sono misurate differenze riguardanti glicemia, acidi grassi o calprotectina fecale. Inoltre, tra gli adolescenti obesi, fattori di rischio quali il colesterolo Ldl e la proteina C-reattiva sono apparsi associati positivamente con gli z- scores del body mass index. È stata anche trovata un’alta prevalenza di sindrome metabolica, pari al 14%, tra gli adolescenti obesi; inoltre, le misure di proteina C-reattiva sono risultate associate in modo positivo alla maggior parte delle misure antropometriche nel gruppo obeso, mentre all’analisi di regressione lineare multipla sia lo z-score Bmi sia la somma delle pliche cutanee hanno permesso di spiegare gran parte delle variazioni della proteina C-reattiva. Secondo i ricercatori, l’elevata percentuale dei casi di sindrome metabolica in questa popolazione sottolinea la necessità di arrivare a una maggiore conoscenza delle cause e dei meccanismi che si associano ai fattori di rischio e di intervenire con programmi specifici per ridurne la prevalenza tra gli adolescenti. 

Acta Paediatr, 2012; 101(2):192-200

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Asma pediatrico: nessun vantaggio dal lansoprazolo

16 Feb 2012 Pediatria

Un recente studio su bambini con asma poco controllato, senza sintomi di reflusso gastroesofageo, e che fanno uso di corticosteroidi per via inalatoria, ha dimostrato che l’aggiunta di lansoprazolo non migliora i sintomi né la funzionalità polmonare rispetto al placebo, ma si è associa a un numero maggiore di effetti avversi. Janet T. Holbrook, della Johns Hopkins Bloomberg school of public health di Baltimora, insieme a un gruppo di ricercatori appartenenti agli Asthma Clinical Research Centers dell’American Lung Association, ha realizzato uno studio in cieco, randomizzato e controllato con placebo su un campione di 306 bambini (età media: 11 anni) arruolati in 19 centri clinici accademici statunitensi, inseriti nello studio tra il 2007 e il 2010 e seguiti per un periodo di 24 settimane. Il grado di controllo dell’asma è stato rilevato attraverso un apposito questionario (Acq – Asthma control questionnaire) mentre gli outcome secondari comprendevano misurazioni della funzionalità polmonare, la qualità della vita e frequenza degli episodi di scarso controllo dell’asma. La differenza media nel punteggio Acq tra il gruppo lansoprazolo rispetto al gruppo placebo è stata solo di 0,2 unità, lontana dal valore di 0,5 considerato clinicamente significativo. Anche il confronto rispetto agli outcome secondari non ha mostrato un effetto positivo indotto dal farmaco. Anche nel sottogruppo di pazienti con pH-metria esofagea positiva il trattamento con lansoprazolo non ha modificato gli esiti clinici. Il lansoprazolo si è però associato a una superiore frequenza di infezioni respiratorie con un valore di 1,3 del rischio relativo.

JAMA, 2012;307(4):373-81

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I comportamenti autolesivi dall’adolescenza all’età adulta

13 Feb 2012 Pediatria

«La maggior parte dei comportamenti autolesionisti negli adolescenti si risolve spontaneamente. La rapida individuazione e il trattamento dei più comuni disturbi mentali durante l’adolescenza potrebbero costituire un’importante e finora non abbastanza riconosciuta componente della prevenzione del suicidio nei giovani adulti». Sono le conclusioni di una ricerca finanziata dal National Health and Medical Research Council in Australia. Paul Moran, dell’istituto di Psichiatria del King’s College di Londra, con i suoi colleghi inglesi e australiani, ha preso in considerazione un campione di 1.943 adolescenti scelto in maniera casuale in 44 scuole dello stato di Victoria, tra il 1992 e il 2008. I dati per l’indagine statistica sono stati raccolti attraverso questionari e interviste telefoniche con 7 follow-up successivi, iniziati quando i partecipanti avevano un’età media di circa 16 anni e terminati quando avevano mediamente 29 anni. Sono stati presi in considerazione il consumo di alcool, di cannabis e di fumo da sigaretta, oltre ai sintomi di depressione e di ansia, ai comportamenti antisociali e all’occorrenza di eventi come le separazioni dai genitori o i divorzi. Ne è risultato che circa l’8% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni ha avuto comportamenti autolesionisti (la percentuale è al 6% nei ragazzi e sale al 10% tra le ragazze). Gli atti più frequenti sono stati il taglio superficiale della pelle e le bruciature e si sono ridimensionati in modo significativo durante la tarda adolescenza. Gli atti autolesionisti degli adolescenti si sono associati ai sintomi di depressione e di ansia, ai comportamenti antisociali, all’abuso di alcool, all’uso di cannabis e al fumo di sigarette. Inoltre, l’ansia e la depressione durante l’adolescenza si sono associati in modo significativo ai comportamenti autolesionisti e ai tentativi di suicidio negli anni successivi, durante la prima età adulta.

Lancet, 2012; 379(9812):236-243

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Il dolore toracico nei bambini raramente è di origine cardiaca

13 Dic 2011 Pediatria

Il dolore toracico è comune nei bambini ma molto raramente ha una causa cardiaca. Tanto che una revisione di 10 anni di visite cardiologiche (quasi 18.000 anni-paziente) effettuate al Children’s Hospital di Boston da Susan F. Saleeb e collaboratori, evidenzia che non si è avuto alcun decesso a causa di una cardiopatia. I dati si riferiscono a 3.700 pazienti con dolore toracico (età media: 13,4 anni) visitati all’ospedale americano tra il gennaio del 2000 e il dicembre del 2009, con un follow-up di 4,4 anni, per un totale di 17.886 anni-paziente. Nel 33% dei casi (n=1.222) è occorso un dolore toracico da sforzo, con 15 episodi di sincope. È stata identificata un’eziologia cardiaca in 37 casi; nei rimanenti 3.663 pazienti (99%) il dolore toracico era di origine sconosciuta (n=1.928), muscoloscheletrica (n=1.345), polmonare (n=242), gastrointestinale (n=108), correlato all’ansia (n=34) o a farmaci (n=4). Sono state comunque documentate visite al dipartimento di medicina di emergenza per 670 pazienti (18%) e 263 soggetti (7%) hanno avuto visite di follow-up cardiologiche per dolore toracico.

Pediatrics, 2011 Nov;128(5):e1062-8

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Confermata la relazione tra asma e campi elettromagnetici

9 Nov 2011 Pediatria

L’esposizione materna a campi elettromagnetici durante la gravidanza aumenta il rischio di asma nel nascituro e il legame è dose-dipendente, secondo uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori del Kaiser foundation research institute di Oakland (Usa) guidato da De-Kun Li. L’indagine – uno studio prospettico – ha messo in relazione i livelli di esposizione in gravidanza ai campi elettromagnetici, rilevati dalle stesse madri durante la gestazione tramite un misuratore di radiazioni, con la diagnosi di asma effettuata in 626 bambini. I risultati hanno evidenziato che per ogni incremento di 1 milliGauss (mG) nell’esposizione materna si registra un aumento del 15% del rischio di sviluppare l’asma. Il che equivale a dire che, diviso il gruppo in fasce identificate dai livelli medi di esposizione, i bambini nati da madri collocate nel gruppo a più alta esposizione (livello medio nelle 24 ore >2,0 mG) presentano un rischio 3,5 volte più alto di sviluppare la patologia rispetto ai figli di madri collocate nel gruppo a minore esposizione (=/<0,3 mG). Inoltre, il rischio aumenta ulteriormente se la madre ha a sua volta una storia clinica di asma e se il bambino è primogenito.

Arch Pediatr Adolesc Med, 2011; 165(10): 945-50

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Sindrome di Down, rischio di anemia e carenze di ferro

27 Ott 2011 Pediatria

Nei bambini affetti da sindrome di Down, il rischio di anemia e di carenze di ferro non è maggiore rispetto alla popolazione generale. È però necessario monitorare con attenzione questi pazienti, in modo da intraprendere azioni mirate nel caso si riscontrino anomalie su questo fronte, considerando il peso che una carenza di ferro ha sullo sviluppo cognitivo. L’argomento è stato oggetto di uno studio condotto da un’équipe israeliana, coordinata da Alexander Tenenbaum, del dipartimento di Pediatria dell’Hadassah university Medical center di Gerusalemme. La ricerca trasversale ha coinvolto 149 soggetti con sindrome di Down ed età compresa tra 1 e 20 anni, frequentatori abituali di un centro medico multidisciplinare specializzato nella gestione di questo tipo di soggetti. L’intero campione è stato sottoposto a un’accurata valutazione dello stato fisico, nutrizionale e dei valori ematici. Tra tutti i pazienti, l’8,1% presentava una condizione di anemia. Tra i 38 bambini nei quali si è approfondita la presenza di ferro nel sangue, è emerso che in metà dei casi le carenze erano significative. Tramite analisi multivariate, si è visto che l’etnia araba e un basso peso rispetto all’età sono fattori che si associano in modo significativo all’anemia, mentre genere, altezza, disordini alimentari e malattie cardiache congenite non sono fattori di rischio di anemia.

Int J Pediatr, 2011;2011:813541

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Crohn pediatrico: remissione prolungata con azatioprina

22 Ott 2011 Pediatria

Nei pazienti pediatrici l’azatioprina è efficace nel mantenere la remissione del morbo di Crohn, sebbene in modo inferiore a quanto si credeva. La maggioranza dei pazienti che è in remissione libera da steroidi a 12 mesi resta in remissione prolungata. Per quanto riguarda invece la tolleranza globale, il dato è eccellente. Queste le conclusioni di uno studio condotto presso l’unità di Gastroenterologia pediatrica dell’ospedale Necker-Enfants Malades, a Parigi, sotto la guida di Laura Riello. La ricerca ha coinvolto 105 bambini (68 maschi/37 femmine) con morbo di Crohn ai quali sono stati somministrati dosaggi di 1,4-4 mg/kg di azatioprina per valutarne retrospettivamente la capacità di mantenere la remissione a 6, 12, 18 e 24 mesi di follow up. In generale, sono stati inclusi 93 bambini con malattia attiva (pediatric Crohn’s disease activity index, Pcdai >30), steroidodipendenti o in nutrizione enterale o con resezione post-ileocecale. La remissione è stata definita da un Pcdai =<10 senza l’impiego di steroidi. I pazienti che necessitavano di cure con Tumor necrosis factor o altri immunomodulatori o della chirurgia sono stati considerati come positivi alla comparsa di una recidiva. In base al Pcdai, la remissione libera da steroidi è stata raggiunta in 56/93 bambini al sesto mese (60,2%), in 37/93 al dodicesimo (39,8%), in 31/93 al diciottesimo (33,3) e in 29/93 al ventiquattresimo (31,2%). Nelle prime quattro settimane, il trattamento con azatioprina è stato sospeso in 10 pazienti su 93 a causa di reazioni avverse (pancreatite, nausea, vomito, reazioni cutanee, debolezza generalizzata) o non introdotto a seguito di bassa attività della tiopurina metil-transferasi (Tpmt). Non si sono registrati casi di neutropenia in soggetti con attività normale della Tpmt. Si sono infine manifestati episodi infettivi in tre pazienti che hanno richiesto la sospensione temporanea della terapia. Inflamm Bowel Dis, 2011; 17(10):2138-43

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